11192 23. NOTIZIE dall’ITALIA e dal MONDO 7 giugno 2014

20140606 15:12:00 red-emi

ITALIA – ROMA / GRASSO, svegliamoci contro la corruzione / Lotta a mafia, evasione e clientelismi non è utopistica. / Imprese, che desolazione: dal 2001 chiuse 120 mila fabbriche, 1,160 milioni senza lavoro / L’ITALIA non è un paese per giovani.
VENEZIA / Mose: ondata arresti a Venezia, anche sindaco Oltre 100 indagati, sequestrati 40 mln beni. Chiesto arresto Galan
VATICANO – PAPA: disprezzo dire “attenti a portafogli’ per gli zingari su bus” / “’certo anche il popolo zingaro è chiamato a contribuire al bene comune”.
EUROPA – TURCHIA. ad un anno da Gezi park Erdogan si prepara alla repressione dura / Ucraina L’Europa afona e complice / PORTOGALLO, La Corte costituzionale in Portogallo abroga i tagli ai salari.
AFRICA & MEDIO ORIENTE – PALESTINA – UNITA NAZIONALE. Dopo sette anni di divisioni, è stato presentato il 1 giugno a Ramallah, in Cisgiordania, il nuovo governo di unità nazionale palestinese, frutto dell’accordo di riconciliazione firmato il 23 aprile dagli esponenti di Al Fatah e di Hamas.
ASIA & PACIFICO – GIAPPONE / IL DISGELO CON PYONGYANG. L’annuncio che la Corea del Nord riaprirà le indagini sui cittadini giapponesi rapiti tra gli anni settanta e ottanta, arrivato il 28 maggio al termine di un incontro tra alti funzionari di Tokyo e Pyongyang
AMERICA CENTROMERIDIONALE – Venezuela, presentate le intercettazioni sul tentato golpe
AMERICA SETTENTRIONALE – CANADA. Armato come "Rambo" uccide tre agenti . E’ caccia all’uomo in Quebec, nel mirino un 24enne . – USA / NYC / Nel cuore di Wall Street si discute di rivoluzione

ITALIA
GRASSO, svegliamoci contro la corruzione / Lotta a mafia, evasione e clientelismi non è utopistica
"I romani che nel ’43-’44 combatterono per la libertà ci invitano a risvegliarci dal torpore collettivo che, oggi, induce a pensare che la lotta alle mafie, il contrasto dell’evasione fiscale, la resistenza a favoritismi, atteggiamenti clientelari, situazioni di conflitto di interesse e corruzione siano battaglie utopistiche". Così il presidente del Senato Pietro Grasso.
VENEZIA
MOSE: ONDATA ARRESTI A VENEZIA, ANCHE SINDACO OLTRE 100 INDAGATI, SEQUESTRATI 40 MLN BENI. CHIESTO ARRESTO GALAN / L’ondata che travolge Venezia questa volta non è di marea, ma di arresti. Manette eccellenti a politici di primo piano e funzionari pubblici, fatte scattare dai magistrati che da tre anni seguono il sistema di fondi neri, tangenti e false fatture con cui, sostengono, si teneva in piedi il sistema di appalti collegati al Mose, l’opera colossal – 5 miliardi di euro – che entro il 2017 proteggerà la città dalle acque alte. Nella rete delle indagini della Guardia di Finanza, dopo gli arresti dell’ex manager della Mantovani, Piergiorgio Baita, e dell’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, sono finiti pesci ancora più grossi: il sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, vicino al Pd, posto ai domiciliari, l’attuale assessore regionale alle infrastrutture, Renato Chisso (Fi), il generale in pensione della Gdf Emilio Spaziante, gli ex presidenti del Magistrato alle Acque (emanazione del Ministero dei lavori pubblici) Patrizio Cuccioletta e Maria Giovanna Piva. I magistrati hanno disposto il sequestro di beni nella disponibilità degli indagati per 40 milioni.
Sul fronte politico fanno scalpore due nomi scritti nell’ordinanza del Gip Alberto Sacaramuzza: l’ex governatore veneto ed ex ministro Giancarlo Galan, deputato di Forza Italia, da sempre vicino a Berlusconi, e l’eurodeputata uscente Lia Sartori (Fi). Le richieste di autorizzazione all’arresto sono state inviate alle competenti commissioni parlamentari. Intanto il Movimento 5 stelle attacca a 360 gradi, mentre il ‘partito dei sindaci’ difende Orsoni. Incredulità è trapelata dal Pd. Cautela tra i ‘garantisti’ di Forza Italia. Sono 35 le persone raggiunte dai provvedimenti cautelari: 25 in carcere, 10 ai domiciliari. Devono rispondere, a vario titolo, dei reati di corruzione, finanziamento illecito ai partiti, frode fiscale. A loro si aggiunge un ‘esercito’ di 100 indagati: funzionari pubblici, addetti alle segreterie dei politici, imprenditori grandi e piccoli, dipendenti di aziende e coop che accedevano alla ‘spartizione’ degli appalti del Mose accettando il gioco dei fondi neri e delle fatture gonfiate, per pagare politici di centrodestra e centrosinistra.
Un sistema del quale, secondo i pm del pool della Dda di Venezia – Stefano Ancillotto, Stefano Buccini e Paola Tonini – era "grande burattinaio" l’ex capo del Cvn, l’8oenne Giovanni Mazzacurati, che dopo aver ottenuto i domiciliari aveva raccontato tutto alla Procura. Nell’ordinanza il Gip non fa sconti neppure ad amministratori e funzionari dello Stato. Come l’ex generale Spaziante, i dirigenti del magistrato delle acque Cuccioletta e Piva, l’assessore Chisso, che "per anni e anni – scrive – hanno asservito totalmente l’ufficio pubblico che avrebbero dovuto tutelare agli interessi del gruppo economico criminale, lucrando una serie impressionate di benefici personali di svariato genere". Solo a Spaziante, per ammorbidire i controlli fiscali sul Consorzio, erano stati promessi 2,5 milioni di euro, poi ridotti a 500mila, somma divisa con l’ex consigliere politico dell’ex ministro Tremonti, Marco Milanese, e con il finanziere vicentino Roberto Meneguzzo. Ad un altro indagato eccellente, il magistrato della Corte dei Conti Vittorio Giuseppone, sarebbe stato garantito uno ‘stipendio’ annuo di 3-400mila euro, "per compiere atti contrari ai suoi doveri".
L’ondata di arresti è una frustata morale per una regione che ora teme di diventare l’emblema di una nuova Tangentopoli, come ha prefigurato il Procuratore aggiunto Carlo Nordio. Lo shock è racchiuso sostanzialmente in due nomi: Galan, che in Veneto ha dettato legge per 15 anni, e oggi è passato al contrattacco – "mi riprometto di difendermi a tutto campo nelle sedi opportune con la serenità ed il convincimento che la mia posizione sarà interamente chiarita" – e Orsoni, il sindaco del centrosinistra che a Ca’ Farsetti era subentrato nel 2010 a Massimo Cacciari. Orsoni, avvocato, è accusato di finanziamento illecito per 110mila euro – in tre tranche – ricevuti da aziende che lavoravano per il Mose e avrebbero creato la provvista con false fatturazioni. Un sistema malato che i magistrati hanno passato al setaccio in 711 pagine di ordinanza. Solo la ‘Mantovani’ avrebbe creato fondi neri per 20 milioni di euro. In questa terza fase dell’inchiesta, i magistrati hanno scoperto altri 25 milioni di false fatture. Un pozzo nero di cui si fatica a vedere il fondo.

ROMA
IMPRESE, CHE DESOLAZIONE: DAL 2001 CHIUSE 120 MILA FABBRICHE, 1,160 MILIONI SENZA LAVORO
PER IL CENTRO STUDI DI CONFINDUSTRIA LA MANIFATTURA ITALIANA HA PAGATO CARA LA CRISI: LA PRODUTTIVITÀ È CALATA DEL 5% TRA IL 2007 E IL 2013.VIALE DELL’ASTRONOMIA: PESA IL CALO DEGLI INVESTIMENTI, DELLA DOMANDA INTERNA E IL CREDIT CRUNCH.
In dodici anni nella manifattura italiana hanno perso il lavoro un milione e 160 mila persone. Tra il 2001 e il 2013, sostiene il centro studi Confindustria nel rapporto annuale «Scenari globali» hanno chiuso 120 mila imprese. La massiccia erosione della base produttiva, scrivono i ricercatori di Viale dell’Astronomia, è dunque precedente di circa otto anni dall’inizio ufficiale della crisi globale e si è intensificata nei suoi primi anni. TRA IL 2001 E IL 2011, INFATTI, HANNO PERSO IL LAVORO UN MILIONE DI ADDETTI, MENTRE 100 MILA FABBRICHE HANNO CHIUSO I BATTENTI. Tra il 2011 e il 2013 la crisi è precipitata facendo perdere il lavoro ad altre 160 mila persone. Ventimila sono state le imprese perdute.
Ciò ha comportato un calo produttivo complessivo del 5% registrato tra il 2007 e il 2013 provocando un contraccolpo nel posizionamento del sistema industriale italiano nelle classifiche del capitalismo mondiale. In questo «quadro impietoso» l’Italia sarebbe scivolata all’ottavo posto nella graduatoria dei maggiori paesi manifatturiere, superata dall’India al sesto posto e dal Brasile al set­timo posto. Nel confronto tra il 2013 e il 2007 e il 2000 l’Italia è stato l’unico paese tra i primi dieci con il segno meno in entrambi i periodi. Il tasso percentuale di crescita media annua della manifattura è pari al 5%. Questo calo non viene spiegato esclusivamente con l’avanzata dei paesi «emergenti» come Cina, India o Brasile, ma anche per «demeriti domestici». La contrazione del 5%, infatti, non trova riscontro negli altri paesi manifatturieri. La produzione manifatturiera mondiale è infatti cresciuta del 36% nel 2000–2013, mentre l’Italia, nello stesso periodo, ha registrato un crollo del 25%, con cadute in tutti i comparti ad eccezione di quello alimentare. Tra le cause scatenanti di questa anomalia c’è la contrazione di investimenti e consumi interni l’asfissia del credito delle banche verso le imprese (credit crunch), l’aumento del costo del lavoro slegato dalla produttività, la redditività che ha toccato il fondo. Questi fattori si sono intrecciati bloccando tanto l’attività industriale quanto quella bancaria.
Ciò non toglie che, rispetto a paesi della stessa dimensione demografica, l’Italia abbia ottenuto il 23° posto che nella gara della competitività globale viene definito come un «ottimo posizionamento». Su questo scenario pesano per Confindustria «i condizionamenti europei» che «certo non aiutano». Si sono abbattuti su tutti i paesi europei, che infatti arretrano, ad eccezione di Germania e Polonia sulla cui crescita però i ricercatori nutrono più di un dubbio: «quanto a lungo durerà?» si chiedono. C’è poi il capitolo delle «politiche fiscali restrittive» e «il para­dosso di un euro che si apprezza, spe­cial­mente nei con­fronti delle valute di molte econo­mie emer­genti, e frena così il driver delle esportazioni». Questa situazione sta facendo «arrancare» l’Europa colpita dalla combinazione di politiche recessive e dal rigore di bilancio «che rallentano le esportazioni».
È una richiesta ad allentare la morsa del patto di stabilità in nome di una «capacità di competere» che è rimasta forte, anche perché gli economisti di Confindustria registrano segnali di cambiamento «nelle strategie delle imprese» che intendono reagire al credit crunch senza rinun­ciare agli investimenti. Forte è la critica alla mancanza di una politica industriale che è tornata ad essere considerata un fattore importante al pari delle politiche di bilancio e di quelle monetarie. Non è così in Italia che ha abbandonato un programma di rilancio industriale denominato «Industria 2015» inaugurato nel 2006 e bloccato nel 2008.
«Un bollettino di guerra — ha commentato il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi — ma le imprese non sono immobili. Rispondendo indirettamente al governatore di Bankitalia Ignazio Visco Squinzi ritiene che investire «non è facile farlo quando la redditività è al lumicino e il costo del lavoro aumenta in modo slegato dall’andamento della produttività».
ROMA
NON È UN PAESE PER GIOVANI / sbilanciamoci | Autore: Chiara Saraceno
L’IMMAGINE CHE EMERGE DAL RAPPORTO ANNUALE DELL’ISTAT MOSTRA UN PAESE CHE NON RIESCE AD AFFRONTARE I NODI CHE NE HANNO DETERMINATO LA DEBOLEZZA GIÀ DA PRIMA DELL’INIZIO DELLA CRISI MONDIALE E CHE ORA NE FRENANO LA RIPRESA
Un paese che non riesce a riprendersi, in cui solo il 30 per cento delle imprese crea domanda di lavoro. Un paese che ha investito e investe poco in cultura, istruzione, ricerca, innovazione, a livello sia individuale sia sociale, sia privato sia pubblico, con il risultato che riesce contemporaneamente ad avere troppo pochi laureati e troppi laureati sotto-utilizzati, a costringere i giovani con livelli di istruzione elevata a emigrare senza garantire ai meno qualificati possibilità di lavoro. Un paese in cui tutte le ultime riforme – da quella sull’età della pensione a quella del mercato del lavoro (inclusa l’ultima ancora in discussione) – sono state fatte in nome di un riequilibrio a favore delle generazioni più giovani, ma con il risultato che le disuguaglianze a sfavore dei giovani sono aumentate, perché sono loro a sperimentare i maggiori rischi di disoccupazione e di precarietà lavorativa, mentre la composizione per età degli occupati si è ulteriormente alzata, soprattutto a causa della riforma delle pensioni.

Un paese in cui troppi giovani non riescono a raggiungere una ragionevole autonomia economica, rimanendo a carico dei propri genitori ad una età in cui dovrebbero invece poter formare una propria famiglia e diventare a propria volta genitori. Ed infatti il tasso di fecondità è tornato a diminuire, soprattutto nel Mezzogiorno che nel giro di pochissime generazioni ha raggiunto e superato il Centro-Nord nella discesa della fecondità non già a seguito di una riduzione delle differenze territoriali, ma a causa di un loro allargamento. Nel Mezzogiorno si concentrano oggi tutti gli indicatori di una società che non investe più in nulla, tanto meno nelle future generazioni: alti tassi di disoccupazione, bassissimo tasso di occupazione femminile, insieme, tuttavia, ad un aumento delle famiglie in cui è la donna a mantenere la famiglia perché il marito è disoccupato, altissima concentrazione di Neet, di giovani che né studiano né lavorano, alta incidenza della povertà. Un paese in cui, a fronte di un aumento delle famiglie in cui nessun adulto in età da lavoro è occupato, aumentano le famiglie, anche di non soli pensionati, in cui l’unico, o principale, reddito disponibile è una pensione: in cui è un pensionato a mantenere gli altri membri della famiglia, adulti o minori. È un fenomeno tipico delle società povere, dove la pensione è il primo strumento di welfare ad essere introdotto e che in Italia era un tempo presente soprattutto nel Mezzogiorno, ma che negli ultimi anni si sta diffondendo anche in altre aree del paese, a motivo del persistere della crisi occupazionale ed anche della mancanza di ammortizzatori sociali universalistici, a partire da una misura di sostegno al reddito dei poveri. D’altra parte, nonostante l’esiguità di molte pensioni, il reddito pensionistico è l’unico ad aver tenuto negli anni della crisi e i pensionati gli unici ad aver mantenuto una capacità di consumo vicina a quella dell’epoca precedente la crisi. Anche se può capitare che nel loro carrello della spesa compaiano pannolini per i bambini, latte in polvere, nutella e biscotti, ovvero prodotti per i loro nipoti che i genitori non possono permettersi di acquistare.
L’immagine che emerge dal rapporto annuale dell’Istat mostra un paese che non riesce ad affrontare i nodi che ne hanno determinato la debolezza già da prima dell’inizio della crisi mondiale e che ora ne frenano la ripresa. Anche perché le politiche fin qui messe in campo li hanno ulteriormente irrigiditi. Non basta il ritorno di fiducia dei consumatori, pure documentato nel rapporto. Anche perché sembra, al momento, rimanere più a livello di un mutamento nel giudizio sulla situazione del paese (testimoniato anche dal risultato delle elezioni) che non di comportamento. Anzi, il comportamento di consumo sembra diventato ancora più cauto di prima, visto il perdurare delle difficoltà. Per la prima volta, infatti, dall’inizio della crisi nel 2013 la contrazione dei consumi finali delle famiglie, che ormai coinvolge anche le spese per le cure mediche, è stata a superiore a quella del reddito disponibile. In altri termini, per quanta fiducia teorica abbiano nelle possibilità della ripresa, l’esperienza concreta induce a contenere ulteriormente i consumi per risparmiare in vista di ulteriori peggioramenti o comunque non miglioramenti.
Il timore del ministro Padoan che gli 80 euro di rimborso fiscale ai lavoratori a basso salario vadano in risparmi anziché in consumi, quindi non abbiano un effetto di volano per l’economia, è empiricamente fondato. Fino a che non si sarà ricostituito un orizzonte di ragionevole sicurezza sulla tenuta dei bilanci famigliari, soprattutto chi ha redditi modesti ed è l’unico percettore di reddito tenderà a costruire per sé e la propria famiglia una rete di protezione privata tramite il risparmio. COME DAR LORO TORTO…..

VATICANO
CITTA’ DEL VATICANO, 5 GIU .
La Chiesa "non è una casa in affitto" dove chi entra prende ciò che vuole, la Chiesa è "madre" e ci si entra amandola. Lo ha detto il Papa nella messa a Santa Marta, criticando diversi gruppi di cristiani: gli "uniformisti", gli "alternativisti" e gli "affaristi", per i quali tutti, "la Chiesa non è casa loro, la prendono in affitto".
PAPA: DISPREZZO DIRE ‘ATTENTI A PORTAFOGLI’ PER GLI ZINGARI SU BUS / ‘CERTO ANCHE IL POPOLO ZINGARO È CHIAMATO A CONTRIBUIRE AL BENE COMUNE’ / "Spesso gli zingari si trovano ai margini della società, e a volte sono visti con ostilità e sospetto; mi ricordo tante volte qui a Roma, – ha raccontato il Papa a braccio – salivo sul bus, alcuni zingari salivano, l’autista diceva ‘guardate i portafogli’ questo è disprezzo, sarà anche vero, ma è disprezzo". "Sono scarsamente coinvolti nelle dinamiche politiche, economiche e sociali del territorio".
Il Papa ha aggiunto che "certo anche il popolo zingaro è chiamato a contribuire al bene comune, e questo è possibile con adeguati itinerari di corresponsabilità, nell’osservanza dei doveri e nella promozione dei diritti di ciascuno".
"Accanto a una azione solidale in favore del popolo zingaro", ha detto il Papa, è "necessario che vi sia l’impegno delle istituzioni locali e nazionali e il supporto della comunità internazionale, per individuare progetti e interventi volti al miglioramento della qualità della vita". Lo ha detto ricevendo i partecipanti a un incontro sul tema, organizzato in Vaticano dal Pontificio consiglio dei migra

EUROPA
"IL WELFARE CHE NON C’È". IL RAPPORTO MONDIALE DELL’ILO. ITALIA IN FONDO ALLA CLASSIFICA
Il Welfare copre solo il 27 per cento della popolazione mondiale, mentre il 73 per cento non beneficia solo parzialmente o per niente. E’ quanto emerge dal rapporto mondiale sulla protezione sociale 2014-15 realizzato dall’Ilo, l’Ufficio internazionale del lavoro (Onu). "Mentre la necessita’ di una protezione sociale e’ ampiamente riconosciuta – si legge nel rapporto – il diritto umano fondamentale alla sicurezza sociale rimane insoddisfatto per la grande maggioranza della popolazione mondiale".
L’organismo dell’Onu sottolinea che sono soprattutto i bambini a pagare gli effetti della mancanza di protezione sociale. In media, i governi destinano lo 0,4 per cento del Pil a loro e alle prestazioni familiari, sottolinea il rapporto. Percentuale che va dal 2,2 per cento in Europa occidentale allo 0,2 per cento in Africa, in Asia e nel Pacifico. Così circa 18.000 bambini muoiono ogni giorno, soprattutto per cause prevenibili. E quindi morti che potrebbero essere scongiurate attraverso una protezione sociale adeguata. Molti bambini non ricevono i trasferimenti essenziali di cassa che potrebbero fare la differenza in termini di nutrizione, salute, istruzione e servizi di assistenza". "Gli scarsi investimenti nei bambini – secondo l’Ilo – mette a repentaglio i loro diritti e il loro futuro, nonché’ come le loro prospettive di sviluppo".
IN QUESTO QUADRO, L’ITALIA E’ AL 21ESIMO posto tra i Paesi ad alto. Il nostro paese, che destina l’1,5% del Pil alla spesa per la protezione sociale sui bambini e per le prestazioni familiari e’ dietro non solo ai paesi scandinavi e del nord Europa, ma anche di Lettonia e Slovacchia e Cipro. La statistica non tiene conto delle spese sanitarie e si riferisce al periodo 2010-11. Quanto alla spesa sociale per le persone in età lavorativa (sempre escludendo le spese per la salute), l’Italia si colloca al 28esimo posto tra i Paesi ad alto reddito, destinando a questa voce il 4% del Pil. Meglio di noi, tra gli altri paesi, Slovacchia, Lituania, Slovenia e Cipro e Estonia. E’ invece al primo per la spesa pensionistica: secondo il rapporto, nel periodo di riferimento 2010-2011 il nostro Paese ha destinato alla spesa per pensioni e agli altri benefici per gli anziani (escluso la spesa sanitaria) circa il 15% del Pil. Dietro di noi, nella classifica di 50 paesi ad alto reddito considerati dal rapporto, Francia, Austria, Grecia, Portogallo e Polonia. Il metodo di calcolo non consente però di determinare la spesa pro-capite in quanto la forte contrazione del Pil ha sicuramente aumentato il peso della quota previdenziale. Secondo altre classifiche, infatti, l’importo dell’assegno mensile è notevolmente più basso degli altri paesi industrializzati.

RUSSIA
L’UNIONE DI PUTIN Il 29 maggio ad Astana è stato firmato da Russia, Kazakistan e Bielorussia l’accordo per la creazione dell’Unione economica eurasiatica. Ai tre paesi il 15 giugno si unirà l’Armenia, e presto anche il Kirghizistan. Per raggiungere questo risultato, ottenuto dopo trattative durate due anni, Mosca – spiega Kommersant – ha dovuto fare diversi concessioni. Gli accordi siglati in campo energetico vanno incontro alle esigenze finanziarie della Bielorussia, mentre il Cremlino ha accolto la richiesta del Kazakistan di escludere dall’accordo ogni intesa di natura politica. A sorpresa è stata inserita anche una clausola di natura finanziaria che impegna i paesi a non superare la soglia del 50 per cento nel rapporto tra debito pubblico e pil e a tenere il deficit sotto il 3 per cento del pil. "Nel complesso l’Unione eurasiatica sembra non tanto una risposta post sovietica all’Unione europea, quanto un sistema di difesa dall’isolamento economico e da eventuali guerre commerciali".

UCRAINA
L’EUROPA AFONA E COMPLICE. IL MANIFESTO. Autore: Giulio Marcon / POROSHENKO HA RIACCESO IL CONFRONTO ARMATO PERICOLOSAMENTE. L’ITALIA, PUR CHIAMATA IN CAUSA DA PUTIN, NON HA ALCUN RUOLO
Il neoeletto presidente ucraino Petro Poroshenko aveva promesso in campagna elettorale di «portare la pace in tre mesi» nel Paese. Appena nominato ha fatto vedere negli ultimi due giorni come intendeva farlo: con una guerra definita eufemisticamente «operazione antiterrorismo» — così fan tutti — che ha cau­sato almeno cento morti, metà dei quali civili, nella regione di Donetsk controllata dalle milizie filorusse. La situazione (delle vittime e umanitaria) potrebbe peggiorare nei prossimi giorni. Ora, anche la missione Osce, a detta del suo segretario generale Lamberto Zannier, è «ad alto rischio». E infatti risulta dispersa una seconda squadra di osservatori. Sempre il «re del cioccolato» e oligarca (così definito anche dal filo-atlantico Corriere della Sera di ieri) Poroshenko ha minaccio­samente avvertito: «Senza un’Ucraina stabilizzata non sarà possibile garantire la sicurezza dell’intera Europa».
Dopo settimane di relativa tranquillità, l’offensiva ucraina degli ultimi due giorni riporta il paese sull’orlo del baratro. Gli Usa e la Nato, con i polacchi, soffiano sul fuoco, i russi stanno alla finestra giocando un ruolo reticente, ambiguo e interessato, l’Europa è seduta su una panchina, incapace di proporre un negoziato e di fermare la dinamica bellica che il neoeletto Poroshenko ha pericolosamente rimesso in movimento. L’Italia, pur chiamata in causa da Putin, non è dato sapere.
È una dinamica che assomiglia sempre di più a quella alla quale abbiamo assistito negli anni ’90 in ex Jugoslavia, con le dovute differenze del caso. E non solo per l’importanza geopolitica del coinvolgimento della Russia, ma anche per l’esplicita intenzione della Nato di allargarsi e stabilirsi in Ucraina, monitorando così sempre più da vicino le mosse di Mosca. L’Europa invece — come nella vicenda jugoslava — è sempre, sostanzialmente, alla finestra. Nonostante aiuti finanziari e abbozzi di accordi tra Ue e Ucraina, l’Europa non riesce ad avere un ruolo.
Poroshenko, quando dice che la vicenda ucraina potrebbe mettere a rischio la sicurezza europea, un po’ di ragione ce l’ha. Se la guerra si intensifica e si allarga in qualche modo alla Russia, che è ai confini, allora la frittata è fatta.
Potrebbe essere coinvolta la Nato e l’Europa si troverebbe sulla linea del fronte, spaccandosi tra interventisti e moderati, disponibili al negoziato. L’Italia si è distinta per la sua opacità e la sua incapacità di contribuire alla costruzione di un profilo politico autonomo ed incisivo dell’Europa. Per far ripartire il negoziato, bisogna fermare l’offensiva sul campo e far tacere le armi. Basta con gli ultimatum di Kiev. Gli Stati Uniti e la Nato devono smetterla di soffiare sul fuoco, l’Europa deve riacquistare la sua voce, la Russia farla finita con le ambiguità e le complicità con le milizie. La prova muscolare non porta da nessuna parte. O forse sì: alla guerra generalizzata e prolungata.
Fatta la tara alla strumentalità politica veicolata da Mosca e alle pulsioni nazionaliste e violente — che, è bene ricordarlo, fanno il paio con una parte di quelle di Piazza Majdan — il problema della tutela e della salvaguardia dei diritti delle minoranze russofone è una questione reale, soprattutto perché non si sono mai sentite tali nella ex Urss e nella Csi.
Non si possono fare pervicacemente gli stessi errori già così atrocemente messi in atto negli anni ’90 in ex Jugoslavia. Non si può affrontare un tema così complesso come la gestione dello sfaldamento di paesi o federazioni multietniche, premiando i nazionalismi, la geopolitica, gli interessi strategici ed economici delle grandi potenze o delle vecchie alleanze militari o economiche. La lezione dell’ex Jugoslavia avrebbe dovuto consigliarci la retta via. Ma così non sembra: nazionalismi ed interessi geopolitici tornano a prevalere. E non è una buona notizia per l’Europa.

SPAGNA
OBIETTIVO MELILLA
Il 28 maggio duemila migranti dell’Africa subsahariana hanno cercato di passare la frontiera che separa il Marocco dall’enclave spagnola di Melilla. Secondo El Pais, gli immigrati, che erano accampati sul monte Gurugu, hanno dato l’assalto alle barriere in due punti diversi intorno alle 5 del mattino. Circa cinquecento sono riusciti a en-trare in Spagna e si sono diretti verso il centro di soggiorno temporaneo per migranti, dove la situazione è al limite: la struttura ha 480 posti ma ospita più di 2.400 persone. L’assalto del 28 maggio, scrive El Pais, ricorda quello del 18 marzo, quando 500 migranti sono riusciti a entrare a Melilla.

PORTOGALLO
LA CORTE COSTITUZIONALE IN PORTOGALLO ABROGA I TAGLI AI SALARI / Fonte: Il Manifesto | Autore: Goffredo Adinolfi
QUELLA CHE SI VIVE IN PORTOGALLO È UNA SITUAZIONE SEMPRE PIÙ PARADOSSALE: da un lato c’è il governo di Pedro Passos Coelho che adotta misure per ridurre diritti e retribuzioni in nome della crescita sostenibile, dall’altra una corte costituzionale che uno via l’altro boccia buona parte di quei provvedimenti e, infine, un’economia che ad ogni allentamento della morsa austeritaria riprende a crescere. Il nuovo epilogo è di venerdì scorso quando, in seguito a una richiesta di controllo di costituzionalità da parte dei partiti dell’opposizione contro 4 provvedimenti dell’Orçamento do Estado 2014 (Oe 2014), il Tribunale Costituzionale (Tc) accetta il ricorso per ben 3 dei 4 articoli e ne statuisce l’abrogazione immediata. Dei tre, uno, il 33, ha un impatto e un’importanza centrale, perché architrave dell’intero processo di riduzione del deficit voluto dalla Troika e condiviso ampiamente dall’esecutivo: quello della «riduzione remuneratoria» dei funzionari pubblici.
Una questione che viene da lontano, certo, perché le «temporanee» «riduzioni remuneratorie» del 3,5 e 10%, applicate sui redditi a partire dai 1500 euro erano già entrate in vigore fin dal 2011. Tuttavia, con l’articolo 33 dell’Oe 2014, il governo Coelho ha voluto allargare ulteriormente sia il campo di applicazione, abbassandolo fino ai redditi di 675 euro, sia le aliquote, accresciute fino al 12%. La sentenza abrogativa dell’articolo 33 emessa dal Tc si basa su di un principio considerato inderogabile: il diritto fondamentale dei cittadini a ricevere la propria remunerazione, un diritto violabile esclusivamente nel caso in cui il «bene costituzionale» possa risultarne altrimenti compromesso e, quindi, da intendersi come strettamente temporaneo. Nell’interpretazione dei giudici, e contraria­mente a quanto ribadito dal governo, dopo 4 anni tali tagli sono da considerarsi permanenti e quindi non congruenti alla costituzione. Questo significa che da giugno gli stipendi pubblici torneranno a essere quelli che erano nel 2010 e, fatti i calcoli, quella che si apre nei conti è una voragine di ben 1,2 miliardi. Ora la palla passa nel campo del governo ed è probabile che verranno annunciati ulteriori giri di vite per reagire a quella che il primo Ministro ha definito eufemisticamente come un’«enorme avversità».
Se dalle elezioni europee non è arrivata la delegittimazione definitiva contri i partiti di centrodestra da tre anni artefici di una perversa e contradditoria dialettica, questa è arrivata da parte dei giudici di Palácio Ratton. Dal testo della sentenza emerge una battuta di arresto non solo rispetto a 3 dei 4 provvedimenti oggetto di scrutinio, ma anche, e soprattutto, per un intero impianto politico che comprometterebbe l’idea di giustizia che l’Europa ha sempre mostrato di volere difendere. I giudici hanno ricordato che il principio di uguaglianza e proporzionalità non è derogabile e che ci sono delle linee rosse che non possono essere oltrepassate, confini statuiti in una detta­gliatissima costituzione di stampo antifascista.

FRANCIA
SVOLTA DI OBAMA SUL CLIMA – Le Monde, Francia / Quando è arrivato in Europa, il 3 giugno, Barack Obama non si è presentato a mani vuote. Il presidente degli Stati Uniti aveva appena annunciato un’iniziativa senza precedenti per combattere il cambiamento climatico: un progetto dell’Epa, l’agenzia americana per la protezione dell’ambiente, per ridurre del 30 per cento (rispetto ai livelli del 2005) le emissioni di anidride carbonica delle centrali elettriche statunitensi entro il 2030. Per superare l’opposizione dell’industria del carbone, Obama ha deciso di agire con un decreto. In questo modo intende aggirare il congresso, in particolare il senato, dove il progetto contro il riscaldamento globale è bloccato da quattro anni.
Delusi dall’atteggiamento degli Stati Uniti nella conferenza di Copenaghen del 2009, quando Obama si è alleato con Cina e India rifiutandosi di firmare un trattato internazionale sul clima, gli europei speravano da tempo in un gesto come questo. Abbiamo dovuto attendere le elezioni del 2012 (e i primi segnali di ripresa dell’economia statunitense) perché il presidente decidesse di impegnarsi seriamente sul cambia-mento climatico. Fin dal suo secondo discorso di insediamento, Obama ha legato la questione del riscaldamento globale all’interesse nazionale americano. E il 28 maggio, in occasione del discorso sulla politica estera pronunciato a West Point, ha promesso che il clima sarà uno dei temi su cui gli Stati Uniti cercheranno di dare l’esempio. Questa volta sembra che l’amministrazione statunitense faccia sul serio, anche perché le circostanze sono cambiate. La rivoluzione energetica sta spingendo gli Stati Uniti a emanciparsi dal carbone, la fonte più inquinante. E l’aumento dei disastri ambientali – siccità, incendi, uragani – ha reso gli americani più consapevoli delle conseguenze economiche negative del cambiamento climatico.
Ma gli europei hanno buoni motivi per essere prudenti. Le norme firmate da Obama non entreranno in vigore prima di un anno, e comunque si affidano molto all’iniziativa dei singoli stati. In definitiva, la scelta di Obama segna un passo avanti importante, ma non trasforma gli Stati Uniti negli eroi della lotta al cambiamento climatico. C’è ancora molta strada da fare prima che il secondo paese più inquinante del mondo (dopo la Cina) si prenda le sue responsabilità per il riscaldamento globale. Gli altri paesi dovranno tenerne conto in occasione della prossima conferenza sul clima, che si terrà a Parigi nel 2015

SVIZZERA
La nuova provocazione di Assad – Le Temps, Svizzera / Bashar al Assad non si accontenta di diffondere terrore e morte in Siria. Ha voluto anche prendersi gioco dei suoi concittadini, almeno di quelli che continuano a essergli ostili, sia in patria sia all’estero. In un momento in cui le priorità sono tutt’altre, Assad ha organizzato meticolosamente la sua rielezione alla guida del paese, spingendo il suo cinismo fino a conferire al voto una presunta cornice democratica. Il presidente avrà un nuovo mandato di sette anni, il terzo da quando ha ereditato il potere da suo padre Hafez al Assad, nel 2000.
Più che un messaggio per la popolazione siriana, queste elezioni sono una dimostrazione di forza nei confronti della comunità internazionale. Un messaggio che Assad manda a tutti gli "amici" della rivoluzione siriana, arabi o occidentali che siano. Nel corso degli ultimi tre anni la comunità internazionale non ha fatto altro che commettere errori di valutazione sul presidente siriano, che ha saputo trarre vantaggio da quest’incertezza per guadagnare tempo e rafforzare la sua posizione.
Bashar al Assad è stato, è e resterà l’uomo forte della Siria. Con lui al potere, la strategia mi-litare continuerà a prevalere su tutte le altre. A un certo punto del conflitto siriano si è presentata la possibilità di una transizione politica negoziata che avrebbe dovuto prevedere l’uscita di scena del presidente. Ma quell’opzione si è arenata sulle rive della conferenza di pace di Ginevra 2, nel febbraio del 2014. Lakhdar Brahimi, il mediatore delle Nazioni Unite e della Lega araba, l’ha capito quando ha gettato la spugna un mese fa. Ora tocca alle diplomazie occidentali trarre le dovute conclusioni. D’ora in poi dovranno per forza dialogare con Bashar al Assad. Con quale atteggiamento e attraverso quali canali? Cosa si può negoziare con lui? Almeno la possibilità che gli aiuti umanitari raggiungano i siriani che ne hanno bisogno, in qualsiasi zona del paese si trovino.

IRLANDA
Gli scheletri di 796 bambini sono stati rinvenuti in una fossa comune vicino a un orfanotrofio cattolico a Tuam, in Irlanda. Non si conoscono ancora le cause della loro morte. Tra il 1925 e il 1961 la struttura ha accolto migliaia di giovani madri non sposate.

GERMANIA
II 4 giugno il procuratore federale Harald Range ha annunciato l’apertura di un’inchiesta sulle intercettazioni telefoniche ai danni di Angela Merkel da parte dei servizi se-greti statunitensi.

LITUANIA
II 4 giugno l’Unione europea ha dato il via libera all’ingresso del paese nell’euro a partire dal 1 gennaio 2015.

MEDIO ORIENTE & AFRICA
TURCHIA
ad un anno da Gezi park Erdogan si prepara alla repressione dura – INTERNAZIONALE | Autore: Fabrizio Salvatori. / Gli esami effettuati sull’arma hanno provato che e’ stato un poliziotto a uccidere un manifestante negli scontri violenti della settimana scorsa a Istanbul. Secondo l’Istituto medico legale della citta’ e’ stato un poliziotto a causare la morte di Ugur Kurt, 30 anni, raggiunto da un proiettile alla testa. La polizia aveva sparato per disperdere i manifestanti che lanciavano pietre e molotov contro le forze dell’ordine. In un primo momento il ministro dell’Interno Efkan Ala aveva respinto le accuse alla polizia, chiedendo che le armi fossero esaminate prima di qualsiasi procedimento giudiziario. L’ufficio del procuratore di Istanbul ha chiesto al Governatore della citta’ l’autorizzazione a intraprendere un’azione legale contro il poliziotto, del quale non e’ stata rivelata l’identità. La notizia arriva alla vigilia dell’anniversario della rivolta di Gezi Park. Un anno dopo il movimento tenta di riaccendere la fiamma dello "spirito di Gezi" per denunciare la deriva autoritaria dell’uomo forte del paese. "Per ricordare al mondo che non abbiamo rinunciato alle nostre richieste e alle nostre vittorie, saremo sabato a Taksim" ha proclamato Taksim Solidarietà, la piattaforma di organizzazioni non governative e di rappresentanti della società civile che ha preso la guida del movimento.
Il Governo si sta preparando alla scadenza nel peggiore dei modi. Ha dichiarato di essere pronto a mettere in piazza Taskim e nelle zone adiacenti 25mila poliziotti e diverse decine di blindati corazzati. Il dipartimento di polizia di Istanbul, intanto, ha disposto un piano per il 31 maggio che riguarda soprattutto l’area di Taksim, ma anche altre zone della citta’. Oltre al ricorso massiccio ad agenti e cannoni ad acqua, e’ stato autorizzato anche l’uso di veicoli corazzati ed elicotteri.
Le forze dell’ordine hanno duramente represso le manifestazioni di Gezi: otto morti, più di 8.000 feriti e migliaia di arresti. Secondo Amnesty International, ci sono state "violazioni dei diritti umani su vasta scala". Da allora il regime islamico conservatore ha scelto di piegare ogni contestazione. La stampa è sottoposta a censura e centinaia di manifestanti rischiano grosse pene in carcere. "Le autorità turche hanno avviato una caccia alle streghe contro tutti coloro che manifestano o fanno sentir e al loro voce" ha detto il presidente della Federazione internazionale per i diritti umani (FIDH), Karim Lahidzi
ISTAMBUL
UN ANNO DI PROTESTE Il corteo organizzato a Istanbul il 31 maggio per il primo anniversario delle proteste del Parco Gezi è stato violentemente represso dalla polizia, che ha arrestato decine di manifestanti. Il primo ministro Recep Tayyip Erdogan aveva annunciato: "Non potrete occupare piazza Taksim come avete fatto l’anno scorso, perché dovete rispettare la legge". Il governo ha mobilitato oltre ventimila agenti, che hanno usato cannoni ad acqua e lacrimogeni contro i manifestanti. "Le proteste del 2013", scrive il quotidiano Posta, "erano contro il paternalismo del governo, contro la mentalità dei leader politici che pretendono di sapere cosa è meglio per tutti, contro un partito, l’Akp di Erdogan, che vuole controllare i poteri esecutivo, giudiziario e legislativo. La mobilitazione di Gezi era per la libertà e la democrazia. Ma il governo non ha voluto ascoltare e nemmeno quest’anno ha intenzione di farlo. È così che si spiegano i 25mila poliziotti e i blindati presenti in piazza". Secondo Milliyet, tuttavia, "la repressione non deve far dimenticare le vittorie ottenute. Il parco non è stato distrutto e il progetto di ricostruire una caserma ottomana è stato abbandonato. E tutto il mondo ha potuto vedere il vero volto del governo dell’Akp". È in questo clima di tensione che Erdogan si prepara ad annunciare la sua candidatura ufficiale alle presidenziali di agosto.

PALESTINA
UNITA NAZIONALE
Dopo sette anni di divisioni, è stato presentato il 1 giugno a Ramallah, in Cisgiordania, il nuovo governo di unità nazionale palestinese, frutto dell’accordo di riconciliazione firmato il 23 aprile dagli esponenti di Al Fatah e di Hamas. Al Quds al Arabi fa notare che tre ministri non hanno potuto partecipare all’evento perché Israele non gli aveva rilasciato il permesso di uscire dalla Striscia di Gaza. Il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Abu Mazen ha comunque annunciato che "visiterà Gaza al più presto". 117 nuovi ministri sono stati scelti tra una rosa di personalità politiche indipendenti e saranno guidati dal premier uscente Rami Hamdallah. Dopo il giuramento Abu Mazen ha annunciato in tv "la fine di una divisione catastrofica per la causa palestinese", assicurando che il governo di transizione comincerà a organizzare nuove elezioni entro sei mesi. Abu Mazen ha ricordato inoltre che l’Organizzazione per la liberazione della Palestina rimane l’unica interlocutrice di Israele per i negoziati di pace e che le dure condanne israeliane rafforzano la determinazione dei palestinesi. (Al Quids al Arabi, Regno Unito)

RAMALLAH
IL CAPO DEL PARTITO AL FATAH HA ESPULSO CINQUE POLITICI DI LUNGO CORSO ACCUSATI DI AVER IGNORATO LA LINEA UFFICIALE.
Il capo dello stato palestinese ha deciso chi saranno i nuovi ministri, effettuando alcuni cambiamenti fino all’ulti-mo momento. Ha rimosso dall’incarico il suo più fedele collaboratore, il ministro degli affari religiosi, arrendendosi alle pressioni dell’opinione pubblica. Il giorno dopo ha nominato la stessa persona presidente del tribunale religioso. Ha invece mantenuto al suo
posto il ministro degli esteri, poco apprezzato dai palestinesi e dai diplomatici stranieri. Infine ha sostituito il presidente del tribunale civile.
Il capo dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) ha promesso di proseguire il negoziato con Israele e ha dichiarato che il coordinamento della sicurezza con Israele è sacro. L’opinione pubblica detesta sia il negoziato sia il coordinamento della sicurezza.
Il capo del partito, quello dell’Olp e quello di uno stato non-esistente chiamato Pale-stina sono la stessa persona. Abu Mazen ha un potere enorme, più di quanto ne abbia mai avuto Yasser Arafat. Ma sembra preoccuparsi più dell’opinione degli statunitensi e degli israeliani che di quella del suo stesso popolo. Il nuovo governo di unità nazionale si limiterà a eseguire le direttive di Abu Mazen. Questa specie di dittatura permetterà ad Al Fatah di vincere a mani basse le prossime elezioni? Molti commentatori, me compresa, ne dubitano

EGITTO
PLEBISCITO PER AL SISI, MA VOTA SOLO MENO DELLA METÀ DEGLI AVENTI DIRITTO / Abdel Fattah al Sisi e’ il nuovo Faraone d’Egitto. Con percentuali pari al 95,3%, degne dell’era Mubarak stando ai primi exit poll, l’ex generale e ministro della Difesa protagonista della cacciata dei Fratelli musulmani lo scorso luglio, ha conquistato la presidenza. L’unico sfidante, l’innocuo progressista Hamdine Sabbahi, si e’ fermato a meno del 5%, secondo il centro demoscopico Basira, citato dal quotidiano filo-governativo al Ahram. E altre rilevazioni, accreditate dal sito di al Arabiya, fanno lievitare la percentuale a favore di Sisi addirittura al 97%.
Il sito del quotidiano al Ahram riferisce tuttavia fonti dell’Alta Commissione elettorale secondo le quali l’affluenza non ha superato il 40%, con 21 milioni di votanti. Ma si tratta ancora di dati ufficiosi e altre stime arrivano al 47%. L’astensionismo appare comunque alto, anche se al secondo turno delle ben piu’ combattute presidenziali del 2012, vinte da Morsi sul filo di lana, la percentuale dei votanti non era stata superiore al 51,8%

LIBIA
BENGASI
Il 4 giugno a Bengasi l’esplosione di un’autobomba vicino al compound del generale Khalifa Haftar ha causato tre morti, scrive Libya Herald. La crisi libica – scatenata dall’intervento delle forze di Haftar contro le milizie islamiche di Bengasi -sta peggiorando anche sul piano politico, perché il paese ha praticamente un doppio governo. Il primo ministro uscente Abdullah al Thani si rifiuta infatti di cedere il potere ad Ahmed Miitiq, che gode del sostegno del parlamento. Thani considera illegale l’elezione di Miitiq.

IRAQ
II 3 giugno 18 persone sono morte in un bombardamento dell’esercito a Falluja, una città controllata dai ribelli sunniti

MALAVVI
I NUOVI ALLEATI DI MUTHARIKA
Peter Mutharika è il nuovo presidente del Malawi, dopo che il 30 maggio sono stati comunicati i risultati ufficiali delle elezioni. Prende il posto di Joyce Banda, che aveva chiesto l’annullamento del voto. "Mutharika ha dichiarato che cercherà nuovi alleati, come la Russia e la Cina, paesi meno attenti ai diritti umani", scrive il Nyasa Times.

BURKINA FASO
II 31 maggio 35mila persone hanno partecipato a una manifestazione in uno stadio a Ouagadougou per denunciare un possibile referendum per permettere al presidente Blaise Compaoré di candidarsi a un nuovo mandato.

REP. CENTRAFRICANA
Diciassette persone sono morte il 28 maggio in un attentato in una chiesa a Bangui.

QATAR
LA DIFESA DI DOHA / "Nessuna delle accuse è vera. Il Qatar si è aggiudicato i Mondiali del 2022 perché la sua candidatura era la migliore". Il quotidiano qatariota Al Sharq respinge le accuse del giornale britannico Sunday Times, secondo cui l’emirato avrebbe ottenuto la possibilità di ospitare l’evento pagando 5 milioni di dollari in tangenti. L’uomo al centro dello scandalo, Mohamed bin Hammam (nella foto, neliou), ex presidente della Asian football confederation, "non si è mai interessato ai lavori per presentare la candidatura", scrive Al Sharq. "Il Qatar è stato scelto perché era ora che i Mondiali si giocassero in un paese mediorientale".

ASIA & PACIFICO
GIAPPONE
IL DISGELO CON PYONGYANG.
L’annuncio che la Corea del Nord riaprirà le indagini sui cittadini giapponesi rapiti tra gli anni settanta e ottanta, arrivato il 28 maggio al termine di un incontro tra alti funzionari di Tokyo e Pyongyang, ha sorpreso molte persone. Ma cosa significa? "Il nuovo accordo indica una maggiore fiducia tra i due paesi, paragonabile a quella che portò all’incontro tra Junichiro Koizumi e Kim Jong il nel 2002", scrive The Diplomat "La disponibilità di Pyongyang a riaprire tutti i casi, inclusi quelli dei giapponesi morti durante la seconda guerra mondiale nel nord della penisola coreana , è un successo diplomatico per Tokyo, che si aggiunge al fatto che la commissione nord-coreana includerà dei rappresentanti giapponesi. In cambio il Giappone ha promesso di rivedere le sanzioni contro Pyongyang e ha offerto aiuti umanitari. Tokyo potrebbe rendere più facile l’ingresso nel paese per chi ha legami con la Corea del Nord e l’accesso ai porti giapponesi per le navi nordcoreane. Che la questione dei rapimenti si risolva positivamente o che ; Abe sia costretto a tornare alla linea dura a causa di un nuovo test nucleare, per il premier giapponese sarà comunque un successo. Pyongyang ha l’occasione di uscire dall’isolamento diplomatico ed è probabile che eviterà di rovinare tutto con nuove provocazioni militari".

COREA DEL SUD
REFERENDUM PER PARK
Cinquanta giorni dopo l’affondamento del traghetto Sewol, in cui sono morte trecento persone, quasi tutti ragazzi in gita scolastica, il 4 giugno si sono svolte in Corea del Sud le elezioni amministrative. Il paese è ancora sconvolto dalla tragedia, che ha dominato la campagna elettorale scalzando temi tradizionali come il lavoro, l’istruzione e il welfare, e il voto era considerato ! una prova per il governo della presidente Park Geun-hye, sotto accusa per come il governo ha gestito l’incidente, scrive Hankyoreh. La popolarità della presidente è calata drasticamente dopo la tragedia. Il sindaco di Seoul Park Wonsoon, della Nuova alleanza politica per la democrazia, all’opposizione, è riuscito a farsi rieleggere

THAILANDIA
NIENTE ELEZIONI PER UN ANNO
Undici giorni dopo il golpe, il 3 giugno la giunta militare ha tolto il coprifuoco dalle tre principali località turistiche del paese, Phuket, Pattava e Koh Samui, per riattivare un settore in stallo, scrive il Bangkok Post. Il generale Prayuth Chanocha, capo del governo, ha fatto sapere che le elezioni non si terranno prima di un anno.

CINA
SILENZIO SU TIANANMEN – MingPao, Hong Kong
La repressione del 4 giugno 1989 contro i manifestanti di piazza Tiananmen non è un fardello solo per il Partito comunista, ma per tutta la Cina, scrive MingPao. Sono trascorsi 25 anni da quando l’esercito aprì il fuoco sulle persone che da mesi chiedevano riforme politiche ed economiche, nell’ultima fase di un movimento che alla fine degli anni ottanta aveva attraversato il paese. Il bilancio dei morti è ancora incerto. Duecento è la cifra ufficiale, ma secondo altre stime le vittime furono migliaia. In Cina parlare di Tiananmen è ancora un tabù, spiega Liu Sulin, uno dei reduci del movimento che dopo vent’anni di silenzio è tornato all’attivismo. Nelle settimane precedenti l’anniversario decine di persone sono state fermate dalla polizia, la censura di parole "sensibili" sul web è aumentata e le forze dell’ordine hanno presidiato Pechino. "Chi c’era e oggi ha un ruolo di rilievo nel paese, per esempio in campo economico, non ricorda cos’è successo?", chiede Liu. "Il problema", continua, "non è che i cinesi tacciono su Tiananmen, ma che chi parlandone potrebbe innescare un cambiamento non lo fa".

INDIA
NON TOCCATE IL KASHMIR
La dichiarazione di un sottosegretario del nuovo governo indiano, secondo cui l’esecutivo vorrebbe abrogare l’articolo 370 della costituzione, ha scatenato un’accesa polemica. L’articolo in questione fu introdotto nel 1947, dopo la fine del dominio britannico e l’annessione del Jammu e Kashmir, e dà a questo stato il diritto di decidere a quali leggi di New Delhi sottostare e di avere una propria costituzione. La replica di Omar Abdullah, chief minister del Jammu e Kashmir, intervistato dalla Bbc, è stata secca: "Quell’articolo è l’unico anello che lega il Jammu e Kashmir all’India". Un’affermazione che qualcuno ha interpretato come una minaccia di secessione, esclusa però da Abdullah. L’abrogazione dell’articolo 370 è un tema caro al Bjp, il partito nazionalista indù del primo ministro Narendra Modi.
INDIA
ANDHRA PRADESH
II 31 maggio cinque uomini sono stati arrestati con l’accusa di aver stuprato e poi ucciso, impiccandole a un albero, due ragazze di 14 e r5 anni a Katrashadatganj, nell’Uttar Pradesh. Il 2 giugno da una scissione dell’Andhra Pradesh è nato il ventinovesimo stato indiano, il Telangana.

PAKISTAN
II 3 giugno centinaia di persone si sono scontrate con la polizia e hanno incendiato alcuni autobus a Karachi dopo l’arresto a Londra di Altaf Hussain, leader dell’ Mqm, il principale partito locale. Hussain è accusato di corruzione

AMERICA CENTRO-MERIDIONALE
VENEZUELA
PRESENTATE LE INTERCETTAZIONI SUL TENTATO GOLPE| Fonte: Il Manifesto | Autore: G. Colotti
"Bisogna eliminare questa porcheria, cominciando dalla testa, approfittando del clima mondiale con l’Ucraina e ora con la Thailandia. Prima si fa, meglio è”. Parole di Maria Corina Machado, ex deputata venezuelana di estrema destra. Le avrebbe scritte all’ex ambasciatore all’Onu Diego Arria, esponente del cartello di opposizione Mesa de la unidad democratica (Mud).
Ancora più espliciti i messaggi rivolti da Machado ai nazisti del gruppo Juventud Activa Venezuela Unida (Javu), finanziati da Henrique Salas Romer, economista e fondatore del partito Proyecto Venezuela, ex governatore dello stato Carabobo: “La lobby internazionale è nel suo miglior momento”, avrebbe scritto Machado aizzando gli oltranzisti. Il governo venezuelano ha presentato le intercettazioni nel corso di una conferenza stampa coordinata ieri sera dal sindaco del municipio Libertador, Jorge Rodriguez. Un’occasione per denunciare “il colpo di stato” delle destre durante la quale è emersa una rete di complicità che include, tra gli altri, il banchiere Eligio Cedeno, l’avvocato costituzionalista Gustavo Tarre Birceño (della locale Democrazia cristiana) e diplomatici Usa (in particolare l’ambasciatore in Colombia, Kevin Whitaker).
Intanto, negli Stati Uniti, 14 deputati democratici hanno espresso il loro disaccordo al progetto di legge per imporre sanzioni al Venezuela. Lo hanno fatto con una lettera aperta al presidente Barack Obama prima che si aprisse la discussione sul tema alla Camera dei rappresentanti. Il testo che prevede di bloccare i visti e i beni ai funzionari del governo venezuelano “che hanno violato i diritti umani” è già stato approvato dalla Commissione esteri della camera e del Senato. I 14, guidati dal rappresentante per il Michigan John Conyers, chiedono invece a Obama di ripristinare le relazioni bilaterali fra i due paesi, congelate da quattro anni. Come gesto di distensione, il presidente del Venezuela, Nicolas Maduro, si è detto pronto a inviare un nuovo ambasciatore, già nominato. Nessuna risposta, però, da Washington, anche se John Kerry ha recentemente usato toni distensivi.
Le destre venezuelane premono per l’intervento esterno attra­verso i loro fidi a Miami e tuonano contro “il castro madurismo”. Nella lettera a Obama, i deputati democratici esprimono invece il loro sostegno all’azione intrapresa dall’Unione delle nazioni sudamericane (Unasur), che sta mediando nel conflitto in corso da febbraio tra governo e opposizione (42 morti e oltre 800 feriti). Un conflitto che registra il rifiuto della Mud di proseguire senza prima aver ottenuto “l’amnistia” per gli arrestati. Fra questi, il commissario Ivan Simon vis, coinvolto nel colpo di stato contro Hugo Chavez del 2002, che ha iniziato uno sciopero della fame. Il ministro degli Esteri, Elias Jaua, ha denunciato l’ingerenza degli Stati uniti davanti ai rappresentanti del Movimento dei paesi non allineati (Mnoal), nel vertice che si conclude oggi in Algeria: “Il popolo venezuelano merita di vivere in democrazia”, ha detto davanti agli 80 delegati dei 120 paesi che formano l’organismo internazionale. L’anno prossimo, il summit si terrà a Caracas e il Venezuela assumerà la presidenza del Mnoal fino al 2018. Jaua ha presentato una denuncia analoga nella riunione straordinaria della Unasur, che si è tenuta in Ecuador lo scorso 22 e 23 maggio. Stessa cosa intende fare davanti ad altri organismi internazionali, molti dei quali sono già in possesso di un corposo fascicolo che documenta “il colpo di stato strisciante” ad opera della destra venezuelana. Il 14 e il 14 giugno parlerà al G77 + Cina in programma a Santa Cruz, in Bolivia e davanti alla Comunità degli stati latinoamericani e caraibi li (Celac) che riunisce 33 paesi latino caraibi. Oggi, Jaua va a Mosca per incontrare il suo omologo Sergei Lavrov, per consolidare i meccanismi di cooperazione e le relazioni politiche con la Russia. Dal vertice del Mondo al, il presidente boliviano Evo Morales ha protestato contro “i tentativi invasori degli imperi” e ha difeso il Venezuela socialista. “Il cammino delle sanzioni è un fallimento come lo è stato il bloqueo e la persecuzione degli Stati uniti contro Cuba – ha detto Maduro durante il suo programma televisivo settimanale — speriamo che Obama ascolti il clamore dei popoli e instauri nuove relazioni di rispetto, perché qualunque sanzione si esporrebbe al ripudio internazionale”.

URUGUAY
Un successore per Mujica
Il i giugno ci sono state le primarie interne ai partiti per eleggere i candidati che parteciperanno alle elezioni presidenziali di ottobre per succedere a José "Pepe" Mujica. L’ex presidente Tabaré Vàzquez del Frente amplio (al governo), Luis Lacalle Pou del Partido nacional e Pedro Bordaberry del Partido Colorado sono stati i prescelti dai loro partiti. Il Clarin sottolinea la bassissima affluenza alle urne.

COLOMBIA
II 31 maggio la polizia ha arrestato a Barranquilla 46 membri del gruppo criminale Los Rastrojos.

EL SALVADOR
II 1 giugno si è insediato il nuovo presidente del Salvador Sánchez Cerén, ex guerrigliero.

CILE
LEGALIZZARE L’ABORTO
Il 21 maggio la presidente cilena, Michelle Bachelet, ha annunciato che il suo governo presenterà in parlamento "un progetto di legge che depenalizzi l’interruzione volontaria di gravidanza in caso di pericolo di vita per la madre, malformazione del feto e violenza sessuale". Un annuncio importante, scrive The Clinic, "dato che il Cile proibisce l’aborto in forma totale. Una donna che interrompe la gravidanza nel paese non solo mette a rischio la salute e la vita, ma può scontare dai tre ai cinque anni di carcere".

BRASILE
VERITA’ E BUGIE SUI MONDIALI – Un motivo di preoccupazione per i giornalisti è la quantità d’informazioni sbagliate diffuse all’estero sui Mondiali. Un paio di settimane fa il freelance danese Keldorf Mikkel Jensen ha scritto che non seguirà più i Mondiali perché a Fortaleza i bambini di strada "vengono uccisi per ripulire la città durante il torneo. Li uccidono mentre dormono, in una zona piena di turisti". Quest’accusa è stata subito smentita dalle ong che lavorano con i bambini di strada a Fortaleza. Infondata è anche l’accusa rivolta al governo di sottrarre denaro dalla sanità e l’istruzione per finanziare i Mondiali. Lo sfruttamento sessuale delle ragazze o la repressione degli ambulanti erano problemi che esistevano già prima dei Mondiali, ma sono stati ingigantiti con l’avvicinarsi dell’evento. Quando lo faccio notare ai corrispondenti stranieri, loro mi chiedono perché i brasiliani sono così arrabbiati. Perché vogliono approfittare dell’attenzione interazionale per protestare contro la Fifa e il governo, che hanno speso troppo e non hanno avviato un dialogo con le popolazioni coinvolte. D’altra parte gli stadi ristrutturati su misura per i vip fanno pensare ai brasiliani di non essere stati invitati alla festa. In un certo senso, chi manifesta ha già raggiunto il suo obiettivo: l’opinione pubblica non guarderà più nello stesso modo un torneo organizzato dalla Fifa. È il nostro modo di partecipare alla più grande festa del mondo. ( Natalia Viana dirige l’agenzia giornalistica brasiliana Pùblica.)

essere rimasto coinvolto in uno scandalo legato alla mancata assistenza ai reduci.

AMERICA SETTENTRIONALE
CANADA
QUEBEC
Armato come "Rambo" uccide tre agenti . E’ caccia all’uomo in Quebec, nel mirino un 24enne
E’ caccia all’uomo in Canada dove un uomo, nella zona di New Brunswick, in Quebec, vicino al confine nordest degli Stati Uniti, ha aperto il fuoco contro gli agenti della polizia uccidendone tre e ferendone altri due. In una foto diffusa il killer appare vestito con una tuta mimetica, i capelli lunghi raccolti in una fascia e armato fino ai denti, con almeno due fucili d’assalto. La popolazione e’ stata invitata a chiudersi nelle abitazioni e a non uscire fino a contrordine.
L’uomo in fuga, vestito alla Rambo, è stato identificato dalla polizia nel 24enne Justine Bourque. Viene definito dalla polizia "armato e pericoloso". Secondo le prime ricostruzioni avrebbe colpito, ferendole,
anche altre due persone, oltre ai cinque poliziotti delle Giubbe Rosse della Royal Canadian Mounted Police che – sembra – cercavano di fermarlo, di cui tre deceduti e due trasportati in ospedale non in pericolo di vita. In azione ci sono mezzi ed elicotteri delle forze dell’ordine, e tutte le arterie stradali della zona sono state bloccate, anche se l’uomo, fuggito pare a piedi, non dovrebbe essersi allontanato di molto e le ricerche sono al momento concentrate su due strade. L’area interessata e’ quella di Moncton, una cittadina di 100 mila persone a circa 300 chilometri da Halifax.
Per le Giubbe Rosse canadesi si tratta di una delle tragedie più gravi della loro storia. La peggiore nel 2005, quando nella provincia francese di Alberta un uomo armato all’interno di un’azienda agricola ne uccise cinque: non accadeva da 100 anni.

USA – NYC
Nel cuore di Wall Street si discute di rivoluzione / Intervista a Seth Adler, organizzatore del Left Forum di Marina Catucci
DA 30 MAGGIO AL PRIMO GIUGNO SI E’ SVOLTO A NEW YORK IL LEFT FORUM, IL FORUM DELLA SINISTRA, GIUNTO QUEST’ANNO ALLA DECIMA EDIZIONE. LE RADICI DI QUESTA TRE GIORNI ANNUALE CHE CERCA DI FARE IL PUNTO A SINISTRA SUL «CHI SIAMO E DOVE VOGLIAMO ANDARE» RISALGONO AGLI ANNI ’60, ALLA SOCIALIST SCHOLARS CONFERENCE.
«La Socialist Scholars Conference era lo sforzo di un ampio gruppo di accademici di sinistra per creare uno spazio dove presentare il proprio lavoro teorico e storico, per la maggior parte in un formato scientifico, del pensiero marxista, leninista, trotzkista e maoista, ma con un pubblico ben più vasto e vario di quello dei circoli accademici – spiega al manifesto Seth Adler, coordinatore del Left Forum – Durante gli anni ’80, nell’era Reagan, la conferenza è cresciuta fino ad attirare in media tra i 1.500 ed i 2.000 partecipanti l’anno e ospitare circa 300–400 oratori e una cinquantina di espositori (editori di libri, riviste, organizzazioni), perdendo il carattere accademico e diventando il più grande raduno annuale della sinistra in Nord America. Ogni grande pensatore socialista è passato dalla SSC, così come molti politici e sindacalisti internazionali. Da questo terreno nel 2004 è nato il Left Forum. Ora si parla di oltre 4.000 partecipanti, più di 1.200 oratori e centinaia tra pannelli, workshop ed eventi. Quando abbiamo avuto interventi da parte di personalità come Chomsky, Michael Moore, Oliver Stone o il reverendo Jesse Jackson, si sono viste vere e proprie folle, con file per entrare intorno a tutto l’isolato».
Il tema di quest’anno sarà «Riforma e/o rivoluzione: immaginare un mondo con giustizia trasformativa» e si svolgerà presso il John Jay College of Criminal Justice, parte della City Univesity di New York, a Manhattan. I seminari spaziano dall’introduzione a Lacan come risorsa per la sinistra al pensiero di Rosa Luxemburg applicato alle attuali esigenze di trasformazione politica, dal seminario sulla contrapposizione tra borghesia, colletti bianchi e precariato a quello sulle analisi delle catastrofi ambientali, partendo da un approccio anarchico. L’elenco dei seminari è diviso per aree tematiche (genere e sessualità, cibo, ambiente, istruzione, salute) e per aree geografiche e sono numerosi i contributi internazionali.
«I diversi aspetti della sinistra sono cambiati e si sono moltiplicati – continua Seth Adler – Tra i nostri seminari ci sono il contributo del pensiero anarchico, del pensiero e delle nuove metodologie di Occupy Wall Street; nuove forme di teoria e di pratica sia per un approccio rivoluzionario che per una strada di riforme. Queste due vie, rivoluzione e riforma, sono sempre state viste come separate ed antitetiche. Noi vogliamo, in questa edizione del Left Forum, focalizzarci su ogni loro aspetto, analizzandone sia le differenze che i punti di incontro. I partecipanti alla conferenza si riuniscono per mettere in campo una vasta gamma di prospettive critiche sul mondo, per condividere idee».
Che questo tipo di conferenza avvenga proprio a Manhattan, nella stessa isola che ospita Wall Street, il cuore di quel sistema capitalistico che i partecipanti al Forum cercano di smantellare, non è sorprendente per il coordinatore Adler. «Il Left Forum è composto da un ampio spettro di organizzazioni, intellettuali di sinistra, progressisti, attivisti, accademici, si avvale dell’apporto di esperienze internazionali. Tutte queste realtà sono rappresentate a New York, qua convergono o a volte, come nel caso di Occupy Wall Street, qua si formano».
Tra gli speaker di quest’anno ci sono nomi noti come quello di Amy Goodman, Harry Belafonte, Angela Davis, Chri­stian Hedges. «Quello che accade – racconta l’organizzatore — è che spesso personalità famose della sinistra vengono al Left Forum anche se non devono tenere un seminario, vengono come pubblico. L’ha fatto Michael Moore, ad esempio, e l’anno scorso ha partecipato, in incognito, una delle Pussy Riots. Il Left Forum è un momento importante di analisi e di confronto, due aspetti importanti nel processo rivoluzionario».
Rivoluzione, rivoluzionario, sono termini ricorrenti nel dialogo con gli organizzatori del Left Forum e compaiono spesso anche nei titoli dati ai vari seminari: si parla di rivoluzione come di un’opzione percorribile, affrontabile. «Il termine rivoluzione è un termine importante, che indica qualcosa, ma che è stato abusato e svuotato di significato. Ad esempio è abusato in pubblicità , dove viene definito rivoluzionario un dentifricio, un sapone per la lavatrice. Non bisogna concederlo con facilità, è i STATI WASHINGTON
OBAMA TAGLIA LE EMISSIONI
Il 2 giugno l’amministrazione Obama, in base alle raccomandazioni dell’agenzia per l’ambiente statunitense (Epa), ha annunciato un piano per combattere le emissioni di gas serra: entro il 2030 le centrali elettriche del paese dovranno ridurre del 30 per cento le emissioni di CO2 rispetto ai livelli del 2005. "Il piano, accolto con entusiasmo dagli ambientalisti e considerato dai repubblicani un pericoloso freno all’economia, affida agli stati il compito di scegliere come raggiungere gli obiettivi fissati a Washington", spiega il New York Times. "Una strategia simile a quella adottata per la riforma sanitaria".
Emissioni, miliardi di tonnellate di CO2 equivalente importante continuare ad utilizzarlo in modo proprio, per il vero significato che veicola».
NYC
I CONTI CON IL PASSATO The Atlantic, Stati Uniti
Duecentocinquant’anni di schiavitù, novant’anni di leggi razziali, trentacinque anni di politiche sulla casa che hanno penalizzato gli afroamericani. In un lungo articolo che ha riacceso un vivacissimo dibattito nel paese, TaNehisi Coates chiede agli Stati Uniti di fare i conti con il passato e di regolare i suoi debiti morali con i neri d’America, risarcendoli. La schiavitù, scrive Coates, ha permesso agli Stati Uniti di diventare un paese ricco e potente, creando "un’indispensabile classe operaia" che ha lasciato i bianchi "liberi di sbandierare il loro amore per la libertà e i valori democratici". La discriminazione razziale oggi è meno esplicita, ma affligge ancora il paese. Liquidando l’eredità della schiavitù come acqua passata o come uno sbaglio dei loro avi, gli Stati Uniti rifiutano di assumersi una responsabilità. Le conseguenze della schiavitù e della discriminazione hanno creato un insanabile divario tra bianchi e neri in termini di ricchezza. "La vita degli afroamericani è migliorata rispetto a un secolo e mezzo fa", scrive Coates. "Ma i progressi poggiano su fondamenta fragili e ci sono crepe ovunque".

(articoli da: NYC Time, Time, Guardian, The Irish Times, Das Magazin, Der Spiegel, Folha de Sào Paulo, Clarin, Nuovo Paese, L’Unità, Internazionale, Il Manifesto, Liberazione, Ansa , AGVNoveColonne, ControLaCrisi e Le Monde)

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