11507 Sbloccare il capitale congelato / Unlocking the frozen capital

20141212 20:01:00 redazione-IT

[b]L’Editoriale di Nuovo Paese, mensile della Filef Australia, in uscita[/b] – [i]di Frank Barbaro[/i]

Il muro di Berlino, caduto 25 anni fa, ha segnato la fine del comunismo – il maggiore antagonista al sistema economico, ora globale, basato sull’incremento del profitto privato. Il crollo del comunismo ha offerto campo libero al capitale e oggi le conseguenze sono evidenti e innegabili. Il capitale pubblico si è impoverito mentre il capitale privato è più abbondante che mai, accompagnato da uno sfrenato processo di omologazione che sta ridisegnando i confini sociali ed economici imposti dall’industrializzazione e dal colonialismo.
Il risultato è che le differenze tra Est e Ovest e Nord e Sud sono sempre più confuse con crescenti bacini di ricchezza nei paesi poveri e crescenti bacini di povertà nei paesi ricchi.

Nelle sue conclusioni dopo il recente incontro del G20 a Brisbane il Primo Ministro australiano Tony Abbott ha apertamente parlato dell’esistenza di enormi quantità di capitale privato disperatamente in cerca di opportunità speculative.

Ma il capitale privato è cosciente dell’alto rischio di investire in attività finanziarie da loro stessi promosse, che promettono enormi guadagni.
Di qui il ritiro dalla precarietà della borsa. Loro vogliono investimenti che diano dei profitti sicuri, rapidi e sostanziali.

I migliori elargitori di questo tipo d’investimento (sicuro) sono i governi attraverso progetti di grandi infrastrutture – questa è la nuova parola d’ordine del capitale globale.

Senz’altro c’è l’esigenza di sbloccare il capitale privato fermo nelle banche e negli equity pools, ma per la realizzazione di progetti a sostegno dei bisogni reali e che siano socialmente utili e ambientalmente sostenibili.

[b]Unlocking the frozen capital[/b]

The fall of the Berlin Wall 25 years ago marked the end of communism – the opposition to the now global economic system based on the private profit motive.

Communism’s collapse has allowed capital free reign and the consequences are today obvious and undeniable.

Public capital has been impoverished while private capital is more abundant than ever in a relentless global process of approval that is redrawing social and economic boundaries drawn by industrialization and colonialism.

The result is that differences between East and West and North and South are increasingly blurred with growing pools of wealth in poor countries and growing pools of poverty in rich countries.

In his remarks after the recent G20 meeting in Brisbane Prime Minister Tony Abbott openly talked about the existence of huge amounts of private capital desperately seeking investment opportunities.

But, private capital is conscious of the high risk of investing in financial schemes, which they have supported, which promise huge profits.

They are not prepared to risk money on shares for they want investments that give assured, rapid and substantial returns.

Governments are the ideal type of investments through major infrastructure projects. This is why infrastructure spending is global capital’s current buzzword.

The need to unlock private capital firm in banks and equity pools is clear but, infrastructure spending must be for projects that support real needs that are socially useful and environmentally sustainable.

 

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