11788 Jeremy Corbyn

20150915 13:25:00 guglielmoz

1 – Corbyn, così cambierò la Gran Bretagna – di Jeremy Corbyn, da Repubblica, 14 settembre 2015
2 – Jeremy Corbyn britannico controcorrente . Da Londra, a lungo epicentro europeo dell’infezione reaganiano-thatcheriana, arriva un messaggio che rimette in moto l’intero quadro politico continentale
3 – Perché dobbiamo prendere la Corbynomics in seria considerazione Lord Skidelsky analizza le proposte economiche di Jeremy Corbyn, il nuovo segretario del partito laburista britannico. Le proposte di Corbyn non sono così radicali come i suoi avversari vogliono far credere
4 – Il leader di Unite: «I Tories non sconfiggeranno mai un movimento dei lavoratori unito». SINDACATI – UN RIAVVICINAMENTO STORICO. Contro legge anti sciopero nuova sintonia con le Union
5 – SVOLTA LABOUR – Jeremy e la fine dei morti viventi
6 – CORBYN SORVEGLIATO SPECIALE. Il nuovo segretario laburista muove i suoi primi passi sotto lo scrutinio maniacale, curioso, sprezzante dei media. Definito «un rischio per la sicurezza nazionale» dal premier Cameron, ha nominato un governo ombra «unificante, dinamico, inclusivo che per la prima volta presenta una maggioranza femminile»

1 – CORBYN, COSÌ CAMBIERÒ LA GRAN BRETAGNA – DI JEREMY CORBYN, DA REPUBBLICA, 14 SETTEMBRE 2015
L’elezione della leadership laburista è stata una straordinaria prova di democrazia popolare e di partecipazione pubblica dal basso, che ha dimostrato l’infondatezza dell’opinione prevalente al riguardo della politica. Abbiamo attirato il sostegno di centinaia di migliaia di persone di tutte le età, di ogni ambiente sociale, in tutto il Paese, ben oltre i ranghi degli attivisti di lunga data e di chi fa campagna. Chi può seriamente affermare, adesso, che i giovani si disinteressano di politica o che non c’è un intenso desiderio di un nuovo tipo di politica? Più di ogni altra cosa, ha dimostrato che milioni di persone vogliono un’alternativa reale, e non che le cose proseguano come al solito, sia dentro sia fuori dal Partito laburista.
La speranza di un cambiamento e di nuove grandi idee è tornata al centro della politica: porre fine all’austerità, affrontare e risolvere le disuguaglianze, lavorare per la pace e la giustizia sociale in patria e all’estero. Ecco i motivi per i quali oltre un secolo fa fu fondato il Labour. Questa elezione ha infuso nuovo vigore per il XXI secolo all’obiettivo che portò alla sua fondazione: un Partito laburista che dia voce al 99 per cento della popolazione.
I numeri del voto di sabato scorso costituiscono un mandato senza riserve per il cambiamento da parte di una democrazia che si rialza ed è già diventata un movimento sociale. Sono onorato dalla fiducia che mi è stata dimostrata dai membri del partito e dai sostenitori, e metterò a disposizione tutto me stesso per ripagare quella fiducia.
Abbiamo combattuto e vinto sulla base di proposte politiche, non di personalità, senza abusi e senza astio. Volendo pienamente fugare ogni dubbio, la mia leadership sarà improntata alla coesione, farà affidamento su tutti i talenti — la metà del governo ombra laburista sarà formato da donne — e lavoreremo insieme a tutti i livelli del partito. Il nostro obiettivo è riportare nel cuore del Labour le centinaia di migliaia di persone che hanno preso parte alle primarie. Riusciremo a far tornare ancora una volta il Labour un movimento sociale.
La leadership del partito si sforzerà di mettere al centro la democrazia: non sarà il leader a emettere editti dall’alto. Raccoglierò idee da tutti i livelli del partito e del movimento laburista, prendendo ispirazione da un partito allargato alle varie comunità e mettendo a frutto i talenti di tutti per dar vita a una linea politica capace di costruire un valido sostegno a favore del cambiamento.
Noi siamo in grado di dar vita a un nuovo tipo di politica: più educata, più rispettosa, ma anche più coraggiosa. Possiamo cambiare le mentalità, possiamo cambiare la politica, possiamo migliorare le cose.
Il messaggio più importante che la mia elezione offre a milioni di persone per mandare a casa i conservatori è che il partito adesso è incondizionatamente al loro fianco. Noi comprendiamo le aspirazioni e sappiamo che le nostre aspirazioni potranno realizzarsi soltanto tutte insieme.
Tutti aspirano ad avere una casa a un prezzo accessibile, un posto di lavoro sicuro, standard di vita migliori, un sistema sanitario fidato e una pensione dignitosa. La mia generazione ha considerato scontate queste cose e così dovrebbero fare le generazioni future.
I conservatori stanno introducendo una legge sulle organizzazioni sindacali che renderà più difficoltoso per i lavoratori ottenere un equo contratto di lavoro, combattere per un salario onesto e per un giusto equilibrio tra lavoro e vita privata. Le organizzazioni sindacali sono una forza che si adopera per il bene, una forza che si batte per una società più giusta. Unito, il Labour voterà contro questo attacco antidemocratico ai membri delle associazioni sindacali.
Domani il governo presenterà le sue proposte per tagliare i crediti d’imposta, che lascerebbero migliaia di famiglie di operai in condizioni peggiori. I crediti d’imposta sono un’ancora di salvezza vitale per molte famiglie e il Labour si opporrà a questi tagli. È chiaro anche che il Primo ministro presto tornerà a chiederci di bombardare la Siria. Questo non aiuterà i rifugiati. Anzi, ne creerà in maggior numero.
Lo Stato Islamico è assolutamente raccapricciante, e il regime del presidente Assad ha commesso delitti atroci. Ma noi dobbiamo opporci anche alle bombe saudite che cadono sullo Yemen e alla dittatura del Bahrain, armata da noi, che stermina il movimento democratico del paese.
Il nostro ruolo è fare campagna per la pace e per il disarmo in tutto il mondo.
Per i conservatori, il deficit altro non è che una scusa per rifilarci la vecchia agenda Tory di sempre: abbassare i salari, tagliare le tasse ai più ricchi, lasciare che i prezzi degli immobili aumentino fino a essere improponibili, svendere i nostri asset nazionali e attaccare le organizzazioni sindacali. Non ci sono scorciatoie per la prosperità, la si deve costruire investendo in infrastrutture moderne, nelle persone e nelle loro competenze. Bisogna dare sfogo a idee innovative, concretizzando nuove proposte per affrontare e risolvere il cambiamento climatico. E proteggere così il nostro ambiente e il nostro futuro.
Il nostro compito è dimostrare che l’economia e la nostra società possano essere a beneficio di tutti. Insorgeremo contro le ingiustizie ogni volta che le incontreremo. E le combatteremo per un futuro più equo e più democratico, che soddisfi le esigenze di chiunque.
La risposta umana della gente di tutta Europa nelle ultime settimane ha dimostrato l’intenso desiderio di un tipo diverso di politica e di società. I valori della compassione, della giustizia sociale, della solidarietà e dell’internazionalismo sono stati al centro della recente esplosione di democrazia in un Labour sempre più influente.
Quei valori sono profondamente radicati nella cultura del popolo britannico. Il nostro obiettivo, adesso, è mettere a frutto quello spirito e chiedere ardentemente il cambiamento, in tutto il paese.
© 2015 The Observer – Traduzione di Anna Bissanti.

2 – JEREMY CORBYN BRITANNICO CONTROCORRENTE . DA LONDRA, A LUNGO EPICENTRO EUROPEO DELL’INFEZIONE REAGANIANO-THATCHERIANA, ARRIVA UN MESSAGGIO CHE RIMETTE IN MOTO L’INTERO QUADRO POLITICO CONTINENTALE. La vittoria con un rotondo 60 per cento nelle primarie laburiste di Jeremy Corbyn. E finalmente torna sulla scena un britannico che ci piace: un segaligno alla Gorge Orwell o alla Ken Loach, dopo i bambolotti upper class (cultori delle brioche alla Maria Antonietta) tipo David Cameron o i viscidi e opportunisti arrampicatori sociali sul modello del protorenziano Tony Blair.
Sperando che il nuovo leader del Labour regga le pressioni per delegittimarlo e sappia evitare le trappole che l’establishment preannuncia sul suo cammino, la novità albionica ha impatti tanto di politica interna come europea.
In primo luogo fa emergere anche nel Regno Unito la presenza di un protagonismo indignato di cui non si aveva percezione; sulla scia del movimento 2011 all’origine del cosiddetto G-90 (l’Internazionale dell’Altrapolitica, che nell’anno fatidico scosse il mondo globalizzato, da Puerta del Sol alla cairota piazza Tahir, al Zuccotti Park di New York). Un segnale di assoluto rilievo, visto l’apparente radicamento inestirpabile a Westminster della post-democrazia; ossia la migrazione del personale di partito dalla società al Palazzo del potere. Il viaggio verso la trasformazione della politica in ascensore sociale per carriere individuali, che anche Ed Milibard – leader laburista uscente, presunto “di sinistra” – non aveva dato segno di voler contrastare; di volersi opporre a pratiche pubbliche in cui i candidati sono solo brand, etichette confezionate da consulenti di comunicazione per un prodotto sempre e assolutamente identico. Una situazione che screditava le classiche distinzioni destra/sinistra.
Corbyn è certo persona che viene da una tradizione di sinistra (dalle lotte del lavoro all’impegno pacifista) ma assicura un senso coerente al suo profilo connotandosi come critico dell’establishment; come espressione democratica di chi “sta sotto”. Dunque l’arrivo di un vero ruspante, dopo tanti polli di batteria. I cui effetti – come si diceva – indubbiamente comporteranno rimbalzi anche a livello continentale.
Infatti le sparse forze dell’Altrapolitica, in stato depressivo dopo i disastrosi effetti del dilettantismo allo sbaraglio di Alexis Tsipras a Bruxelles, ora incamerano un primo segno in controtendenza. Staremo a vedere se – grazie all’inaspettato soccorso britannico – Podemos riuscirà a ribaltare le previsioni, che lo davano in declino nelle imminenti elezioni politiche in Spagna.
Ma anche nel concerto dell’Unione europea la partita torna a farsi più interessante.
Dopo che Merkel e soci avevano scalpato il leader di Syriza, tutto lasciava pensare che il confronto si riducesse a una partita secca, magari sul tema immigrazione, tra nomenklatura (i guardiani del privilegio e dell’ordo-finanza) ed eurofobici (i propugnatori xenofobi delle piccole patrie blindate). Due posizioni diverse, ma che entrambe stavano determinando l’accantonamento del progetto democratico di Europa federale; accelerando quel processo di ri-nazionalizzazione del continente, che lo renderebbe insignificante a fronte delle grandi concentrazioni mondiali. Quel ritorno agli staterelli in rissa tra loro, responsabili della trentennale guerra civile europea che ne cancellò l’egemonia mondiale, e che ora si rivelerebbero inabili gestire/governare processi che fuoriescono dalle asfittiche dimensioni dello Stato-nazione.
Anche in questo caso l’arrivo di Corbyn contrasta l’albagioso euroscetticismo dei suoi colleghi British, rilancia l’idea di un New Deal europeo.
Soprattutto riporta sulla scena un britannico generosamente europeista. Con l’autorevole precedente di un signore chiamato Winston Churchill; il quale, in un celebre discorso tenuto il 19 settembre 1946 nell’aula magna dell’università di Zurigo, anticipava i nodi dell’attuale crisi: «Devo avvertirvi, non c’è molto tempo… Se vogliamo gli Stati Uniti d’Europa, o quale altro nome vorremo dare loro, dobbiamo incominciare subito. Occorre che la Francia e la Germania assumano la guida insieme».
Pierfranco Pellizzetti

3 – PERCHÉ DOBBIAMO PRENDERE LA CORBYNOMICS IN SERIA CONSIDERAZIONE LORD SKIDELSKY ANALIZZA LE PROPOSTE ECONOMICHE DI JEREMY CORBYN, IL NUOVO SEGRETARIO DEL PARTITO LABURISTA BRITANNICO. Le proposte di Corbyn non sono così radicali come i suoi avversari vogliono far credere. E non sono buone solo per la Gran Bretagna, ma anche per l’Unione Europea. di Robert Skidelsky, da keynesblog .
Nel Regno Unito l’austerità fiscale si è talmente consolidata nel senso comune, che chiunque vi si opponga pubblicamente è additato come un pericoloso sinistrorso.
Jeremy Corbyn è l’ultima vittima di questo coro di disprezzo. Alcune delle sue posizioni sono insostenibili, ma le sue osservazioni sulla politica economica non sono insensate e meritano un vaglio adeguato.
Corbyn ha proposto due alternative alla attuale politica di austerità del Regno Unito: una banca d’investimento nazionale, da capitalizzare annullando sgravi fiscali e i sussidi dati al settore privato; e ciò che egli chiama “quantitative easing del popolo” – in poche parole, un programma di infrastrutture che il governo finanzia prendendo a prestito denaro dalla Banca d’Inghilterra.
La prima idea non è né estrema né nuova. Ci sono una Banca europea per gli investimenti, una Banca di Investimento degli stati del Nord e molte altre, tutte capitalizzate da Stati o gruppi di Stati con lo scopo di finanziare progetti su mandato [dei governi] prendendo a prestito dai mercati dei capitali. La ragion d’essere di questo tipo di istituzione deriva da ciò che il grande teorico socialista Adam Smith riteneva essere la responsabilità dello Stato per la “costruzione e manutenzione ” di quelle “opere e istituzioni pubbliche”, che, pur di grande vantaggio per la società, non darebbero profitto all’impresa privata.
In altre parole, lo stato dovrebbe sempre avere una funzione di investimento. Delegando tale funzione ad una istituzione dedicata può trarne vantaggio ai fini della presentazione dei conti pubblici.
Le particolari circostanze economiche odierne forniscono una seconda ragione per la creazione di una banca di investimento nazionale. In condizioni di depressione economica o anche di semi-depressione, una percentuale più alta del normale di risparmi privati è tenuta in contanti o nel suo equivalente più vicino, i Buoni del Tesoro a breve termine. Una banca d’investimento nazionale potrebbe tirare fuori questi “risparmi oziosi” emettendo obbligazioni per lo sviluppo delle infrastrutture.
Offrendo un piccolo premio rispetto ai titoli di Stato, tali obbligazioni attrarrebbero probabilmente investitori di lungo termine, come i fondi pensioni, che diversamente otterrebbero rendimenti reali nulli o perfino negativi. La Banca europea per gli investimenti, ad esempio, è pronta al finanziamento di investimenti del valore di almeno 315 miliardi entro il 2017, con un esborso fiscale di 21 miliardi.
Il “quantitative easing del Popolo” è una versione più eterodossa – e più interessante – di questa idea. Nel caso del quantitative easing convenzionale, la banca centrale acquista titoli di Stato dalle banche o dalle società e confida sulla liquidità extra che in tal modo viene “stampata” per stimolare la spesa privata. Studi in materia suggeriscono, tuttavia, che gran parte di questo denaro va in attività speculative, con il rischio che si producano bolle, piuttosto che essere incanalata in investimenti produttivi.
Un’alternativa sarebbe quella di distribuire il denaro della banca centrale di nuova emissione direttamente a cooperative edilizie, enti locali e banche di investimento nazionale o regionale e a qualsiasi organizzazione in grado di realizzare progetti infrastrutturali. Questo è ciò che propone Corbyn.
Questa idea di finanziamento monetario dei disavanzi di bilancio – prendendo a prestito dalla banca centrale, piuttosto che dai mercati obbligazionari – ha un pedigree di tutto rispetto. In una conferenza per la Cass Business School nel febbraio 2012, Adair Turner, l’ex presidente dell’Authority per i Servizi Finanziari del Regno Unito, l’ha proposta come opzione nel caso che ulteriori prestiti dai mercati fossero politicamente o finanziariamente impossibili.
La proposta di Corbyn, a differenza del classico finanziamento monetario, non porterebbe ad un aumento del debito pubblico, il che è un grande vantaggio. Il quantitative easing ortodosso – chiamiamolo “monetizzazione di tipo 1” – è destinato ad essere invertito, poiché le tasse verranno utilizzate per raccogliere i soldi per il rimborso dei titoli di Stato detenuti dalla banca centrale. E l’aspettativa di futuri aumenti delle tasse potrebbe spingere la gente a risparmiare parte del nuovo denaro, piuttosto che a spenderlo. Il quantitative easing non ortodosso – che chiameremo “monetizzazione di tipo 2” – evita questo problema, perché il prestito dalla banca centrale non viene rimborsato. Le sue attività sono a fronte delle passività del governo. Questo è il motivo per cui non dovrebbe essere escluso a priori.
Vi è una forte necessità di “monetizzazione di tipo due” nella zona euro, dovendo fare fronte ad una crescita zero e alla deflazione. Infatti, mentre il programma di quantitative easing inaugurato dalla BCE in gennaio consiste principalmente in acquisti del debito sovrano, è anche vero che la BCE acquisterà anche debito emesso dalla Commissione europea e dalla Banca europea per gli investimenti – che sono elementi chiave della “monetizzazione di tipo due”. Come tale, essa contribuirà a finanziare gli investimenti in infrastrutture.
È difficile tuttavia che l’economia britannica, che sta crescendo ad un ritmo di quasi il 3% all’anno, necessiti al momento di un ulteriore programma di QE di qualsiasi genere. Il governo può prendere in prestito tutto ciò che vuole dai mercati obbligazionari a tassi di interesse prossimi allo zero. Spostare tale possibilità di prestito su una banca d’investimento nazionale, è semplicemente un modo per segnalare che qualsiasi ulteriore prestito sarà utilizzato per investimenti e non per la spesa corrente.
Ci sono due argomenti solidi per attivare una tale istituzione nel Regno Unito oggi. In primo luogo, la quota degli investimenti privati sul PIL è ancora al di sotto del suo livello pre-crisi di circa l’11%. Questo suggerisce che gli investitori non hanno fiducia nella durevolezza della ripresa.
In secondo luogo, a seconda del mandato istituzionale, un programma di investimento guidato dallo stato è un modo per riequilibrare l’economia britannica spostandola da attività di speculazione privata verso investimenti a lungo termine per lo sviluppo sostenibile, e dal sud-est del Paese alle Midlands e al nord dell’Inghilterra. In poche parole, esso è un modo per affrontare il contrasto tra “opulenza privata e degrado pubblico” che John Kenneth Galbraith ha messo in luce negli anni ’50. Corbyn dovrebbe essere (dunque) lodato, e non attaccato, per aver portato all’attenzione del pubblico la serietà di questi problemi, che riguardano il ruolo dello Stato e il modo migliore con cui può finanziare le proprie attività. Il fatto che egli sia criticato per averlo fatto, evidenzia il pericoloso autocompiacimento delle élite politiche di oggi. Milioni di persone in Europa ritengono giustamente che l’attuale ordine economico non sia in grado di trovare risposte ai loro bisogni. Cosa faranno se le loro proteste verranno
Articoli da Micro Mega settembre 2015

4 – IL LEADER DI UNITE: «I TORIES NON SCONFIGGERANNO MAI UN MOVIMENTO DEI LAVORATORI UNITO». SINDACATI – UN RIAVVICINAMENTO STORICO. Contro legge anti sciopero nuova sintonia con le Union.
Il primo atto istituzionale di Jeremy Corbyn e John McDonnell è stato prendere posto in aula nel dibattito sul nuovo Trade Unions Bill, il disegno di legge presentato del giovane ministro del commercio conservatore Sajid Javid. È una legge che rappresenta un’autentica aggressione al diritto di sciopero: che aumenta la sorveglianza e la punibilità, ma che punta anche a colpire il metodo di finanziamento del partito attraverso i contributi del sindacato.
È dunque abbastanza significativo che il partito laburista, che in questi anni di deriva centrista ha cercato di ridurre la prossimità con i sindacati allo stretto necessario senza diventarne «ostaggio» si ritrovi, sotto la leadership Corbyn, non solo riavvicinato al sindacato, ma in buona sintonia con questo. E ora che il partito si trova privo dei soliti freni e dei soliti inviti alla prudenza, l’opposizione a questa legislazione draconiana si preannuncia, in aula come per le strade, molto dura.
Parlare di sintonia è forse perfino riduttivo, se si pensi che Len McCluskey, leader di Unite, che con Uni-son è il massimo sindacato britannico, era con Corbyn a cantare «The Red Flag» nel pub di Westminster subito dopo la stupefacente vittoria del deputato di Islington. McCluskey è stato parte integrante della campagna di John McDonnell e Corbyn. È stato anche tra i sostenitori di Ed Miliband e per questo, dalle frange più moderate del partito, considerato un elemento « vetero » e terribilmente ostile alla lunga marcia verso il centro iniziata dal blairismo
All’ultimo raduno prima della votazione, aveva detto alla platea traboccante di giovani che i candidati rivali di Corbyn alla successione di Ed Miliband alla segreteria gli avevano fatto venir voglia di tagliarsi le vene. Si è personalmente congratulato con McDonnell, l’alter ego politico di Corbyn, e ha dichiarato che i Tories «non riusciranno mai a sconfiggere una classe operaia unita, un movimento sindacale unito, un unito movimento laburista». Lo stesso McCluskey, bestia nera della stampa tory come già il compianto Bob Crowe, l’ormai leggendario leader del sindacato ferrotranviario recentemente scomparso, ha poi preso la tastiera per scrivere un appassionato articolo sul Guardian che saluta il seppellimento definitivo del blairismo nel partito e indica inequivocabilmente in Corbyn il futuro.
Il rapporto del paese e del partito con i sindacati è oggetto di apprensiva osservazione da parte della stampa nazionale. Incidentalmente, si sta tenendo a Brighton l’annuale conferenza del Trades Union Centre (TUC), i leader dei vari sindacati che, consapevoli dell’enorme spazio garantitogli dal segretario, hanno annunciato scioperi e occupazioni. Alcuni addirittura tornano in seno al partito: come il Fire Briga-des Union, che nel 2004 dopo anni di frizioni con Blair, aveva deciso di staccarsene.
Il loro segretario, Matt Wrack ha detto: «Fu un giro di boa storico, una ribellione contro un trattamento osceno da parte di un governo capitalista e di destra contro lavoratori che rivendicavano il salario. Ma non ho dubbi sul fatto che ora le cose siano cambiate in questo weekend, e che vadano riconsiderate attentamente non solo dal nostro, ma da tutti gli altri sindacati».
Dal canto suo Mark Serwotka, il leader del sindacato PCS (Public and Commercial Services Union) ha detto testualmente alla Bbc: «C’è da darsi un pizzico a sentire un leader labour dire cose con le quali andiamo tutti d’accordo…Se Jeremy Corbyn vuole sconfiggere queste politiche [il Trade Unions Bill, NdR] ha assolutamente bisogno di un vibrante movimento di massa nel paese…ha bisogno di sei milioni e mezzo di membri del sindacato che assicurino questa vibrante campagna attraverso scioperi, manifestazioni, campagne locali». Per poi aggiungere: «Abbiamo la possibilità di bloccare l’austerità, di far cadere questo governo e di assicurare una società più giusta per tutti».
Gli ha fatto eco Rob Williams, del National Shop Stewards Network: «La vittoria di ieri di Jeremy Corbyn cambia tutto. Il voto cui abbiamo assistito ieri è stata un’autentica rivoluzione politica. Dobbiamo costruire un movimento di massa contro l’austerity e le leggi anti-sindaca-to. Il messaggio dev’essere semplice «Cameron: faremo cadere te, la tua legge anti sindacato e i tagli. E cadrai, perché ci stiamo mobilitando». Con questo riallineamento con il sindacato il Labour rischia di perdere i non pochi amici fatti tra gli imprenditori, i finanzieri, i milionari che in questi ultimi anni, spesso in cambio della prefabbricazione di onorificenze su misura o di favori speciali, hanno erogato grossi capitali nelle casse del partito. Ma per ora, partito e sindacato si godono la comunanza ritrovata di visione, metodi, scopi. Questo tornare fra le braccia dei propri militanti storici rappresenta un nuovo punto di partenza. ( da IL Manifesto di di Leonardo Clausi)

5 – SVOLTA LABOUR – Jeremy e la fine dei morti viventi – Tariq Ali (ANALISI «BISOGNERÀ AVERE PAZIENZA, MA I MORTI VIVENTI SONO STATI SCONFITTI. LA POLITICA INGLESE È TORNATA FINALMENTE A VIVERE» – IL LEADER PIÙ A SINISTRA NELLA STORIA DEL LABOUR.

Le ironie della storia non mancano mai di sorprendere. Con qualsiasi criterio lo si misuri, Jeremy Corbyn è il leader più di sinistra nella storia del Labour party. Capisce che chi fa male fuori non potrà fare molto meglio a casa.
Tra i membri del parlamento è l’antimperialista più convinto. La prova è il paragone con gli antenati politici. Il socialismo di Keir Hardie annaspava nei campi di battaglia della prima guerra mondiale. Clement Attlee è stato un grande riformatore sul piano interno, ma su quello esterno il suo governo approvò il bombardamento nucleare di Hiroshima e Nagasaki. Harold Wilson redistribuì la ricchezza ma appoggiò gli Stati uniti in Vietnam. Come leader dell’opposizione, Michael Foot fu un accanito supporter della guerra mossa da Margaret Thatcher per recuperare le Malvinas/Falkland.
I gemelli thatcheriani Bla-ir-Brown si accordarono per dividersi il potere creando due correnti affamate di potere con nessuna differenza politica tranne che la fame di Tony Blair era diretta sia al potere che ai soldi. Blair ci ha dato le guerre nell’ex Jugoslavia e in Iraq, mentre Gordon Brown era ignaro della vulnerabilità del capitalismo finanziario e spese miliardi di sterline del contribuente salvando banche che, una volta pagati i depositi, sarebbe stato molto meglio lasciar schiattare
O Entrambi hanno burocratizzato il Labour party neutralizzandone i congressi, riducendolo a una copia appiccicosa dei Democratici americani: tutto show, nessuna sostanza.
Hanno tolto alle sezioni laburiste locali il diritto a scegliere i propri candidati per il parlamento, il solo modo per trasformare un grande pezzo del Parliamentary Labour Party (Plp) in una collezione di ragazzi e ragazze d’ufficio su-per-pubblicizzati insieme a camionale di carrieristi.
Tre di loro si sono esibiti regolarmente nella campagna per la successione di un altro della loro cerchia, Ed Miliband.
La cosa ironica è che la riforma del sistema elettorale di partito voluta da Miliband era disegnata per placare i Blairiti e i loro compagni nei media attraverso l’eliminazione dal partito del residuo potere del sindacato e l’apertura agli outsider, -nella maldestra speranza che un elettorato più congeniale avrebbe assicurato agli estremisti di centro il dominio delle proprie politiche. Erano così fiduciosi che un pugno di Blairiti ha dato a Cor-byn i voti parlamentari necessari per eleggerlo e rappresentare la sinistra purché simbolica, testimoniando così la generosità del partito e il suo rispetto per la diversità.
Chi avrebbe mai pensato a un ritorno di fiamma così sensazionale? Certamente non Corbyn. E nessun altro. Il Guardian si è schierato per Yvette Cooper, mentre 1 suoi editorialisti blairiti denunciavano il dinosauro di Islington -scordando che i più giovani amano i dinosauri e sentono la mancanza della specie. TI Daily Minor si è schierato per Andy Burnham. Nessuno che abbia mai visto o sentito Corbyn può dubitare della sua autenticità. Ho condiviso con lui numerose piattaforme negli ultimi quarant’anni.
Negli argomenti chiave è sempre rimasto costante. Ciò che è piaciuto ai giovani, che hanno trasformato la sua campagna in un movimento sociale, è precisamente ciò che ha sovvertito i tradizionali cliché politici e mediatici. Corbyn è stato schietto, discorsivo, molto di sinistra, vuole invertire le privatizzazioni delle ferrovie e dei servizi eccetera. Molti che si sono registrati per votarlo l’hanno fatto per questo, e per rompere con il blando, poco fantasioso e privo di visione New Labour.
Corbyn ha sottostimato i cambiamenti in Scozia, ma questo in effetti ha aiutato la sua campagna. La coorte di parlamentari dello Scottish national party che vuole affossare la superflui e costosi missili Trident, l’elettrizzante discorso d’esordio della ventenne Mhai-ri Black che ha sfidato i Tories… Tutto ciò ha aiutato la campagna di Corbyn. Se funziona in Scozia, perché non in Inghilterra?
Dopo che il Labour ha eletto il loro leader più di sinistra, la stragrande maggioranza del gruppo parlamentare laburista è nella stretta mortale della destra. Chiunque abbia ascoltato l’intervento di Sadiq Khan dopo essere stato scelto dal Labour come candidato sin-
daco di Londra si è accorto della differenza con la campagna di Corbyn. Gli argomenti di Khan erano tutti puntati su quanto isolato sarebbe stato Corbyn nel Plp.
Corbyn chiederà al partito di unirsi dietro di lui. Ma non c’è modo di eludere il fatto che la maggioranza del Plp si oppone alle di forzarlo a un compromesso dopo 1 altro con l’intento di screditarlo (su modello di Alexis Tsipras in Grecia), ma dubito che possano avere successo. Corbyn comprende gli argomenti chiave sui quali non e possibile alcun compromesso. Ci ha fatto campagna sopra abbastanza a lungo.
La sua vicinanza all’agenda dei Verdi non e un segreto, e il solo parlamentare dei Verdi adesso ha nel nuovo leader laburista un solido sostenitore.
Riprendersi i trasporti pubblici dagli speculatori è un altro elemento. Un’edilizia pubblica a buon mercato per i giovani e gli anziani aiuta a ricostruire le comunità. Un robusto regime fiscale che inverta decenni di privilegi e accordati ai ricchi scatenerà la furiosa offensiva della City, dei suoi media e dei suoi accoliti politici, ma è considerata assolutamente necessaria. Fin dalla fine degli anni Settanta, la redistribuzione della ricchezza a favore dei ricchi e dei più ncchi ha continuato a crescere in U-an Bretagna, in modo superiore a tutti i paese dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse). Corbyn non è interessato al potere per sé o per aumentare il suo personale patrimonio.
Insieme al Partito Corbyn può davvero riportare in auge la democrazia. E1 unico modo per chi sostiene ì Labour, di ritrovarsi rappresentati propriamente in parlamento. Ma niente di tutto questo sara facilmente realizzabile per questo è fondamentale che ci sia un movimento potente fuori dal parlamento; è l’unico modo per assicurare che l’agenda di Corbyn possa essere pienamente onorata Niente può accadere nel giro di una notte: bisogna essere pazienti. Alcuni membri laburisti del parlamento diserteranno. Dopo tutto, avevano sostenuto, convinti le misure di austerity.
Ma ormai sarà impossibile, perfino per l’auto censura della Bbc tenere fuori dagli schermi il nuovo leader Labour. I morti viventi hanno perso. La politica inglese è tornata a vivere.

6 – CORBYN SORVEGLIATO SPECIALE. Il nuovo segretario laburista muove i suoi primi passi sotto lo scrutinio maniacale, curioso, sprezzante dei media. Definito «un rischio per la sicurezza nazionale» dal premier Cameron, ha nominato un governo ombra «unificante, dinamico, inclusivo che per la prima volta presenta una maggioranza femminile»
Un Jeremy Corbyn si aggira per Westminster. È ancora lui, solo non è più lui È rimasto lo stesso: bonario e trasandato, vestito uguale da trent’anni, uno che lo schermo non lo buca, lo mura; uno in bianco e neri
Solo che ora, da capo dell opposizione a Sua Maestà, è diventato capo dell’opposizione di Sua Maestà. E ha un potere enorme. Anche per questo è ora un sorvegliato speciale che muove i primi passi sotto lo scrutinio maniacale, curioso, sprezzante dei media. La sua vittoria è stata definita in tono da tregenda dai Tories come «una minaccia alla sicurezza vostra e delle vostre famiglie». Altro che «nemico interno» (come Margaret Thatcher definì j minatori in sciopero nel 1984, prima di schiacciarli): qui il nemico bivacca nel tinello. Ora questo socialista, repubblicano, pacifista e antimperialista che si trova a guidare l’opposizione in un paese monarchico, perennemente impegnato in zone di guerra e riluttante a riconoscere il proprio imperialismo 2.0, ha formato il suo governo ombra, al primo e più delicato degli infiniti varchi che lo attendono è ovvio per tutti che non si tratti del solito rimpasto, ma del banco di prova ultimo della sua capacità di frenare la forza centrifuga innescata nel partito dalla sua elezione. Dunque dev’essere un governo ponte il suo, più che ombra. Per costruire il quale ci vuole genio politico, non civile. E che serve da primo passo verso una confutazione della presunta ineleggibilità del partito sotto la sua guida. utile nasconderlo: la difficoltà del compito è enorme per un segretario chiamato a esprimersi sull’Europa (è moderatamente eu-roscettico), sulla Nato, sugli armamenti nucleari, di cui il paese è ben fornito. A una manciata di secondi dall’annuncio della vittoria di Corbyn, sabato scorso, lamie Reed, ministro ombra alla sanità, già lasciava l’incarico. Seguiva un’emorragia di dimissioni centnste: Chris Leslie alle finanze, Rachel Reeves al lavoro, Tristram Hunt alla pubblica istruzione. Caroline Flint all’energia e ambiente, tutti si avviavano verso le retrovie dell’aula, le backben-ch. Som? sostituiti rispettivamente da John McDòntiell, (vecchio amico e sodale di Corbyn e organizzatore della sua campagna), Owen Smith, Lucy Powell, Lisa Nandy. Agli esteri rimane Hilary Benn, figlio del grande Tony uno dei riferimenti storici di Corbyn nel partito, come anche Lord Falconer resta alla giustizia. .
Corbyn ha definito queste nomine una «torte combinazione di cambiamento e continuità» aggiungendo di aver presentato «Un governo ombra unificante, dinamico, inclusivo che per la prima volta presenta una maggioranza femminile». Una chiara risposta alle polemiche piovute lungo tutto l’arco della mattinata: troppi maschi nei posti «chiave».
McDonnell ha a sua volta risposto definendo i posti ritenuti «chiave» come finanze, interni, esteri un retaggio ottocentesco. «Non lo sono, non li accettiamo come tali. Non si può dire che il ministro degli esteri sia più importante del fornire un’istruzione ai nostri figli, o della salute della popolazione. Non accettiamo queste gerarchie» ha detto ieri mattina McDonnell ai microfoni di Sky News. Alla fine della mattinata, l’elenco dell’esecutivo ombra comprendeva uomini e donne in equilibrio, con istruzione, commercio e sanità assegnati rispettivamente a Powell, Eagle e Heidi Alexander. La difesa va alla gemella di Angela Eagle, Maria.
Dei suoi tre ex-avversari alla leadership, solo Andy Burnham resta a bordo: a lui il dicastero ombra degli interni, già di Yvette Cooper Liz Rendali, il candidato più neo labunsta classificatasi ultima alle primarie, lascia il ministero dell’assistenza agli anziani. Altra detenzione prevedibile, quella dell’ex ministro ombra per il commercio, il giovane Chuka Umunna che ha dichiarato di non voler essere una «spina nel fianco» del neosegretario. Ed Mili-band, che ha avuto parole di sostegno per Corbyn, ha deciso di restarsene anche lui in disparte Angela Eagle, il nuovo ministro ombra per il commercio, è stata anche nominata segretario di stato-ombra e sarà la vice di Corbyn quando Cameron è assente a Prime ministeri question, il teatrale contraddittorio parlamentare fra capo del governo e capo dell opposizione tipico del parlamentarismo britannico che tante volte Corbyn ha criticato per autoreferenzialità e si è prefissato di riformare Ma è la nomina di McDonnell a provocare le grida più stridule. Temutissima figura «radicale» e «di sinistra», ribelle impenitente come lo stesso Corbyn alle direttive di voto del partito – che qui sono gestite da una figura disciplinare in ciascun partito detta Chiefwhip – deputato nelle circoscrizioni di Hayes e Harlmgton si è candidato senza successo alla leadership nel 2007 e nel 2010, McDonnell si è lasciato sfuggire qualche colorata invettiva ai danni ella Thatcher e a un raduno in memoria di Bobby Sands ha causato obbrobrio una sua esaltazione dei militanti dell Ira.
Che è uno come lui vadano le finanze dopo una tornata elettorale persa per non essere riusciti a convincere l’elettorato della propria competenza nel gestire l’economia (secondo la vulgata mediatica dominante) è visto come un atti di guerra nei confronti della componente parlamentare del partito, quella presso cui questo segretario plebiscitario ha il sostegno più scarso Corbyn e il suo vice, Tom Watson, un carrierista dal volto umano ed ex giovane pretoriano di Gordon Brown, stanno imparando a conoscersi.
Chi teme le capacità complottatici di Watson possano prestarsi a un tentativo di rovesciamento del segretario. Ma Watson giura che il mandato è a prova di complotto. Manda to che per quanto vasto, conta sul consenso dell’ala parlamentare più ridotto nei 115 anni di storia del partito laburista.

 

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