11421 17. Servizio per gli italiani all’estero 9 nov 2014

20141109 12:59:00 guglielmoz

0 – ELEZIONI PER IL RINNOVO DEI COMITES “Corriamo verso il voto, nonostante la decimazione. Recuperiamo con le suppletive quelli esclusi”
1 – Trattativa Stato-mafia, quel che Napolitano non poteva (non) sapere. Tutto è bene quel che finisce bene, diceva Shakespeare, che oltre a essere un grande commediografo era anche un grande drammaturgo: come dire il riso e il pianto in tragedia e in commedia.
2 – Il Presidente del Comites Giuseppe Scigliano salutato, elogiato ed applaudito dal Parlamento Regionale della Bassa Sassonia
3 – il rinnovo dei comites passaggio necessario per riformare la rappresentanza Fedi (pd):
4 – deputati pd estero: basta con le polemiche sui comites e unire le forze per andare a votare
5 – deputati pd estero: legge di stabilita’: essenziale per la ripresa del paese il contributo degli italiani all’estero
6 – Detrazioni fiscali per carichi di famiglia estese ai residenti in Europa. Un risultato positivo: continuare a lavorare per la piena parità, anche oltre Europa. ( Fedi PD)
7 – Marcos Ana scrive ai prigionieri politici colombiani
8 – L’intervista Piercamillo Davigo “M’immaginavo i corrotti con la lingua verde come i Visitors”

0 – ELEZIONI PER IL RINNOVO DEI COMITES “Corriamo verso il voto, nonostante la decimazione. Recuperiamo con le suppletive quelli esclusi”
TAGLIATI CONSOLATI E COMITES
In questi giorni siamo stati posti davanti ad una prova importantissima. Le elezioni per il rinnovo dei Comites rappresentano una sfida nuova che ci coinvolge come persone e come organizzazioni associative e politiche. Sono sempre stato favorevole al voto subito. Dalla scadenza del nostro mandato, nel 2009, insieme a tanti altri di voi ho ripetutamente chiesto di andare al rinnovo dei Comites. Quell’appuntamento è arrivato, con molto ritardo, ma è arrivato. Tra poche settimane si voterà. Abbiamo subìto il sacrificio di numerosi Comites tagliati al momento della chiusura dei Consolati ai quali appartenevano. In Europa ne mancano tanti all’appello. Per non parlare della Svizzera, dove, in pochi anni abbiamo perso tre Consolati, numerose agenzie e 10 Comites. Una decimazione. Non ci siamo arresi. Sono in campo con tanti altri amici impegnati a difendere la partecipazione democratica e politica in organismi che abbiamo voluto e nei quali abbiamo lavorato con dedizione e passione.
LE DIFFICOLTA’ INCONTRATE
Non entro nel merito delle polemiche che hanno animato questi ultimi giorni. E’ stata sventata la sciagura del voto elettronico, ma ci siamo ritrovati il voto per corrispondenza riservato solo agli elettori e alle elettrici che si iscrivono nell’elenco elettorale dei Consolati. Ci siamo ritrovati la norma che ci ha imposto la presentazione di liste con ben 100 o 200 firme. Tutti abbiamo compiuto uno sforzo notevole. Molti non ce l’anno fatta. Un esito che mi fa parlare di decimazione dei Comites. Dalle agenzie ho appreso che importanti Comites dell’Europa e degli altri Continenti non ci saranno in questa tornata. In tanti altri è rimasta in campo una sola lista. Ci mancheranno, tanto. L’idea delle elezioni suppletive potrebbe essere presa in considerazione, del resto ci si ricorre per gli gli organismi scolastici e in alcuni casi anche per l’elezione di un parlamentare.
LA VOLATA FINALE
A Zurigo sono in campo quattro liste per un Comites di 18 membri. Oltre 100 candidati. Finora risultano iscritti nell’elenco elettorale circa tremila connazionali. Un dato pressoché uniforme. Forse voterà la metà degli elettori e delle elettrici del 2004. Sono pochi? Sicuramente. Però i Comites e il Cgie avevano bisogno di una nuova legittimazione democratica. Questo voto la darà e renderà questi organismi più rappresentativi. Io sono impegnato in prima fila in questa battaglia insieme a migliaia di amici e compagni che credono nella partecipazione popolare. In qualità di presidente del Comites di Zurigo e di vicepresidente dell’Assemblea del Partito democratico Mondo, rivolgo un ringraziamento a tutti coloro impegnati in questa straordinaria campagna democratica al servizio dell’Italia e delle comunità italiane all’estero: candidati e candidate, sostenitori, associazioni e partiti, funzionari consolari che si sono messi al servizio nella concitata raccolta di firme, parlamentari che non ci hanno mai lasciato soli. Chiedo a tutti un sforzo ulteriore in questi ultimi giorni per fare iscrivere tanta altra gente ancora incerta o ignara dell’appuntamento elettorale.
Diamoci da fare. Cordiali saluti Paolo Da Costa,
Presidente Comites Zurigo – Vicepresidente Assemblea PD Mondo

1 – TRATTATIVA STATO-MAFIA, QUEL CHE NAPOLITANO NON POTEVA (NON) SAPERE. TUTTO È BENE QUEL CHE FINISCE BENE, DICEVA SHAKESPEARE, CHE OLTRE A ESSERE UN GRANDE COMMEDIOGRAFO ERA ANCHE UN GRANDE DRAMMATURGO: COME DIRE IL RISO E IL PIANTO IN TRAGEDIA E IN COMMEDIA. Il Capo dello Stato, alla fine, ha reso testimonianza. L’Italia, paese dei segreti di Pulcinella, non ha potuto ascoltare, né vedere, tantomeno parlare – ovvio – messa là, sul comò, un po’ come Ambarabà, Ciccì e Coccò. Le cose sarebbero potute andare diversamente, ma del senno di poi, si sa. E, dopo aver parlato, il Capo dello Stato ha detto: “Rendete subito pubblica la mia testimonianza”. Respiro di sollievo. Ma allora, qualcuno si domanderà, non poteva deporre fin da principio e magari non nella Sala Oscura del Quirinale (detta così fin dal 700 per l’assenza di finestre sull’esterno), senza nessuno presente, a parte una quarantina di persone fra avvocati e giudici della CORTE D’ASSISE DI PALERMO?
Le incongruenze, del resto, del tutto innocenti, non si fermano qui. Come ad esempio il fatto che Giorgio Napolitano abbia parlato per più di tre ore, sentito come testimone al processo sulla trattativa Stato-mafia, senza aver mai parlato di trattativa. Come che sia il Capo dello Stato, alla fine, ha detto e il Paese pur non avendolo udito, né visto, ha avuto modo di imparare il significato della parola “aut aut” (o o) alla buona, vecchia, maniera latina. Non solo in quanto espressione attinente alla propria deposizione, ma anche circa la tremenda alternativa posta alle istituzioni da Cosa Nostra nel giro d’anni tra il ‘92 e il ‘93.
DUNQUE UN “AUT AUT” è un imperativo, un ricatto, un bivio. Un sentiero intrapreso come e con chi va ancora stabilito, chiarito, reso noto. A ciò penserà la magistratura inquirente, che è fatta apposta per questo. Noi, in quanto comuni cittadini, che dobbiamo pensare? Cosa dobbiamo credere, ritenere, valutare? Quel che Napolitano non sapeva, pur essendo terza carica dello Stato e sotto minaccia di morte, a questo punto è stabilito. Mentre è solo presunto quello che non poteva non sapere. “La mafia voleva ricattare lo Stato”, dice. “Non so di accordi”. Poi la storia ci dice che Cosa nostra l’ha ricattato lo Stato, ha fatto le stragi e, a un certo punto, ha smesso di farle. Come mai? Una domanda mai posta in quanto ad alcune cose neppure Napolitano può rispondere: non è “Pico della Mirandola”. E la lettera di D’Ambrosio? “Arrivata come fulmine a ciel sereno”. E gli indicibili accordi? “Non me ne parlò. Non discutevamo del passato. Guardavamo al futuro”. “Con Loris eravamo una squadra di lavoro”. Peccato che di futuro D’Ambrosio ne ha visto pochetto.
Unico superstite di una più antica stirpe di comandanti (Scalfaro, allora Presidente della Repubblica, e Spadolini del Senato) la sua deposizione, blindata e inevitabile, è arrivata come l’autunno: foglie gialle, luce tenue. I confini dello Stato sono stati valicati, il ponte levatoio alzato, i ‘barbari’ (stampa e cittadinanza) sono rimasti fuori. Nessuna televisione sul Colle più alto, una specie di damnatio memoriae preventiva. La legge è stata rispettata, la dignità e l’onore pure, come capra e cavoli abilmente traghettati al di là della riva della riservatezza e del ruolo istituzionale, come si conviene. Tutti soddisfatti dunque? Vediamo.
I MAGISTRATI CERTAMENTE SÌ, dal momento che il quadro tracciato dal Presidente è stato giudicato chiaro e ampio. I detrattori della trattativa certamente sì, dal momento che Napolitano ha negato la trattativa di per sé e si è detto all’oscuro di qualsivoglia genere di accordi, dicibili o indicibili, cui alludevano le frasi della lettera del suo consigliere Loris D’Ambrosio, chiamata in causa per farlo testimoniare. I fautori della trattativa, infine, certamente sì, dal momento che le parole presidenziali confermano la necessità dell’istruzione del processo (quello sulla trattativa, ancora e sempre in discussione), della bontà dell’accusa formulata (attentato a corpo politico dello Stato) e perfino della natura del possibile movente in risposta alle azioni di cui sono incolpati gli imputati (il ricatto, il famigerato “aut aut” appunto) per dirla alla Perry Mason. Una vera pacificazione nazionale. Insomma, pur non volendo azzardare conclusioni, non c’era altra strada.
A questo punto, però, un’altra domanda sorge spontanea: non era meglio ammetterla questa inesistente trattativa? Che spiega tutto, rimettendo a posto i tasselli del puzzle, in un quadro epocale che ha determinato lo sviluppo del ventennio successivo di un intero Paese? Che dà conto di numerose questioni altrimenti inspiegabilissime? Certo, dice il saggio, la strada più facile è spesso quella meno apprezzata dagli uomini, che hanno già un’enorme difficoltà a fare i conti con se stessi, figuriamoci con altri consimili.

E ora? C’è da chiedersi di chi fu la responsabilità di quelle azioni, dal momento che è impensabile, una volta acclarato il ricatto, ritenere che a quel ricatto non sia stato dato seguito alcuno. Troppo ingenuo, infatti, è credere che gli apparati dello Stato siano stati “tutti fermi, tutti zitti” e che non siano intervenuti in soccorso e di più, presumibilmente, magari persino in eccesso, ostacolando pure il soccorso, per ragioni ancora tutte da dimostrare. Quei cattivi dei servizi segreti deviati sembrano lì a bella posta, in seconda fila, schierati dietro le forze dell’ordine, a cominciare dai carabinieri, per fare scudo a nuovi, probabili assalti dei magistrati e meno probabili soprassalti di lealtà.

Ma i servizi segreti deviati davvero esistono o sono una profezia, come il terzo segreto di Fatima? E poi altre domande si affollano alla mente del cronista ingenuo, subito dopo le responsabilità: su chi pesarono le conseguenze di quegli atti, a chi venne comodo, stracomodo e comodissimo quello svolgersi di eventi? E, soprattutto, davvero non c’era altra possibilità, altro modo, di evitarli? Davvero occorreva sacrificare quelle vite e non altre? Chi decise in questo senso? Da chi fu scelto il ‘male minore’?
E, ancora, che accadde dopo, quando i mafiosi divennero tutti buoni, evidentemente accontentati dai lecca lecca dello Stato, tolto il 41 bis e via via, a far seguito alle richieste del papello? E che ne è stato oggi di loro e dei loro discendenti, a parte quei rappresentanti fin troppo ciarlieri di un mondo che fu? Oggi che, grazie al cielo, la mafia è scomparsa al punto che non è più necessario occuparsene, proprio come un tempo non era necessario occuparsene perché non esisteva. Volatilizzata a tal punto che è sparita perfino dall’agenda di un governo troppo affaccendato per occuparsi di tragedie ultraventennali e, di più, di coloro che ne parteciparono come fondatori di partiti e di imprese, di governanti e perfino di opponenti o supposti tali.
“Ambarabà, Ciccì, Coccò, tre scimmiette sul comò”. Umberto Eco, a suo tempo, dedicò un (paradossale) saggio di semiotica alla filastrocca infantile, interpretata come fosse espressione di una cultura aliena. Chi si è preso la briga di darne una spiegazione linguistica, ne ha tratto un altro scioglilingua antico, per restare in tema di aut aut. ”Hanc para ab hac quidquid quodquod”, che visto che si tratta di una ‘conta’ significa all’incirca: “ripara questa (mano) da quest’altra (che fa la conta)…”. Dopo gli accordi indicibili di Loris D’Ambrosio e l’inudibile testimonianza di Napolitano, ci dobbiamo preparare a un verdetto invedibile? Noi, come i ’perfetti innamorati’ della verità, continuiamo a fare il tifo per i pm. Che qualcuno paghi, alla fine. E non finisca tutto a tarallucci e vino nel solito Paese dei segreti di Pulcinella. ( di Rossella Guadagnini)

2 –IL PRESIDENTE DEL COMITES GIUSEPPE SCIGLIANO SALUTATO, ELOGIATO ED APPLAUDITO DAL PARLAMENTO REGIONALE DELLA BASSA SASSONIA
Venerdì 24 ottobre, su invito del partito dei Verdi, Giuseppe Scigliano si è recato presso la sede del Parlamento regionale per assistere al punto dell’ordine del giorno da loro presentato che riguarda l’acquisizione della cittadinanza tedesca. Nell’introdurre il punto, il presidente del parlamento Bernd Busemann ha salutato il Presidente del Comites di Hannover che già da anni ha avviato una campagna in tal senso. Nel suo saluto Busemann ha colto l’occasione per congratularsi per la croce di merito che gli ha conferito il Presidente della Repubblica Joachim Gauck da pochi mesi. Ne è seguito un applauso generale da parte di tutti i parlamentari. Grande soddisfazione per un semplice presidente di un comites.
Dagli interventi sono emersi diversi aspetti e diverse posizioni rispetto alla minoranza (CDU). Nel Parlamento la maggioranza è composta dalla SPD e Verdi. Si è fatto notare che le richieste sono aumentate negli ultimi anni del 6% e che hanno approfittato di questa possibilitá specialmente gli Ungheresi, i polacchi e gli stessi italiani che cominciano sempre di più a vedere i vantaggi della doppia cittadinanza. Prima dell’approvazione dell’ordine del giorno, che mirava ad incrementare questa campagna, ha chiuso gli interventi il deputato Verde Belit Onay che nuovamente ha messo in risalto l’iniziativa portata avanti dal Comites di Hannover. Quale soddisfazione maggiore può esserci per un comites a fine mandato?
Spesso si lavora in silenzio e si ottengono risultati positivi che però nella maggior parte dei casi vengono ignorati dalle stesse nostre autorità italiane sia centrali che periferiche. Senza fondi e spesso senza nemmeno il sostegno morale. Quindi da un lato le autorità locali che ci riconoscono il lavoro svolto a nome della collettività e dall’altro la più assoluta mancanza di qualsiasi sinergia. Persino le elezioni che ci hanno propinato ( paragonabili per democrazia a quelle della repubblica delle banane) ci fanno capire quanto importanti siamo per il nostro Paese ed allora quale messaggio chiaro può arrivare se non quello di acquisire finalmente anche la cittadinanza tedesca?

3 – FEDI (PD): IL RINNOVO DEI COMITES PASSAGGIO NECESSARIO PER RIFORMARE LA RAPPRESENTANZA
Credo sia utile in questa fase ristabilire verità e serenità in una discussione, quella sul rinnovo dei Comites, che rischia di scadere in una polemica tanto aspra quanto inutile. ROMA, 31 OTTOBRE 2014
La prima considerazione che vorrei fare all’amico Senatore Claudio Micheloni è che né io né gli altri deputati eletti all’estero del Pd abbiamo opinioni diverse sulla organizzazione del voto in queste condizioni. Lo abbiamo esplicitamente detto nelle numerose occasioni di incontro. Sono invece distante dalla sua analisi sulle ragioni della scarsa partecipazione alle sottoscrizioni di lista: se 16 o 22 candidati non riescono, anche in poche settimane, a raccogliere attorno alla lista 10 sottoscrittori ciascuno, forse neanche trascinando d’autorità cittadini italiani in Consolato si riesce ad ottenere un risultato diverso. Credo che il problema sia molto più serio di quello riguardante la tempistica prevista per questo rinnovo. Temo che “dieci anni di solitudine” abbiano imposto a tutti un prezzo, dei doveri supplementari. Il dovere di noi parlamentari è assumerci questa responsabilità, impegnarci per raggiungere, nonostante le enormi difficoltà, il miglior risultato possibile e poi lavorare per riformare in profondità il sistema della rappresentanza.
Noi tutti, insieme – il Senatore Micheloni ne è direttamente informato – avevamo chiesto al Governo di rinviare al 2015 lo svolgimento delle elezioni a condizione di mantenere le risorse ( 9 milioni di euro, non una bazzecola) per avere la sicurezza di farle. La risposta del Governo, con il quale abbiamo un rapporto fiduciario che non vale solo in occasione dei voti di fiducia, è stata chiara: non ci sarebbe stata alcuna certezza di poter mantenere quelle risorse. Avremmo dovuto ricominciare da capo ad individuarle e a chiedere che fossero utilizzate per questo scopo. Oggi, davanti alla proposta di legge di stabilità e di bilancio, ai tagli che ancora una volta colpiscono le voci riguardanti gli italiani all’estero, siamo tutti in grado di comprendere meglio le difficoltà che avremmo trovato.
Abbiamo allora preso l’unica decisione possibile: rinnovare i Comites subito, fare uno sforzo, anche organizzativo, per farli ripartire dopo 10 lunghi anni di proroghe, dopo proposte di modifica che non modificavano nulla di sostanziale e di cui oggi nessuno pare assumersi la responsabilità. Ripristinata la normalità democratica, mettersi al lavoro per avere strumenti rinnovati nel quadro di una profonda e radicale riforma della rappresentanza.
Su Comites e riforma della rappresentanza di base ho idee piuttosto precise. Dovrei essere quindi l’ultimo a parlare in questa fase che invece lascia tutto inalterato. Ricordo però che la disaffezione verso i Comites, e più in generale nei confronti della politica, nasce proprio dalla incapacità di prendere decisioni. La decisione oggi è stata di procedere con il rinnovo e successivamente aprire un confronto per riformare la rappresentanza.
Anziché persistere in una polemica inutile, impegniamoci piuttosto, Camera e Senato, per recuperare i tagli ai capitoli per le comunità italiane nel mondo, per i servizi dei Patronati e per avviare le tante riforme che abbiamo il dovere di portare avanti.
On. Marco Fed

4 – DEPUTATI PD ESTERO: BASTA CON LE POLEMICHE SUI COMITES E UNIRE LE FORZE PER ANDARE A VOTARE. Dopo che le liste per il rinnovo dei COMITES sono state presentate già da dieci giorni e dopo che il MAE ha già speso alcuni milioni di euro per informare i cittadini residenti all’estero delle procedure da seguire per iscriversi nelle liste degli elettori in vista del voto di dicembre, non conosce tregua la guerra condotta da alcuni eletti all’estero contro una consultazione elettorale che dopo cinque anni restituisce agli italiani all’estero il diritto di eleggere i propri rappresentanti. Si denuncia lo “scempio” commesso a danno degli elettori e si tace invece sul vero scempio costituito dal fatto che per cinque anni si è violata una legge dello stato, si è sospesa la democrazia tra gli italiani all’estero e si è subordinata la loro rappresentanza all’esigenza di risparmiare.
Chi oggi alza i toni delle accuse e della polemica dovrebbe riflettere autocriticamente sul contributo dato allo scempio del rinvio della democrazia offrendo il pretesto di una riforma i cui termini sono stati respinti da tutto il mondo dell’emigrazione e che, comunque, è stata usata come pretesto per non far votare.
Le difficoltà di raccogliere le firme sufficienti per le liste e di indurre le persone a iscriversi per votare sono obiettive e reali. Non lo abbiamo mai negato. Così come persiste il rischio che i nemici in servizio permanente effettivo del voto all’estero usino strumentalmente l’eventuale scarsa partecipazione al voto per rinnovare il loro attacco alla rappresentanza degli italiani all’estero. Ma ci volevano le elezioni dei COMITES per dirlo? Si è già dimenticato, ad esempio, quanto addirittura ministri, “saggi” e dirigenti politici hanno detto fino a pochi mesi fa a proposito della sopravvivenza della circoscrizione Estero?
Questi rischi si affrontano non facendo arretrare i diritti politici degli italiani all’estero, dando in sostanza ragione a chi li contesta, ma ripristinando prima che sia troppo tardi la democrazia reale, che è quella che si esprime nel voto e nella libera scelta dei propri rappresentanti. Non usare oggi le risorse miracolosamente recuperate dal Governo per fare le elezioni significa semplicemente rinviare sine die, senza alcuna certezza sui tempi del rinnovo dei COMITES e del CGIE. Qualcuno, prima di parlare, si è preoccupato di dare almeno un’occhiata alla legge di stabilità che è stata presentata in Parlamento per vedere se siano solo pensabili recuperi di risorse negli esercizi successivi? E’ troppo facile fare i paladini del popolo sfuggendo alla responsabilità di governare una fase durissima come quella che l’Italia sta attraversando e di esercitare una rappresentanza basata non sulla propaganda ma sulle risorse reali e sulle possibilità concrete.
E tornando al tema cruciale della partecipazione, qualcuno in buona fede può pensare che la crisi del Paese e la caduta d’immagine che ne è seguita possano non avere alcun effetto all’estero mentre in Italia soffiano i venti dell’antipolitica e della contestazione alle istituzioni? Sono questioni gravi, di cui discutere ora, non dopo il risultato dei COMITES, e per farlo è necessario avere l’onestà intellettuale di riconoscere che gli orientamenti politici degli italiani all’estero non sono stati finora diversi da quelli dei residenti in Italia. Perché si continua ad eludere la nostra domanda di spiegare perché appena un anno e mezzo fa, alle elezioni politiche, la partecipazione dei cittadini all’estero è calata del 10%, il sistema dei partiti ha perduto centinaia di migliaia di voti in tutto il mondo e storici rappresentanti hanno visto scomparire decine di migliaia di preferenze? Dispetti degli uomini, destino cinico e baro, sempre colpa degli altri?
Se qualcuno cerca pretesti per ridisegnarsi un destino politico personale, faccia pure, i pretesti in tempi come questi certo non mancano. Per quanto ci riguarda, riteniamo che mai come ora sia necessario ragionare con serenità e obiettività, senza fare sconti ma anche senza cercare pretesti. Più ancora, è necessario unire le forze per superare le fatiche della democrazia con la democrazia, invitando la gente non a fermarsi di fronte allo “scempio” ma a fare un rinnovato investimento sull’Italia e ad andare a votare. Per questo, vale a dire per ragioni profondamente democratiche e politiche, continuiamo a dire: uniamo le forze, invitiamo le persone ad iscriversi e a votare, restituiamo agli italiani all’estero i loro diritti e i loro strumenti di rappresentanza.
Farina, Fedi, Garavini, La Marca, Porta

5 – DEPUTATI PD ESTERO: LEGGE DI STABILITA’: ESSENZIALE PER LA RIPRESA DEL PAESE IL CONTRIBUTO DEGLI ITALIANI ALL’ESTERO
E’ da sostenere lo spostamento delle risorse verso gli investimenti, ma le previsioni di spesa per lingua e cultura, il sostegno ai Patronati e l’internazionalizzazione vanno cambiate
La legge di stabilità approdata in questi giorni alla Camera in prima lettura è costruita su un difficile equilibrio. Da un lato il rispetto dei vincoli europei, sempre stringenti, nonostante le sollecitazioni del nostro e di altri governi a imboccare con maggiore coraggio la via della ripresa e dello sviluppo. Dall’altro la necessità, diventata ormai drammatica, di riavviare il nostro sistema produttivo, evitando il quarto anno consecutivo di recessione, che avrebbe effetti difficilmente recuperabili sull’economia e sui livelli occupazionali.
La linea di marcia del Governo, quella di recuperare risorse da destinare agli investimenti dalla spesa ordinaria dello Stato e di Regioni ed enti locali, è comprensibile e sostanzialmente giusta. Non mancherà certo il nostro impegno nel perseguire l’obiettivo della ripresa e del rilancio. Tuttavia, la legge di stabilità, che rappresenta la base fondamentale dell’intervento dello Stato nel prossimo triennio, contiene anche l’indicazione delle risorse che debbono alimentare le politiche da adottare per raggiungere l’obiettivo di fondo e su alcune scelte francamente c’è da discutere. Ci riferiamo, naturalmente, alle politiche per gli italiani all’estero e, prima ancora, alle misure che possano rafforzare la proiezione dell’Italia in campo internazionale facendo leva sull’apporto che le nostre comunità possono obiettivamente dare.
La riduzione del 22% della dotazione per i corsi di lingua e cultura italiana all’estero promossi dalla Direzione per gli italiani all’estero, a cui si affianca il ridimensionamento di altre voci di spesa in materia culturale nell’ambito delle Direzione per la promozione del Sistema Paese, è sbagliata e insostenibile. Negli ultimi sei anni questa voce ha già subito tagli per il 75% ed ha toccato da tempo il limite di emersione. Si sono appena celebrati gli Stati generali della lingua italiana all’estero, organizzati dal MAE, che hanno sottolineato il valore strategico di questa risorsa per l’accreditamento dell’Italia nel mondo. E’ prioritario, dunque, in coerenza con la prospettiva delineata dal Governo per la ripresa del Paese, conservare quantomeno il livello di spesa consolidato in questo campo.
Un’altra potenziale lesione della condizione delle nostre comunità e della stessa credibilità del Paese è quella legata alla pesante riduzione del fondo per i Patronati. Il ruolo dei Patronati è riconosciuto dalla Costituzione e i fondi destinati al loro funzionamento vengono non dallo Stato ma dall’accantonamento dei contributi dei lavoratori. Al di là di queste pur serie ragioni giuridiche, vi è il fatto che queste organizzazioni, senza distinzione di sigle, hanno assunto con il tempo una funzione insostituibile di segretariato sociale, di cui soprattutto le fasce più deboli delle nostre comunità non possono fare a meno. Dopo la chiusura di consolati e COMITES e con la riduzione del personale amministrativo all’estero, essi sono l’unico presidio a cui i nostri concittadini possono ricorrere, soprattutto dopo la ripresa di intensi flussi in uscita dal Paese e l’intensificarsi delle “nuove mobilità”. L’Italia non ha alcun interesse ad indebolire i suoi rapporti con milioni di persone. La riduzione del fondo va dunque contenuta in limiti fisiologici e accettabili per non determinare danni irreversibili.
Un altro punto sul quale si evidenzia una stridente contraddizione tra obiettivi e scelte d’investimento è quello riguardante l’internazionalizzazione. Se il nostro Paese può ancora sperare di uscire dalla stagnazione in cui si trova da alcuni anni è perché il Made in Italy è riuscito a compensare la caduta delle produzioni destinate al mercato interno. In questo campo vi sono poi soggetti, come le Camere di Commercio all’estero, che con un finanziamento ridottissimo sono riuscite a moltiplicare le attività di internazionalizzazione rastrellando risorse e collaborazioni sui mercati locali. La riduzione del 50% dei fondi rischia di determinare la rottura di un equilibrio che finora è andato a tutto vantaggio del sistema delle imprese italiane. Anche in questo caso è necessario compiere azioni coerenti e sensate, evitando di fare passi inopportuni e difficilmente recuperabili, vista la forte concorrenza esistente nel campo del commercio internazionale.
La difesa degli interessi degli italiani all’estero è il nostro primo dovere, la ragione per cui siamo in Parlamento. Sia chiaro, tuttavia, che diciamo queste cose non per spirito corporativo, ma perché siamo profondamente convinti che per raggiungere lo scopo della rinascita dell’Italia, che la stessa finanziaria si propone, l’apporto degli italiani all’estero sia indispensabile.
Farina, Fedi, Garavini, La Marca, Porta

6 – FEDI (PD): DETRAZIONI FISCALI PER CARICHI DI FAMIGLIA ESTESE AI RESIDENTI IN EUROPA. UN RISULTATO POSITIVO: CONTINUARE A LAVORARE PER LA PIENA PARITÀ, ANCHE OLTRE EUROPA.
Le detrazioni fiscali per carichi di famiglia sono automaticamente estese, insieme a tutte le deduzioni, detrazioni e agevolazioni fiscali previste dal nostro regime fiscale, ai lavoratori che producano il 75% del loro reddito in Italia, quindi soggetti al fisco italiano, anche se residenti in un Paese UE o dello spazio economico europeo.
La legge europea 2013, appena approvata dalla Camera, prevede questa piena equiparazione. Si è evitata in questo modo una procedura di infrazione garantendo la parità di trattamento. Ora, però, dobbiamo estendere queste tutele anche ai lavoratori fuori dai confini europei.
Le disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, appena approvate in via definitiva dalla Camera dei Deputati, contengono questa importante novità per i residenti in uno degli Stati membri dell’Unione europea o in uno Stato aderente all’Accordo sullo Spazio economico europeo che assicurino un adeguato scambio di informazioni con l’Italia.
L’articolo 7 della legge europea 2013 bis introduce il comma 3-bis nell’articolo 24 del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi) ed estende le agevolazioni fiscali previste per i soggetti residenti in Italia – in termini di deduzioni e detrazioni – ai contribuenti residenti fiscalmente in un altro Stato membro o in un Paese dello Spazio economico europeo, a condizione che producano almeno il 75% del proprio reddito complessivo in Italia e non godano di analoghe agevolazioni fiscali localmente. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze adotterà ora un proprio decreto con le disposizioni attuative della norma.

7 – MARCOS ANA SCRIVE AI PRIGIONIERI POLITICI COLOMBIANI

Cari compagni,
con la triste autorità e l’orgoglio militante di essere stato incarcerato per ventitré anni e condannato a morte due volte nella Spagna di Franco, vi invio l’abbraccio più profondo e la mia solidarietà politica e umana. La SOLIDARIETÁ non ha frontiere e supera ogni distanza; sappiamo tutti della vostra esistenza e siamo orgogliosi della vostra lotta e dei vostri sacrifici. Salute, fratelli, che mai siate colti dallo sconforto. Vi riscatteremo dall’ombra, vi ridaremo la luce del giorno e la libertà che vi hanno strappato. Cento popoli vi chiamano e vi cercano, con le loro torce rosse, avvicinandosi dai cinque continenti della terra. Non voglio congedarmi senza aver dedicato un saluto speciale alle vostre famiglie, che sono quelle che più soffrono e che, com’è accaduto in Spagna, vivranno aggrappate alle porte delle vostre prigioni, come un’edera del dolore e della speranza.
Salute, compagni, non vi dimenticheremo.
Un forte abbraccio a tutti e a ognuno di voi.
Sempre nella lotta,
Marcos Ana
MARCOS ANA È UN MONUMENTO VIVENTE DELLA RESISTENZA ANTIFASCISTA UNIVERSALE, MILITANTE COMUNISTA DALL’ETÀ DI 16 ANNI, HA LOTTATO CON LA REPUBBLICA DI SPAGNA. Arrestato dai franchisti nel 1938 è l’uomo che ha passato più tempo nelle carceri del regime. Durante la prigionia non ha mai smesso di dare il suo contributo militante, nonostante le due condanne a morte di cui è stato oggetto nei processi farsa imbastiti contro di lui. Durante i 23 anni di carcerazione si rivela anche il suo talento letterario e poetico; nella campagna internazionale per la sua liberazione partecipa attivamente Pablo Neruda. Ottenuta la liberazione nel 1961 è rifugiato a Parigi dove dirige con Pablo Picasso e Jean Paul Sartre, tra gli altri, il Centro de Información y Solidaridad con España, organismo di solidarietà internazionale con i prigionieri politici spagnoli.
Il suo libro di memorie Decidme como es un árbol (Ditemi com’è un albero), è stato presentato in Italia dallo stesso Marcos Ana.

8 – L’INTERVISTA PIERCAMILLO DAVIGO . “M’IMMAGINAVO I CORROTTI CON LA LINGUA VERDE COME I VISITORS” . IL MAGISTRATO SI RACCONTA: GLI STUDI, GLI INIZI, TANGENTOPOLI. “LA PRIMA VOLTA CHE HO INTERROGATO UN INDAGATO PER TANGENTI, AVEVO DI FRONTE UN GIOVANE UOMO PROPRIO UGUALE A ME. STIAMO ANTIPATICI NON ALLA GENTE, MA A CHI GOVERNA”. ”La corruzione? È un reato seriale: chi lo fa, lo fa tutte le volte che ne ha occasione e con ragionevole certezza di impunità” di Silvia Truzzi
Tutti sono stati bambini. Anche quelli che nell’immaginario collettivo assomigliano molto a Javert – l’implacabile ispettore di polizia che per tutta la vita sta alle calcagna di Jean Valjean nei Miserabili di Hugo e che rappresenta l’ineluttabilità della Giustizia. Molto prima di Mani pulite, a metà degli anni 50 in un piccolo centro della Lomellina, incontriamo un ragazzino con i pantaloni corti che gioca per le strade del paese. All’anagrafe Piercamillo Davigo: mamma impiegata della Stipel (l’antenata della Sip), papà agente di commercio. La scuola non è cominciata per il meglio: “Il maestro, il secondo giorno in prima elementare, ci disse: ‘In Italia l’istruzione è obbligatoria per almeno otto anni, questo significa che potete fare otto volte la prima elementare. Come accade a lui’. E fece alzare un ragazzo altissimo che lui aveva avuto in prima elementare ed era stato bocciato da tutti i maestri che si erano succeduti: si accingeva a fare con noi per la sesta volta la prima elementare. Questa storia mi levò il sonno: pensavo al mio triste futuro, otto volte in prima elementare. La scuola dei miei tempi era irragionevolmente autoritaria”.
Non farà l’elogio dell’anarchia?
Non ho assolutamente nulla contro l’autorità, altrimenti non potrei fare il mestiere che faccio. Una cosa che mi ha colpito nel Piccolo principe di Saint Exupéry è quando il re spiega al piccolo principe che l’autorità riposa soprattutto sulla ragione. Se ordini al tuo popolo di andare ad affogarsi in mare, farà la rivoluzione. Nel ’68 il ministro della Pubblica istruzione aveva autorizzato i capi d’istituto a far svolgere assemblee studentesche. Il preside rispose così alle nostre richieste: non se ne parla neanche. Un professore, con cui ci lamentavamo del diritto negato, ci disse che era giusto. Noi ci indignammo: “Ma è un nostro diritto!”. E lui: “Diritto? Se io vado dal sarto con una stoffa per fare un vestito, il sarto ha dei diritti, io anche ma la stoffa no. I vostri genitori vi hanno mandato qui per prendere la maturità: loro hanno dei diritti, noi abbiamo diritti. Voi siete la stoffa”.
La scuola che è venuta dopo non era meglio.
No, forse però la nostra era basata solo sull’apprendimento di nozioni.
È vero che ha preso 7 in condotta?
Io ero molto vivace, però allora la disciplina era di ferro.
Ha fatto l’università negli anni Settanta, un periodo movimentato.
All’epoca mi facevo dare i volantini perché su di me non avevano effetto, ma almeno ne toglievo un po’ dalla circolazione. Chiedevo: posso averne anche degli altri? Ho frequentato Giurisprudenza a Genova, la contestazione lì è arrivata tardi. Poi mi sono laureato in scienze politiche a Torino.
Perché due lauree?
I giuristi non hanno nessuna preparazione nelle scienze sociali e questo significa che in genere non capiscono i fenomeni sottostanti alle norme. Mentre Giurisprudenza qualcosa che sia suscettibile d’immediata applicazione t’insegna, Scienze politiche serve a poco da un punto di vista pratico, molto da un punto di vista culturale. M’iscrissi alla seconda facoltà mentre lavoravo all’Unione industriali di Torino. Avevo già fatto il militare, come ufficiale. Siamo nel ‘76.
Pieno terrorismo. E Torino era una città pericolosa allora.
Io mi occupavo di relazioni sindacali, ovviamente dal punto di vista delle organizzazioni imprenditoriali.
Non la parte giusta…
Una volta un mio amico mi ha detto: una vita al servizio della repressione. Comunque, dopo una trattativa molto dura, avevano cominciato a scrivere su un muro antistante il mio ufficio: “Davigo fascista sei il primo della lista”. Regolarmente gli imbianchini la cancellavano e loro la riscrivevano. Non mi sono mai preoccupato perché dopo un po’ cambiarono frase: “Davigo abbiamo perso la lista, ma tu sei sempre il primo”. La trovai meravigliosamente ironica e pensai che nessuno con quel senso dell’umorismo poteva davvero spararmi.
Questa cosa del fascista le è rimasta appiccicata. Cossiga una volta ha detto a Claudio Sa-belli Fioretti: “Borrelli, un aristocratico conservatore, D’Ambrosio, un vero comunista, Davigo, un fascista, Colombo, un extra-parlamentare e Di Pietro uno di estrema destra”.
Quando mai! Chi fa questo mestiere crede nel rispetto delle regole, nell’uso della ragione e non della forza: l’esatto opposto del fascismo.
Ma i magistrati hanno il monopolio dell’uso della forza!
Certo. Infatti io non penso che uno che ha fatto l’obiezione di coscienza al servizio militare possa fare il magistrato. Che differenza c’è tra usare la forza e ordinare di farlo?
Torniamo a lei. Quando diventa magistrato?
Dopo l’Unione industriale vinsi il concorso e feci l’uditorato a Milano. Il mio decreto ministeriale è del 27 giugno 1978. Subito dopo il sequestro Moro, sembrava che lo Stato non esistesse più. Ricordo le immagini sconfortanti del Palazzo di giustizia circondato da cani lupo, agenti armati, poi costruirono addirittura un’inferriata. Una volta ero insieme al magistrato con cui facevo il tirocinio. Gli agenti, in ottemperanza agli ordini ricevuti, pretendevano di perquisire la sua borsa. Lui si rifiutò, ebbe una reazione molto ferma: “Le persone che sono qui, sono qui perché l’ho disposto io”. Da allora non fecero più le perquisizioni ai giudici. L’idea che lo Stato, che non riusciva nemmeno a impedire la consegna delle lettere di Aldo Moro, pensasse di perquisire dei magistrati era a dir poco una stravaganza.
Gherardo Colombo in un’intervista a questo
giornale ha detto: “Milano negli anni Ottanta, alle dieci di sera e nei weekend, era deserta: io andavo in giro in moto, quando mi fermavo al
semaforo e qualcuno attraversava la strada dietro di me, mi aspettavo un colpo in testa”.
Io ho sempre avuto una forte dose d’incoscienza. Ma quando mi occupavo di criminalità organizzata – dal 1982 all’86 – ero scortato in modo pesante: avevo l’auto blindata e un’altra macchina con tre carabinieri di scorta. La radiomobile di zona arrivava quando entravo e uscivo da casa e ufficio. Quando si avvicinava una moto, magari con due che portavano il casco integrale, e il carabiniere armava la M12, il cuore aumentava le pulsazioni. Erano tempi in cui le persone venivano uccise e per ragioni incomprensibili. Non voglio togliere nulla ai meriti di chi è morto, ma molti di loro sono caduti senza una ragione. Sotto questo profilo il crimine organizzato è molto più attento nella selezione dei propri obiettivi. I terroristi uccidevano persone che ritenevano un pericolo, ma non lo erano più di altri.
Falcone era veramente un pericolo per la mafia?
Era un pericolo, inoltre era pericoloso l’esempio che aveva dato. Il maxiprocesso era stato un risultato straordinario. Bisognava impedire che a qualcun altro venisse in mente di fare altrettanto. Non ha funzionato. Ricordo quando la procura mandò Corrado Alunni – brigatista fondatore di Prima linea – a giudizio per direttissima: era l’epoca in cui non si riuscivano a fare le Corti d’Assise perché i giudici popolari si davano malati. E perfino qualche magistrato lo faceva. Borrelli era il presidente dell’ottava sezione penale, davanti alla quale Alunni fu tradotto per essere giudicato. Ma era a casa con una gamba ingessata. Rientrò in servizio, presiedette il processo, condannò Corrado Alunni a 12 anni. Una pena severa e a quei tempi una sovraesposizione.
Perché lo fece?
Disse: se si devono correre dei rischi, li deve correre il presidente di sezione e non qualcun altro al suo posto. Io pensai: questo è un uomo coraggioso e con il senso delle istituzioni. C’è un altro episodio che mi ricordo di quegli anni. Dopo l’omicidio di Emilio Alessandrini, l’Anm convocò un’assemblea. E venne anche Pertini, allora Capo dello Stato. Un giovane pretore, Giovanni Porqueddu, si alzò e disse: “Io credo che abbiano ucciso Emilio Alessandrini per intimidire i colleghi della Procura. Devono sapere che per ognuno che cade, c’è qualcuno che prenderà il suo posto. Oggi stesso presenterò domanda di trasferimento alla Procura. Io non li so fare i processi che faceva Alessandrini, però potrò sollevare quelli che sono capaci da un po’ di lavoro, in modo che si possano concentrare su quei processi”.
Prima di Milano la sua sede era stata Vigevano. Piccolo tribunale.
Nel ’79, eravamo in sei magistrati, sette con il presidente. M’imbattei subito in una vicenda che suscitò clamore. Tre impiegati dell’Ufficio Iva di Pavia vanno a fare un controllo fiscale da un orefice a Mortara, vicino a Vigevano. E gli chiedono un orologio d’oro per il loro capo e cinque milioni per loro. L’orefice – contrariamente alle statistiche era una persona per bene
– va dai Carabinieri, che lo portano subito dal procuratore. Questo gli dice: lei paghi, ci dia il numero di serie delle banconote e domani fuori dal suo negozio troverà i Carabinieri. Cosa che puntualmente accade e i tre vengono arrestati in flagranza. Il procuratore li va a interrogare e nota un particolare: cioè che questi facevano il servizio insieme per la prima volta. E spiega: ma se la prima volta uscite insieme fate una cosa del genere, vuol dire che lo fate sempre! Sennò ognuno avrebbe dovuto aver paura degli altri. Questi confessano tutto, cioè una marea di fatti antecedenti, chiamando in correità tutti i loro colleghi. Tranne uno, che alla fine sarebbe stato prosciolto per insufficienza di prove. L’ufficio Iva fu chiuso.
E lei?
Facevo il giudice istruttore e il procedimento mi è stato subito trasmesso. Dovevo interrogare tutti questi qui, far tornare i conti delle mazzette, che non tornano mai perché se li dividono e ognuno deruba gli altri. Andai a interrogare il mio primo imputato di corruzione. Un giovane funzionario che aveva già confessato di aver ricevuto denaro in quattro occasioni, la prima volta 250mila lire. Mentre lo aspettavo cercavo d’immaginarmelo: non avevo mai visto un corrotto in vita mia. Me li immaginavo come i Visitors, con la lingua verde. Invece no, era identico a me. Quasi la stessa età, avrebbe potuto essere un mio compagno di università o di serate in discoteca.
Scusi, lei andava in discoteca?
Si certo, e ballavo anche.
Torniamo al suo primo corrotto.
L’unica domanda che gli feci fu: come fa un ragazzo di 27 anni a vendersi per 250mila lire? È un’età in cui bisognerebbe essere pieni di entusiasmo, di ideali… Lui rimase un po’ in silenzio e poi mi disse: “Lei non può capire, perché fa parte di un mondo dove essere onesto o disonesto dipende soltanto da lei. Io dopo qualche giorno che ero arrivato lì ho capito, non solo che rubavano tutti, ma anche che non sarebbe stato tollerato un comportamento differente: sarebbe stato un pericolo per gli altri. Quando il mio superiore mi ha messo in mano i soldi la prima volta, ho temuto che se non li avessi presi mi avrebbero cacciato. E non avuto il coraggio che ci voleva per essere onesto. Lei non lo può capire perché a lei questo coraggio non è richiesto”. Questa risposta me la sono portata dietro per tutta la mia vita professionale. A oggi non è mi è mai capitato che qualcuno mi offrisse dei soldi.
Solo un matto potrebbe pensare di offrire a lei del denaro.
Vabbè adesso perché sono famigerato, ma non lo sono sempre stato.
La morale di questa storia?
Serve a capire come funziona la corruzione. Le condizioni facilitano il meccanismo. La corruzione non è come normalmente viene dipinta dai media, un insieme di episodi. La corruzione è un reato seriale. Chi fa queste cose, le fa tutte le volte che ne ha occasione e con una ragionevole certezza d’impunità. Poi è diffusiva: chi è dedito a queste pratiche cerca di coinvolgere altri, per creare un habitat favorevole alla commissione di reati.
Come ha cambiato, umanamente, la sua vita
Mani pulite?
C’è stata la conseguenza di essere riconosciuto, che è svantaggiosa. Perché non ti permette di essere in incognito. Se nessuno sa chi sei, puoi parlare con gli altri e ascoltarli sentendo commenti, idee, opinioni che non arrivano più quando sei riconosciuto.
Mentre facevate cadere un intero sistema di
potere un po’ di euforia l’avete provata?
Al contrario! Gran parte della giornata la occupavamo a parare i tentativi di impedirci di fare le indagini o di mandarci in galera.
In che senso?
A qualcuno di noi hanno cercato di aprire un conto in Svizzera. Un ex maresciallo dei carabinieri si era inventato una serie di calunnie contro di noi per mandarci in galera. E non è stato l’unico.
La privazione della libertà è una cosa violenta, specie per quelli di cui lei si è occupato a lungo: i colletti bianchi. Chi l’ha subita ha raccontato spesso le difficoltà e il dolore. E chi la ordina,
come si sente?
Qualcuno dice: chi finisce in carcere per reati non violenti, come quelli contro la pubblica amministrazione, non è abituato al carcere, dunque la detenzione gli fa più male. Però o la legge vale per tutti o no. La legge vale per tutti vuol dire che mi spiace molto per te se non sei abituato, ma l’assunto è universale.
Le dispiaceva mettere in galera le persone?
Infliggere dolore non è mai bello. Ma nemmeno il medico è contento di operare qualcuno, lo fa perché è necessario. S’interviene per eliminare un male maggiore.
Le è mai capitato che un suo detenuto s’ammazzasse in cella?
Due volte. Una volta era un tossicodipendente arrestato in flagranza di reato, che era in crisi d’astinenza. L’altra una guardia giurata che aveva ucciso i suoi vicini che facevano rumore e non lo lasciavano dormire.
Ne ha sofferto?
Ma che domanda è? Ovviamente sì. Però vede, sul lato di via Manara del Palazzo di giustizia di Milano, c’è un bassorilievo con la figura di un patibolo e a fianco un’incisione latina che dice: “I delitti eressero”. Cioè: le conseguenze dei delitti ricadono su chi li ha commessi, non su chi li persegue.
Qualcuno sostiene che avete abusato delle norme sulla custodia cautelare.
(silenzio, sorriso). Forse abbiamo esagerato con le scarcerazioni….
Poi le danno del forcaiolo manettaro.
Esiste il reato di corruzione? Allora va perseguito.
La sua tesi sulla custodia cautelare è: noi non li mettiamo dentro per farli parlare, è che quando parlano cessano le esigenze cautelari. Secondo lei qualcuno ci crede?
(sorriso) Ci pensi: chi collabora si rende inidoneo a commettere questi reati. Darebbe mai denaro a uno che quando lo arrestano fa l’elenco di quelli che gli han dato soldi? Quelli che non collaborano o che lo fanno parzialmente, tenendosi aree di ricatto, lo fanno per assicurarsi un futuro come intermediari. Questo è il tema centrale, che non si vuole vedere. E torniamo al punto: la corruzione dà vita a un mercato illegale in cui tutti gli attori accettano le regole del gioco. È chiaro che puoi far uscire qualcuno da questo gioco solo se lo rendi inidoneo. Ricordo che una volta, durante Mani pulite, avevo dei giornali sotto il braccio. Quel giorno i quotidiani davano conto dell’arresto di un politico – ora davvero non ricordo chi fosse – che mi accingevo a interrogare. Lui mi chiese: posso leggerli? C’era, oltre alla cronaca dell’arresto, qualcuno del suo partito che diceva la solita frase: è un’isolata mela marcia. Mi restituì il giornale e mi disse: adesso le descrivo il resto del cestino.
Stare dalla parte dello Stato è un bello stare.
Vuol dire sentirsi dalla parte giusta: le è mai
capitato di avere un dubbio?
Non è affatto un bello stare, perché lo Stato dovresti averlo sempre dietro le spalle e qualche volta non accade. Il sistema di pagamento generalizzato che è emerso con Metropolitana milanese, secondo quanto hanno raccontato molti, era stato ideato da Antonio Natali. Noi l’abbiamo scoperto alla fine del ‘92. Ma poteva essere scoperto nell’87 quando Natali venne arrestato, per il fallimento di una società con bancarotta fraudolenta e vennero fuori le mazzette. Allora il presidente del Consiglio, che era Craxi, chiese di avere un colloquio in carcere con Natali, facendolo sapere ai giornali. Secondo lei la gente ha pensato che lo Stato lo rappresentassero i magistrati o il detenuto, visto che il Presidente del Consiglio lo voleva incontrare? Comunque ho sempre detto ai miei collaboratori: ricordatevi che noi siamo i buoni.
Mai successo di pensare di essere dalla parte sbagliata?
C’è un aneddoto raccontato da Cicerone, su Alessandro Magno e il pirata. La flotta macedone catturò una nave pirata e portò il comandante al cospetto del re perché lo giudicasse, allora non c’era la separazione dei poteri. Il pirata s’immaginò che il processo sarebbe finito male e si permise di essere impertinente. Quando Alessandro gli chiese: con che diritto infesti i mari? Lui rispose: con lo stesso tuo, solo che io lo faccio con una nave e sono chiamato pirata, tu con una flotta e sei chiamato re. Questo aneddoto lo riporta Sant’Agostino, che lo commenta così: “Bandita la giustizia, che cosa sono i grandi imperi se non bande di briganti che hanno avuto successo? E che cosa sono le bande di briganti se non imperi in embrione?”. Allora ciò che fa la differenza non è, come pensava il pirata, il numero delle navi. Ma la giustizia. Perché la norma più importante della Costituzione – nessuno la ricorda mai, chissà perché – è l’articolo 2: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”. Attenzione: non li istituisce, perché se tu una cosa la istituisci, puoi anche revocarla. Li riconosce, sono un limite di sovranità. Cosa nostra non riconosce i diritti inviolabili dell’uomo: questo fa la differenza. Io sono dalla parte giusta perché rappresento o dovrei rappresentare un’organizzazione che si fonda sul riconoscimento e sulla tutela dei diritti inviolabili. Certo, a volte ci sono leggi sbagliate, ma il nostro sistema prevede una serie di rimedi e correttivi.
Il momento in cui è stato più in difficoltà, stando dalla parte dello Stato?
Nel 1994, dopo il decreto Biondi che impediva la custodia cautelare per i reati di corruzione: li scarcerarono tutti. Dicemmo allora che avremmo applicato la norma – le leggi si applicano anche quando non ti piacciono – ma chiedemmo di essere assegnati a un settore dove fosse meno stridente il contrasto tra ciò che imponeva la legge e ciò che le nostre coscienze avvertivano.
Perché state così antipatici alla gente?
Ma no! Alla gente no. A chi governa, a chi detiene il potere economico certamente perché rappresentiamo ciò che non è compromettibile fuori dalle regole legali e quindi siamo un ostacolo. È un sistema di gestione delle cose diverso da quello il potere pratica.
È un discorso senza nessuna autocritica.
Mario Cicala ha detto una cosa che sottoscrivo in pieno: “Noi magistrati paghiamo per i nostri pochi meriti, non per le nostre gravi colpe”. Tristemente vero. I processi fatti dai pm incapaci si sfasciano in dibattimento: ma sono quelli portati avanti dai pm bravi che li impensieriscono.
Un avvocato, dovendo prendere accordi economici per la sua parcella con il cliente, gli chiese chi fosse il pubblico ministero che lo aveva indagato. Quello rispose: “Davigo”. “Allora voglio il doppio”. È vero?
SÌ, MA LEI NON LO SCRIVA. –

"notizie tratte da: INFORM, AISE, AGI, AgenParle , RAI News e 9COLONNE".

PER LE ASSOCIAZIONI, CIRCOLI FILEF, ENTI ed AZIENDE . Sui siti internet www.emigrazione-notizie.org e www.cambiailmondo.org è possibile utilizzare uno spazio web personalizzato, dedicato alla Vostra attività e ai Vostri comunicati stampa. Per maggiori informazioni, contattateci a emigrazione.notizie@email.it , oppure visitate la sezione PUBBLICITÀ su www.cambiailmodo.org

 

Views: 2

AIUTACI AD INFORMARE I CITTADINI EMIGRATI E IMMIGRATI

Lascia il primo commento

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*


Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.