11281 “IL PIL NON MISURA LA VITA”

20140823 17:31:00 red-emi

“ IL PROBLEMA NON E’ CALCOLARE DROGA E PROSTITUZIONE, MA LA POITICA ECONOMICA CHE INSEGUE L’AUMENTO DI PRODUTTIVITA’ A TUTTI I COSTI”
Tra le alternative, l’indice di sviluppo umano, il Bes o il Quars. E poi c’è anche il Fil: «Felicità Interna Lorda»
Intervista. Rondinella di Sbilanciamoci, “ ESISTONO MOLTI ALTRI INDICATORI”

Ha creato un vespaio di polemiche l’introduzione dell’economia illegale composta da droga, prostituzione, alcool e contrabbando nel calcolo del Prodotto interno lordo (Pil). Il governo ha posticipato la pubblicazione della nota di aggiornamento del Def al primo ottobre in attesa di contabilizzare a settembre un incremento del Pil di circa il 2% (32 miliardi di euro).
«Nel Pil è già compreso il calcolo dell’economia sommersa, cioè dei proventi dalle attività legali che si svolgono in nero – afferma Tommaso Rondinella, ricercatore e collaboratore della Campagna «Sbilanciamoci» – L’idea di includere l’economia illegale risale ad una decisione 1 europea del 1995 ed esclude alcu-. ne parti che non derivano da uno scambio di beni e servizi come l’estorsione, la corruzione e l’usura. Verrà calcolato anche il valore dei sistemi d’arma. Da spese intermedie della difesa verranno considerati come investimenti e andranno a sommarsi al Pil. Lo stesso accadrà per gli investimenti per la ricerca e lo sviluppo».

IL TRAFFICO DELLA DROGA, LO SFRUTTAMENTO DELLA PROSTITUZIONE O IL CONTRABBANDO NON SONO IL PRODOTTO DI REATI?
Il problema esiste e nasce quando noi usiamo il Pil come misura del benessere. Invece il Pil misura la quantità di beni e servizi scambiati in Italia durante l’anno. Dal punto di vista economico che io venda arance o cocaina non c’è differenza. È giusto porre un’obiezione dal punto di vista legale, ma questo diventa un terreno scivoloso se si paragona la nostra situazione a quella olandese dove le droghe leggere sono legali oppure alla Germania dove la prostituzione è un’attività riconosciuta in quanto produce reddito e per questo viene calcolata nel Pil. L’altro problema è quello etico: si dice che queste attività non dovrebbero essere contemplate dal Pil. Ma il Pil contiene già l’economia sommersa come il caporalato nei campi di pomodoro pugliesi, un’attività sommersa fondata sullo sfruttamento della manodopera in assenza di contratti e diritti. In più il Pil cresce grazie alle attività inquinanti che producono un danno per la società. Il nostro problema non è chiedersi se sia giusto includere le attività illegali nel Pil, ma se sia giusto reputare il Pil un indicatore di benessere del nostro paese e se sia giusto che la politica si ponga l’obiettivo di massimizzare la crescita.

LA POLITICA POTREBBE ESSERE INCENTIVATA A NON CONTRASTARE QUESTI REATI PER AUMENTARE LA CRESCITA CHE RESTERÀ A LUNGO «ANEMICA»?
In passato attività come il danno ambientale non sono state contrastate proprio per sostenere il Pil. La promozione della crescita economica a tutti i costi ha portato a distruggere interi ecosistemi. Ma quando andremo a misurare le attività illegali, i cittadini saranno in grado di controllare la politica in base alla sua capacità di contrastare il traffico di droga. Sarà difficile per un politico vantarsi di un aumento del Pil ottenuto grazie all’economia illegale.

QUESTO SIGNIFICA CHE NELLA MISURAZIONE DELLA RICCHEZZA NON CONTA PIÙ LO STATUS GIURIDICO O PROFESSIONALE DI CHI PRODUCE MA SOLO IL VALORE DELLA RICCHEZZA PRODOTTA?
È proprio questo che si vuole misurare e credo che sia giusto farlo nella sua completezza, poi restano i problemi giuridici ed etici. Il traffico di droga o lo sfruttamento della prostituzione non smetteranno di esistere solo perché sono stati inseriti nel Pil. Si discuterà di eventuali legalizzazioni affinché queste attività siano controllate e producano gettito per l’erario. Ma parliamo di problemi culturali complessi molto più rilevanti della semplice componente economica.

DA TEMPO SI DISCUTE DI INDICATORI ALTERNATIVI. QUALI SONO I PRINCIPALI E COME FUNZIONANO?
L’idea per cui il Pil non sia sufficiente per misurare il benessere e lo sviluppo è nota da decenni. Esistono moltissimi indicatori come l’indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite, il Benessere equo sostenibile (Bes) adottato dall’Istat e dal Cnel o l’Indice di Qualità dello Sviluppo Regionale (Quars) di Sbilanciamoci. Sono costituiti da una serie di indicatori che misurano la salute, l’istruzione, l’ambiente, le relazioni sociali, lo sviluppo di un territorio e cercano di guardare alla complessità di un fenomeno come il benessere, anziché ridurlo ad un problema economico. Queste misure dovrebbero diventare il fine ultimo della politica invece della massimizzazione della produzione.

ERA L’OBIETTIVO DELLA COMMISSIONE STIGLITZ VOLUTA NEL 2008 DA SARKOZY. LE SUE RACCOMANDAZIONI VERRANNO MAI APPLICATE?
Nella statistica lo sono state e da parte di Eurostat le si vuole adottare. Chi si occupa di politiche ambientali o di politiche sociali conosce questi temi. Chi si occupa di sostenibilità del debito come i ministeri dell’ economia in Europa probabilmente meno. Gran parte delle politiche neoliberiste hanno considerato solo l’aumento del Pil e non l’aumento del benessere dei cittadini. ( da Il Manifesto 23 08 2014 di Roberto Ciccarelli)

CONSIDERZIONI
PIL
QUANDO LA RICCHEZZA NON È SOLO QUELLA DEGLI ECONOMISTI (di Mario Pietro)
La più famosa requisitoria contro il Prodotto Interno Lordo (Pil) è stata commissionata dall’allora presidente francese Nicolas Sarkozy agli economisti Joseph Stiglitz (nella foto), Amartya Sen e Jeffli-Paul Fitoussi nel 2009. L’omonima commissione ad alto tasso di partecipazione di premi Nobel (cinque) era composta da 22 collaboratori (per l’Italia c’era Enrico Giovannini, ex presidente Istat e ex ministro del lavoro).
Le 300 pagine del rapporto liberamente scaricatole in rete (wvvw.stiglitz-sen-fitoussi.fr/en/
index.htm) si concludono con dodici raccomandazioni che riguardano IL BENESSERE MATERIALE E QUELLO NON MATERIALE.
La commissione non propose un indice alternativo al Pil, ma la razionalizzazione di una serie indicatori utili per la messa a punto di statistiche in grado di descrivere la multidimensionalità del benessere sociale. Evidenziò la necessità di stimolare ì redditi e i consumi, non la produzione. I governanti vengono esortati a considerare che il benessere dipende anche da attività che non producono scambi di mercato e che ì servizi offerti dal Welfare non possono essere misurati esclusivamente a partire dai loro costi, bensì dall’impatto che hanno sulla vita dei singoli.
Nella vita materiale delle persone conta la qualità del «tempo libero», e non solo quello del lavoro.
Parte considerevole di questa visione viene occupata dalle relazioni sociali, dalla politica e dalla vulnerabilità dei singoli.
Fattori determinanti che finiscono con il pesare anche sulla condizione economica di una popolazione.
Benessere e Pil non sono la stessa cosa Ne era consapevole già Simon Kuznets, l’«inventore» americano del Pil nella Grande Depressione, secondo a quale «il benessere non può essere desunto da un indice del reddito nazionale». Il Pil è una misura sintetica, comprensibile e tacitamente comparabile a livello interazionale che resta tuttavia sempre uguale a se stessa. E invece il benessere a cambiare seguendo la trasformazione dei contesti sociali e la variabilità delle condizioni economiche Ciò che era «buono» nel 1970 non è detto che lo sia nel 2014, ad
esempio. La definizione del «benessere» di una popolazione e il risultato di una decisione politica che sceglie di perseguire l’obiettivo della massimizzazione della crescita, e dunque di un modello produttivo altamente dispendioso di risorse bio-economiche o ambientali. Quello che sta accadendo oggi, al sesto anno della crisi globale, dove si continua a perseguire un modello incentrato sull’espansione edilizia, le energie fossili o lo sfruttamento di
lavoro precario o gratuito.
Innumerevoli sono gli indici alternativi Oltre al Bes dell’Istat/Cnel, o l’Indice di sviluppo umano ispirato alle idee di Amartya Sen, c e quello sulla «Felicità Interna Lorda» adottato dal re del Bhutan. L’Ocse ha lanciato il «Your Better Life Index». Insomma, la ricchezza è un problema troppo grande per lasciarlo ai soli politici o economisti.

 

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