11254 31. NOTIZIE dall’ITALIA e dal MONDO 2 agosto 2014

20140801 21:48:00 red-emi

ITALIA – Non ne azzecca una / TASSE sulle copie private, FRANCESCHINI nel mirino. "Ha tentato una sortita, che ha finito solo per aggravare la sua posizione".
CAMERA, IL TAGLIO AGLI STIPENDI NON CI SARÀ: troppi i benefit dei dipendenti Il progetto di ridurre gli stipendi già in crisi: FERIE, INDENNITÀ E TFR RENDONO GLI SFORZI NULLI / l’Unità chiude. Il cdr:" continueremo a combattere guardandoci dal fuoco amico.
VATICANO – Papa rinuncia a governo circoscrizione ecclesiastica in Brasile
ONU – Lettera aperta all’Onu di cento tra premi Nobel e personalità. / Ipocrisia dei governi EUROPEI e USA. Nessuno vuole davvero fermare Israele.
EUROPA – "Repubblica ha fatto uno scoop. Ha scoperto il Ttip". Intervento di Luciana Castellina
AFRICA & MEDIO ORIENTE – GAZA / Amnesty: l’esercito israeliano compie crimini di guerra / Nell’invasione della Striscia di Gaza l’esercito israeliano commette crimini di guerra. È la denuncia di Amnesty International in un report pubblicato il 23 luglio dove si legge che le forze israeliane hanno mostrato «flagrante disprezzo per le vite umane e le proprietà personali».
ASIA & PACIFICO – L’AUSTRALIA / Cancella la carbontax . Il senato ha votato un sistema che della tassa sulle emissioni di c02 promessa dal premier abbott in campagna elettorale. Ora manca una misura per contrastare l’inquinamento
AMERICA CENTROMERIDIONALE – Venezuela, Maduro acclamato presidente del psuv.
Nicolas Maduro è stato eletto presidente del partito socialista unito del Venezuela (psuv), al suo iii congresso fino a giovedì.
AMERICA SETTENTRIONALE – FLORIDA / II 20 luglio un tribunale della Florida ha condannato l’azienda R.J. Reynolds Tobacco Company

ITALIA
ROMA
NON NE AZZECCA UNA / TASSE SULLE COPIE PRIVATE, FRANCESCHINI NEL MIRINO
"Ha tentato una sortita, che ha finito solo per aggravare la sua posizione". E’ uno dei commenti più benevoli tra quelli che in queste ore si leggono su Internet a proposito dell’ultima sortita di Dario Franceschini. Un mese fa il ministro dei Beni e delle attività culturali era finito nel mirino dei consumatori dopo aver dato il via libera alla revisione dei compensi sulle copie private relative alle opere dell’ingegno. Con un decreto ministeriale aveva ritoccato verso l’alto i compensi applicati a spese dei fabbricanti e degli importatori di memorie di massa, quindi pc, smartphone, tablet e computer. Il plauso da parte del mondo del cinema e della musica era stato immediato, ma diametralmente opposte erano state le reazioni dei consumatori.
IL NODO DEI RIALZI
Nell’occasione Franceschini aveva affermato di aver dovuto dar seguito a una Direttiva europea, assicurando in ogni caso che la misura non avrebbe impatto sul prezzo finale di questi beni.
Una giustificazione da subito contestata in Rete secondo il principio che i costi a monte tendono (non sempre, ma spesso) a scaricarsi a valle della filiera, quindi sugli acquirenti finali. Eppure Elio Catania, Presidente di Confindustria digitale, all’indomani della firma del decreto, si era detto convinto che,
data l’entità degli aumenti (fino al doppio rispetto alle precedenti tariffe, l’industria non avrebbe potuto che ribaltare il costo sui clienti italiani.
Il ritocco verso l’alto dei prezzi di listino è stato quasi immediato e la cosa è apparsa subito evidente per i beni più costosi, come computer e hard disk. In particolare ha fatto notizia la decisione della Apple, che ha deciso di alzare il prezzo dei suoi dispositivi di una somma analoga al sovrapprezzo che deve sopportare dopo il Decreto Franceschini. La multinazionale americana lo indica chiaramente nei suoi store online, parlando esplicitamente di “tassa sul copyright.

ROMA
CAMERA, IL TAGLIO AGLI STIPENDI NON CI SARÀ: troppi i benefit dei dipendenti Il progetto di ridurre gli stipendi già in crisi: ferie, INDENNITÀ E TFR RENDONO GLI SFORZI NULLI / Niente taglio agli stipendi dei dipendenti in Parlamento: il piano di ridefinizione dei salari, la famosa spending review annunciata dal presidente della Camera Laura Boldrini all’indomani della sua elezioni allo scranno più alto di Montecitorio non potranno essere realizzati. E, se lo saranno, incideranno in misura quasi impalpabile sui conti pubblici.
In sostanza, le riduzioni agli innumerevoli benefit di cui godono i dipendenti di Montecitorio potranno arrivare al massimo a un 3% sul totale, abbassando i costi per il personale alla Camera da 238 a 231 milioni di euro. E’ quanto riferisce il settimanale l’Espresso, che prova a fare il punto sulle proposte di revisione degli stipendi nei sacri palazzi delle istituzioni.

Il faldone per ridurre le spese per gli organici interni è in mano a Marina Sereni, vicepresidente della Camera, che nei giorni scorsi ha avviato la girandola di incontri con i sindacati, al fine di riadattare il sistema di retribuzione dei lavoratori di Montecitorio, ritenuto ormai anche dagli addetti ai lavori fuori dalle logiche del tempo attuale ancora in balia della crisi
In realtà, però, quella avviata alla Camera sembra una lotta innanzitutto troppo blanda, che prevede una riduzione quasi invisibile nel bilancio annuale di gestione e, in secondo, che finisce per scontrarsi contro un sistema di agevolazioni, indennità e trattamenti di favore che appare assai difficile da abbattere.
Un esempio che il settimanale propone, è proprio quello delle indennità, che ricadono sotto molteplici voci, dalle contrattuali, alle meccanografiche, per arrivare a quelle legate all’immissione dati.
Un altro scoglio non da poco, quindi, è quello delle ferie, che i lavoratori della Camera maturerebbero in misura assai più rapida e sostanziosa rispetto ai lavoratori normali. L’unica soluzione per ovviare a questo problema, sembra quella di proporre dei pensionamenti anticipati, accantonando, così, le giornate di risposo residue al termine della carriera professionale.
Quanto questo piano finirà per convincere le nove sigle sindacali presenti alla Camera è ancora tutto da vedere, anche perché restano non poche spine da eliminare, prima di un taglio che, se portato a termine, si annuncia comunque “mignon”. Tra tutte, il Tfr, che andrebbe liquidato ai lavoratori in scadenza, tra cui sono presenti anche cifre superiori al milione di euro per singolo lavoratore.
INSOMMA, PER PARTORIRE IL TOPOLINO, LA MONTAGNA DA SCALARE SEMBRA DAVVERO TROPPO ALTA

ROMA
L’UNITÀ CHIUDE. IL CDR:" CONTINUEREMO A COMBATTERE GUARDANDOCI DAL FUOCO AMICO". Autore: fabrizio salvatori
Dal primo agosto L’Unità sospende le pubblicazioni: per la terza volta nella sua storia – e a 90 anni esatti dalla sua nascita – lo storico quotidiano fondato da Antonio Gramsci lascia le edicole. Gli azionisti della Nie in liquidazione non hanno trovato l’intesa su nessuna delle ipotesi sul tavolo. "Dopo tre mesi di lotta, ci sono riusciti: hanno ucciso L’Unità", e’ l’affondo del cdr. Lo strappo traumatico di oggi e’ il culmine di una crisi gia’ evidente a inizio anno, aggravatasi negli ultimi tre mesi durante i quali gli 80 giornalisti e lavoratori non hanno percepito lo stipendio. Per restare in edicola ad agosto e settembre si stima che sarebbero serviti 1,8 milioni. "I lavoratori agiranno in tutte le sedi per difendere i propri diritti", annuncia il cdr. "Oggi e’ un giorno di lutto per la comunita’ dell’Unità, per i militanti delle feste, per i nostri lettori, per la democrazia. Noi continueremo a combattere guardandoci anche dal fuoco amico". Accanto ai giornalisti la Fnsi, che auspica tutti gli sforzi possibili "per tentare il ritorno in edicola" e la Cgil, che con Susanna Camusso e gli ex segretari Cofferati, Epifani e Pizzinato chiede al Pd di mettere in campo "tutta la sua autorevolezza e il suo peso".
Il 13 luglio 2000 il quotidiano e’ in liquidazione e dopo un tentativo di salvataggio, non riuscito, da parte dell’editore Alessandro Dalai (Baldini & Castoldi), il 28 luglio 2000 cessa le pubblicazioni. Nel gennaio 2001 un gruppo di imprenditori coordinati da Dalai si organizza come Nuova Iniziativa Editoriale, rileva la testata e l’Unità torna in edicola il 28 marzo 2001. Il 20 maggio 2008 Marialina Marcucci, presidente di Nuova Iniziativa Editoriale, annuncia che la testata e’ stata acquistata dal sardo Renato Soru, allora presidente della Regione Sardegna e patron di Tiscali. L’11 giugno 2014, anno in cui la testata festeggia i suoi 90 anni con la pubblicazione fra gli altri, dei supplementi andati presto esauriti, dedicati a Enrico Berlinguer, la proprieta’ ha annunciato la messa in liquidazione la casa editrice del quotidiano

VATICANO
PAPA RINUNCIA A GOVERNO CIRCOSCRIZIONE ECCLESIASTICA IN BRASILE
Città del Vaticano (Vaticano), 21 lug. (LaPresse) – Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Eparchia di Nossa Senhora do Paraíso em São Paulo (Brasile), presentata da S.E. Mons. Farès Maakaroun, M.S.P., in conformità al can. 210 º 1 del CCEO. Gli subentra nel governo pastorale dell’Eparchia S.E. Mons. Joseph Gébara, finora Coadiutore della stessa circoscrizione ecclesiastica. Lo comunica il bollettino del radiogiornale di Radio Vaticana.
S.E. Mons. Joseph Gebara è nato ad Amatour (Chouf) il 10 giugno 1965. Dopo gli studi istituzionali ha conseguito una licenza in filosofia all’Istituto Teologico Saint Paul di Harissa (1995) ed un master in teologia all’Institut Catholique di Parigi (1998), un diploma di studi approfonditi (DEA) in patristica (2000) ed un dottorato in storia delle religioni ed antropologia religiosa (2003) all’Università Sorbonne di Parigi.
È stato ordinato sacerdote per l’Arcieparchia di Beirut e Jbeil dei Greco-Melkiti il 10 luglio 1993. Dopo aver svolto il servizio pastorale nella chiesa Saint Elie di Dekwaneh (1993-1995), durante gli studi di specializzazione a Parigi ha collaborato nelle parrocchie di Saint-Julien-le-Pauvre (1996-1998) e Notre-Dame des Champs a Montparnasse (1998-2003). Ritornato in Libano nel 2003, è stato nominato parroco della chiesa Notre-Dame de la Délivrance di Hadath. E’ stato Decano della III circoscrizione dell’Arcieparchia di Beirut (2006-2011).
È stato docente in varie Istituzioni accademiche (Istituto Teologico Saint Paul di Harissa, Università Saint Joseph di Beirut, Università Saint Esprit di Kaslik, Università Antonina" di Baabda, Direttore dell’Istituto di studi islamo-cristiani dell’Università Saint Joseph). Nominato Vescovo Coadiutore dell’Eparchia di il 31 ottobre 2013, è stato consacrato il 21 dicembre successivo. Parla l’arabo e il francese e conosce le lingue classiche

ONU
LETTERA APERTA ALL’ONU DI CENTO TRA PREMI NOBEL E PERSONALITÀ: "Embargo militare totale a Israele"
Quasi 100 artisti e personalità di tutto il mondo, anche italiani, hanno pubblicato una lettera aperta per esigere che l’ONU e i governi del mondo impongano “un embargo militare totale e giuridicamente vincolante verso Israele, simile a quello imposto al Sud Africa durante l’apartheid”.
La lettera porta la firma dei Premi Nobel Desmond Tutu, Mairead Maguire, Jody Williams and Rigoberta Menchú.
Tra le firme italiane Ascanio Celestini, il deputato Giulio Marcon e Luisa Morgantini, già vice presidente del Parlamento europeo. I firmatari affermano che la “ capacità di Israele di lanciare impunemente attacchi così devastanti”, come quelli in corso contro la popolazione palestinese a Gaza, “deriva in gran parte dalla vasta cooperazione militare e dalla compravendita internazionale di armi che Israele intrattiene con governi complici di tutto il mondo”. A darne notizia è il sito www.bdsitalia.com. #stoparmingisrael (appello in lingua inglese).
Tra gli altri, hanno firmato: Noam Chomsky, Roger Waters dei Pink Floyd, Caryl Churchill, rapper dei Boots Riley, João Antonio Felicio, presidente del Trade Union Confederation, Zwelinzima Vavi, segretario generale della Confederation of South African Trade Unions.
MONDO
IPOCRISIA DEI GOVERNI EUROPEI E USA. NESSUNO VUOLE DAVVERO FERMARE ISRAELE
GAZA sotto attacco.
L’IPOCRISIA DEI GOVERNI EUROPEI E DELL’AMMINISTRAZIONE AMERICANA / LA STRISCIA DI GAZA È MARTIRIZZATA DA TREDICI ANNI, DALL’INIZIO DELLA SECONDA INTIFADA. PERIODICAMENTE ISRAELE, IN RISPOSTA AI LANCI DI RAZZI, AL RAPIMENTO DI UN SOLDATO O ALL’UCCISIONE DI GIOVANI COLONI, SCATENA OFFENSIVE (DAI NOMI FANTASIOSI O TRUCI, COME “ARCOBALENO” O “PIOMBO FUSO” ECC.) DAL CIELO, DAL MARE E A TERRA. Fonte: Il Manifesto | Autore: Alessandro Dal Lago
Dall’inizio del millennio, sono morti circa 6.400 palestinesi e poco più di 1000 israeliani, senza dimenticare le centinaia di palestinesi vittime della guerra civile tra Hamas e Anp. Ogni volta, gli strateghi israeliani giurano che il conflitto in corso sarà l’ultimo, ma chiunque nel mondo sa che si tratta di una favola. Anche se la striscia di Gaza – una fascia costiera abitata da una popolazione pari a quella della Liguria, ma con una superficie quindici volte più piccola – fosse completamente ridotta in macerie, qualche razzo potrebbe essere ancora sparato e quindi il conflitto riprenderebbe…
Per comprendere il senso di una guerra apparente­mente infinita, basta confrontare le carte della Palestina nel 1946 e oggi. Se allora gli insediamenti dei coloni ebrei erano una manciata, soprattutto nel nord, oggi è esattamente il contrario: una spruzzata di insediamenti palestinesi circondati da Israele e dai suoi coloni, con la striscia di Gaza isolata a sud-ovest. Non ci vuole molta fantasia per comprendere che la strategia di Israele, in nome di una sicurezza assoluta di cui non potrà mai godere, è quella di cacciare più palestinesi possibile, con le infiltrazioni dei coloni in Cisgiordania e con le azioni militari a Gaza.
Rapporti pubblicati da Human Rights Watch, agenzie Onu e Amnesty International mostrano ormai, senza possibilità di dubbio, che lo sradicamento dei palestinesi è perseguito con l’espulsione dalla terre coltivabili, l’interruzione periodica dell’energia elettrica e il blocco delle risorse idriche. D’altronde che l’esercito considerato il più “professionale” al mondo rada al suolo scuole gestite dall’Onu e uccida soprattutto civili la dice lunga sulla vera strategia di Israele verso i palestinesi.
Mai come oggi, i palestinesi di Gaza sono stati così soli. Hamas non gode della protezione dell’Egitto, a come ai tempi di Morsi, né della simpatia dei sauditi e di quasi tutti gli stati arabi. Né riceve vera solidarietà da parte di Abu Mazen. E, ovviamente, in quanto organizzazione ufficial­mente definita “terrorista”, è avversata da Stati Uniti ed Europa. Ma tutto questo non spiega, né tanto meno giustifica, il silenzio ipo­crita dei governi occidentali e tanto meno della cosiddetta opinione pubblica indipendente sulle stragi di Gaza.
Lasciamo stare il nostro Presidente del consiglio e l’ineffabile ministro Mogherini, la cui ascesa spiega perfettamente il ruolo trascurabile della politica estera nella cultura governativa italiana. Ma che dire dell’incredibile squilibrio politico e morale nella valutazione ufficiale del conflitto?
Basti pensare che un B.-H. Lévy, l’eroe della fasulla rivoluzione libica e il mestatore di Siria, da noi passa come un profeta della pace e della giustizia. Che centinaia o migliaia di imbecilli, in Europa o altrove, trasformino il conflitto tra palestinesi e stato d’Israele in una crociata antisemita non può essere usato come un alibi per chiudere gli occhi davanti alle stragi di bambini e di civili. In questo quadro, la palma dell’ipocrisia va al governo americano, e in particolare a Obama, che pure aveva illuso il mondo all’inizio del suo primo mandato.
La banale verità è che la differenza tra democratici e repubblicani in materia di Palestina è di stile. Brutalmente filo-israeliani quelli della banda Bush, preoccupati un po’ più delle forme della repressione gli obamiani, come dimostrano i famosi fuori-onda di Kerry.
Ma nessuno ha veramente intenzione di fermare Israele, oggi o mai. La solitudine dei palestinesi è la vergogna del mondo, dell’occidente come dei padroni del petrolio. Per non par­lare di un’Europa inetta e imbelle.

EUROPA
EU/USA
"Repubblica ha fatto uno scoop. Ha scoperto il Ttip". Intervento di Luciana Castellina
Repubblica ha fatto uno scoop: ci ha avvertito, il 21 luglio, con un articolo di Federico Rampini pubblicato in prima pagina, che l’Europa è minacciata da un oggetto misterioso, il Ttip, di cui nessuno sa niente e invece occorre occuparsene. Il nome non è nemmeno un nuovo acronimo difficile da capire, ma una sigla leggibilissima: Transatlantic Trade and Investment Partnership. Ma sembra che nessuno ne avesse sentito parlare prima. In qualche modo Rampini ha ragione a lanciare da New York l’allarme: di questo Trattato, che pure è la cosa più grave di cui si sta occupando la Commissione Ue da oltre un anno, la stampa italiana non aveva mai fino ad ora parlato. E, quel che è più singolare, neppure un accenno vi aveva fatto uno qualsiasi dei nostri giovani ministri, per non dire del primo fra loro, sebbene a Bruxelles vada ormai ogni due giorni e sembra sia lì il domino del dibattito politico europeo. Peccato che ministri e direttori di giornale, per non dire di Tv, leggano così poco. Peccato non leggano il nostro giornale e non facciano attenzione a quanto dicono le minoranze che stanno all’opposizione: Repubblica avrebbe evitato di far passare per una rivelazione un argomento su cui da mesi e mesi continuiamo a fornire notizie dettagliate: sul Trattato, sui segreti che ne accompagnano la negoziazione, sul procedere della sua elaborazione, sull’estrema gravità delle sue conseguenze. Quanto al governo, si capisce: è così preoccupato di andare in fretta che non può accorgersi di quello che pure sta sulla sua strada. Purtroppo anche con lo scoop di Repubblica di chiarezza se ne è fatta poca. Gli ostacoli alla liberalizzazione degli scambi che il Ttip dovrebbe rimuovere non solo non sono tariffari (ormai liquidati da tempo), e neppure solo causati dalla difformità dei regolamenti. Si tratta di ben altro: di eliminare larga parte dei diritti acquisiti dai lavoratori e delle protezioni ambientali notoriamente in Europa molto più ampi che negli Stati uniti, con ciò dando l’ennesimo colpo al modello sociale europeo che pure avrebbe dovuto rappresentare la ragion d’essere della costruzione comunitaria se non si voleva si trattasse solo di un pezzo come un altro del mercato globale. Così, oltretutto, lanciando un’ipoteca pesante sul futuro, giacché ogni eventuale ulteriore conquista normativa in campo sociale o ecologico potrebbe essere denunciata dagli investitori d’oltreoceano come una illegittima sottrazione alle loro aspettative di profitto; e per questo da rimborsare. A deciderne non un tribunale, ma un foro privato di avvocati. Altrettanto ignorato, in Italia, fu il precedente tentativo operato per raggiungere questo risultato alla fine degli anni ’90. Si trattava, allora, dell’Ami (Accordo multilaterale sugli investimenti) e doveva esser concordato in seno all’Ocse. Fallì, per fortuna, grazie ad una larghissima mobilitazione, quella chiamata «la prima guerriglia on line». Anche di questa pagina di storia, difficile trovare anche solo una riga sulla stampa “che conta”, o un’eco nelle riflessioni dei nostri governi. Che dire? Leggete Sbilanciamoci – il primo speciale «Sbilanciamo l’Europa», del 24 gennaio, era dedicato proprio al Ttip — e, naturalmente, il manifesto
EU
MILANO,LONDRA, PARIGI,
TEL AVIV: PROSEGUONO LE MOBILITAZIONI CONTRO LA MATTANZA ISRAELIANA
Mentre le notizie che arrivano dalla Striscia di Gaza parlano di una tregua sempre più precaria nel mondo vanno avanti le proteste contro la mattanza israeliana. INTERNAZIONALE | Autore: Fabrizio Salvatori
Ieri a Parigi (26luglio), nonostante il divieto della prefettura, diverse migliaia di persone hanno partecipato a una manifestazione filo-palestinese. Nello stesso tempo, migliaia di persone hanno sfilato pacificamente alle manifestazioni autorizzate di Lione, Marsiglia, Lille o Tolosa, come ogni fine settimana, dal ‘inizio dell’offensiva israeliana a Gaza, circa venti giorni fa’.
Nel tentativo di fermare la protesta di Parigi, è sceso in campo addirittura il ministro dell’Interno, Bernard Cazeneuve, che ha lanciato un appello agli organizzatori affinche’ rinunciassero all’iniziativa, avvertendoli che sarebbe stati ”responsabili di eventuali derive (…) e passibili di sanzioni penali”. Ma intorno alle 17, almeno cinquemila persone si sono riunite sul luogo della manifestazione vietata, a place de la Republique, dove sono rimaste statiche, evitando accuratamente di sfilare formando un corteo. Partita nella calma, la protesta e’ poi degenerata quando la polizia in tenuta antisommossa ha lanciato gas lacrimogeni aprofittando del lancio di alcuni oggetti da parte di alcuni manifestanti. Prima degli incidenti, almeno una quarantina d persone erano state bloccate dalla polizia. Tra queste, una ventina sono poste in stato di fermo. ”Israele fuori dalla Palestina: e’ finito il tempo delle colonie”. ”Israele assassino, Hollande complice”, ”Siamo tutti palestinesi”, alcuni degli slogan scanditi a Parigi. Anche a Londra si e’ svolta una manifestazione pro-palestinese: circa 10 mila persone – secondo fonti della polizia – sono scese pacificamente in piazza per chiedere "la fine del massacro a Gaza". I manifestanti si sono radunati davanti all’ambasciata d’Israele, nel quartiere di Kensington, per poi sfilare verso la piazza del Parlamento e Downing Street, scandendo slogan come "Vergogna Cameron", "Israele Stato terrorista".
Tremila israliani sono scesi in strada, poi, a Tel Aviv per protestare contro l’offensiva in corso a Gaza da 19 giorni. L’appuntamento e’ stato a piazza Rabin, dal nome dell’ex premier e Nobel per la Pace che siglo’ gli accordo di Oslo nel 1993 e venne assassinato da un’estremista israeliano. Infine, proteste dei giovani musulmani anche a Milano. “Non devi essere musulmano per essere con Gaza, devi essere umano": in tanti hanno accolto l’invito dei Giovani Musulmani d’Italia a manifestare a sostegno della Palestina. Il corteo, aperto dallo striscione "Stop genocidio in Palestina", e’ partito da Porta Venezia ed e’ arrivato in Piazza Cordusio. Tra i partecipanti, egiziani e marocchini, ma anche i palestinesi di Milano e molti italiani. "Hanno partecipato molti italiani e questo ci fa piacere anche perche’ – dice Mazen Hussein, tra gli organizzatori del corteo – abbiamo voluto che il nostro corteo si svolgesse interamente in italiano, senza messaggi in arabo, perche’ il nostro messaggio arrivasse a tutti". Anche per questo, tra le parole d’ordine della manifestazione, Mazen ha inserito quello ‘Stay Human’, ‘Restiamo umani’, con cui l’attivista Vittorio Arrigoni siglava le sue corrispondenze da Gaza durante l’operazione Piombo Fuso.

FRANCIA
SCONTRI IN PIAZZA
Dall’inizio dell’operazione militare israeliana nella striscia di Gaza, diverse manifestazioni si sono svolte in Francia, dove vivono le più grandi comunità musulmana ed ebraica d’Europa. Nella maggior parte dei casi non ci sono stati incidenti. A Parigi, invece, ci sono stati scontri e sono stati scanditi slogan antisemiti. Per questo le autorità hanno vietato (fatto rarissimo) la manifestazione del 19 luglio, che però si è svolta lo stesso e si è conclusa con 19 poliziotti feriti e 44 persone arrestate. Altri scontri si sono verificati a Sarcelles. Le violenze, scrive Le Monde, sono "la conseguenza della posizione del governo, considerata troppo appiattita su quella di Israele" e "della percezione che l’esecutivo abbia voluto impedire a uno dei due campi di esprimersi".

BELGIO
UNA COALIZIONE INEDITA
Il 22 luglio, quasi due mesi dopo il voto, il re Filippo ha incaricato Charles Michel, capo dei liberali francofoni (Mr), e il cristiano- democratico fiammingo Kris Peeters di formare un governo federale. L’esecutivo dovrebbe comprendere anche i liberali e i separatisti fiamminghi (N-Va). Una coalizione medita, bollata come "kamikaze" dai giornali francofoni, secondo i quali l’alleanza con l’N-Va, che punta a spaccare il paese, sarà mal digerita dai valloni, racconta Le Soir. I quattro partiti possono contare su 85 dei 150 seggi del parlamento federale, ma rappresenta solo il 25 per cento dell’elettorato francofono. Per questo qualcuno evoca già l’ingresso nella coalizione dei cristiano democratici francofoni.

GERMANIA
UNA MANOVRA DELLA STAMPA.
Il 17 febbraio 2012 Christian WulfF si è dimesso da presidente della repubblica federale tedesca in seguito alle accuse di aver ricevuto favori da amici imprenditori quando governava il land della Bassa Sassonia. Due anni dopo il politico cristianodemocratico è stato assolto e successivamente ha pubblicato un libro sulla vicenda in cui non risparmia critiche al sistema giudiziario e al mondo dell’informazione, compreso Der Spiegel, che lo ha intervistato. Wulff, scrive il settimanale, sostiene che la richiesta di revoca dell’immunità fatta dalla magistratura, l’atto che nel 2012 lo spinse alle dimissioni, "si basava su una ricostruzione del tabloid Bild, come ha confermato il tribunale". L’ex presidente si sente "vittima di una campagna stampa orchestrata per motivi diversi da quelli dichiarati in pubblico. Non andavo più bene ad alcuni potenti mezzi d’informazione per la mia apertura all’islam o per le critiche alle banche e alla chiesa cattolica". E oggi, anche dopo l’assoluzione, l’immagine che l’opinione pubblica ha di Wulff "resta quella costruita dai giornalisti". Una forma di "imbarbarimento che non dovrebbe più ripetersi in Germania". Der Spiegel, Germania

UNGHERIA
IL MONUMENTO RIFIUTATO
Nonostante mesi di proteste, nella notte del 20 luglio in piazza della Libertà a Budapest è stato collocato il monumento alle vittime dell’invasione nazista dell’Ungheria , voluto in particolare dal premier Viktor Orbàn. Chi contesta il monumento sostiene che si tratta di un modo per cancellare le responsabilità dei collaborazionisti ungheresi nell’olocausto. "Questo falso monumento è stato eretto nel cuore della notte, di nascosto e in tutta fretta, solo grazie alla protezione della polizia", scrive su Heti Vilàg- gazdasàg il filosofo Gaspar Miklós Tamàs. "Il messaggio che manda è il seguente: quello che è successo non è colpa degli ungheresi, ma riguarda esclusivamente gli stranieri, cioè gli ebrei e i tedeschi. In questo modo si dimentica del tutto che allora gli ungheresi furono i lacchè dei nazisti

REGNO UNITO
II 23 luglio a Glasgow si sono aperti i ventesimi giochi del Commonwealth. La manifestazione, a cui partecipe-ranno oltre 4.500 atleti da 71 tra nazioni e territori del Commonwealth, si chiuderà il 3 agosto. Russia II 23 luglio il presidente Vladimir Putin ha promulgato una legge che consente la costruzione di casinò e sale per il gioco d’azzardo in Crimea, la regione ucraina annessa alla

RUSSIA
II 23 luglio il presidente Vladimir Putin ha promulgato una legge che consente la costruzione di casinò e sale per il gioco d’azzardo in Crimea, la regione ucraina annessa alla Russia in marzo durante il conflitto con Kiev

MEDIO ORIENTE & AFRICA
GAZA
Amnesty: l’esercito israeliano compie crimini di guerra / Nell’invasione della Striscia di Gaza l’esercito israeliano commette crimini di guerra. È la denuncia di Amnesty International in un report pubblicato il 23 luglio dove si legge che le forze israeliane hanno mostrato «flagrante disprezzo per le vite umane e le proprietà personali». «Entrambe le parti, che hanno ripetutamente e impunemente violato il diritto internazionale, devono essere chiamate a rispondere delle loro azioni e il primo passo in questa direzione è un’indagine internazionale disposta dall’Onu», ha aggiunto Philip Luther, responsabile dell’area Mediterraneo e Medio oriente.
In riferimento poi ai raid contro i civili non preceduti da avvertimenti, Amnesty segnala un attacco dello scorso 10 luglio, contro il campo rifugiati di Khan Younis che ha ucciso 8 persone della famiglia di Mahmoud Lufti al-Haji e ferito 20 vicini. Non è stato preceduto da avviso. Per Amnesty questi raid sono crimini di guerra e una punizione collettiva, anche se nell’abitazione si fosse trovato un membro di un gruppo armato palestinese.
Gli attacchi israeliani causano anche enormi danni alle infrastrutture idriche e sanitarie nella Striscia. Tre operai sono stati uccisi mentre cercavano di effettuare una riparazione e in molte zone le ostilità hanno reso pericoloso continuare i lavori. Dall’inizio del conflitto, almeno 84 scuole e almeno 13 strutture sanitarie sono state costrette a chiudere. Il 17 luglio il centro di riabilitazione al-Wafa di Shujaiyyeh è stato colpito per la seconda volta e distrutto, dopo che il personale era stato costretto a evacuare tutti i pazienti. ( INTERNAZIONALE Fonte: Il Manifesto | Autore: Giuseppe Acconcia)

TURCHIA
Le ambizioni di Erdogan
Il 10 agosto in Turchia si terranno le prime elezioni presidenziali a suffragio universale. E molto probabilmente a vincerle sarà il primo ministro Recep Tayyip Erdogan , che potrebbe sconfiggere già al primo turno il candidato dell’opposizione, Ekmeleddin ihsanoglu. Secondo il sito indipendente T24, "Erdogan ha sicuramente compiuto passi importanti verso la democrazia e lo stato di diritto, e ha riportato l’esercito sotto l’autorità politica civile, avvicinandolo alla democrazia. Il problema è che si è fermato lì". Secondo T24, il primo ministro ha alimentato grandi speranze anche per l’autonomia dell’università, per poi deludere tutte le aspettative. Il punto è che "Erdogan non concepisce l’idea della separazione dei poteri e vuole mettere i giudici sotto il controllo dell’esecutivo". Il risultato è che "la tutela della società, in passato esercitata da un’oligarchia civile e militare, è passata di mano. Ma il sistema resta lo stesso. Siamo solo entrati in un’era di dittatura civile".

MALI
CONSIGLIO SICUREZZA ONU: BENE ROADMAP PACE,COLLOQUI DA 17 agosto
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite accoglie con favore la roadmap per i negoziati tra il governo e i separatisti in Mali, seguita al cessate il fuoco firmato il 23 maggio, chiedendo a entrambi di impegnarsi nei colloqui di pace dal 17 agosto. I negoziati tra il governo di Bamako e i separatisti tuareg ad Algeri hanno l’obiettivo di riportare stabilità nel nord del Mali, caduto sotto il controllo degli estremisti legati ad al-Qaeda nel 2012. Un intervento guidato dalla Francia lo scorso anno ha inferto un duro colpo ai separatisti. Il Consiglio di sicurezza ha ribadito la sua forte preoccupazione per la fragile situazione della sicurezza nel nord, in una dichiarazione diffusa ieri. Vi ha invitato le parti a "rispettare immediatamente e pienamente il cessate il fuoco".

ASIA & PACIFICO
L’AUSTRALIA
CANCELLA LA CARBONTAX . Il senato ha votato un sistema che della tassa sulle emissioni di c02 promessa dal premier abbott in campagna elettorale. Ora manca una misura per contrastare l’inquinamento
11 17 luglio il senato australiano ha votato l’abolizione della carbon tax, la tassa sulle emissioni di C02, lasciando il paese senza una politica contro il cambiamento climatico. Negli ultimi otto anni il dibattito sul clima ha monopolizzato tre campagne elettorali e fatto cadere tre primi ministri e due leader dell’opposizione, eppure si è tornati al punto in cui si era prima del 2007, quando il candidato premier conservatore John Howard promise a malincuore che se fosse stato eletto avrebbe introdotto un sistema di scambio delle quote di emissione dei gas serra. Il mercato delle quote di emissione è uno strumento efficace per affrontare il riscaldamento globale. È vero, ci sono altri modi per ridurre le emissioni, da un regolamento più vincolante a incentivi governativi mirati e rigorosi. Ma è altrettanto vero che la Direct action premia chi riduce spontaneamente le emissioni ma che non pone limiti all’inquinamento da gas serra – avrà un costo molto superiore rispetto al mercato delle quote e permetterà di ottenere risultati inferiori. Inoltre saranno i contribuenti, e non le aziende inquinanti, a pagarne il prezzo.Tony Abbott ha vinto le elezioni promettendo di cancellare la carbon tax, ma davvero gli australiani vogliono rimanere senza una politica sul clima? Il voto del senato ha cancellato otto anni di lavoro di migliaia di persone, e la responsabilità è di molti. Nel 2009 il Partito laburista concepì il suo schema di scambio di emissioni pensando di farlo passare in parlamento con i voti della Coalizione, che unisce le forze conservatrici, invece che con quelli dei Verdi. Quando poi Malcolm Turnbull, al tempo leader della Coalizione oggi guidata da Abbott, fu sfiduciato e la proposta dei laburisti bocciata, il partito non ebbe il coraggio di sciogliere le camere. La settimana scorsa il leader laburista Bill Shorten, che guida l’opposizione, si è detto dispiaciuto per quanto accaduto allora, senza però ammettere un’altra colpa del suo partito, cioè aver trascurato il dibattito sul clima così a lungo. Anche i Verdi devono avere la loro buona dose di rimorsi. Nel 2009 bocciarono la proposta laburista perché "ufficializzava" l’obiettivo, per loro inadeguato, di ridurre le emissioni del 5 per cento. Cinque anni dopo scoprono che l’obiettivo è ancora lo stesso ma il paese non ha più un progetto in grado di raggiungerlo. Per quanto riguarda la Coalizione, chi al suo interno teme il riscaldamento globale deve riflettere sul fatto che la campagna contro la tassa sulle emissioni ha cancellato alcuni elementi che avrebbero potuto rendere più credibile la Direct action.
I LIMITI DELLA NUOVA POLITICA
Comunque vadano le cose, la Direct action I avrà vita breve. Anche se dovesse produrre buoni risultati per qualche anno, infatti, i suoi costi diventeranno proibitivi non appena all’Australia sarà chiesta un’ulteriore riduzione delle emissioni. Probabilmente l’ultima parola spetta agli "anarchici ecocomunisti" del tesoro federale, i cui commenti inclusi nel libro bianco preparato nel 2010 in vista di una vittoria della Coalizione sono stati resi pubblici di recente. Il tesoro ha de- I scritto il mercato delle emissioni come "l’unico metodo realistico per ottenere la sensibile riduzione delle emissioni che è stata richiesta. Lo scambio di quote può ri- I durre le emissioni a un costo per tonnellata inferiore a qualsiasi altro metodo. Inoltre, molte misure previste dalla Direct action non possono essere ampliate, e le altre comporterebbero un aumento del costo della riduzione che graverebbe sui contribuenti. Per questo è necessario realizzare al più presto un meccanismo di scambio delle quote di emissione. Si è già perso troppo I tempo, e la comunità australiana ne paghe- I rà il prezzo". Sono passati quattro anni, e si I continua a perdere tempo, mentre il prezzo da pagare è alle stelle. Lenore Taylor, The Guardian, Regno Unito.

GIAPPONE
DIRITTO ALL’INFORMAZIONE
Un gruppo di 43 giornalisti a freelance giapponesi ha fatto causa j contro la legge che tutela il segreto di stato, firmata nel dicembre 2013 dal primo ministro Shinzò Abe. La legge dà diritto ai vertici amministrativi di limitare al pubblico, e quindi alla stampa, l’accesso ad alcune informazioni ritenute riservate. Secondo i giornalisti che hanno portato l’accusa davanti alla corte distrettuale di Tokyo, la legge e incostituzionale perché viola il diritto dei cittadini all’informazione e la libertà di ricerca. L’accusa ha sottolineato che la legge minaccia l’informazione indipendente, proprio in un momento in cui 1 giapponesi si fidano meno dei mezzi d’informazione tradizionali. Inoltre, hanno aggiunto i giornalisti, la trasparenza dell’attività della pubblica amministrazione potrebbe essere intaccata. La prossima udienza, dove sarà chiamato in causa anche il primo ministro, e fissata per metà settembre

INDONESIA
UN PRESIDENTE NUOVO
Il 22 luglio la commissione elettorale indonesiana ha annunciato la vittoria di Joko Widodo, noto come Jokowi, alle elezioni presidenziali. Jokowi, che ha presentato come candidato alla vicepresidenza Jusuf Kalla, ha ottenuto il 53,1 per cento dei voti, contro il 46,8 per cento dello sfidante, l’ex generale dell’esercito Prabowo Subianto. Come anticipato poche ore prima dell’annuncio dei risultati, Subianto ha dichiarato che farà ricorso alla corte costituzionale per brogli. "Il paese dovrebbe unirsi dietro Jokowi e lottare contro ogni tentativo di dividere la popolazione", scrive il Jakarta Globe. "Subianto avrebbe dovuto essere ricordato per il suo riscatto da reietto dell’esercito a leader del terzo partito del paese e candidato presidente. Invece passerà alla storia come un candidato sconfitto, sprezzante fino alla fine". La vittoria dell’ex governatore di Giacarta, diverso dai leader che hanno guidato l’Indonesia dall’indipendenza, senza legami con i militari né con la vecchia classe dirigente, è "un terremoto politico", commenta Asia Sentinel. "Prima di tutto Jokowi, una figura così insolita nel panorama politico asiatico da sembrare esotica, dovrà costruire una squadra in grado di combattere l’evasione fiscale, risanare un sistema giudiziario fazioso e riformare la polizia di stato e l’ufficio del procuratore generale, le istituzioni più corrotte del paese
CINA
LAVORARE DA MORIRE
Negli ultimi dieci anni, nella città-fabbrica di Dongguan, nella provincia di Guangzhou, il numero di lavoratori che muoiono nel sonno senza aver prima manifestato problemi di salute o riportato ferite è aumentato. Dal 2001, scrive il Guangzhou Shibao, i decessi sono stati 893, quasi il triplo rispetto ai 231 degli anni novanta. La sindrome della morte per troppo lavoro è diffusa in tutto il sudest asiatico. La morte è in genere provocata da un’improvvisa difficoltà respiratoria. Le vittime sono in gran parte operai dell’industria manifatturiera tra i 18 e i 40 anni. Tuttavia, spiegano le organizzazioni per la tutela dei lavoratori, chiedere risarcimenti, collegando la sindrome al lavoro eccessi vo, è molto difficile.
CINA
CARNE AVARIATA NEGI HAMBURGER
Il 23 luglio la polizia di Shanghai ha arrestato cinque dirigenti della Shanghai Husi Food, un’azienda alimentare di proprietà della statunitense Osi Group, per aver fornito carne avariata a diverse catene di fast food – McDonald’s, Burger King, Kfc, Pizza Hut e 7-Eleven – in Cina e in Giappone. La carne, già verde e maleodorante, veniva ri- processata, surgelata, mescolata a carne intatta e venduta con una nuova data di scadenza.

INDIA
II 23 luglio le sedute delle camere del parlamento sono state sospese per le proteste scatenate da alcuni deputati del partito indù Shiv Sena che avrebbero imboccato con la forza un musulmano a digiuno per il ramadan.

AFGHANISTAN
II 20 luglio la commissione elettorale ha sospeso il riconteggio dei voti del ballottaggio perché i due candidati alla presidenza non trovano un accordo sui termini della revisione delle schede.
TAIWAN
II 23 luglio un aereo della TransAsia Airways è caduto facendo 45 morti. India II 23 luglio le sedute delle camere del parlamento sono state sospese per le proteste sca¬tenate da alcuni deputati del partito indù Shiv Sena che avrebbero imboccato con la for¬za un musulmano a digiuno per il ramadan.
Afghanistan
II 20 luglio la commissione elettorale ha so¬speso il riconteggio dei voti del ballottaggio perché i due candi¬dati alla presidenza non trovano un accordo sui termini della re¬visione delle schede.
Taiwan II 23 luglio un aereo della TransAsia Airways è ca

AMERICA CENTRO-MERIDIONALE
NICARAGUA
ATTACCO AI SANDINISTI
Il 19 luglio cinque persone sono morte e altre 25 sono rimaste ferite in una serie di attacchi armati nel dipartimento di Matagalpa, nel nord del Nicaragua. Le vittime erano simpatizzanti sandinisti che avevano partecipato alle celebrazioni per il 350 anniversario della rivoluzione, a Managua. Secondo il quotidiano El Nuevo Diario, il 22 luglio la polizia ha arrestato sette persone sospettate di aver partecipato agli attacchi. Il Centro nicaraguense per i diritti umani sostiene che gli arresti sono illegali perché la procura non ha ancora formulato un’accusa. L’organizzazione farà ricorso al tribunale di Managua.

VENEZUELA
II 21 luglio è cominciato lo sgombero delle oltre quattromila persone che dal 2007 occupano la "torre di David", un grattacielo di 45 piani nel centro di Caracas.

PERÙ
II 23 luglio il presidente Ol- lanta Humala ha tolto a René Cornejo l’incarico di primo ministro. Il suo posto sarà preso dalla parlamentare Ana Jara.

VENEZUELA
Venezuela, maduro acclamato presidente del psuv.
Nicolas maduro è stato eletto presidente del partito socialista unito del venezuela (psuv), al suo iii congresso fino a giovedì. Di Geraldina Colotti
Oltre alla guida del paese, il capo di stato vene­zue­lano prende così anche quella del par­tito, fondato nel 2008 da Hugo Chavez e da lui diretto. Un voto «per acclamazione» che verrà formalizzato a fine congresso, il primo dopo la morte di Chavez (il 5 marzo del 2013). Da allora, è cominciato per Maduro un percorso tutto in salita: fin dalla notte del 14, quando è risultato vincitore con uno scarso margine di voti sul suo avversario Henrique Capriles, leader della coalizione Mesa de la unidad democratica (Mud). Capriles ha subito chiamato le destre alla rivolta, accusando Maduro di frode e pretendendo la riconta dei voti. Le violenze post-elettorali hanno tolto la vita a 11 chavisti, e innescato un lungo periodo di crisi.
Gli organismi internazionali e le istituzioni giuridiche venezuelane hanno poi confermato la legalità del voto. E gli elettori hanno ridato un’ampia maggioranza al governo Maduro durante le comunali del dicembre scorso. Rinfrancato dalle urne e dal sostegno di piazza, l’ex autista del metro ha così inaugurato il «governo di strada», chiamando i settori popolari a una costante gestione assembleare, e «la classe media» al dialogo e alla collaborazione. Destre, grandi imprese e correnti golpiste hanno però deciso di portare un affondo, prima di tutto sul terreno economico: deviando dalla filiera dei prezzi controllati tonnellate di prodotti, rivenduti poi ad altissimo costo al mercato nero, come hanno evidenziato i costanti sequestri effettuati dagli ispettori governativi.
E poi, i mesi di proteste violente, scatenate dall’opposizione oltranzista con la campagna «la salida»: ovvero la sua cacciata violenta dal governo. E ancora la rete destabilizzante ordita ai suoi danni, dentro e fuori il paese, i colpi bassi e il discredito tentato a livello internazionale, le denunce per violazione dei diritti umani, sempre finite nel nulla. E infine le critiche interne, arrivate anche da una voce qualificata come l’ex ministro di Pianificazione, Jorge Giordani: che lo ha accusato di non essere all’altezza del ruolo e di scivolare verso il moderatismo ascoltando le sirene di una certa finanza europea.
«Sono un uomo del popolo, non posso tradirne i principi», ha però ribattuto Maduro, da una parte invitando al dialogo, dall’altra tuonando contro «i dogmatici». E oggi riconferma la sua leadership, forte di alcuni successi e accordi conseguiti a livello internazionale: in primo luogo con la Russia e con la Cina, come è emerso durante il vertice dei Brics in Brasile. Oggi inizia a Caracas il summit del Mercosur, che discuterà la proposta di accordo commerciale con l’Unione europea. I presidenti socialisti dell’organismo regionale hanno presenziato al congresso: i più applauditi, insieme alla delegazione palestinese e a quella russa.
Al teatro Teresa Carreño, dove si riunisce il Psuv, è arrivato anche il console Hugo Carvajal, personaggio storico del chavismo, detenuto per qualche giorno sull’isola di Aruba (olandese) per via di un mandato di cattura emesso dagli Usa per narcotraffico e sostegno alla guerriglia marxista colombiana delle Farc. Maduro si era appellato alla convenzione di Vienna e aveva denunciato l’ambivalenza degli Stati uniti (primo acquirente del petrolio venezuelano) presso cui Caracas ha recentemente inviato nuovamente un incaricato d’affari.
«Da qui al 2019 l’agenda principale della Rivoluzione bolivariana sarà quella economica — ha detto Maduro al congresso — annunciando una Conferenza nazionale straordinaria per discutere, con invitati speciali a livello nazionale e internazionale, «il progetto economico-sociale della rivoluzione». Ha promesso di approfondire i programmi sociali, il «potere popolare costituente», le comuni e la formazione dei militanti. Una plenaria del congresso è stata dedicata a Chavez, nei sessant’anni della sua nascita, ricordata ieri anche dalle sinistre alternative di vari paesi europei.
In Italia, la neonata Rete di solidarietà con la rivoluzione socialista boliva­riana — che riunisce movimenti, migranti, giornalisti, pezzi di sinistra e singolarità, ha ricordato Chavez con murales e comunicati: con lui — scrive la Rete — il Venezuela dei diritti e della giustizia sociale, rivolta « a quelli a cui le classi dominanti riservano solo fatica e dolore» è diventato «una preziosa e concreta indicazione di rotta» anche «per queste nostre sponde, che attirano e inghiottono, mettendo gli ultimi contro i penultimi, secondo gli schemi del grande capi­tale internazionale

BRASILE
MEDIORIENTE, ROUSSEFF: A GAZA È IN CORSO UN MASSACRO.
"Penso che quanto sta accadendo nella Striscia di Gaza sia pericoloso. Non penso sia un genocidio, ma penso sia un massacro". Lo ha dichiarato in un editoriale sul sito web della Folha de Sao Paolo la presidente del Brasile, Dilma Rousseff, a proposito del conflitto oggi al 22esimo giorno da quando Israele ha lanciato l’offensiva Margine protettivo nel territorio palestinese. Oltre 1.100 i morti palestinesi, in gran parte civili tra cui 250 bambini, mentre Israele conta 56 vittime di cui 53 militari. La scorsa settimana il Brasile ha richiamato il suo ambasciatore da Israele, tra i primi Paesi a farlo.

ARGENTINA
ARGENTINA, CONFRONTO DIRETTO E SERRATO CON GLI HEDGE FUND PER TROVARE UN ACCORDO SUI BOND.
Sta andando avanti da ore la trattativa tra gli hedge fund e l’Argentina, attiva da ieri a New York. L’Argentina finora aveva rifiutato di avere un confronto diretto con gli hedge fund. A un giorno dalla scadenza, però,i contatti diretti sono gli unici strumenti possibili per evitare da una parte il default e, dall’altra, un impegno di spesa che ad occhio e croce rappresenterebbe venti volte l’intero ammontare delle riserve estere del paese sudamericano. La novità delle ultime ore è la discesa in campo delle banche argentine. Secondo le indiscrezioni riportate dal Wall Street Journal, gli istituti starebbero lavorando a un piano per acquistare le pretese legali sui bond degli hedge fund, che dovrebbero chiedere alla giustizia americana di sospendere temporaneamente la sentenza. La sospensione della sentenza permettere all’Argentina di ridurre notevolmente l’ammontare del debito potenziale.
La giustizia Usa ha stabilito che l’Argentina deve pagare chi ha aderito al concambio allo stesso tempo degli hedge fund. Il termine ultimo per il pagamento e’ oggi: nel caso in cui Buenos Aires non pagasse sarebbe default, e sarebbe il secondo in tredici anni.
Un altro piccolo aiuto potrebbe arrivare dai titolari dei bond argentini denominati in euro che hanno aderito al concambio che hanno chiesto al giudice Thomas Griesa di sospendere la sentenza ed evitare il default dell’Argentina. ”Un default cancellerebbe molto del lavoro che la corte ha fatto negli ultimi anni – scrive la stampa Usa – e prolungherebbe lo scontro legale per anni”. Un default avrebbe dall’impatto limitato, rassicura il direttore generale del Fondo Monetario Internazionale (Fmi), Christine Lagarde. ”Anche se un default e’ sempre spiacevole, non riteniamo che avrebbe un impatto forte su ampia scala” precisa Lagarde. L’andamento dei bond argentini indica che gli investitori non prevedono una catastrofe imminente ma – avvertono alcuni analisti – esistono rischi. ”La situazione debole dell’Argentina dal punto di vista di bilancio e monetario fa si’ che le chance che la situazione finisca fuori controllo abbastanza alte” afferma Marcos Buscaglia, analista di Bank of America.
Un default si tradurrebbe in richieste da parte dei titolari di bond per 29 miliardi di dollari, ovvero l’intero ammontare delle riserve estere dell’Argentina. Evitare il default e rispettare la sentenza americana implicherebbe invece, secondo Buenos Aires, pagamenti per 500 miliardi di dollari. Il giudice Thomas Griesa ha stabilito che l’Argentina per poter pagare chi ha aderito al concambio deve pagare allo stesso tempo gli hedge fund che non hanno accettato lo swap. Il rispetto della sentenza, confermata dalla Corte Suprema, farebbe scattare la clausola Rufo (Rights upon future options), ovvero la possibilita’ per chi ha accettato il concambio di chiedere rimborsi maggiori nel caso in cui l’Argentina pagasse di piu’ chi non ha accettato lo swap. Buenos Aires continua a chiedere a Griesa una sospensione della sentenza per non far scattare la clausola e concedere tempo alle trattative con gli hedge fund. Buenos Aires inoltre ritiene di non poter fare default perchè i fondi per il pagamento sono stati depositati e Griesa li ha bloccati: tecnicamente quindi, e’ la tesi dell’Argentina, i fondi per il pagamento ci sono ma sono altri a bloccarli. Griesa nelle ultime ore ha dato il via libera a Citigroup a pagare gli interessi sui titoli discount emessi in dollari con giurisdizione argentina, in parte nelle mani di di chi ha accettato il concambio. di: fabrizio salvatori

AMERICA SETTENTRIONALE
USA
DETROIT SCENDE IN PIAZZA
Il 21 luglio il comune di Detroit ha annunciato una sospensione di quindici giorni dei tagli alle forniture idriche che hanno lasciato senz’acqua migliaia di cittadini in ritardo con i pagamenti. Il Detroit Free Press spiega che la decisione delle autorità è arrivata dopo le proteste dei residenti. Il 18 luglio circa mille persone sono scese in piazza affermando che la fornitura dell’acqua è un diritto universale dell’uomo. Alcuni cittadini, sostenuti da attivisti e associazioni locali, hanno presentato una denuncia al giudice del tribunale fallimentare di Detroit, chiedendogli di ripristinare il servizio.
NYC
SENTENZA PERICOLOSA
"Milioni di cittadini con redditi bassi e medi che hanno sottoscritto un’assicurazione sanitaria con l’aiuto dei sussidi federali potrebbero ritrovarsi presto senza copertura", scrive il New York Times in un’editoriale. Il quotidiano commenta così la sentenza di una corte d’appello di Washington che ha dichiarato illegali i sussidi del governo concessi negli stati che non hanno creato un loro mercato per l’acquisto delle assicurazioni sanitarie. "La sentenza potrebbe colpire i cittadini in 36 stati", conclude il quotidiano.
TEXAS
L’AMBIZIONE DI RICK PERRY. Texas Monthly, Stati Uniti
"Il 20 gennaio del 2015 Rick Perry lascerà la carica di governatore del Texas", scrive il Texas Monthly nell’edizione di luglio. Il mensile statunitense fa un bilancio dei quattordici anni di Perry alla guida del Texas. "Il suo successore dovrà misurarsi con l’eredità pesante lasciata dal governatore : nel bene e nel male, Perry ha cambiato la società texana". Buona parte della sua popolarità è dovuta ai risultati economici: "L’economia del Texas andava già bene quando Perry è diventato governatore. Ma non è una coincidenza se il ‘Texas miracle’, la crescita che ha portato posti di lavoro e un aumento del pil, è avvenuta durante il suo mandato". Negli ultimi giorni Perry è stato al centro delle cronache nazionali. Dopo aver accusato il presidente Barack Obama di non fare abbastanza per gestire il flusso di migranti tra il Messico e il Texas, il 21 luglio ha ordinato il dispiegamento di altri mille agenti per controllare la frontiera. Secondo il New York Times, in questo modo Perry ha voluto lanciare un messaggio anche al suo partito, spaccato sulla questione dell’immigrazione, e fare un primo passo verso la candidatura repubblicana alle presidenziali del 2016.
CALIFORNIA
LA MORTE DEL DIRITTO
Il 17 luglio un giudice federale ha stabilito che la pena di morte in California è incostituzionale. Il Los Angeles Times spiega che il verdetto annulla la condanna a morte di Ernest Deway- ne Jones, colpevole di aver ucciso una donna. Secondo il giudice Cormac Carney, i detenuti condannati alla pena di morte in California sono destinati a "una vita in prigione, con una remota possibilità di morte", e i ritardi e le incertezze violano il divieto costituzionale di praticare punizioni crudeli e disumane. Se non sarà rovesciata dalla corte su-prema, la sentenza potrebbe mettere fine alla pena capitale in California. Dal 1978, quando i cittadini hanno votato per reintrodurre la pena di morte, sono state pronunciate novecento sentenza di morte ma solo 13 sono state eseguite. Non c’è stata nessuna esecuzione dal 2006, quando un giudice ha chiesto allo stato di rivedere le procedure per le iniezioni letali. Intanto il sostegno pubblico alla pena di morte è diminuito. "È ora di smetterla con questa farsa", scrive il Los Angeles Times. Secondo il giornale, il sistema attuale è un insulto: alle vittime, che contano sulla certezza della pena per mettere fine alle loro sofferenze; ai giurati, i cui verdetti sono invalidati dagli appelli e dalle lungaggini burocratiche; e ai cittadini, che spendono miliardi per tenere in piedi un sistema che non funziona.
FLORIDA
II 20 luglio un tribunale della Florida ha condannato l’azienda R.J. Reynolds Tobacco Company, produttrice delle sigarette Carnei, a pagare un risarcimento di 23 miliardi di dollari a Cynthia Robinson, una donna che aveva fatto causa all’azienda dopo che suo marito era morto di cancro ai polmoni.

(articoli da: NYC Time, Time, Guardian, The Irish Times, Das Magazin, Der Spiegel, Folha de Sào Paulo, Clarin, El Nuevo Diario, Nuovo Paese, L’Unità, Internazionale, Il Manifesto, Liberazione, Ansa , AGVNoveColonne, ControLaCrisi e Le Monde)

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