3994 Strappo tra Prodi e la sinistra «A gennaio la resa dei conti»

20071128 18:41:00 redazione-IT

Ma Diliberto: «Verifica è rito stantio»

Se ne va dalla commissione Lavoro, di cui era presidente. Gianni Pagliarini, esponente del Pdci, si dimette dalla presidenza della commissione che aveva elaborato le modifiche al protocollo sul welfare: «Voterò la fiducia per senso di responsabilità – ha spiegato – ma mi dimetto dalla presidenza della commissione Lavoro per rispetto della dignità del ruolo e delle istituzioni». Pagliarini, come tutto il Pdci e la sinistra dell’Unione, è contrario alla fiducia posta dal governo, perché si tratta di «una fiducia anomala, perché solitamente si mette la fiducia per difendere il governo e il suo programma, mentre questa ha il sapore di una fiducia contro il programma della coalizione».

Pagliarini sente vanificato il lavoro suo e della commissione: «Sono stati sacrificati alcuni emendamenti importanti – ha aggiunto – e un protocollo di auspici si è trasformato in una legge di auspici. E questo non va bene, perché viene meno la concretezza della legge».

Comunque, la richiesta di verifica partita da Rifondazione e che si è poi estesa a tutta la sinistra dell’Unione, non spaventa Prodi. Le fibrillazioni della sinistra, dice il premier laquo;non sono minacce, sono riflessioni e richieste di un dialogo, di un confronto politico al quale io non mi rifiuto mai».

Armonizzare, mediare, riflettere, armati di due parole «insieme» e «pazienza». E poi alla fine l’assunzione di responsabilità sarà piena da parte dello stesso premier. Nessun rimpasto, nessuna nuova maggioranza. Del resto Rifondazione, si ricorda, è sempre stata lealista nei confronti di questo governo. Eppure. Lo strappo c’è stato, martedì. Una scossa d’avvertimento che forse a Palazzo Chigi non è stata ben avvertita.

Se n’è accorto Pierluigi Bersani che il giorno dopo insiste nel riconoscere «massima attenzione» e «massimo rispetto» ai «turbamenti» e alle « discussioni» dentro Rifondazione visto che il punto di equilibrio che il governo ha trovato «dal loro punto di vista è una forzatura rispetto alle loro convinzioni». Bersani non crede che questo comporterà dei rischi nel passaggio al Senato. Il protocollo sul Welfare è stato bene o male votato nelle fabbriche e non ci sarà un nuovo caso alla Turigliatto. Ma ciò che Bersani cerca di far notare è che il disagio della seconda forza politica della coalizione è profondo.

Martedì a esprimere in modo netto il loro dissenso al diktat del governo sulla fiducia al maxiemendamento sul Welfare sono stati una decina di deputati nella riunione del gruppo del Prc alla Camera. Non solo della minoranza del partito, anche bertinottiani. Il giorno dopo è lo stesso capogruppo Gennaro Migliore a tornare sulla data di gennaio, chiesta dal segretario Franco Giordano come tappa di una verifica politica di maggioranza. Sarà quello il momento per mettere lotta alla precarietà, diritti civili e nuovi investimenti, «che non devono essere solo quelli destinati alle spese militari», ai primi posti in una nuova agenda di priorità. E poi diretto a Prodi: «Quella di ieri è stata una sconfitta ampia per coloro che pensano si debba partire dal programma – ammette Migliore a Omnibus su La7 -. E se il governo non accetta il suo stesso programma il Presidente del Consiglio dovrebbe rivolgere la sua pazienza ad altri e non certo a noi di Rifondazione».

Del resto dentro Rifondazione c’è chi usa toni oggettivamente più minacciosi, come il direttore di Liberazione Piero Sansonetti che chiude il suo durissimo editoriale che parla apertamente di «crisi» così: «O a gennaio Prodi recupererà la titolarità del governo, spodesterà il monocolore extraparlamentare Veltroni-Montezemolo e offrirà alla sinistra un patto per governare insieme facendo cose di sinistra, oppure non ci sarà Dini che tenga e il governo andrà a gambe all’aria».

Il leader di Sinistra Democratica e ministro dell’Università, Fabio Mussi giustifica la scelta del voto di fiducia sul welfare, reso necessario dalle fortissime «pressioni di Confindustria e di gruppi minoritari al Senato» ma sottolinea: «È del tutto evidente che il governo non può andare avanti così secondo come soffia il vento». Mussi ribadisce che «mentre la cosiddetta sinistra radicale non ha mai messo a rischio il governo, ci sono più ristretti gruppi che hanno meno scrupoli» e allora «bisogna risedersi intorno a un tavolo e stabilire per quello che resta della legislatura, quelli che sono i punti che si concordano e non sono esposti alla rosa dei venti».

Il segretario del Pdci, Oliviero Diliberto, al termine di una lunga riunione del gruppo parlamentare annuncia il sì alla fiducia sul protocollo welfare ma denuncia il cedimento del governo nei confronti dell’ala conservatrice della coalizione. Il Pdci, assicura Diliberto «manifesterà tutte le sue contrarietà contro quanto si è verificato sia sul piano istituzionale, perchè il governo ha vanificato il lavoro parlamentare, sia sul piano politico, perchè il governo ha ceduto al ricatto di due senatori». Ora quindi si apre una fase nuova in cui la sinistra darà «battaglia su qualsiasi singolo provvedimento che il governo presenterà, decidendo di volta in volta come comportarsi». L’obiettivo non è contrastarne l’azione, chiarisce il leader del Pdci: «Lo facciamo perchè vogliamo bene al governo e perchè possa resistere alle pressioni della parte più conservatrice della coalizione».

Sulla questione della verifica a gennaio pareri diversi fra Diliberto e Giordano. Per il segretario del Pdci «quello della verifica è un rito stantio che troviamo abbastanza inutile anche perchè regolarmente la parte conservatrice della coalizione non rispetta gli accordi». Non serve la verifica? Il segretario di Rifondazione comunista Franco Giordano non la pensa come il suo pari grado dei comunisti italiani oliviero diliberto. «per me – dice interpellato alla Camera – o c’è la verifica o non c’è più il governo». La richiesta di verifica trova d’accordo Sinistra Democratica. Per Titti Di Salvo «non è un mistero che anche secondo noi una verifica nella maggioranza sia necessaria. Se con onestà ci si guardasse negli occhi all’interno della maggioranza – aggiunge – nessuno potrebbe negare che una verifica non sia utile».

Per ora Lamberto Dini continua a cantare vittoria. Il giorno dopo insiste intervistato da Maurizio Belpietro sul governo che «è appeso ad un filo, quindi non so quanto possa durare», «oscilla», genera «scontento» in Parlamento e nel Paese, «non sembra essere capace di affrontare i veri problemi del Paese, che è il declino economico in particolare». Insieme al gruppetto dei senatori di Bordon e Manzione i diniani si vogliono distinguere per la loro contrarietà al «partito della spesa». Ma persino dall’Udeur trova disdicevole la prosoponea e l’affondo nel vivo delle ferite. Così il senatore mastelliano Tommaso Barbato si meraviglia «che un uomo politico dall’alto profilo istituzionale come Dini si lasci addirittura andare ad espressioni di dileggio nei confronti di alleati di una coalizione della quale, fino a prova contraria, mi pare che faccia ancora parte». A meno che, insomma, oltre alle «mani libere», abbia deciso di non resistere più alla tensione da Tiramolla e di far seguire anche il resto del corpo.

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EmiNews 2007

 

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