3929 Potere acquisto salari a picco Cgil: in 5 anni persi 2 mila euro

20071119 15:35:00 redazione-IT

Epifani: governo rilanci politica redditi

Dal 2002 al 2007 ogni lavoratore – con un reddito medio pari a 24.890 euro – ha perso complessivamente 1.896 euro. Il tutto a causa del ritardo nel rinnovo dei contratti, lo scarto tra inflazione programmata e reale e anche la mancata restituzione del fiscal drag.
Lo rileva l’ultima ricerca dell’Ires Cgil, "Salari in difficoltà-Aggiornamento dei dati su salari e produttività in Italia e in Europa".

Secondo quanto spiegato dal presidente dell’istituto Agostino Megale, «dal 1993 ad oggi, la crescita dei salari è rimasta sostanzialmente in linea con l’inflazione, senza una crescita reale. Ciò a causa di un’inflazione programmata più bassa di quella effettiva, dei ritardi nei rinnovi contrattuali, nella mancata restituzione del fiscal drag, nella scarsa redistribuzione della produttività».

Nel dettaglio, ha riferito Megale, «il reddito disponibile familiare tra il 2002 e il 2007 registra una perdita di circa 2.600 euro nelle famiglie di operai, a fronte di un guadagno di 12.000 euro per professionisti e imprenditori. Nelle nostre previsioni l’inflazione effettiva a fine 2007 sarà dell’1,9%, contro una crescita dei salari attorno al 2%. Il potere d’acquisto delle retribuzioni di fatto, malgrado le retribuzioni contrattuali siano cresciute di circa un punto oltre l’inflazione, ha perso 0,3 punti in sei anni».

Tale perdita, cumulata sulla retribuzione media annua di un lavoratore dipendente al 2007 (25.890 euro), tradotta in euro significa, a prezzi correnti -1.210 euro. Se a questo si aggiunge la perdita derivante dalla mancata restituzione del fiscal drag (686 euro in cinque anni) la perdita secca ammonta quindi a circa 1.900 euro.

Per il segretario della Cgil Guglielmo Epifani, presente alla relazione dell’Ires, il governo dovrebbe assumersi la responsabilità di aprire a gennaio un tavolo sulla politica dei redditi che affronti insieme il problema della bassa produttività, i bassi salari e la bassa crescita.

«Se il Governo – ha detto a margine della presentazione del rapporto dell’Ires-Cgil – riesce a superare questa fase di vita parlamentare e si dovesse aprire nel paese una fase costituente di riforme, non ci si può scordare del problema della crescita, della produttività e di una politica che sostenga i redditi delle famiglie, degli operai e degli impiegati».

Secondo Epifani, il governo dovrebbe «assumersi questa responsabilità» e mettere al centro questo obiettivo affrontando tutti i temi insieme. «Bisogna fare un’operazione – ha detto a proposito delle dichiarazioni del vicepresidente di Confindustria, Alberto Bombassei, sulla discussione sulla flessibilità del lavoro – di grande respiro. Dentro questa impostazione uno può affrontare tutte le questioni partendo dalla testa e non come si cerca di fare dai piedi. Se il paese non riprende la strada degli investimenti ricerca e innovazione e in infrastrutture, e se non si fa crescere la produttività oraria del lavoro è tempo perso e qualsiasi soluzione non va al cuore del problema. È come – conclude – se si tentasse di tamponare la falla della diga del paese con un dito».

Tornando alla ricerca, significativa è la differenza del potere d’acquisto dei redditi familiari di imprenditori e liberi professionisti con quello di impiegati e operai: per i primi, è cresciuto di 11.984 euro; per i secondi e terzi e calato rispettivamente di 3.047 e 2.592 euro. La modesta crescita delle retribuzioni, spiega l’indagine dell’Ires Cgil, è imputabile ad alcuni fattori: oltre lo scarto tra inflazione programmata e quella reale e i ritardi nel rinnovo dei contratti, anche «l’inadeguata retribuzione» della produttività attraverso la contrattazione di secondo livello.

Nell’analisi di lungo periodo, e cioè prendendo in onsiderazione un arco di tempo dal 1993 al 2006, la crescita mdia annua dei salari (+3,4%) è rimasta sostanzialmente in linea con l’inflazione media annua (+3,2%), senza una crescita reale. «Chiudere i contratti ancora aperti che coinvolgono attualmente otto milioni di persone, nei tempi giusti, è una priorità», sostiene Megale.

Secondo la ricerca, inoltre, oltre 14 milioni di lavoratori guadagnano meno di 1.300 euro al mese. Circa 7,3 milioni ne guadagnano meno di 1.000. Tali diseguaglianze si riflettono nelle grandi «cinque differenze» che intercorrono tra il lavoratore medio (1.161 euro netti al mese) e il lavoratore del Mezzogiorno (-13,4%), le lavoratrici (-17,9%), il lavoratore nella piccola impresa (-26,2%), il lavoratore immigrato (-26,9%), il giovane lavoratore (-27,1%).

I più penalizzati sono i giovani che non guadagnano più di 900 euro al mese: in particolare, gli apprendisti 737 euro mensili, i collaboratori occasionali a 769 euro al mese, i co.pro. a 899 euro mensili.

Alla luce di questi dati, «c’è bisogno – secondo la ricerca dell’Ires-Cgil – di un sistema con più diritti e tutele, che aiuti a riconoscere il merito oltre che il successo, assieme ad un sostegno per la loro autonomia».

www.unita.it

 

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EmiNews 2007

 

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