11296 36. NOTIZIE dall’ITALIA e dal MONDO 6 settembre 2014.

20140905 14:59:00 red-emi

ITALIA – Balzo della disoccupazione. A luglio è al 12,6%, ad un passo dai massimi storici
EUROPA – SERVE UN CAMBIO RADICALE Europa. Dopo le elezioni di giugno, l’Ue va avanti come prima, peggio di prima . La Germania limita l’accesso al welfare dei cittadini europei. / Unione europea / Un polacco a Bruxelles / European Council Conseil Européen
MEDIO ORIENTE – Gaza da ricostruire, un’altra guerra . Ieri, appena a ridosso del inizio della tregua, il prezzo pagato nel corso dei combattimenti si e’ palesato alla popolazione nelle sue dimensioni catastrofiche.
AFRICA – La Libia è sempre più nel caos,
ASIA & PACIFICO – Giappone / Abe presenta i nuovi ministri a Tokyo, 3 settembre 2014 Il rimpasto di Abe "Nazione curda, il salto di qualità contro l’Isis". Intervista a Yilmaz Orkan del Congresso nazionale Kurdo
AMERICA CENTROMERIDIONALE – Bolivia / Tre italiani risultano coinvolti in un grave incidente stradale su un autobus in Bolivia in cui ci sono stati almeno nove morti, per lo più turisti stranieri.
AMERICA SETTENTRIONALE – MISSURI . Ferguson, continuano le manifestazioni contro l’uccisione di tre settimane fa

ITALIA
BALZO DELLA DISOCCUPAZIONE. A LUGLIO È AL 12,6%, AD UN PASSO DAI MASSIMI STORICI
A luglio, informa l’Istat, si e’ attestato al 12,6%, in aumento di 0,3 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 0,5 punti nei dodici mesi. Il dato cancella la flessione registrata il mese precedente e riporta il tasso di senza lavoro ai livelli di maggio, appena sotto i massimi storici. Solo a luglio i disoccupati sono aumentati di 69mila. Questo dato va letto con l’altro sui dipendenti con un contratto di lavoro a termine, aumentati del 3,8 in un anno, dopo cinque trimestri consecutivi in calo, quindi oltre un anno. Un segnale incontrovertibile che mentre da una parte aumenta la pressione di chi si mette in cerca di un lavoro, dall’altra le aziende, che intanto stanno licenziando, precarizzano sempre di più la condizione di lavoro. Nello specifico, per gli uomini il tasso di disoccupazione rimane stabile all’11,5% mentre per le donne, a conferma di quanto il balzo sia in relazione alla durezza della crisi che costringe sempre più persone a mettersi alla ricerca di un lavoro, vola dal 12,8% al 13,4%. Aumenta inoltre il divario territoriale: si passa dall’8,4% del Nord al 20,3% del Sud. Di Fabrizio Salvatori

EUROPA
SERVE UN CAMBIO RADICALE
EUROPA. DOPO LE ELEZIONI DI GIUGNO, L’UE VA AVANTI COME PRIMA, PEGGIO DI PRIMA.
È certamente un buon segno che la riunione informale dei ministri per gli affari europei, incentrata sul funzionamento dell’Ue dopo le elezioni del 25 maggio, abbia aperto le porte al Parlamento europeo, e soprattutto alla Commissione affari costituzionali, giacché è proprio nell’assenza di una vera costituzione europea — tuttora latitante, a cinque anni dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona e della Carta dei diritti — che si riassume l’essenza della crisi che attraversiamo.
La timida apertura all’unione politica, contenuta nel rapporto stilato nel 2012 dai «QUATTRO PRESIDENTI» – COMMISSIONE, BCE, CONSIGLIO EUROPEO ED EURO­GRUPPO (il Parlamento fu malauguratamente escluso) – pare già evaporata, e i mali dell’Ue continuano immutati, a cominciare dalla teoria delle «case nazionali» da mettere in ordine prima di rifondare l’Europa nel senso solidale chiesto dai cittadini.
Impressionante è la sottovalutazione del messaggio venuto dalle ultime elezioni europee, mai sottoposto a una seria analisi autocritica. Il giudizio fu evasivo già nella risoluzione del Consiglio europeo di giugno, quando si parlò di crescente «disincanto», una parola che significa tutto e niente. Appena due mesi son passati, e i disincantati vengono oggi bollati come populisti e estremisti. I due aggettivi sono abusivamente proposti come sinonimi, refrattari a ogni distinguo fra euro critici ed euroostili, ignari di quel che chiede la maggioranza dei cittadini: non meno Europa, ma un’Europa più democratica, più solidale, più giusta socialmente.
Speravo in un semestre italiano capace di imprimere una svolta in questo campo. Dopo la crisi governativa in Francia e le ammissioni del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan («Abbiamo sbagliato tutti sulle previsioni di crescita», ha detto il 17 agosto alla Bbc), è necessario riconoscere che, per quanto riguarda l’austerità, non bastano parametri un po’ più flessibili. Occorre un cambio radicale di paradigma, se è vero che sono le idee di fondo sull’austerità, fossilizzatesi ormai in ideologia, ad aver prodotto questi sbagli.
Chiunque prenda sul serio il malessere dilagante in Europa non può non comprendere che è venuta l’ora di far partecipare i cittadini al governo della crisi (lo prescrive, tra l’altro, l’art. 11 del Trattato di Lisbona). Non ci si può limitare a rendere le istituzioni più celeri, né si può minacciare tagli a programmi come Erasmus, sollevando le giuste proteste di tanti giovani. Abbiamo di fronte problemi gravi con cui confrontarci, che richiedono trasparenza e democrazia, a cominciare dalle trattative sul partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (Ttip). La presidenza italiana chiede, giustamente, che sia declassificato il mandato negoziale della Commissione, ma non basta: il Parlamento europeo –i cittadini, ancora una volta – deve avere accesso a tutti documenti nelle varie fasi del negoziato. Non può essere messo al corrente a trattato concluso, quando gli verrà chiesto di dare il cosiddetto parere conforme. Preoccupa l’insidioso ritorno dei nazionalismi e delle intese intergovernative. Ai mali di una Commissione prigioniera della tensione e dello squilibrio creatosi fra Stati più o meno potenti dell’Unione, alla sfiducia degli elettori, si risponde creando nuove burocrazie, non europee, ma nazionali. Parimenti, si invita a non approfondire l’integrazione: l’Unione «dovrebbe astenersi dall’intervenire quando gli Stati membri possono raggiungere meglio gli obiettivi». Come si spiega allora l’invito di Mario Draghi a cedere sovranità sulle riforme strutturali? O si sbagliava il Consiglio, o si sbaglia Draghi, o le parole non significano nulla. In effetti non significano nulla, se non si spiega verso quali poteri sovranazionali, e democraticamente legittimati, si trasferiscono le sovranità. A giugno si parlava di lotta all’evasione, alla frode fiscale, alla corruzione, alla violazione dei dati personali, al restringimento dei diritti: tutti temi assenti nei documenti di oggi. Si promettevano risposte comuni alla sfida della migrazione, tra cui «forti politiche dell’asilo», ma il proposito sembra dimenticato, mentre rimane l’ambiguità sui migranti irregolari (i profughi da zone di guerra sono sempre e per definizione «irregolari»). Non una parola sulla necessità di una politica pensata a fondo sul Mediterraneo e sui rapporti con la Russia. Resta la promessa di un comune piano d’investimenti nell’economia reale, pari a 300 miliardi di euro su 3 anni: una sorta di New Deal che Juncker ha esposto al Parlamento europeo, favorito in questo dai governi di Italia e Francia (è quanto va chiedendo l’Iniziativa cittadina che porta lo stesso nome: New Deal for Europe). Con che mezzi lo si voglia attuare non è chiaro — mentre l’Iniziativa cittadina chiede una duplice tassa comunitaria sulle transazioni finanziarie e sull’emissione di anidride carbonica – ma appoggiarlo sarebbe già un primo passo.

UE. Un polacco a Bruxelles, European Council Conseil Européen
Il nuovo presidente del Consiglio europeo sarà il polacco Donald Tusk, mentre la guida della diplomazia dei ventotto sarà affidata a Federica Mogherini. Le nomine sono state decise il 30 agosto dai capi di stato e di governo dei paesi dell’Unione europea riuniti a Bruxelles. Tusk, primo ministro della Polonia dal 2007, succederà al belga Herman Van Rompuy, mentre Mogherini, che guida il ministero degli esteri nel governo di Matteo Renzi, prenderà il posto della britannica Catherine Ashton. I due entreranno in carica a dicembre e lavoreranno fianco a fianco con il nuovo presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker. Secondo Le Monde, la nomina di Tusk "è una vittoria della destra europea e della Germania e una sconfitta per Parigi e i socialdemocratici". Il nuovo presidente del Consiglio europeo, che dovrà subito affrontare il dossier della crisi ucraina, "non parla francese, sa male l’inglese, ma conosce molto bene il tedesco. E questo", commenta il quotidiano, "dà un’idea abbastanza precisa delle sue inclinazioni geopolitiche: vicinanza a Berlino, realismo verso gli Stati Uniti e cortese distacco nei confronti di Parigi". Maggior entusiasmo traspare dalla stampa esteuropea: "Tusk merita pienamente l’incarico", scrive il ceco Mladà Fronta Dnes. "Negli ultimi anni la Polonia è diventata un paese più ricco e moderno, acquisendo un importante ruolo internazionale. E ha sempre sottolineato che non potrà essere libera se non lo sarà anche la vicina Ucraina. Per questo, in un momento così complicato, l’Unione ha bisogno di un uomo come Tusk". Qualche critica l’ha invece ricevuta la nomina di Mogherini. "Se l’incarico a Tusk è condivisibile", commenta il belga De Standaard, "la scelta di Mogherini è deludente, considerata la sua scarsa esperienza. È un segnale evidente che Bruxelles non vuole che l’Unione abbia una vera politica estera".

REGNO UNITO
LA MINACCIA DEL TERRORISMO / Il premier David Cameron ha annunciato il 30 agosto che la minaccia terroristica nel Regno Unito è passata da "concreta" a "severa". È "la prima volta che accade in tre anni", osserva il Guardian. La minaccia proviene essenzialmente dallo Stato islamico, ha spiegato Cameron, annunciando anche una serie di misure come il ritiro del passaporto 0 il divieto di tornare nel Regno Unito per i jihadisti britannici andati a combattere in Siria e in Iraq. Ma queste misure, spiega il quotidiano, si sono già scontrate con difficoltà di tipo legale (il ritiro del passaporto avrebbe reso apolidi i jihadisti) e politico (gli alleati liberaldemocratici di Cameron non condividono il provvedimento sul ritiro del passaporto).

GERMANIA
LIMITA L’ACCESSO AL WELFARE DEI CITTADINI EUROPEI / E ora la Germania chiude l’accesso al welfare anche ai cittadini dei paesi Ue. Il governo Merkel Cdu-Spd ha approvato il 28 agosto alcune proposte di legge per limitare l’accesso ai sussidi e punire più severamente gli abusi commessi da cittadini europei. Pene più severe: espulsione e divieto di ingresso nel paese fino a un massimo di cinque anni. Cuore delle nuove norme è il limite a sei mesi del diritto di residenza utile alla ricerca di un lavoro, che potrà essere straordinariamente prolungato solo di fronte a concrete possibilità di impiego.
Il pacchetto normativo della «grande coalizione» stabilisce inoltre una pena fino a tre anni di reclusione, o una sanzione, per i cittadini dell’Ue che fornissero false informazioni per ottenere un certificato di residenza. In questo modo il governo punta a limitare gli abusi dei sussidi per i figli di residenti in Germania. A sostegno dei propri comuni più coinvolti dal fenomeno migratorio, il governo ha inoltre stanziato 25 milioni di euro — che si aggiungono ai 200 milioni di marzo — per il pagamento dell’alloggio e delle spese di riscaldamento, coprendo inoltre il costo delle vaccinazioni per i bambini la cui situazione assicurativa non dovesse risultare chiara.
BERLINO
MERKEL: RISULTATO AFD IN SASSONIA RIFLETTE IL VOTO DI PROTESTA.
Il risultato ottenuto dal partito euroscettico Alterativa per la Germania (AfD) nelle elezioni in Sassonia riflette un voto di protesta su larga scala. Lo ha detto la cancelliera tedesca Angela Merkel, dopo che ieri l’AfD ha superato la soglia di sbarramento entrando nel parlamento del Land con il 9,7%. Le elezioni sono state vinte dalla Cdu con un’ampia maggioranza, ma hanno visto il crollo dei Liberal democratici, alleati dell’attuale governo. Merkel ha notato che questioni come la criminalità lungo i confini con la Repubblica Ceca e la Polonia e le preoccupazioni per la questione ucraina devono essere risolti.
"Il mio obiettivo – ha aggiunto la cancelliera – è che (l’AfD) giochi un ruolo minore prima possibile. È mia intenzione parlare di quali siano le questioni che non abbiamo ancora risolto in modo che le persone siano soddisfatte". L’Afd, fondato nel 2013, punta all’uscita della Germania dall’euro. Il partito non era riuscito ad entrare nel Bundestag ma ha vinto sette seggi al parlamento europeo durante le elezioni del maggio scorso.
GERMANIA
EUROSCETTICI IN SASSONIA / Il 31 agosto i cristianodemocratici della Cdu hanno vinto le elezioni nel land della Sassonia, dove governano ininterrottamente dal 1990. Gli elettori hanno riconfermato il presidente uscente, Stanislaw Tillich. Ma in questo voto, spiega la Suddeutsche Zeitung, risalta soprattutto l’ingresso nel parlamento sassone del partito populista ed euroscettico Alternative fùr Deutschland (Afd), che per la prima volta manda dei suoi rappresentanti nel parlamento di un land. Nella destra tedesca, osserva il quotidiano, sta crescendo un partito che "potrebbe mettere in grande difficoltà" la Cdu di Angela Merkel.

FRANCIA
UN LIBRO IMBARAZZANTE / Il presidente Franfois Hollande è in imbarazzo per l’uscita del libro della ex compagna. In Merci pour ce moment, uscito il 4 settembre, Valérie Trierweiler "racconta in dettaglio i diciotto mesi trascorsi all’Eliseo con il presidente, fino alla rottura nel gennaio del 2014", scrive Le Monde. Se nel libro la giornalista "non rivela nessun segreto di stato", regola però i conti "nel momento peggiore" per il presidente, "una settimana dopo l’implosione improvvisa del governo e mentre il clima nella maggioranza è tesissimo".

ISLANDA
BARDARBUNGA, IL VULCANO ISLANDESE CHE FA I CAPRICCI
Come un deja vu, con Bardarbunga torna l’incubo ceneri del vulcano islandese. Dopo il panico creato da Eyjafjallajökul (anche nella pronuncia) nel 2010, senza creare un piano per evitare ripercussioni sul sistema economico, ora un più leggibile vulcano Bardarbunga (nome che a noi italiani fa venire in mente ben altre vicende) promette di spargere ceneri e lapilli con "il tentativo" di bloccare il traffico aereo verso l’Europa. Intanto gli islandesi sono stati sotto assedio sismico con centinaia di terremoti di cui quelli più imponenti hanno fatto registrare magnitudo sopra il 5 della scala Richter (per intenderci dell’intensità di quelli avvenuti in Emilia Romagna). Un’eruzione cominciata di notte e che per fortuna non ha interessato il ghiacciaio più esteso dell’isola, il Vatnajökull, altrimenti "gli effetti pirotecnici" sarebbero stati notevoli. Questo evento naturale ha finora bloccato i voli intorno all’area del vulcano nel centro dell’Islanda per motivi di sicurezza, la speranza ora è che le ire di Bardabunga non si alimentino al punto da creare un nuovo blocco aereo internazionale. Una situazione a cui, dopo quanto accaduto nel 2010, avrebbero dovuto trovare una soluzione alternativa.

UCRAINA
Poroshenko soffia sul fuoco. Merkel, "nein" alle forniture di armi. Autore: fabrizio salvatori
Le forniture di armi all’Ucraina "non sono opportune" perchè "si darebbe l’impressione che una soluzione militare e’ possibile" quando invece "siamo tutti d’accordo che non c’e’ soluzione militare". Angela Merkel sa di camminare sulle uova nella vicenda Ucraina e mentre il livello di allarme cresce di ora in ora il capo del Governo tedesco è costretta a misurare le parole con il bilancino del farmacista. Merkel prova a tenere unito il fronte europeo, specificando che "la Germania non fornira’ armi" e che "non cambierà idea da oggi al vertice Nato" in programma in Galles la prossima settimana, ma anche quella è una sfida non da poco. Al vertice Nato è uscita sì una linea di rigore ma legata più che altro alle sanzioni. E comunque si deciderà tutto tra una settimana. "L’opzione militare non e’ la soluzione" nella crisi ucraina, dice Federica Mogherini nella conferenza stampa successiva alla sua nomina a Lady Pesc. "Mentre pensiamo e lavoriamo sul livello delle sanzioni, dobbiamo tenere allo stesso tempo aperta la via diplomatica", aggiunge Mogherini. Intanto, gli Usa prendono per buone le direzioni decise ieri al vertice tra i capi di Stato facendo buon viso e cattivo gioco.
Dalla Gran Bretagna arrivano nuove accuse a Mosca: la presenza di militari russi in Ucraina, secondo una fonte britannica citata dalla Cnn, è molto più numerosa di quanto è stato sostenuto nei giorni scorsi: i soldati russi presenti nell’est dell’Ucraina sono tra i 4.000 e i 5.000, ben più del migliaio di cui si è parlato finora. Secondo la fonte i militari sono inquadrati in varie formazioni e combattono nelle zone di Luhansk e Donetsk. La stessa fonte britannica ha aggiunto che Mosca ha 20.000 soldati già schierati lungo la frontiera e "altri potrebbero arrivare presto".
"Siamo molto vicini al punto di non ritorno ",è pronto a sottolineare il presidente ucraino Petro Poroshenko, precisando che "la Russia ha gia’ varcato la linea rossa quando e’ stato abbattuto l’aereo" della Malaysia Airlines e che "il 26 e 27 agosto c’e’ stata un’aperta aggressione". Il presidente ha poi ricordato che lunedì prossimo e’ previsto un trilaterale con la Russia e con i rappresentanti dell’Osce "e spero che si arrivi ad un cessate-il-fuoco". Il presidente ucraino poi indica di attendersi invece aiuti per "forniture militari non letali" in occasione del vertice Nato della prossima settimana in Galles. Infine, i capi delle diplomazie russa e francese Sergei Lavrov e Laurent Fabius, hanno concordato nel corso di una conversazione telefonica avuta oggi sulla necessita’ di fermare quanto prima le ostilità.

MOSCA, LA NATO E L’EUROPA.
11 settembre la Nato ha annunciato la nascita di una forza d’intervento rapido da dispiegare nell’Europa dell’est. Questa forza, spiega il New York Times, "sarà composta da quattromila militari, sarà in grado di mobilitarsi in 48 ore e sarà sostenuta da attrezzature e strutture logistiche presenti nei paesi esteuropei confinanti con la Russia". La risposta di Mosca non si è fatta attendere: "Alla luce delle nuove minacce al paese, tra cui l’avvicinamento ai confini russi delle infrastrutture militari della Nato, la Russia modificherà la propria dottrina militare", scrive il quotidiano di Mosca Izvestija.
Intanto all’interno dell’Unione europea le divergenze su come affrontare la crisi ucraina sono evidenti. "Il 31 agosto Bruxelles ha minacciato nuove sanzioni contro la Russia, da applicare nel giro di una settimana", scrive sul sito russo Politcom l’analista Aleksej Makarkin. "Ma quattro paesi sono contrari: Slovacchia, Ungheria, Repubblica Ceca e Cipro. La Slovacchia ha perfino minacciato di usare il suo potere di veto. La Germania, invece, ha adottato una posizione intermedia". Secondo Makarkin, sugli sviluppi futuri inciderà anche la nomina del premier polacco Donald Tusk alla gui-
da del Consiglio europeo e quella di Federica Mogherini alla testa della diplomazia dell’Unione. "Mogherini è stata criticata sia per la sua scarsa esperienza sia per le posizioni molto moderate sulla questione ucraina. La Polonia di Tusk, al contrario, è favorevole ad assumere un atteggiamento più duro verso Mosca. Tuttavia sia Tusk sia Mogherini entreranno in carica a fine anno: fino ad allora la crisi sarà gestita dall’attuale dirigenza europea". Qualche contrasto si registra anche all’interno dell’Unione doganale (Ud) voluta da Mosca. Come spiega Makarkin, il presidente kazako Nursultan Na-zarbaev ha dichiarato che l’accordo di associazione tra l’Ucraina e l’Unione europea non danneggerà gli interessi dell’Ud". Putin ha subito liquidato in tono sprezzante la posizione di Astana mettendo in dubbio la legittimità storica del Kazakistan come stato, e Nazar-baev ha replicato che "se gli accordi con Mosca non saranno rispettati, il Kazakistan si riserverà il diritto di uscire dall’Unione doganale e farà di tutto per difendere la propria indipendenza. Per quanto riguarda invece la Bielorussia, terzo pilastro dell’Ud, il presidente Aliaksandr Lukasenko ha dichiarato che è determinato a mantener

GEORGIA
II leader dell’opposizione Raul Khadjimba ha vinto le elezioni presidenziali del 24 agosto nella repubblica separatista dell’Abkhazia. Ha ottenuto il 50,57 per cento dei voti.

MEDIO ORIENTE
TURCHIA
II 28 agosto il nuovo presidente Recep Tayyip Erdogan è entrato in carica per un mandato di cinque anni. Il giorno dopo, il primo ministro Ahmet Davutoglu (nella foto) ha presentato il suo governo, con Mevliit Qavuoglu agli esteri. Davutoglu ha auspicato la fine del conflitto con i curdi e l’ingresso del paese nell’Unione europea entro il 2023.
ISRAELE
NETANYAHU NON VUOLE LA PACE
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu non aveva ancora finito di esprimere il suo impegno per una "soluzione diplomatica" del conflitto a Gaza che lui e il suo governo erano già tornati alla loro vecchia politica, asservita agli interessi dei coloni e di quelli che rifiutano la pace. L’esproprio di circa 400 ettari di terre in Cisgiordania per creare un insediamento in risposta al sequestro e all’omicidio di tre ragazzi ebrei a giugno toglie qualunque valore alle parole di Netanyahu. Ha’aretz, Israele
La condotta del premier ha sempre smentito le sue dichiarazioni sulla soluzione a due stati. I ripetuti annunci di nuovi insediamenti durante i negoziati con l’Autorità Nazionale Palestinese hanno determinato la fine dei colloqui. Netanyahu continua a dare ragione ai palestinesi convinti che Israele non voglia la fine del conflitto. È difficile capire perché ogni tanto il primo ministro alimenti le speranze di pace, quando il suo governo continua a costruire insediamenti impedendo qualsiasi accordo. All’inizio dell’ultimo cessate il fuoco Netanyahu sembrava essersi liberato dalla fissazione di non voler trattare con nessuno, e aver "scoperto" il presidente palestinese Abu Mazen, che durante i combattimenti nella Striscia di Gaza ha impedito lo scoppio di un’intifada in Cisgiordania. Ma ora sta distruggendo le nuove opportunità che sosteneva di voler cercare. Netanyahu è condizionato dai partiti religiosi che appoggiano il suo governo e cerca d’ingraziarsi l’estrema destra che lo ha abbandonato durante l’operazione Margine protettivo. Ma T’appropriata risposta sionista" all’omicidio dei tre ragazzi non è affatto sionista. Trasforma Israele in uno stato paria boicottato dalla comunità internazionale, che sacrifica ogni possibilità di pace alle sue aspirazioni imperialiste e prolunga un conflitto sanguinoso. L’operazione Margine protettivo, costata 2.200 vittime, lo ha dimostrato. La "risposta" ha fatto cadere Israele dalla padella alla brace, e potrebbe portare alla fine dello stesso progetto sionista.

DA RAMALLAH AMIRA HASS
IL PASSO FALSO DI ISRAELE / Durante l’ultima guerra a Gaza i mezzi d’informazione israeliani hanno affermato all’unisono che Hamas avrebbe perso la sua popolarità a causa dell’alto numero di vittime palestinesi. Naturalmente la tesi era condivisa dagli esperti di intelligence israeliani, più presuntuosi che mai. In realtà è accaduto l’opposto: come già in passato, la lotta armata e i sorprendenti progressi militari hanno fatto aumentare nettamente i consensi per Hamas. Lo dimostrano i sondaggi pubblicati dal Centro palestinese per la politica e la ricerca. Hamas, il suo leader Khaled Meshaal e l’ex premier Ismail Haniyeh hanno ottenuto un gradimento altissimo da parte dei 1.270 palestinesi intervistati nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania. Se le elezioni si svolgessero oggi, Hamas stravincerebbe. Inoltre, per il 79 per cento degli intervistati Hamas ha vinto la guerra. Il dato non stupisce se si considera che le due tv più seguite, Al Aqsa (controllata da Hamas) e Al Jazeera, hanno puntato molto sulla retorica della vittoria. Ma se è vero che Hamas ha sorpreso Israele e ha spaventato gli israeliani, i 2.100 morti e gli undicimila feriti palestinesi dovrebbero suggerire un po’ di prudenza sull’uso del termine "vittoria". Anche perché l’accordo di cessate il fuoco, di cui il 63 per cento degli intervistati si dichiara soddisfatto, è molto vago a proposito della cancellazione del blocco imposto alla Striscia di Gaza. Il dato più preoccupante, però, è che il 72 per cent0 vorrebbe esportare la lotta armata anche in Cisgiordania
GAZA
Ieri, appena a ridosso del inizio della tregua, il prezzo pagato nel corso dei combattimenti si e’ palesato alla popolazione nelle sue dimensioni catastrofiche. ( di fabio sebastiani ). Fin dalle prime ore della giornata si e’ creato un flusso di gente ad ondate verso i rioni piu’ colpiti dai bombardamenti: Beit Hanun, Sajaya, Khuzaa. Chi aveva visto lo sfacelo alla televisione e’ rimasto a bocca aperta nel toccarlo con mano. Grattacieli spazzati via, interi quartieri devastati. Molti erano impegnati a fotografare, increduli di tanta devastazione. La guerra, però, per i palestinesi, è una parentesi nera tra le parole "occupazione" ed "embargo". E’ inquietante come nell’illustrare i numeri del massacro Netanyahu ha parlato di più di mille terroristi uccisi, riferendosi a Hamas. Il conto non sta in piedi. La truce propaganda della Stella di David ha ucciso il popolo palestinese per una seconda volta. A morire a Gaza è stata la gente comune. E tutto il mondo l’ha visto. Israele continua a negarlo.
LE TENDE DEL LUTTO
E poi si e’ visto anche il lutto. Da ieri sono state erette le tradizionali tende di lutto in cui le famiglie dei caduti ricevono gli ospiti per le condoglianze. E sono state come funghi dopo la pioggia. A centinaia, in questo angolo di terra grande due volte la città di Milano, in molti angoli di strada si vedevano tristi capannelli di persone passare di tenda in tenda per scambiare parole di conforto. Similmente, chi era rimasto sbarrato in casa ha colto l’occasione della prima giornata d’aria per visitare quanti sono ancora ricoverati negli ospedali, circa diecimila persone. Diecimila palestinesi che vanno a completare un bilancio fatto di 2.200 vittime, di cui un quarto bambini e di una cifra impressionante di sfollati, circa 300mila. Durante il conflitto è stato calcolato che per ricostruire Gaza ci vorranno alcuni miliardi. Per adesso il bilancio nominale degli aiuti è di poco più di cento milioni.
Nelle scuole si vive un’atmosfera di emergenza. Erano state aperte per ospitare oltre 300mila sfollati, ma adesso occorre organizzarsi per riaprire a giorni l’anno scolastico. Chi dispone ancora di una casa, sia pure pericolante, e’ sollecitato a farvi ritorno. Per i senzatetto si dovranno organizzare tendopoli oppure cercare locali in affitto.
CASE, QUELLE CHE NON SONO STATE DISTRUTTE SONO LESIONATE
Praticamente tutte le case di Gaza sembrano essere state lesionate e adesso la parola d’ordine tra la popolazione e’ la ricerca di materiali di ricostruzione. Con la riapertura dei valichi con Israele, si afferma, occorrerà dare la precedenza assoluta a questi materiali: sia per aggiustare il riparabile, sia per dare lavoro ai disoccupati il cui numero e’ ulteriormente cresciuto in questi due mesi.
Non esiste più l’infanzia. Questo conflitto di cinquanta giorni, il più lungo di Israele contro i palestinesi, passerà alla storia per il massacro dei minori. Nelle ultime sette settimane una media di 12 bambini sono stati uccisi e 77 sono rimasti feriti ogni giorno – 25 dei quali si sono ritrovati con disabilità permanenti. Ogni giorno, una media di 6 scuole sono state danneggiate, 435 famiglie hanno perso le loro case e 37 bambini sono rimasti orfani. Tutti i bambini di Gaza, che costituiscono la metà degli 1,8 milioni di persone che vivono a Gaza – hanno bisogno di un qualsiasi tipo di sostegno psicosociale, a giudizio delle Nazioni Unite.
RICOSTRUIRE, UN’ALTRA GUERRA
La ricostruzione sarà un’impresa lunga, con l’unica centrale elettrica messa fuori uso in un bombardamento israeliano e la cui riparazione richiedera’ mesi."la politica di separazione" adottata da Israele, che isola economicamente, socialmente e politicamente Gaza dalla Cisgiordania, oltre a generare povertà e negare i diritti di base della popolazione, mina le possibilità di arrivare ad una soluzione per la coesistenza di due Stati. Il blocco contro la Striscia ha infatti impedito negli anni agli agricoltori, ai produttori e alle imprese di Gaza di vendere i loro prodotti in altri mercati palestinesi della Cisgiordania.
NON SI VIVE CON L’EMBARGO
E adesso le esportazioni da Gaza sono ridotte ad essere solo il 2%, rispetto ai livelli del periodo cha ha preceduto l’embargo iniziato nel 2007. Un blocco che ha avuto ripercussioni durissime anche sulla vita quotidiana delle persone: né studenti, né famiglie, né tantomeno uomini d’affari, donne o funzionari del Governo possono viaggiare liberamente tra Gaza e la Cisgiordania. Basti pensare che negli ultimi 14 anni, solo tre studenti di Gaza sono stati autorizzati a studiare in Cisgiordania. A questo inoltre si aggiunge la terribile situazione in cui versa il settore della pesca, vitale per l’economia della Striscia: per i pescatori vige il divieto di andare oltre un paio di chilometri dalla costa con le proprie imbarcazioni, in altre parole, di guadagnarsi da vivere.

AFRICA
LIBIA
UN PAESE CON DUE GOVERNI / La Libia è sempre più nel caos, scrive Al Hayat, dopo che il governo guidato da Abdullah al Thinni (che gode del consenso del parlamento eletto il 25 giugno, con sede a Tobruq) ha annunciato di aver perso il controllo delle istituzioni statali nella capitale Tripoli, in seguito all’occupazione da parte dalle milizie che imperversano in città. Il 2 settembre il Consiglio generale nazionale (formato dai parlamentari dell’assemblea legislativa uscente) ha approvato un nuovo esecutivo, parallelo a quello di Al Thinni.

EGITTO
II 30 agosto un tribunale del Cairo ha commutato in ergastolo la condanna a morte di Mohamed Badie, la guida suprema dei Fratelli musulmani. Il 2 settembre undici poliziotti sono morti in un attentato nel Sinai.

MALI
Si è aperto ad Algeri il 1 settembre il secondo ciclo di negoziati tra il governo di Bamako e i gruppi armati che avevano occupato il nord del paese.

NIGERIA
II 2 settembre la setta islamica Boko haram ha conquistato Bama, la seconda città dello stato di Borno, e minaccia ormai direttamente il capoluogo Maiduguri.

YEMEN
II 2 settembre il presidente Abd Rabbo Mansour Hadi ha annunciato la nomina di un nuovo governo e la riduzione del prezzo della benzina per cercare di mettere fine alle proteste degli houthi, i ribelli sciiti che assediano la capitale Sana’a.

BAHREIN
II 30 agosto l’attivista per i diritti umani Maryam al Khawaja è stata arrestata all’aeroporto di Manama mentre rientrava nel paese. Il giorno dopo un giornalista sciita, Ahmed Humaidan, è stato condannato a dieci anni di prigione.

LESOTHO
IL GOLPE SVENTATO / Il 3 settembre il primo ministro del Lesotho, Thomas Thabane, è tornato nella capitale Maseru. Quattro giorni prima era scappato in Sudafrica denunciando un colpo di stato, scrive il Sunday Express. Il 30 agosto i soldati guidati del generale Tlali Kamoli avevano occupato i commissariati (causando la morte di un poliziotto), oscurato le stazioni radio e circondato gli edifìci govemativi, ma poche ore dopo erano tornati nelle caserme. Il 1 settembre la Comunità di sviluppo dell Africa meridionale ha promosso un incontro a Pretoria tra 1 leader politici del piccolo regno. Il Lesotho, due milioni di abitanti, è una monarchia costituzionale dove il re svolge un ruolo puramente cerimoniale. La crisi politica nel paese è cominciata il 10 giugno, quando Thabane ha sospeso il parlamento per evitare di dover sottostare a un voto di sfiducia richiesto dal vicepremier Mothetjoa Metsing, suo avversario politico. Secondo gli analisti della regione il tentativo di colpo di stato sarebbe stato motivato anche dalla decisione di Thabane di licenziare il capo delle forze armate, il generale Kamoli, che si ritiene appoggi il vicepremier Metsing.

ASIA & PACIFICO
AUSTRALIA
II 3 settembre un gruppo per la difesa dei diritti umani ha annunciato la morte cerebrale di un richiedente asilo iraniano per una setticemia causata da una ferita non curata sull’isola di Manu.

GIAPPONE
II 3 settembre quattro lavoratori della centrale nucleare di Fukushima hanno fatto causa alla Tepco, l’azienda che gestisce l’impianto, sostenendo di essere pagati troppo poco per i rischi che corrono.
GIAPPONE
ABE PRESENTA I NUOVI MINISTRI A TOKYO, 3 SETTEMBRE 2014 IL RIMPASTO DI ABE
Il 3 settembre il primo ministro Shinzo Abe ha fatto un rimpasto di governo in vista delle sfide che deve affrontare, tra cui un nuovo aumento della tassa sui consumi e il recupero dei rapporti con la Cina e la Corea del Sud, guastati dalle dispute territoriali e dalle polemiche di carattere storico. Abe ha portato da due a cinque le donne nel suo governo, assegnando a Yuko Obuchi il ministero del commercio e a Haruko Arimura il nuovo dicastero per la promozione delle donne. In realtà, scrive il Japan Times, i posti chiave rimangono assegnati a suoi fedelissimi come Taro Aso (finanze) e Yoshihide Suga (capo di gabinetto). Shigeru Ishiba, esponente di spicco del Partito liberaldemocratico, ha accettato la guida di un nuovo ministero dell’economia regionale.

HONG KONG
IL DILEMMA DI HONG KONG. Quando nel 1984 Cina e Regno Unito concordarono i termini della restituzione di Hong Kong a Pechino, i cinesi accettarono il principio " un paese, due sistemi" : la Cina avrebbe concesso a Hong Kong più libertà politica rispetto al resto del paese, ma avrebbe mantenuto il diritto di stabilire il sistema elettorale del territorio. Financial Times, RegnoUnito
Ora Pechino ha preso la sua decisione: i cittadini di Hong Kong potranno scegliere i propri leader, ma solo se accetteranno una democrazia di stampo cinese.
Il tortuoso processo elettorale scelto rappresenta la forma più sbiadita di "democrazia" attuabile rispettando la costituzione di Hong Kong del 1997, secondo cui il territorio ha diritto a eleggere a suffragio universale il suo chief executive, l’equivalente di un sindaco. I candidati alle elezioni del 2017 dovranno essere approvati da un comitato composto da 1.200 persone. Il comitato ha un chiaro orientamento filocinese, quindi qualsiasi candidato ostile a Pechino sarà bocciato in partenza. Quelli che supereranno l’esame saranno soggetti al voto degli elettori a suffragio universale. A quanto pare la Cina è preoccupata dal radicalismo della campagna per la democrazia a Hong Kong, e non ha gradito il referendum informale organizzato a giugno, che chiedeva più
libertà di quella che Pechino è disposta a concedere. Il governo cinese intende rispettare alla lettera gli impegni presi al momento della firma della costituzione, perché non vuole danneggiare lo status di centro finanziario di Hong Kong né esporsi alle critiche per non aver rispettato i patti. Ma allo stesso tempo vuole limitare le concessioni al minimo indispensabile.
Il parlamento di Hong Kong si trova davanti a una scelta difficile. Può accontentarsi delle condizioni offerte da Pechino oppure bocciarle. Se la proposta non sarà approvata da almeno due terzi dei deputati, resterà in vigore l’attuale sistema elettorale. La Cina dovrebbe rendersi conto che sta danneggiando i propri interessi. Ha alimentato l’opposizione tra i moderati di Hong Kong, inimicandosi anche chi si rende conto che ci saranno sempre limiti all’autonomia. L’insistenza del governo cinese nel voler pilotare la politica di Hong Kong sarà notata a Taiwan, dove molti potrebbero giungere alla conclusione che è pericoloso avvicinarsi alla Cina. Soprattutto, ha indebolito la formula "un paese, due sistemi" creata per proteggere lo status di Hong Kong come centro commerciale e finanziario. Questa è una cosa che la Cina non aveva bisogno di fare.

HONG KONG
LA LOTTA
PER LA DEMOCRAZIA NON È FINITA CHEN PEIMIN, PINGGUO RIBAO, HONG KONG / Vedere un politico moderato come Ronny Tong, del Civic party, parlare commosso davanti alle telecamere del "giorno più buio e doloroso per il movimento democratico di Hong Kong" dà l’idea di come la cittadinanza ha accolto la decisione di Pechino di non concedere un sistema elettorale democratico. I nostri genitori e i nostri nonni sono venuti a Hong Kong per fuggire dal Partito comunista (Pcc). All’inizio degli anni ottanta, il leader cinese Deng Xiaoping decise di riprendere la città e il Pcc s’impegnò a garantire la democrazia. Benny Tai, che oggi guida il movimento Occupy Hong Kong per il suffragio universale, conserva ancora la lettera in cui il 22 maggio 1984 il primo ministro cinese Zhao Ziyang prometteva la democrazia per Hong Kong. Il suffragio universale è contenuto nella costituzione del territorio speciale e, anche se dal 1997 il Pcc ha continuato a rinviarne l’introduzione, per trent’anni gli abitanti di Hong Kong non hanno mai smesso di lottare per averlo. Per questo, anche se dal 2017 tutti potranno votare, oggi gli abitanti di Hong Kong che credono nella democrazia sono arrabbiati e delusi. Sappiamo come sarà nominata la commissione che sceglierà i candidati alla carinca di chiefexecutive e come il Pcc manipolerà il parlamento locale. I cosiddetti "rappresentanti" di Hong Kong si dimostrano fedeli a Pechino, ma la storia non dimenticherà che hanno svenduto la città. Il danno è fatto.
Il segretario generale dell’associazione degli studenti, Zhou Yongkang, si e sfogato tra le lacrime: "Trent’anni di umiliazioni non bastano? Cosa ci toccherà ancora?". Il sogno degli studenti che negli anni ottanta chiedevano la democrazia è stato infranto e oggi promettono "disobbedienza". Gli stessi politici moderati ammettono che il tempo del dialogo è finito. In una lettera aperta indirizzata ai cittadini, più di cinquanta accademici, molti dei quali con un passato da conservatori, si dicono delusi: "Per ora, il percorso per arrivare a un vero suffragio universale è al capolinea, ma non dobbiamo cedere, non moriremo. We shall overcome, insieme".

THAILANDIA
MINISTRI IN UNIFORME
Il primo ministro tailandese, il generale Prayuth Chan-ocha, ha presentato il suo governo composto da ufficiali dell’esercito e tecnocrati conservatori a lui vicini. I ministeri chiave come difesa, giustizia, commercio ed esteri sono stati assegnati a dei militari, scrive il Bangkok Post.

AFGHANISTAN
I COSTÌ DELLO STALLO
II VUOTO DI POTERE CONTINUA. I due candidati alla presidenza, Ashraf Ghani e Abdullah Abdul-lah, non trovano un accordo e le Nazioni Unite, che stanno soprintendendo al riconteggio delle schede elettorali del ballottaggio di giugno, hanno posticipato a metà settembre il termine entro cui saranno resi noti i risultati, anche se il presidente uscente Hamid Karzai era pronto a passare il testimone il 2 settembre. La crisi minaccia l’economia del paese, che dal 2001 si basa soprattutto sugli aiuti internazionali e sugli investimenti legati alla presenza militare straniera, scrive Khamaa Press. Secondo il Business tendency survey report pubblicato ad agosto dalla camera di commercio e dell’industria afgana, la situazione nei settori manifatturiero, dei servizi, del commercio e delle costruzioni da marzo continua a peggiorare.

KURDI
"Nazione curda, il salto di qualità contro l’Isis". Intervista a Yilmaz Orkan del Congresso nazionale Kurdo
YILMAZ ORKAN È RAPPRESENTANTE IN ITALIA, A ROMA, DEL CONGRESSO NAZIONALE KURDO, DENTRO IL QUALE È PRESENTE ANCHE IL PKK, L’ORGANIZZAZIONE ARMATA CHE DA DECENNI SI BATTE PER I DIRITTI DEL POPOLO KURDO IN TURCHIA E CHE ORA NON SI STA RISPARMIANDO PER COMBATTERE CONTRO L’ESERCITO INTEGRALISTA DELL’ISIS. DOPO AVER LAVORATO PER ALCUNI ANNI IN BELGIO, YILMAZ SI OCCUPA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI QUI IN ITALIA. Di vittorio bonanni
Mi accoglie nella storica sede romana dove fanno bella mostra di sé le foto di Abdullah Ocalan e del nostro Dino Frisullo. Con lui facciamo il punto della drammatica situazione in Medio Oriente e sul ruolo che sta giocando il suo popolo. “Prima di tutto dobbiamo esporre con chiarezza – sottolinea Orkan – come è cominciata quella crisi nel Kurdistan del Sud. Sono quasi due anni che nella regione kurdo-siriana del Rojava c’è un conflitto tra l’Isis e l’Ypg, l’esercito che si batte per l’autonomia in Siria e che sta difendendo i tre cantoni kurdi, Cizîre, Kobanê e Efrîn, dall’attacco degli estremisti islamici. Poi, il 10 giugno scorso, Isis è passato direttamente in Iraq, e ha occupato Mosul, Falluja, Tigri, Anbar. Tutta la regione popolata dai sunniti. E’ importante ricordare come l’Isis rappresenti una vera minaccia per l’area e si connoti come una forza particolarmente negativa. Da quando è diventato un protagonista in Medio Oriente si è distinto solo per tagliare la gola agli altri popoli, alle minoranze religiose e via dicendo. Non fa altro che uccidere e basta. Il 3 agosto la città kurda di Sengal, popolata da una comunità zoroastra, da sciiti turcomanni e da assiri cristiani, è stata occupata da loro, con tanto di massacri e rapimenti delle donne”.
COME HANNO REAGITO LE FORZE KURDE?
L’Ypg ha occupato le montagne per creare un corridoio umanitario al fine di trasferire oltre centomila civili verso Rojava dove è stato creato un campo che si chiama “Newroz”. Una parte di questi kurdi sono andati in Turchia, anche nel Kurdistan del Sud e pian, piano stanno arrivando purtroppo anche in Europa. Sono arrivati in questa regione anche i guerriglieri del Pkk. Adesso possiamo dire che da Jalallah fino ad Efrin, una linea lunga quasi 1200 chilometri, sono presenti appunto il Pkk, l’Ypg, i Peshmerga del Kurdistan del Sud, sia il Partito democratico che l’Unione Patriottica, tutti insieme schierati a difesa dei civili. L’Isis infatti ha questa particolarità: non attacca i guerriglieri ma interviene là dove questi non sono presenti prendendo di mira soprattutto le persone per cambiare la demografia della regione. La loro idea è infatti quella di realizzare un califfato che da Damasco fino ad Amman ponga le basi per un grande Paese, popolato solo da musulmani sunniti. Con il resto della popolazione costretta ad accettare quella religione o a pagare una tassa, come si faceva ai tempi della Conquista araba o dell’Impero ottomano.
IN CHE MISURA È PRESENTE IL PKK?
Nel Sud del Kurdistan ci sono migliaia di combattenti del Pkk che si battono contro l’Isis. Si tratta di uno scontro difficile perché dobbiamo considerare che questo esercito è sostenuto dal Qatar, dall’Arabia Saudita, dalla Turchia e precedentemente anche dalle potenze occidentali.
PERCHÉ L’ISIS È DIVENTATO COSÌ FORTE? CHE IDEA VI SIETE FATTI?
Non abbiamo ancora capito bene perché l’Isis è stato creato, fomentato. Certamente perché quando l’Occidente sosteneva di voler esportare la democrazia in Medio Oriente ha scelto male l’interlocutore viste le caratteristiche dell’Isis. E dietro il sostegno che hanno avuto ci sono sicuramente altri interessi. Questo conflitto possiamo interpretarlo in due modi diversi: o semplicemente uno scontro tra sciiti e sunniti; oppure come uno scontro che si estende in tutta quell’area geografica e che rischia di sconfinare anche in Turchia e in Giordania con il fine di creare qualcosa di nuovo. Le caratteristiche di questa espansione non lascia adito a dubbi: sono a rischio i diritti delle minoranze, delle donne, rapite a migliaia per essere vendute. Per mettere fine a tutto questo abbiamo fatto appello fin da subito alle Nazioni Unite con la richiesta esplicita di fermare i Paesi che appoggiano gli uomini di Abu Bakr al-Baghdadi, compresi ovviamente quelli occidentali. Se non sarà così rischiamo di ritrovarceli anche in Europa.
QUALI SONO IN QUESTO MOMENTO I RAPPORTI TRA VOI E I KURDI IRACHENI?
Quando parliamo di politica e di idee il tema cambia. Nell’universo kurdo ci sono partiti comunisti, partiti liberali, partiti socialdemocratici. In Kurdistan ci sono più di cinquanta partiti, tanto per rendere l’idea. Però in questo momento non possiamo discutere e scontrarci su questo terreno. C’è una priorità: come possiamo difendere i civili kurdi dagli attacchi dell’Isis e anche le altre minoranze religiose con le quali i kurdi hanno sempre convissuto pacificamente. Per questo, come ho già detto prima, nel Sud del Kurdistan tutte le forze kurde stanno operando insieme. Partiti kurdi iraniani, turchi, siriani più il governo regionale del Kurdistan iracheno. Ed impedire loro di conquistare le zone ricche di petrolio, un altro loro obiettivo che permetterebbe al califfato di vivere tranquillamente. Come i Paesi del Golfo per intenderci.
PROPRIO QUESTA VOSTRA PLURALITÀ SPAVENTA L’ISIS…
Certo. Queste bande attaccano la nostra regione proprio per questa ragione: perché vogliamo creare lì una democrazia con tutte le minoranze esistenti, siano esse religiose che etniche. Possiamo creare anche qui dei cantoni, come già successo in Siria, che tutelino assiri, turcomanni e tutte le altre minoranze. Collegati con la Federazione del Kurdistan in modo tale da poterli difendere più facilmente. Tutto questo anche considerando che non possiamo contare sul governo centrale iracheno dell’ex primo ministro Nuri al-Maliki si era subito tirato indietro e non aveva messo a disposizione il suo esercito. E anche il nuovo governo che si insedierà a settembre potrebbe fare la stessa scelta.
CHIEDETE UN SOSTEGNO INTERNAZIONALE PER QUESTO VOSTRO PROGETTO?
Certamente. Chiediamo che anche gli Stati Uniti lo sostengano per introdurre veramente la democrazia in Medio Oriente. Per esempio nel cantone di Cizîre ci sono tre lingue ufficiali, l’arabo, il kurdo e l’assiro. E questo perché lì vivono tre diverse etnie e dunque non possiamo imporre il kurdo. Il presidente del governo cantonale è un kurdo ed i vicepresidenti sono una donna cristiana assira e un uomo arabo. Anche la difesa è gestita insieme. Tutto è incentrato sulla necessità di vivere insieme. E questo sistema può essere esteso anche in tutte quelle aree che sono fuori dalla Federazione del Kurdistan.
CHE COSA PENSATE DELL’OPPOSIZIONE DI RIFONDAZIONE COMUNISTA E DI SEL ALL’INVIO DI ARMI AI KURDI? E’ UN PUNTO DELICATO CHE FA DISCUTERE…
Secondo alcune leggi internazionali non si possono consegnare direttamente delle armi al governo regionale del Kurdistan o a dei movimenti. Legalmente non si può fare. Ci deve essere un’autorizzazione del governo centrale iracheno. Il governo di Maliki si era opposto giuridicamente alla possibilità che il governo kurdo autonomo potesse ricevere armamenti attraverso dei contratti che aveva già stipulato. E questo vale sicuramente fino al 10 settembre quando si insedierà il nuovo governo iracheno che non sappiamo ancora come si muoverà su questo terreno. Per quanto ci riguarda noi abbiamo sempre detto che in Medio Oriente la difesa resta un punto importante. E quando ci troviamo di fronte una forza con Isis non possiamo non interrogarci sul fatto che le armi che maneggiano sono occidentali. Armi americane, italiane, francesi. E quando hanno tentato l’attacco alla diga di Mosul tutti hanno potuto vedere che non erano in possesso di armamenti convenzionali. E chi glieli ha dati? Con questo non vogliamo dire che gli Usa hanno fornito attrezzatura bellica ad Isis. Ma all’esercito iracheno sì. Ovvero l’esercito di un Paese tutt’altro che stabilizzato. E’ facile capire quindi come siano arrivate in mano a loro. Per tornare alla domanda noi fin dal primo giorno abbiamo chiesto di non inviare armi ma aiuti umanitari. Appoggiateci politicamente perché conoscete l’autonomia democratica di Rojava, e sostenete il progetto che prima avevo descritto per collegare tra loro le varie regioni kurde. Detto questo è necessario che gli Stati Uniti, l’Europa, le Nazioni Unite, facciano pressione perché nessuno più sostenga l’Isis. Insomma, togliamo armi ad Isis. Se si agisce in questo modo altre armi non servono. E anche adesso pensiamo la stessa cosa.
PARLIAMO UN MOMENTO DEL PKK, CHE, PARADOSSALMENTE, SI TROVA ANCORA IN UNA LISTA NERA COMPOSTA DA ORGANIZZAZIONI TERRORISTICHE STILATA DAGLI STATI UNITI CON IL SOSTEGNO IN QUESTO CASO DELLA TURCHIA. ED È DI QUESTI GIORNI IL FATTO CHE LA PROCURA DI MILANO HA NEL MIRINO UNA QUARANTINA DI KURDI CHE VIVONO IN ITALIA ACCUSATI DI TERRORISMO. COME SI ESCE DA QUESTO SCENARIO PARADOSSALE?
Quella lista che conosciamo è tutta politica, senza alcuna valenza giuridica. Realizzata dopo l’11 settembre dagli Usa, vi hanno trovato posto in realtà tutti i movimenti che combattono per la libertà dei propri popoli. Successivamente l’Unione Europea l’ha fatta sua senza neanche discuterla. Il Pkk dal canto suo non ha mai agito con finalità terroristiche. Ha sempre lottato contro il fascismo, contro il sistema oligarchico turco per avere riconosciuti i nostri diritti, Come sapete nel Kurdistan turco vivono più di 25 milioni di persone di etnia kurda. Tutte queste persone ancora non hanno diritto a parlare la loro lingua o ad insegnarla. Negli ultimi anni, grazie alla lotta del Pkk, le cose sono in parte cambiate, e ci sono state delle trattative tra il governo turco e l’Unione Europea, finalizzate all’ingresso di Ankara in Europa, che hanno affrontato questo problema. Ma la questione nel suo complesso è ancora ben lungi dall’essere risolta completamente. Sono in corso dei negoziati tra Ankara e il Pkk. Potrebbe esserci il primo settembre un invito del presidente Ocalan rivolto a tutti i militanti del suo partito ad uscire dalla Turchia. E da parte turca ci potrebbero essere nuove leggi favorevoli ai kurdi. Tornando invece al nostro ruolo ho letto invece sui giornali che a Sengal sono stati gli americani a salvare la vita a tutte quelle persone. Ma questo non corrisponde alla realtà: è stato il Pkk a mettere in salvo migliaia di uomini, donne e bambini. Anche qui, da Rojava, è stato creato grazie ai guerriglieri di Ocalan un corridoio di circa 70-80 chilometri. Questo lo sanno bene anche gli americani e l’Unione Europea e la stessa Turchia lo sa. Con lo scenario di oggi quella lista “nera” è dunque ancor meno significativa. Tra l’altra il Pkk combatte in questo momento prevalentemente per ragioni umanitarie. Questo stato di cose sta influenzando positivamente l’opinione pubblica internazionale – politici, intellettuali, accademici – i quali sostengono che definire questo partito terrorista mentre combatte per salvare in quell’area l’umanità sia un grosso errore. Chi invece sostiene ancora questo ha evidentemente determinati progetti nella zona che dobbiamo studiare molto bene. E dovremmo capire anche che idee hanno per risolvere la questione kurda. Sarebbe interessante. L’indagine della procura di Milano, aperta tre anni fa, che dovrebbe dare luogo ad una causa contro i kurdi per ragioni di terrorismo, diventa così una cosa incredibile. Da un lato le Commissioni Difesa ed Esteri di Camera e Senato discutono se inviare armi ai kurdi. Dall’altro la magistratura sospetta che gli stessi soggetti sostengano il terrorismo. Chiamiamo a questo punto a testimoniare anche il primo ministro italiano, che, secondo la proprietà transitiva, potrebbe essere accusato di sostenere il terrorismo anche lui. Si tratta di un paradosso che le autorità italiane devono risolvere. Altrimenti siamo nel ridicolo.

AMERICA CENTRO-MERIDIONALE
BOLIVIA
Tre italiani coinvolti in un grave incidente stradale
Tre italiani risultano coinvolti in un grave incidente stradale su un autobus in Bolivia in cui ci sono stati almeno nove morti, per lo più turisti stranieri. Secondo quanto dichiarato dal comandante della polizia di Challapata all’agenzia boliviana Abi, gli italiani coinvolti sono F.C. (53 anni), L.L. (30) e F.T. (50), elencati tra i feriti. Le notizie sono però ancora tutte da verificare. Il bus coinvolto nel grave incidente stradale in BoliviaIl bus coinvolto nel grave incidente stradale in Bolivia
Secondo quanto si è appreso nelle Marche, infatti, a restare vittima dell’incidente sarebbe Lorenzo Licciardi, turista di 30 anni di Marina di Montemarciano. Lavorava come idraulico a Senigallia. Viveva coi genitori a Marina, ma al rientro dalla vacanza, che sognava da tempo, sarebbe andato a stare da solo. Ieri notte, i carabinieri hanno avvertito la famiglia.
Il bilancio delle vittime potrebbe dunque salire. La Farnesina sta svolgendo le verifiche del caso. I feriti, secondo l’Abi, sono ad esempio almeno 24, alcuni dei quali gravi. Il comandante locale di polizia, Gonzalo Carrasco, ha precisato che l’incidente è avvenuto fra Potosì e Oruro, sulla strada Panamericana, in direzione della capitale boliviana La Paz, a circa 35 km dalla località di Challapata. Il pullman era affittato all’impresa Trans Turismo Omar. Il conducente boliviano è fra i 9 morti. Fra le nazionalità delle persone coinvolte citate dalla polizia boliviana, oltre ai tre italiani, si parla di tedeschi, svizzeri, brasiliani, canadesi, australiani, peruviani e boliviani. Le salme, scrive l’Abi, sono state portate all’ospedale San Juan de Dios di Challapata.

COLOMBIA
CARTAGENA DE INDIAS
Cartagena de Indias, in Colombia, celebrerà tra settembre e ottobre il genio costruttivo degli Antonelli, una dinastia di ingegneri e architetti militari originari di un piccolo paese della Romagna, Gatteo. Gli ingegneri militari di Romagna saranno ricordati con una mostra che metterà in luce il loro quasi centenario lavoro. La notizia viene riportata sul sito degli emiliano romagnoli nel Mondo.
Messisi al servizio della corona di Spagna, gli Antonelli realizzarono nell’arco di novant’anni, tra il 1559 e il 1649, fortificazioni in Spagna, nel nord Africa e nei Caraibi, di cui diverse riconosciute dall’Unesco "patrimonio dell’Umanità".
Gli Antonelli rappresentano pertanto un patrimonio culturale italiano unico al mondo, anche se poco conosciuto. Furono senz’altro i più grandi architetti militari dei Caraibi durante i regni di Filippo II, Filippo III e Filippo IV. Purtroppo, il ripetersi degli stessi nomi e cognomi per un secolo e per tre generazioni, ha favorito la confusione tra un personaggio e l’altro, rendendo difficile il chiarimento delle relazioni di parentela e la datazione delle loro opere. Sembra certo che il primo Antonelli a calpestare il suolo americano fu Battista (il fratello minore di Giovanni Battista) il 25 marzo 1582, quando arrivò a Rio de Janeiro per raggiungere da lì, senza riuscirci, lo stretto di Magellano, dove avrebbe dovuto costruire due forti progettati da un altro ingegnere italiano, Tiburzio Spannocchi.
Agli Antonelli gli storici hanno anche assegnato la paternità dei tracciati regolari e ortogonali delle città ispanoamericane, ad esempio attribuendo a Giovanni Battista Antonelli il piano urbano a scacchiera della città di Santiago de los Caballeros de Guatemala, fondata nel 1543 nella valle de El Panchoy, oggi conosciuta come Antigua. Anche la pianta urbana di Santo Domingo è opera degli Antonelli.
Cartagena, chiamata "la perla dei Caraibi", il centro storico, anch’esso patrimonio Unesco, conserva le tracce del passato coloniale. Una delle bellezze della città è la muraglia, la fortificazione che circonda la parte antica, progettata e costruita dagli Antonelli. Si tratta del muro di cinta con i baluardi di Santa Catalina, San Lucas e San Felipe, opera di Battista Antonelli, Cristoforo Roda Antonelli e Gian Battista Antonelli il Giovane. La prima pietra della fortificazione fu posta l’8 settembre 1614, esattamente 400 anni fa. (aise)

MESSICO
Un altro sì alle nozze gay
"Il i settembre il parlamento dello stato di Coahuila, nel nord del paese, ha approvato con diciannove voti a favore e uno contrario alcune riforme al codice civile che danno alle coppie omosessuali il diritto di sposarsi e di adottare dei bambini", scrive il quotidiano El Universal. In Messico le leggi sulle unioni tra persone dello stesso sesso sono di competenza statale, per questo ogni stato ha regole differenti. Nel 2009 il Distretto federale di Città del Messico aveva autorizzato i matrimoni gay, legali anche nello stato meridionale di Quintana Roo, dove il codice civile non specifica il genere di chi può sposarsi.

CUBA
RESTRIZIONI ALLA DOGANA / "Dal 1 settembre sono entrate in vigore le nuove misure doganali volute dal governo di Raùl Castro", scrive El Nuevo Herald. Le restrizioni limiteranno la quantità di beni e prodotti che i viaggiatori potranno far entrare nell’isola, con l’obiettivo di ridurre le importazioni illegali e proteggere il mercato nazionale. Aumenterà invece il prezzo da pagare per le merci spedite dall’estero. Scrive i4ymedio, il giornale online diretto dalla dissidente Yoani Sànchez: "Le nuove misure sono state criticate anche dalla stampa ufficiale, perché non affrontano il vero problema, cioè la scarsità di alcuni generi alimentari, dei prodotti per l’igiene personale e degli elettrodomestici, e il loro costo elevato nei negozi statali".

ARGENTINA
II 28 agosto il paese è stato paralizzato da uno sciopero generale indetto da tre sindacati per chiedere aumenti salariali.

CILE
La presidente Michelle Bachelet ha stanziato il 1 settembre 500 milioni di dollari per rilanciare l’economia del paese.. Le difficoltà sono dovute al calo del prezzo del rame, il principale prodotto d’esportazione.

AMERICA SETTENTRIONALE
MISSURI
FERGUSON, CONTINUANO LE MANIFESTAZIONI CONTRO L’UCCISIONE, TRE SETTIMANE FA, DI MICHAEL BROWNE / MIGLIAIA IN PIAZZA FERGUSON, NEL MISSOURI, IERI, A TRE SETTIMANE DALL’UCCISIONE DEL TEENAGER DI COLORE MICHAEL BROWN DA PARTE DI UN AGENTE DELLA POLIZIA. Fabrizio salvatori
Con striscioni e cartelloni, la folla ha manifestato e ricordato il ragazzo, invitando allo stesso tempo a scendere in piazza anche oggi bloccando la strada statale circostante a St Louis.
”Voglio l’autostrada chiusa, lo so e’ e’ un giorno di festa ma non sara’ un buon giorno di festa”, ha detto rivolgendosi alla folla uno degli organizzatori della manifestazione. L’invito e’ stato accolto con applausi. Dopo i funerali di Michael, che si sono svolti una settimana fa, le mobilitazioni hanno continuato ad attraversare i viali del sobborgo di St. Louis. Anche perché le indagini in corso rischiano andare per le lunghe. Uno dei punti reclamati dai cittadini è che di uno dei giudici che hanno in mano l’inchiesta è in palese conflitto di interessi rispetto al rapporto con la comunità nera e non darebbe sufficienti garanzie di equanimità. Intanto, cinque persone arrestate durante le manifestazioni di protesta a Ferguson nei giorni scorsi, hanno fatto causa alla polizia chiedendo un risarcimento danni pari a 40 milioni di dollari. Nella denuncia i quattro accusano la polizia di "uno sfrenato ed eccessivo uso della forza" trattando cittadini Usa "come combattenti di guerra". Le accuse sono contro gli agenti di Ferguson e della contea di St. Louis, nel Missouri, accusati di aver usato forza non necessaria e di arresti ingiustificati durante le proteste per l’uccisione del 18enne nero. La denuncia fa i nomi del capo della Polizia di Ferguson, Thomas Jackson, di St. Louis, Jon Belmar, l’agente Justin Cosma e diversi altri poliziotti, il Comune e la contea.
NYC
SALARIO MINIMO, RIPRENDE NEGLI USA LA LOTTA DEI FAST FOOD / Ieri è stato il giorno del Labour Day, la festa del lavoro, negli Usa. E il presidente Obama è tornato a sollevare il tema dell’aumento del salario minimo a 10,10 dollari l’ora, spiegando che questo servira’ a rafforzare la ripresa economica e la condizione di milioni di lavoratori americani: "Non sto chiedendo la luna, ma voglio un buon accordo per i lavoratori americani", ha sottolineato Obama.
Dopodomani i dipendenti dei fast food incrociano di nuovo le braccia per chiedere proprio l’aumento del salario minimo. L’obiettivo, però, e’ quello di ottenere 15 dollari l’ora. E questa volta non si trattera’ di un semplice sciopero. I dipendenti delle principali catene come MacDonald’s, Burger King, Wendy’s e Kfc, al grido di ‘Fight For 15′ (lotta per i 15 dollari) sono disposti anche alla disobbedienza civile, seppur non violenta, pur di attirare l’attenzione sul problema. La giornata di mobilitazione nazionale e’ programmata per il 4 settembre e interessera’ oltre cento citta’ degli Stati Uniti. "Giovedi’ – ha detto Terrence Wise, dipendente di Burger King – saremo pronti a farci arrestare per dimostrare il nostro impegno nella lotta per conquistare i 15 dollari".
Negli Stati Uniti, i lavoratori manifestano da due anni per avere un salario di almeno 15 dollari all’ora. Molte catene di fast-food e gli operatori in franchising hanno più volte dichiarato che la paga di 15 dollari all’ora è irrealistica e spazzerebbe via i profitti di molti ristoranti.
Molti datori di lavoro hanno minimizzato la portata dello sciopero, affermando che solo un piccolo gruppo di lavoratori ha partecipato alla precedente protesta, con un impatto molto basso sull’attività. Diverso il resoconto degli attivisti, secondo cui la protesta di maggio interessò i ristoranti di 150 città in tutti gli Stati Uniti, molti dei quali costretti a chiudere per alcune ore, che coinvolse anche una trentina di Paesi di tutto il mondo. Alla loro protesta potrebbero unirsi, giovedì, migliaia di
assistenti domestici. Autore: fabrizio salvatori
STATI UNITI
GIUSTÌZIA TRENT’ANNI DOPO
Il 2 settembre due uomini condannati nel 1983 per l’omicidio e lo stupro di una bambina di undici anni a Red Springs, in North Carolina, sono stati scagionati grazie al test del dna e immediatamente scarcerati. "Henry Lee McCollum e Leon Brown, due fratellastri con problemi mentali, avevano confessato l’omicidio ed erano stati condannati rispettivamente alla pena di morte e all’ergastolo", spiega il Washington Post. Subito dopo avevano ritrattato le confessioni, dichiarando che erano state estorte con la forza.
STATIUNITI
LA NUOVA BATTAGLIA DEI NERI
The Nation, Stati Uniti / A cinquant’anni dall’approvazione del Civil rights act, la legge contro la segregazione razziale, negli Stati Uniti sta nascendo un nuovo movimento che denuncia gli abusi delle autorità nei confronti degli afroamericani e chiede il rispetto dei loro diritti, scrive The Nation. "Le migliaia di persone che durante l’estate sono scese in strada a Ferguson, in Missouri, non chiedevano solo giustizia per Michael Brown, il ragazzo nero ucciso da un poliziotto bianco il 9 agosto. La loro rabbia nasceva anche dalla consapevolezza che negli Stati Uniti sempre più persone accettano e giustificano la violenza commessa dallo stato sui giovani afroamericani. Secondo un sondaggio condotto dal Pew research center durante le rivolte di Ferguson, l’8o per cento degli afroamericani crede che l’omicidio di Michael Brown sia il sintomo di problemi legati alla questione razziale, rispetto al 37 per cento dei bianchi. "Per questo in tutto il paese stanno nascendo organizzazioni formate da giovani neri che denunciano i problemi degli afroamericani oggi: carcerazioni di massa, disuguaglianze nell’accesso all’istruzione, al lavoro e al voto"
STATI UNITI
UNA LEGGE PERICOLOSA / Il 31 agosto un giudice federale della Louisiana ha bloccato l’entrata in vigore di una legge approvata a maggio che, secondo alcune organizzazioni, potrebbe limitare il diritto delle donne ad abortire. "La legge", spiega il Times-Picayune, "prevede che i medici che vogliono praticare gli aborti debbano ottenere delle licenze presso ospedali situati entro trenta chilometri dalla loro clinica. Secondo alcuni attivisti, il provvedimento potrebbe causare la chiusura di almeno tre delle cinque cliniche che praticano aborti nello stato, perché la decisione di concedere 0 meno la licenza sarebbe totalmente arbitraria. Il 29 agosto il tribunale federale di Austin, in Texas, ha bocciato un provvedimento simile. Il New York Times spiega che negli ultimi anni molti stati del sud governati da politici repubblicani – tra cui Louisiana, Utah, Texas, Alabama e Mississippi – hanno approvato leggi che in modi diversi limitano il diritto all’aborto.
STATI UNITI
II 2 settembre l’azienda petrolifera statunitense Halliburton ha accettato di pagare 1,1 miliardi di dollari per le sue responsabilità nel disastro del 2010 nel golfo del Messico.

(FONTE: NYC Time, Time, Guardian, The Irish Times, Das Magazin, Der Spiegel, Folha de Sào Paulo, Clarin, Sunday Express, Lesotho , Nuovo Paese, L’Unità, Internazionale, Il Manifesto, Liberazione, Ansa , AGVNoveColonne, ControLaCrisi e Le Monde)

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