11509 53. NOTIZIE dall’ITALIA e dal Mondo 11 dic 2014

20141213 22:30:00 guglielmoz

ITALIA – Un milione di firme contro il #TTIP: prima vittoria! / One million signatures against the TTIP: first victory! / Un million de signatures contre le TTIP : première victoire ! / ROMA. Siamo la patria della corruzione: Italia fanalino di coda della Ue / Province, il 16 dicembre il presidio dei lavoratori per difendere cinquantamila posti di lavoro
EUROPA – Spinelli (Gue -ngl) : Soluzione per i profughi di piazza Syntagma. / Eurocrisi: il conto alla rovescia non si è fermato
AFRICA & MEDIO ORIENTE – Palestina, anche l’Irlanda chiede di riconoscere la Palestina. Lunedì l’incontro a Roma tra Kerry e Netanyahu. /
ASIA & PACIFICO – AUSTRALIA. Il ministro con i superpoteri / CINA La fine di Zhou Yongkang./
AMERICA CENTROMERIDIONALE – Argentina, fabbriche recuperate in aumento
AMERICA SETTENTRIONALE – USA . Addetti fast food ancora in sciopero per l’aumento del salario minimo,/ Usa, week end di grandi mobilitazioni contro la violenza della polizia

ITALIA
UN MILIONE DI FIRME CONTRO IL #TTIP: PRIMA VITTORIA!
L’iniziativa auto-organizzata dei cittadini europei contro gli accordi TTIP e CETA ha appena superato il milione di firme!
Questa è una prima vittoria del movimento dei cittadini contro la censura da parte della Commissione Europea, che aveva rifiutato di registrare la petizione attraverso la procedura istituzionale europea. Questa è una vittoria della democrazia reale contro la mancanza di trasparenza che circonda i negoziati tra l’UE ei suoi partner in Nord America.
Di fronte ai gravissimi rischi per il lavoro, i diritti sociali, gli standard alimentari, l’ambiente, la cultura e i servizi pubblici, comportati da questi accordi di libero scambio che cederanno alle multinazionali un enorme potere, il Partito della Sinistra europea invita tutte le forze progressiste in Europa a firmare e far firmare la petizione.
Ironicamente, gli organizzatori della petizione propongono di offrire il milione di firme come regalo di compleanno per Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea. Ed ecco il “biglietto d’auguri” preparato dal Partito della Sinistra Europea…
La nostra mobilitazione continuerà fino all’abbandono del TTIP.

ONE MILLION SIGNATURES AGAINST THE TTIP: FIRST VICTORY!
The self-organized European citizens’ initiative against TTIP and CETA agreements has just passed the one million-signature-mark.
This is a first victory of the citizens’ movement against the censure by the European Commission, which had refused to register the petition through the institutional procedure of the European. This is a victory of the real democracy against the opacity surrounding the negotiations between the EU and its North American partners.
Facing with the dangers for work, social rights, food standards, environment, culture and public services, these free trade projects that let multinational corporations have huge powers, the Party of the European Left calls all the progressive forces in Europe to sign and make people sign the petition.
With humour, the initiators of the petition propose to offer the million signatures as a birthday gift for JC Juncker, President of the European Commission. Amused, the Party of the European Left has prepared a birthday card *.
We will remain mobilized until the abandonment of TTIP.
Party of the European Left

UN MILLION DE SIGNATURES CONTRE LE TTIP : PREMIÈRE VICTOIRE !
L’initiative citoyenne européenne auto-organisée contre le Grand marché transatlantique et l’accord CETA avec le Canada vient de dépasser le million de signatures.
C’est une première victoire du mouvement citoyen face à la censure de la Commission européenne qui avait refusé d’enregistrer cette pétition dans la procédure institutionnelle européenne. C’est une victoire de la démocratie réelle face à l’opacité qui entoure les négociations entre l’Union européenne et ses partenaires Nord-Américains.
Face aux dangers pour le travail, les droits sociaux, les normes alimentaires, l’environnement, la culture et les services publics, de ces projets de libre échange qui cèdent des pouvoirs immenses aux multinationales, le Parti de la gauche européenne appelle l’ensemble des forces de progrès en Europe à signer et faire signer la pétition.
Avec humour, les initiateurs de la pétition proposent d’offrir le million de signatures comme cadeau d’anniversaire pour JC Juncker, le Président de la Commission européenne. Amusé, le Parti de la gauche européenne a préparé une carte d’anniversaire*.
Nous resterons mobilisés jusqu’à l’abandon du TTIP.
Parti de la Gauche Européenne

ROMA
SIAMO LA PATRIA DELLA CORRUZIONE: ITALIA FANALINO DI CODA DELLA UE
La classifica di TRANSPARENCY INTERNATIONAL. I cittadini poco inclini a denunciare: per sollecitarli nasce un servizio di "alert". Secondo il procuratore Nordio si deve cambiare la legge Severino. La Cgil chiede nuove regole su appalti, autoriciclaggio e falso in bilancio.
E se vista la cronaca, avevamo bisogno di qualche dato a suffragio, ecco fatto: l’Italia è il paese più corrotto in Europa. È quanto emerge dal ventesimo rapporto di Transparency International sull’indice di corruzione percepita in 174 paesi del mondo. L’Italia si classifica al 69° posto come nel 2013. Sullo stesso gradino troviamo la Romania, la Grecia e la Bulgaria. I paesi meno corrotti sono Danimarca, Nuova Zelanda e Finlandia. All’ultimo posto tra quelli meno virtuosi, la Somalia e Corea del Nord precedute da Sudan e Afghanistan.
«L’Indice di percezione della corruzione (CPI) 2014 evidenzia come il nostro paese non sia ancora riuscito a intraprendere la strada giusta per il suo riscatto etico — spiega Virgilio Carnevali, presidente di Transparency International Ita­lia — Non possiamo restare fermi a guardare ancora per molto, mentre invece altri paesi fanno progressi».
In occasione della pubblicazione dello studio, ieri è stato presentato anche un nuovo servizio: si chiama «Allerta Anticorruzione» (Alac), ed è indirizzato a «tutti coloro che vogliono segnalare un caso di corruzione ma sono spaventati o sfiduciati dalle istituzioni». L’Alac è stato presentato da Transparency insieme a Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere, e Marcella Panucci, direttore generale di Confindustria. Secondo i dati del Barometro Globale della Corruzione 2013, solo il 56% degli italiani è disposto a segnalare un episodio di corruzione, rispetto alla media globale del 69%. I motivi che spingono a rimanere in silenzio sono soprattutto la paura, la sfiducia e la triste convinzione che nulla può cambiare.
«La corruzione è alimentata dall’eccessiva e inutile burocrazia», spiega il presidente di Unioncamere FERRUCCIO DARDANELLO, secondo il quale «occorrono azioni volte a semplificare il rapporto tra Pubblica Amministrazione e impresa». Inoltre, «è indispensabile aumentare i grado di consapevolezza del fenomeno e fornire agli imprenditori degli strumenti semplici per prevenirlo».
Secondo MARCELLA PANNUCCI, dg di Confindustria, «resta ancora tanto da fare per rafforzare le politiche di contrasto alla corruzione». Per questo, «Confindustria ha posto il tema tra le sue priorità e sta portando avanti un’intensa attività di analisi e di proposta per contribuire a un’azione anticorruzione corale. Il tutto nella consapevolezza che anche il sistema delle imprese deve fare la sua parte e assumersi la responsabilità».
Secondo CARLO NORDIO, procuratore aggiunto di Venezia, «serve una revisione della legge Severino per quanto concerne il reato di corruzione». «Lo strumento della repressione penale serve a poco per combattere la corruzione — ha aggiunto — Serve punire la concussione: per avere uno strumento tecnicamente efficace non conviene fare di chi paga le mazzette un indagato ma piuttosto un testimone. In questo modo il soggetto sarebbe costretto a dire la verità. Per Nordio quindi «serve esattamente il contrario di ciò che ha fatto la legge Severino».
E di necessità di cambiare le leggi parla anche la Cgil: secondo la segretaria confederale GIANNA FRACASSI, la corruzione «affligge in maniera endemica il nostro sistema economico, sottrae risorse allo Stato contribuendo ad aumentare la povertà e peggiorando la qualità dei servizi».
«Solo partendo dalla legalità economica e dal lavoro il Paese può riprendere la strada dello sviluppo. Per questo la Cgil — ricorda la dirigente sindacale — è impegnata nella campagna nazionale “LEGALITÀ, UNA SVOLTA PER TUTTE”, che sta attraversando la penisola per chiedere alle istituzioni, governo in primis, atti concreti». «E’ tempo di mettere da parte spot e tentennamenti — conclude Fracassi — Rinnoviamo le richieste della Cgil all’esecutivo: introdurre il reato di antiriciclaggio, ripenalizzare il falso in bilancio, modificare la legge sugli appalti e i termini di prescrizione nel processo penale».( Fonte: Il Manifesto | Autore: red. eco.)

ROMA
PROVINCE, IL 16 DICEMBRE IL PRESIDIO DEI LAVORATORI PER DIFENDERE CINQUANTAMILA POSTI DI LAVORO. DIPENDENTI DELLE PROVINCE IN PRESIDIO IL16 DICEMBRE A PARTIRE DALLE 13:00 IN PIAZZA DELLE CINQUE LUNE A ROMA, VICINO ALL’INGRESSO DEL SENATO DELLA REPUBBLICA. (Autore: fabrizio salvatori)
"DOVEVANO ELIMINARE LE PROVINCE, poi ridimensionarle e riordinare gli enti. Alla fine le hanno spolpate, impoverite, senza trovare soluzioni alternative”, scrivono i tre sindacati di categoria di Cgil, Cisl e Uil. Con una nota Rossana Dettori, Giovanni Faverin e Giovanni Torluccio, Segretari Generali di Fp-Cgil, Cisl-Fp e Uil-Fpl, chiedono al Parlamento di dimostrare di “avere ancora un ruolo, di poter correggere le storture di una non riforma che rischia di eliminare servizi, di produrre ulteriore disoccupazione. È davvero possibile – concludono – che al netto delle banali affermazioni sulle Province inutili nessuno si domandi che fine faranno servizi come la sicurezza nelle 5.100 scuole superiori, la tutela ambientale e del territorio, gli uffici provinciali del lavoro, la manutenzione della rete stradale provinciale?".
In pratica si sta mettendo a rischio il posto di lavoro di 50 mila dipendenti delle province e di altrettanti delle società partecipate, senza parlare della continuità dei servizi relativi alla edilizia e alla sicurezza degli istituti scolastici, al trasporto, alla viabilità e ai servizi ambientali, gravemente falcidiati dagli ennesimi tagli lineari alla spesa. Secondo quanto sottolinea il responsabile dei Settori pubblici della Cgil Nazionale, Michele Gentile, il ministro della Funzione Pubblica, Marianna Madia, nell’unico incontro avuto con Cgil, Cisl e Uil “aveva affermato con nettezza che ‘nessun posto di lavoro sarà perso nei processi di riorganizzazione della Pa’ e che per quanto riguarda il tema del riordino delle province ‘il governo terrà fede a quanto stabilito nel protocollo Governo, regioni, comuni, sindacati del 2013’”. Invece, le soluzioni che il Governo intende adottare vanno in tutta altra direzione. Secondo Gentile “alla fine la qualunquistica, perché indistinta ed inefficace, lotta ai costi della politica, produce danni all’occupazione, ai servizi ai cittadini e al paese. Qualcuno dovrebbe dire al Governo che l’effetto delle sue politiche non deve limitarsi alla ‘comunicazione’”. Gentile quindi sostiene che “all’affermazione del Ministro dovranno seguire altri provvedimenti, atti concreti e non solo ennesimi annunci effetto, per: garantire la certezza occupazionale ai circa 2.000 precari a tempo determinato che lavorano nei Centri per l’impiego e negli altri servizi delle province; garantire la certezza occupazionale anche per i dipendenti di quelle province (da 30 a 40) che a seguito degli ennesimi tagli previsti dalla legge di Stabilità andranno in default. C’è inoltre da affrontare il tema dell’occupazione in quelle amministrazioni (Stato, Camere di Commercio, Croce Rossa Italiana, etc.) sul territorio che saranno riordinate quando la legge delega sulla riforma della Pa verrà varata dal Parlamento, e che anche per questo va cambiata; e prevedere la proroga dei contratti a tempo determinato presenti nelle Pubbliche amministrazioni (circa 80 mila al netto della Scuola), unitamente al superamento di vincoli che impediscono, soprattutto nelle piccole realtà, la effettiva prosecuzione del rapporto di lavoro, avviando primi processi mirati di stabilizzazione; prevedere che per non aggravare la situazione della Giustizia Italiana i 2.500 tirocinanti possano mantenere il loro lavoro trasformandolo a tempo determinato da prorogare; garantire l’occupazione prevista per gli Ispettori del lavoro”

EUROPA
SPINELLI (GUE -NGL) : SOLUZIONE PER I PROFUGHI DI PIAZZA SYNTAGMA
NEL POMERIGGIO DI IERI, IL GRECO DIMITRIS AVRAMOPOULOS, COMMISSARIO EUROPEO PER LE MIGRAZIONI, GLI AFFARI INTERNI E LA CITTADINANZA, HA INCONTRATO LA COMMISSIONE LIBE (LIBERTÀ CIVILI, GIUSTIZIA E AFFARI INTERNI) DEL PARLAMENTO EUROPEO.
L’onorevole Barbara Spinelli (GUE-Ngl), membro della Commissione, gli ha chiesto soluzioni politiche riguardo alla situazione denunciata da duecento profughi siriani in sciopero della fame davanti alla sede del Parlamento greco. “Quel che voglio chiederle è cosa intende fare, nell’immediato, per venire incontro alla situazione drammatica in Grecia. E se non sia il caso di accertare l’esistenza di un ‘afflusso massicciò Di rifugiati. L’afflusso massiccio prevede infatti l’attuazione della Direttiva del 2001”, grazie alla quale la Commissione impone la concessione della protezione temporanea e la solidarietà tra Stati membri negli sforzi di accoglienza.
“Le chiedo infine se non pensa sia il caso di rivedere il Regolamento Dublino III, proprio perché generatore di questa situazione perversa, nella quale il fuggitivo si trova incastrato tra il Paese dove non può andare e quello di accoglienza dove non può restare".
Alle risposte vaghe del Commissario, che ha assicurato che i profughi hanno ricevuto la necessaria assistenza, Spinelli ha replicato: “Commissario, ma di quale assistenza sta parlando, a Piazza Syntagma? Ai fuggitivi non è stato dato cibo, né acqua. Sono stati portati all’ospedale, è vero, ma non mi dica che è questa l’assistenza!” ( INTERNAZIONALE)
EU
EUROCRISI: IL CONTO ALLA ROVESCIA NON SI È FERMATO
L’OPINIONE DELLA COMMISSIONE EUROPEA, SECONDO CUI L’EURO E LE POLITICHE DI AUSTERITÀ AVREBBERO FAVORITO UNA CRESCITA EQUILIBRATA IN EUROPA, È SMENTITA DAI FATTI.
Al contrario, dopo la crisi del 2007 i processi di divergenza tra le economie europee sono diventati sempre più impetuosi e il costo economico e sociale della permanenza nell’euro aumenta ogni giorno di più per i Paesi periferici. Di questo passo – come previsto dal “monito degli economisti” pubblicato dal Financial Times – la fine della moneta unica porterà al fallimento del progetto di unificazione europea. E nonostante ciò, la Germania e i suoi Paesi satellite non sembrano avere alcuna intenzione di fermare il conto alla rovescia dell’euro. L’Unione monetaria europea sta accelerando la corsa verso la deflagrazione. Con la crisi intervenuta sul finire del 2007, l’eurozona non è più cresciuta e i processi di divergenza tra le aree centrali e quelle periferiche si sono intensificati, divenendo quasi irresistibili. La tesi della Commissione Europea – secondo cui la moneta unica e l’integrazione commerciale, combinate con le politiche di austerità e la flessibilità del mercato del lavoro, aumenterebbero la coesione tra i Paesi Europei – ha perso ogni credibilità.[1] È ormai evidente che, continuando con le politiche attuali, e con l’impossibilità di compensare gli squilibri macroeconomici mediante le svalutazioni, l’esplosione dell’euro è solo una questione di tempo, come se avessimo da tempo innescato una bomba a orologeria. E nessuno potrà dire che – a dispetto delle previsioni ottimistiche della Commissione Europea – il disastro non fosse ampiamente annunciato. Basti pensare alla Lettera contro le politiche di austerità del 2010, promossa in Italia da circa 400 studiosi, e al Monito degli economisti, pubblicato da autorevoli economisti mondiali sul Financial Times nel settembre 2013. Questi documenti chiarirono che senza una svolta espansiva e coordinata delle politiche fiscali e monetarie, di cui ancora oggi non c’è traccia all’orizzonte, l’eurozona non sarebbe uscita dalla crisi e soprattutto si sarebbero acuiti i processi di divergenza tra Paesi centrali e periferici in termini di crescita del pil pro capite e risultati occupazionali. In assenza di meccanismi di contrasto efficaci, i processi di divergenza spontanea conseguenti alla maggiore integrazione commerciale avrebbero finito per compromettere la tenuta dell’euro[2]. A ben vedere, la tendenza all’accentuarsi del dualismo tra centri e periferie in Europa non è un dato recente. L’analisi relativa alla crescita della produzione per cittadino mostra che il processo di unificazione monetaria anziché aumentare la convergenza territoriale ha accentuato l’entropia europea. Infatti, sin dal 1990 aumenta sempre più la differenza tra i ritmi di crescita all’interno dell’eurozona, come mostra l’analisi del coefficiente di variazione che è un indicatore elementare di disomogeneità nelle performance macroeconomiche.
Anche la differenza (range) tra i valori massimi e minimi dei tassi di crescita del pil pro capite, registrati anno dopo anno nell’eurozona, tende ad aumentare moltissimo (fatto pari a 100 il tasso di crescita medio dell’eurozona in ciascun anno, infatti, il range è passato da 118,21 del 1990 a 150,94 del 2013). Al tempo stesso, si osserva che il pil pro capite dei paesi centrali di Europa è oggi mediamente del 50% maggiore rispetto al valore medio dei paesi periferici: Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia, Spagna (i cosiddetti PIIGS). Ma è con lo scoppio della crisi – con l’inadeguatezza delle politiche monetarie e fiscali europee, e in particolare con il totale insuccesso delle politiche di coesione – che i processi di divergenza si accentuano sempre più, con alcuni paesi che “tengono” ed altri che sprofondano nella recessione. La drammatica accelerazione del processo di implosione dell’eurozona è confermata da tutti i dati ufficiali. Per cominciare, il valore della produzione di beni e servizi tende a divaricarsi rapidamente, ancora più di prima. Mentre i Paesi centrali, Germania in testa, hanno visto crescere lievemente il pil rispetto al 2007, le economie periferiche sono rapidamente decresciute. Dopo il 2007-2008 aumentano drammaticamente i differenziali di crescita. E ad esempio, tra la Germania e l’Italia si sono cumulati in pochi anni circa 12 punti di differenza nell’andamento del pil[4].
L’impetuosa tendenza alla divaricazione tra i Paesi dell’eurozona risulta ancora più allarmante consultando i dati relativi al mercato del lavoro, in primo luogo i tassi di disoccupazione. Anche in questo caso si è passati da una differenza che nel 2007 si limitava generalmente a 2-3 punti, ad oltre 20 punti di differenza agli estremi, con alcuni Paesi che hanno ridotto la disoccupazione (in primo luogo, la Germania) ed altri che l’hanno raddoppiata (Italia) o addirittura più che triplicata (Grecia, Spagna).
A ben vedere, la crescita esponenziale della disoccupazione osservata dopo lo scoppio della crisi, oltre 7,5 milioni di disoccupati in più rispetto al 2007, si concentra principalmente nei Paesi periferici. Infatti, nel periodo dal 2007 al 2013 il tasso di disoccupazione è poco meno che triplicato nei PIIGS, passando mediamente dal 7,3% al 19%. Nel frattempo, la crescita della disoccupazione negli altri Paesi della Unione Monetaria a 12 è risultata contenuta, aumentando meno di un punto percentuale (dal 6,2% al 7,1%). Gli indicatori concernenti la divergenza occupazionale nell’eurozona mostrano una smisurata crescita dei differenziali di performance delle economie dell’eurozona[5].
Inoltre, a dispetto del fatto che i tagli della spesa pubblica e gli aumenti della pressione fiscale fossero particolarmente intensi nei paesi periferici, che risultavano generalmente più lontani dai valori target di deficit e debito pubblico assunti dall’Unione, la forbice tra i PIIGS e gli altri si allarga anche con riferimento alla finanza pubblica. Basti prestare attenzione al rapporto tra debito pubblico e pil. Non c’è dubbio che questo rapporto di finanza pubblica sia generalmente cresciuto in tutta l’eurozona, tuttavia mentre nei paesi centrali si assistito ad un incremento medio di 20 punti, nei PIIGS il peso del debito è mediamente raddoppiato, passando da valori medi intorno al 65% del pil a valori intorno al 130% del pil [6].
Ma in questo quadro non è solo la condizione della finanza pubblica a peggiorare. Anzi, in buona misura, l’andamento della finanza pubblica riflette il peggioramento delle condizioni di quella privata, cominciando dalle imprese. Ed anche qui assistiamo all’approfondirsi di una divaricazione drammatica, tra la tenuta dei conti delle imprese operanti nei Paesi periferici e quelle delle aree più sviluppate. Le insolvenze delle imprese crescono, infatti, in tutta l’eurozona dopo la crisi; ma l’impennata cui si assiste nei PIIGS, nei quali le insolvenze in media sono quasi quadruplicate, è senza precedenti storici.
Come se tutto ciò non bastasse, l’accelerazione della divergenza tra Paesi centrali ed aree periferiche diviene socialmente ancora più insostenibile alla luce dei dati relativi alla distribuzione dei redditi. Come mostrano i dati della stessa Commissione Europea sulla distribuzione funzionale dei redditi, dal 1990 al 2013 si è assistito a una riduzione progressiva della quota salari sul pil, calata mediamente del 3%[7]. Sotto molti aspetti, sembrano essere questi gli unici risultati delle politiche di riduzione della protezione del lavoro implementate nell’eurozona al fine di aumentare la flessibilità del mercato. Come mostrano ormai molteplici analisi, infatti, queste politiche non hanno contribuito ad incrementare l’occupazione e la crescita europea[8]. A ciò va aggiunto che nei Paesi periferici la disuguaglianza nella distribuzione personale dei redditi risulta molto più accentuata rispetto alla Germania e agli altri Paesi avanzati. Basti considerare che l’in di Gini, che misura la disuguaglianza nella distribuzione personale dei redditi, è significativamente più elevato (di ben 6 punti) nei PIIGS rispetto ai Paesi centrali. Si tratta di un dato che risente evidentemente anche della insufficiente dotazione di ammortizzatori sociali in presenza di elevati tassi di disoccupazione, e ciò contribuisce a rendere la condizione sociale di questi Paesi tanto più esplosiva. Quindi è del tutto evidente che siamo di fronte a un clamoroso fallimento delle tesi sulla convergenza esposte dalla Commissione Europea, secondo le quali il rispetto dei famosi parametri di Maastricht e in generale dei Trattati Europei, combinati con l’unificazione monetaria e le politiche di austerità, avrebbero aumentato la coesione tra i Paesi. Piuttosto, si sta verificando esattamente il contrario e l’accelerazione dei processi di divergenza sta incrementando ogni giorno di più il costo sociale ed economico dell’adesione all’euro per i Paesi periferici. Risulta ormai evidente che per avviare un vero processo di convergenza e riattivare una crescita bilanciata, l’eurozona avrebbe dovuto ridiscutere i Trattati e dotarsi di “meccanismi d’assicurazione pubblica” che agissero da stabilizzatori automatici[9]. Ciò significa, in primo luogo, politiche fiscali e monetarie coordinate, espansive e incisivamente redistributive sul piano territoriale. Eppure, a dispetto della minaccia incombente di implosione dell’eurozona, con le conseguenze gravi che ciò determinerebbe, non sembra esserci alcuna disponibilità da parte della Germania e dei Paesi che le gravitano intorno nel rivedere i Trattati e le politiche europee. Insomma, nessuno sembra muoversi concretamente per fermare il conto alla rovescia dell’euro. E diventa ogni giorno più arduo sperare in un cambiamento radicale delle politiche economiche europee che disinneschi l’ordigno.
(Fonte: economiaepolitica.it Autore: Riccardo Realfonzo e Angelantonio Viscionedice)

[1] È la famosa tesi esposta dalla Commissione sin dal 1990, in One Market, One Money, in “European Economy, 44”. Ulteriori riferimenti si trovano ad esempio in European Commission (2008) EMU@10: Successes and Challenges after 10 years of Economic and Monetary Union (in “European Economy”, 2, p. 292) ed anche nella recentissima Relazione 2015 sul meccanismo di allerta (28 novembre 2014).
[2] Si tratta della divergenza indotta dai processi di causazione circolare e cumulativa descritti da maestri del pensiero economico come Myrdal e Kaldor, e successivamente rielaborati anche da Krugman. I riferimenti classici sono ai famosi libri di G. Myrdal, Economic Theory and Underdeveloped Regions (New York, Duckworth, 1957), e N. Kaldor The Causes of the Slow Growth of the United Kingdom (Cambridge, Cambridge University Press, 1966). Per quanto riguarda P. Krugman, il primo riferimento di rilievo è al volume Geography and Trade (Cambridge Mass., Mit Press, 1991).
[3] Il tasso di crescita del pil pro capite è la grandezza oggetto di comparazione nei cosiddetti test di convergenza, utilizzati per esaminare a livello scientifico questi processi. Il coefficiente di variazione è una misura semplice della divergenza, calcolato come il rapporto tra lo scarto quadratico medio e il valore assoluto della media.
[4] Infatti, l’Italia è decresciuta rispetto al 2007 di circa 9 punti, mentre la Germania è cresciuta di poco più di 3 punti. Rispetto al 2007 il pil greco si è ridotto di 26 punti, quello spagnolo di 6 punti, mentre il pil francese è aumentato meno di 2 punti. Mediamente il pil dei Paesi dell’Unione Monetaria a 12 si è ridotto di poco meno di 2 punti.
[5] Come conferma il fatto che il coefficiente di variazione del tasso di disoccupazione nell’EMU a 12 schizza dal valore già ampio di 0,29 del 2007 a quasi 0,65 del 2013
[6] Particolarmente significativo nell’evidenziare il fallimento delle politiche di austerità, anche ai fini del “risanamento” della finanza pubblica, è il caso dell’Italia. L’Italia, infatti, è il Paese dell’Unione Monetaria che detiene il record di avanzi primari (gli eccessi delle entrate fiscali sulla spesa pubblica, con esclusione degli interessi sul debito). Dal 1990 al 2013 le manovre di finanza pubblica italiane hanno infatti determinato tutti gli anni un avanzo primario (con la sola eccezione del 2009) e nonostante ciò il rapporto tra debito pubblico e pil è aumentato dal 91,6% del 1990 al 127,9% del 2013 (dati Ameco – Commissione Europea). Il record degli avanzi primari e la rispondenza delle politiche economiche italiane allo spirito dei Trattati europei sono stati recentemente sottolineati dal governo italiano.
[7] L’adjusted wage share – la quota del pil che va ai percettori di reddito da lavoro – è infatti scesa dal 59,6% del pil del 1990 al 56,5% del 2013. Questi dati medi coincidono sostanzialmente con quelli della Germania (dove la quota salari si è ridotta dal 59,6 del 1990 al 56,7 del 2013). Altri Paesi, come ad esempio l’Italia, hanno conosciuto una redistribuzione più marcata dai salari ai profitti e alle rendite. Infatti, in Italia la quota salari si è ridotta dal 58,4% del 1990 al 53,8% del 2013.
[8] A riguardo, soprattutto per ciò che attiene il caso italiano, si rinvia all’analisi contenuta in “Gli insuccessi nella liberalizzazione del lavoro a termine” di Riccardo Realfonzo e Guido Tortorella Esposito.
[9] Sul punto ad esempio si rinvia a W. Godley (1992), Maastricht and All That, London Review of Books, Vol.14, No. 19.

SVEZIA
A SVEZIA SENZA GOVERNO TORNA A VOTARE.
Dopo la bocciatura della legge di bilancio, il premier Stefan Lòfven ha annunciato nuove elezioni. Ma le urne potrebbero non risolvere lo stallo politico. /
La politica svedese si è trasformata in una tragedia, anche se non nel senso comune del termine. La A Svezia non è un teatro di guerra e non ci sono epidemie. Lo stato della nazione è più che soddisfacente. Quello che avvicina l’attuale situazione politica a una tragedia greca è la progressione inarrestabile verso la catastrofe. Gli attori si agitano e appaiono quasi comici nel tentativo di sfuggire al loro destino. Che fine ha fatto il buonsenso? Qualcuno potrà evitare quello che sta per succedere?
Il tentativo dei Democratici di Svezia (Sd, xenofobi e populisti) di rovesciare il governo del primo ministro socialdemocratico Stefan Lòfven ha fatto precipitare la situazione, ma il problema si trascina dalle elezioni del 14 settembre. Se gli Sd si fosse-ro limitati a protestare contro il fatto che la Svezia accoglie troppi rifugiati, trovare un compromesso sarebbe stato possibile. Il problema, invece, non è la portata dell’immigrazione, ma l’immigrazione in sé. L’idea centrale del partito è chiaramente xenofoba: tutti i mali del paese nascono dall’immigrazione.
Il voto sulla legge di bilancio del 3 di-cembre, che ha portato alla crisi di governo, dimostra che gli Sd hanno un grande potere: possono far cadere un esecutivo e impedire a chiunque di governare il paese in modo sensato. Per loro l’unico obiettivo è proteggere la nazione dagli immigrati. Questo significa che non possono essere degli interlocutori per le altre forze politiche.
Scelte sbagliate
Dopo il voto sulla legge di bilancio, sembrava che la situazione in parlamento fosse recuperabile e che si potesse trovare una nuova maggioranza. Alcune coalizioni, però, sono state subito scartate (per esempio, quelle tra partiti troppo diversi) e si è evitato anche di dar vita a governi segnati da forti tensioni interne. Del resto, già subito dopo le elezioni di settembre si poteva prevedere che un governo di minoranza formato dai socialdemocratici e dai verdi (la soluzione scelta da Lòfven) avrebbe avuto difficoltà di manovra in parlamento. Un governo monocolore socialdemocratico sarebbe stato la soluzione migliore, ma Lòfven non ha avu-to il coraggio di andare contro i verdi e buona parte dei suoi elettori. O forse la sua scarsa esperienza politica gli ha impedito di valutare la portata dei problemi che avrebbe dovuto affrontare.
Senza l’accordo con i verdi, dopo la crisi il primo ministro avrebbe potuto provare a formare una nuova coalizione, per esempio, con il Partito moderato di Fredrik Reinfeldt. Ma la politica non è solo aritmetica parlamentare, è più importante di una semplice raccolta di proposte e riguarda anche la fiducia data ai partiti dagli elettori.
Certo, cambiare rotta non è impossibile, soprattutto in tempi di crisi. Ma cambiare opinione non è facile. Per questo motivo, quello che sembra ragionevole dal punto di vista parlamentare può essere politicamente impossibile. E Stefan Lòfven ha smesso di sondare i confini del possibile. Così, come una nave alla deriva, il paese va verso le elezioni anticipate. Tuttavia, a differenza di quanto succede nelle tragedie greche, la storia continua. Oggi possiamo solo sperare che il fallimento politico collettivo rappresentato dal voto anticipato possa sbloccare una situazione apparentemente senza soluzioni. Ma al momento è difficile immaginare come.

NOTA
L’INCOGNITA DEGLI XENOFOBI
Doveva essere il ritorno trionfale dei socialdemocratici svedesi. Ma appena due mesi dopo la formazione di un governo di minoranza con i verdi, in seguito alle elezioni del 14 settembre 2014, il 3 dicembre il primo ministro Stefan Lòfven è stato costretto ad annunciare le dimissioni. Insieme al partito xenofobo Democratici di Svezia (Sd), le quattro formazioni dell’alleanza di centrodestra all’opposizione hanno bocciato la legge di bilancio del governo, proponendone una alternativa. Lòfven avrebbe potuto consentire agli altri partiti di provare a formare una nuova maggioranza, ma ha deciso di annunciare elezioni anticipate per il 22 marzo 2015. Non succedeva dal 1958. Lòfven passerà alla storia come il primo ministro svedese con il mandato più breve. E il suo partito, già ai minimi storici, perderà altri consensi. Ma soprattutto sarà interessante capire fino a che punto gli Sd trasformeranno un sistema politico da sempre basato sui compromessi e cosa succederà se dal voto di marzo uscirà di nuovo un parlamento senza maggioranza. The Economist

MEDIO ORIENTE & AFRICA
ISRAELE-PALESTINA
II 10 dicembre il ministro palestinese Ziad Abu Ein è morto negli scontri tra manifestanti e soldati israeliani durante una protesta a Turmusiya, in Cisgiordania. Prima ancora che la causa del decesso fosse chiara, il presidente palestinese Abu Mazen ha denunciato un "atto di barbarie che non può essere tollerato". Prima di morire Abu Ein è stato aggredito e spintonato dai soldati

PALESTINA
ANCHE L’IRLANDA CHIEDE DI RICONOSCERE LA PALESTINA. LUNEDÌ L’INCONTRO A ROMA TRA KERRY E NETANYAHU
L’ultima in ordine di tempo è l’Irlanda. Il parlamento irlandese ha approvato ieri serauna mozione simbolica per chiedere al governo di Dublino di riconoscere le Palestina, "sulla base delle frontiere del 1967 e con Gerusalemme est come capitale". Prima di quello irlandese, hanno approvato documenti analoghi, non vincolanti, i parlamenti di Francia, Regno Unito e Spagna. ( Autore: fabrizio Salvatori)
I PALESTINESI premono sull’acceleratore alle Nazioni Unite per una risoluzione sul ritiro di Israele dalla Cisgiordania, dove ieri l’esercito ha ucciso un ministro palestinese. La speranza è quella di una svolta entro Natale. Il testo è stato fatto circolare in novembre dalla Giordania potrebbe essere votato dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu entro l’anno anche se e’ già stato definito "sbilanciato" da un diplomatico occidentale. Secondo quanto dichiarato giorni fa dall’ambasciatrice giordana alle Nazioni Unite, Dina Kawar, l’obiettivo e’ quello di "trovare un accordo su una bozza unificata entro Natale, o altrimenti in gennaio". Ma nel frattempo anche la Francia sta elaborando un nuovo documento, nel quale si propone di concludere i negoziati di pace in due anni. Il testo della risoluzione palestinese chiede alla comunita’ internazionale di fare pressione su Israele per porre fine all’occupazione in Cisgiordania e a Gerusalemme Est nell’arco di tre anni e di ritirare da li’ le truppe e i coloni. Per Israele, si tratta di una misura unilaterale che metterà fine a qualunque prospettiva di riattivazione del processo di pace e che imporrà una soluzione del conflitto fuori del negoziato. A differenza di altre occasioni, gli Usa non hanno garantito a Israele il veto e, secondo il quotidiano, preferirebbero non farlo per il timore dell’impatto sulla stabilita’ della coalizione con i Paesi arabi moderati nella lotta contro lo Stato islamico.
Il premier israeliano, Benyamin Netanyahu, sarà a Roma lunedì per incontrare il segretario di stato Usa, John Kerry, e fare il punto sui negoziati di pace. Kerry vuole conoscere direttamente da lui la posizione di Israele in merito alla bozza e al testo alternativo su cui stanno lavorando vari Paesi. Israele, da parte sua, tenterà di convincere Washington a esercitare il suo diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza.

ZIMBAWE
LA DINASTIA MUGABE
IL CONGRESSO DEL 6 DICEMBRE DEL PARTITO ZANU PF (AL POTERE DAL 1980) HA CAMBIATO IL PANORAMA POLITICO DELLO ZIMBABWE, SCRIVE IL DAILY MAVERICK. Il presidente Robert Mugabe, 90 anni, è stato confermato come leader e sua moglie Grace – considerata una possibile candidata alla successione del marito – è stata nominata responsabile della sezione femminile. L’ascesa di Grace Mugabe è avvenuta a scapito della vicepresidente Joice Mujuru, un’altra possibile candidata alla presidenza. Il 9 dicembre Mujuru è stata rimossa dal suo incarico con le accuse di corruzione e complotto. Altri sette ministri sono stati destituiti.

KENYA
IL PRESIDENTE SFUGGE ALLA CPI
La Corte penale internazionale (Cpi) ha fatto cadere le accuse di crimini contro l’umanità rivolte al presidente keniano Uhuru Kenyatta, in relazione alle violenze interetniche scoppiate dopo le elezioni del 2007, che causarono 1.200 morti. Il Daily Nation spiega che la procuratrice della Cpi Fatou Ben-souda ha dovuto rinunciare dopo il ritiro di alcuni testimoni chiave: "Quello contro Kenyatta era un caso unico, dove si chiedeva a un governo di collaborare alla raccolta di prove contro l’uomo che lo guida

BURKINA FASO
Le autorità di transizione del Burkina Faso hanno deciso di riaprire l’inchiesta sulla morte di Thomas Sankara, il presidente del consiglio rivoluzionario burkinabé ucciso nel 1987. Sull’omicidio hanno indagato molti giornalisti, tuttavia manca ancora una versione ufficiale, spiega Jeune Afrique. Si cercherà di far luce anche sull’omicidio del giornalista ed editore indipendente Norbert Zongo, ucciso nel 1998. Secondo il settimanale panafricano, "le morti di Sankara e Zongo sono due macchie indelebili sul regime di Blaise Compaoré", il presidente deposto il 31 ottobre 2014 tra le proteste popolari. Compaoré era sospettato per la morte di Sankara, suo ex compagno di lotta. "Riaprendo questi dossier, il nuovo presidente Michel Kafando e il primo ministro Isaac Zida vogliono conquistarsi il favore dei giovani, che hanno svolto un ruolo fondamentale nelle ultime rivolte e che si rifanno ai valori promossi a suo tempo da Sankara. Kafando e Zida rischiano però di aprire un vaso di Pandora e di essere accusati di promuovere la giustizia dei vincitori, rendendo il periodo della transizione molto più complicato ( Jeune Afrique, Francia)

BAHREIN
II 6 dicembre il Regno Unito ha firmato un accordo con il Bahrein che consente a Londra di avere una base navale permanente nel paese, la prima in Medio Oriente dal 1971.

MALI
L’ostaggio francese Serge Lazarevic è stato liberato il 9 dicembre, dopo aver passato tre anni nelle mani del gruppo Al Qaeda nel Maghreb islamico.

MAURITIUS
II 10 dicembre si sono svolte le elezioni legislative. Saranno decisive per una riforma della costituzione che potrebbe aumentare i poteri presidenziali.

RDC
II 3 dicembre le autorità del Nord Kivu hanno chiuso un campo profughi che ospitava 2iomila persone

ASIA & PACIFICO
AUSTRALIA
Il ministro con i superpoteri
Il 4 dicembre il senato australiano ha votato a favore degli emendamenti alla legge sull’immigrazione che danno poteri straordinari al ministro dell’immigrazione. Scott Morrison, che ora è in carica, potrà rifiutare una richiesta di asilo, ordinare la detenzione o il rimpatrio di un migrante, anche se nel paese d’origine rischiasse la tortura, senza l’obbligo di dare spiegazioni. In questo modo la legge elimina le misure di protezione fondamentali per chi cerca asilo.

COREA DEL SUD
Illusione di libertà
Con la transizione alla democrazia alla fine degli anni ottanta, per i giornalisti sudcoreani sembrava finalmente cominciata un’epoca di libertà. In realtà l’informazione tradizionale nel paese si basa su un’intricata rete di connessioni tra gli organi di stampa, il governo e le grandi aziende, scrive AsiaSentinel. Secondo l’organizzazione Freedom House i circoli dove solo i giornalisti delle testate più importanti sono ammessi, la legge sulla sicurezza nazionale e l’alto numero di denunce per diffama-zione a carico dei reporter (3.223 condanne nel 2013) limitano la circolazione delle informazioni. Inoltre, la rarità delle inchieste e l’uso frequente di fonti anonime non verificate compromettono la credibilità delle notizie.

CINA
LA FINE DI ZHOU YONGKANG
IL 5 DICEMBRE, DOPO QUATTRO MESI DI INDAGINI, L’EX CAPO DELLA SICUREZZA ZHOU YONGKANG , 72 ANNI, È STATO ESPULSO DAL PARTITO COMUNISTA E ARRESTATO PER CORRUZIONE, VIOLAZIONE DELLA DISCIPLINA DI PARTITO, RIVELAZIONE DI SEGRETI DI STATO E ADULTERIO. Zhou, ex componente del comitato permanente del partito, è il più alto dirigente a finire sotto processo dalla caduta della banda dei quattro, alla fine della Rivoluzione culturale negli anni settanta. "La spettacolare caduta di Zhou ha messo in luce la rete di corruzione intorno all’ex leader" che per decenni ha lavorato per mettere le mani sull’industria petrolifera cinese, scrive Caixìn. Nell’ambito delle indagini almeno 39 persone sono state indagate per corruzione, in particolare nella provincia del Sichuan, roccaforte del potere di Zhou. Altri indagati sono legati al gruppo energetico China national petroleum, di cui Zhou è stato direttore generale negli anni no-vanta. Secondo l’agenzia di stampa di stato Xinhua, "la vicenda dimostra il coraggio del presidente Xi Jinping nel portare avanti la campagna anticorruzione lanciata due anni fa, che non si ferma neanche davanti ai più alti esponenti del partito". Il 10 dicembre nella morsa anticorruzione è finito Liu Tienan, ex vicecapo della commissione nazionale per lo sviluppo e le riforme, condannato all’ergastolo per tangenti.
CINA
L’8 dicembre otto persone sono state condannate a morte per aver partecipato ad attacchi terroristici nello Xinjiang. Sette studenti legati all’intellettuale uiguro Ilham Tohti sono stati condannati il 9 dicembre a pene fino a otto anni di prigione per "separatismo". Tohti era già stato condannato all’ergastolo.

PAKISTAN
II 6 dicembre l’esercito ha annunciato di aver ucciso il capo delle operazioni esterne di Al Qaeda, Adnan al Shukriju-mah. Era ricercato per aver pianificato, senza successo, un attentato contro la metropolitana di New York nel 2009.

INDIA
Fecondazioni senza regole ( Mathew Samuel, Tehelka, India)
La fecondazione in vitro è un business sempre più ricco in India, anche grazie al mercato delle maternità surrogate che nel 2012 valeva 400 milioni di dollari. Tehelka, in un’inchiesta nel campo della fecondazione assistita, scrive che spesso le cliniche specializzate, sempre più numerose, non rispettano le norme di sicurezza a discapito, in particolare, delle donatrici di ovuli. Migliaia di donne, molte delle quali vivono in condizioni socioeconomiche svantaggiate e non sono informate a dovere sui rischi legati alle cure ormonali a cui sono sottoposte, diventano donatrici in cambio di quello che gli viene presentato come un facile guadagno. Secondo gli esperti ci vorranno almeno cinque anni per vedere gli effetti collaterali di queste terapie. Inoltre l’inchiesta di Tehelka mette in luce il potere delle lobby di medici e intermediari senza scrupoli, che "per denaro sfruttano il corpo delle donne".

AMERICA CENTRO-MERIDIONALE
ARGENTINA
FABBRICHE RECUPERATE IN AUMENTO
Quando si parla di imprese recuperate, è inevitabile andare con il pensiero all’Argentina del «fracaso» del 2001. A tredici anni di distanza, il quarto rapporto del Programma Facultad Abierta di Buenos Aires fotografa una realtà ormai consolidata e in continua crescita: al 31 dicembre 2012 nel Paese latinoamericano risultavano attive 311 fabbriche recuperate, che davano lavoro a 13.462 lavoratori. Nel 2001 furono 36, salite costantemente: dalle 163 del 2004 alle 247 del 2008, fino a oggi.
La maggior parte sono nel settore metallurgico: 61 cooperative per 2937 lavoratori. Seguono l’industria della carne (22 imprese per 2041 operai), quella alimentare (40 imprese per 1036 lavoratori) e il tessile (26 aziende per 1070 impiegati). Nel rapporto si trovano anche sei mezzi di comunicazione (il manifesto, in Italia, può essere considerato allo stesso modo), che hanno consentito di salvare 244 posti di lavoro. Dal 2010 al 2013 sono state recuperate 63 imprese: la maggior parte nel settore della grafica (11 per 305 lavoratori), alimentare (10 per 384 impiegati), gastronomico (9 per 226 posti di lavoro) e tessile (9 per 480 operai).
Un dato interessante riguarda l’attività dei sindacati durante il processo di recupero della fabbrica: nel 43 per cento dei casi hanno svolto un ruolo attivo, nel 21 per cento dei casi l’impresa non aveva delegati sindacali, nel 14 per cento non ha svolto nessun ruolo, mentre nel 18 per cento dei casi si sono addirittura opposti (INTERNAZIONALE | Fonte: Il Manifesto)

MESSICO
Identificato uno studente
"L’8 dicembre il procuratore generale del Messico, Jesús MurilKaram, ha confermato che un laboratorio di medicina legale austriaco ha identificato il dna di uno degli studenti scomparsi
IL 26 settembre a Iguala, nello stato di Guerrero", scrive Sin Embargo. Si tratta di Alexander Mora Venancio, 21 anni. La famiglia del ragazzo ha annunciato che porterà avanti la protesta per chiedere le dimissioni di Enrique Peña Nieto. Il 5 dicembre il presidente messicano è andato ad Acapulco, capitale dello stato di Guerrero, per la prima volta dalla scomparsa degli studenti e ha annunciato un piano di ripresa economica per aiutare la città a combattere la violenza legata alla criminalità organizzata.

URUGUAY
LIBERI DA GUANTANAMO
Sono arrivati a Montevideo il 7 dicembre i sei detenuti di Guantanamo che il governo del presidente José Mujica ha accolto in Uruguay come rifugiati. I prigionieri erano stati accusati di avere legami con Al Qaeda, ma non hanno mai avuto un processo regolare. Hanno trascorso dodici anni nel carcere di massima sicurezza statunitense a Cuba. "Il ministro dell’interno uruguaiano, Eduardo Bonomi, ha spiegato che gli ex prigionieri saranno ospitati in un centro d’accoglienza dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e riceveranno un’assistenza psicologica adeguata", scrive il quotidiano dell’Uruguay ElPais.

DOMINICA
II primo ministro laburista Roosevelt Skerrit è stato confermato nelle elezioni legislative dell’8 dicembre.

STATI UNITI-VENEZUELA
II 9 dicembre il senato statunitense ha approvato una legge che prevede sanzioni per alcuni funzionari venezuelani accusati di aver violato i diritti dei manifestanti tra febbraio e maggio.

AMERICA SETTENTRIONALE
STATI UNITI
II 9 dicembre un uomo di 57 anni, Kwame Ajamu, è stato prosciolto dall’accusa di aver ucciso un uomo a Cleveland nel t975. Ajamu era in libertà condizionata dal 2003 dopo ventisette anni di prigione.
USA
NEW YORK e LOS ANGELES
ADDETTI FAST FOOD ANCORA IN SCIOPERO PER L’AUMENTO DEL SALARIO MINIMO / I dipendenti di fast food hanno di nuovo incrociato le braccia, per chiedere l’aumento del salario minimo. Ieri mattina la protesta si è fatta sentire in oltre 150 città americane. L’obiettivo è quello di ottenere 15 dollari l’ora. Lo SCIOPERO di oggi arriva alla fine di un anno in cui il problema dell’ineguaglianza sociale si è fatto sempre più sentire, con il divario tra ricchi e poveri che continua a crescere. Di recente l’esigenza di un salario più dignitoso è emersa anche tra dipendenti di altri settori. Anche i dipendenti di Wal Mart, la catena di vendita al dettaglio più grande al mondo, si sono uniti alla protesta. "Non riusciamo più a mantenere le nostre famiglie – hanno detto – con questi salari". Intanto in alcune città le manifestazioni dei mesi scorsi hanno ottenuto qualche effetto. Sia Seattle che San Francisco, infatti, hanno approvato leggi che vedono l’incremento progressivo a 15 dollari l’ora dei salari nei prossimi due anni.
New York e Los Angeles sono sulla buona strada. "Ma c’e’ ancora tanto da fare – ha detto un gruppo di attivisti – prima che tutti abbiano 15 dollari l’ora. Sara’ una dura battaglia". ( di fabrizio salvatori)
NYC
USA, WEEK END DI GRANDI MOBILITAZIONI CONTRO LA VIOLENZA DELLA POLIZIA
TERZA SERATA DI PROTESTE IERI A NEW YORK CONTRO IL RAZZISMO E LA VIOLENZA DELLA POLIZIA, CON MIGLIAIA DI PERSONE IN STRADA CHE HANNO CHIESTO GIUSTIZIA PER L’ULTIMO CASO DI MALAPOLIZIA, QUELLO DI ERIC GARNER, MORTO PER INFARTO DOPO ESSERE STATO IMMOBILIZZATO VIOLENTEMENTE DALLE FORZE DELL’ORDINE E TENUTO SENZA SOCCORSI.
A Manhattan un gruppo di manifestanti, partito da Columbus Circle, è entrato all’interno del ‘cubo’ della Apple sulla Fifth Avenue, a due passi dall’entrata sud del Central Park, e lo ha occupato, sorprendendo personale e clienti e causando l’interruzione dell’attività. In tutti gli Stati uniti si prospetta un week end di forti mobilitazioni.
All’interno del famoso punto vendita è stato inscenato il cosiddetto ‘die-in’, con i manifestanti stesi in terra che si fingono morti. Intanto, lungo la Quinta Strada c’è stato un corteo che è sfilato per almeno un’ora. Un altro corteo si è messo in marcia da Rockfeller Plaza. Per molti dei manifestanti l’obiettivo è stato Brooklyn, dove era in corso la veglia per un altro giovane afroamericano disarmato ucciso da un agente la settimana scorsa. Tutti i ponti e i tunnel di Manhattan sono stati presidiati dalle forze dell’ordine che temono nuovi blocchi stradali e un’affluenza di manifestanti molto maggiore rispetto alle due serate precedenti, vista la concomitanza del weekend.
“E’ quasi un miracolo, oltre che un segno di grande responsabilità – spiegano le autorità cittadine – se a New York finora tutte le proteste si siano svolte pacificamente”. Solo qualche momento di tensione la scorsa notte, quando gruppi di manifestanti hanno bloccato, oltre a diverse arterie stradali, anche il ponte di Brooklyn, alcuni tunnel che uniscono Manhattan alla terraferma e la stazione dei ferry che collegano Manhattan a Staten Island.
Proteste in strada e blocchi stradali anche in altre città, con un gran numero di manifestanti soprattutto a Boston, Pittsburgh e Miami.
L’indignazione generale per i troppi episodi di violenza della polizia su afroamericani è lungi dall’essersi placata. E a New York, dove la scorsa notte ci sono stati oltre 200 arresti tra i manifestanti, e in altre città tutto è pronto per andare avanti con quella che oramai è una vera e propria mobilitazione generale, che culminerà il 13 dicembre con l’annunciata marcia di Washington.
Dopo Barack Obama, Bill de Blasio, e Geoge Bush e Hillary Clinton, in odore di candidatura per la Casa Bianca, ha espresso le sue preoccupazioni per un clima di strisciante razzismo che potrebbe essere all’origine della morte di Michael Brown e di Eric Garner. L’ex first lady punta molto su questo aspetto, parlando di "giustizia sbilanciata" e di un sistema che troppo spesso penalizza le minoranze, a partire dai neri d’America. Una questione che a suo dire va assolutamente affrontata.

Il popolo degli Stati uniti si sta seriamente interrogando su quanto pesi ancora la discriminazione razziale. Il "racial profile", la procedura did emergenza in uso alle forze di polizia nei confronti di sospetti "non-bianchi" sembra aver fatto il suo tempo. Alicia Keysla cantante afroamericana veincitrice di 15 Grammy ha lanciato mercoledì notte un suo brano dal titolo "We Gotta Pray" in cui invita a protestare. Il video, in cui sono montate le immagini di manifestazioni e dei leader storici del movimento non violento, da Gandhi a Martin Luther King, in poche ore dopo il lancio ha raggiunto le vette delle classifiche dei top trend di Billboard e Twitter. "La cosa più importante è che possiamo aiutarci l’uno con l’altro e vedere le cose magnifiche che si possono creare con il cambiamento e i movimento che sogniamo", ha detto Alicia in un’intervista al New York Times. Per Alicia, la decisione del Gran Jury "è un’ingiustizia ed è così sfacciata. Noi continueremo a farci sentire, spero che sarà il nostro movimento per i diritti civili del 21esimo secolo. "Non soprendetevi se mi vedrete tra i dimostranti", ha concluso
E ad alimentare le polemiche su un organismo come il Gran Jury è il ventiduenne che a Staten Island nel luglio scorso con il suo smartphone ha ripreso il video shock della fine di Garner, soffocato da una stretta al collo ‘illegale’ e rivelatasi mortale. Un testimone oculare per eccellenza, dunque. "Ma quando mi hanno chiamato per ascoltarmi – racconta – ho avuto subito l’impressione che i giochi fossero già fatti". In tutto la testimonianza è durata pochi minuti, e le poche domande – spiega Ramsey Orta – riguardavano solo la vittima. "Nessuno mi ha chiesto del poliziotto che lo ha strangolato". Orta afferma ancora di aver provato a dire la sua: "Ma nessuno mi ha ascoltato. Tutti erano impegnati a fare altro: chi era al telefono, chi conversava, tutto come se nulla fosse".
Intanto, sarà ancora un Gran Juryì, come nei casi di Ferguson e di Staten Island, a decidere l’incriminazione o meno di un altro poliziotto bianco: quello che nel corso di un’ispezione ad un edificio di Brooklyn ha ucciso la settimana scorsa un giovane nero disarmato che sulla rampa delle scale stava con la sua fidanzata. L’agente, una recluta, ha detto che era buio e di essersi impaurito.
USA
I L MOMENTO DI CARTER
Il 5 dicembre il presidente Barack Obama ha nominato Ashton Carter nuovo ministro della difesa. Carter, che dovrà essere confermato dal senato, prenderà il posto di Chuck Ha-gel, che aveva annunciato le sue dimissioni perché non più in sintonia con la linea della Casa Bianca sulla politica estera. Il Los Angeles Times spiega che Carter è un democratico ma è considerato a destra di Obama su temi come la politica statunitense in Siria e il rilascio dei pri¬gionieri detenuti a Guantanamo. Probabilmente Carter cercherà di convincere Obama ad adottare una strategia più dura contro il gruppo Stato islamico.
STATI UNITI
Dimissioni al New Republic
Tra il 4 e il 5 dicembre una decina di giornalisti della rivista The New Republic, tra cui il direttore Franklin Foer, si sono dimessi per divergenze con l’editore Chris Hughes, ex cofondatore di Facebook. Foer ha lasciato il suo incarico dopo aver scoperto che Hughes aveva assunto un altro direttore per sostituirlo. La redazione contesta il piano di Hughes di trasformare The New Republic che ha da poco compiuto cento anni ed è considerata tra i più autorevoli giornali americani – in una rivista con contenuti più leggeri
STATI UNITI
Abusi sistematici
Il 4 dicembre il dipartimento di giustizia degli Stati Uniti ha reso noti i risultati di un’indagine durata quasi due anni sulla polizia di Cleveland, in Ohio. "Dal rapporto", scrive il New York Times, "emerge un uso irragionevole e non necessario della forza, oltre a comportamenti pericolosi e incauti degli agenti. Le violenze della polizia includono l’uso eccessivo di armi da fuoco, ma anche di armi non letali come i taser (pistole elettriche) e gli spray chimici, e le percosse usate per ritorsione". Secondo il rapporto, gli agenti di Cleveland hanno abusato della forza anche contro persone che soffrono di
disturbi mentali. Il 23 novembre nella città è morto Tamir Rice, un bambino nero di 12 anni che il giorno prima era stato colpito da un proiettile sparato da un poliziotto. Rice aveva una pistola ad aria compressa e non ha risposto all’ordine dell’agente di alzare le mani. A Cleveland i neri rappresentano il 53 per cento della popolazione, mentre i bianchi sono il 37 per cento. Nonostante questo, e anche se il capo della polizia è un nero, il 65 per cento del dipartimento è formato da agenti bianchi. Il ministro della giustizia Eric H. Holder Jr. è andato di persona a Cleveland per annunciare i risultati dell’indagine. "La responsabilità e la credibilità sono fondamentali affinché le comunità si fidino delle loro forze dell’ordine", ha dichiarato Holder.

(Le principali fonti di questo numero:
NYC Time USA, Washington Post, Time GB, Guardian The Observer, GB, The Irish Times, Das Magazin A, Der Spiegel D, Folha de Sào Paulo B, Pais, Carta Capital, Clarin Ar, Le Monde, Le Monde Diplomatique ,Gazeta, Pravda, Tokyo Shimbun, Global Time, Nuovo Paese , L’Unità, Internazionale, Il Manifesto, Liberazione, Ansa , AGVNoveColonne, ControLaCrisi e INFORM, AISE, AGI, AgenParle , RAI News e 9COLONNE".)

PER LE ASSOCIAZIONI, CIRCOLI FILEF, ENTI ed AZIENDE . Sui siti internet www.emigrazione-notizie.org e www.cambiailmondo.org è possibile utilizzare uno spazio web personalizzato, dedicato alla Vostra attività e ai Vostri comunicati stampa. Per maggiori informazioni, contattateci a emigrazione.notizie@email.it , oppure visitate la sezione PUBBLICITÀ su www.cambiailmodo.org

 

Visits: 37

AIUTACI AD INFORMARE I CITTADINI EMIGRATI E IMMIGRATI

Lascia il primo commento

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*


Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.