11191 VENEZIA e il MOSE d’oro.

20140605 16:38:00 red-emi

1 – VENEZIA
2 – IDEA, non punire più i delinquenti: lo dice la legge / per i delitti che prevedono pene fino a 5 anni esclusi carcere, domiciliari e servizi sociali
3 – A PALAZZO MADAMA il governo si è impegnato entro un mese a presentare gli emendamenti al testo GRASSO / Riforme e anti-corruzione: tutto fermo
4 – Una lunga storia cominciata nel 1975 con la legge speciale
5 – “Dissi a Prodi che il progetto andava cambiato”
6 – LAGUNA AL COLLASSO / Venezia, storia di un suicidio.
7. L’inchiesta Mose, il mostro della Laguna / Manifestanti “No Mose”
8 – Italia. Non è come Tangentopoli, è peggio. A Venezia il «sistema»

1 – VENEZIA
Se esistesse ancora un minimo di decenza, milioni di persone perbene – elettori, giornalisti, intellettuali, eventuali politici e imprenditori – dovrebbero leggersi l’ordinanza dei giudici di Venezia sul caso Mose e poi chiedere umilmente scusa a Beppe Grillo e ai suoi ragazzi. Anni e anni sprecati ad analizzare il suo linguaggio, a spaccare in quattro ogni sua battuta, a deplorare il suo populismo, autoritarismo, giustizialismo, a domandarsi se fosse di destra o di centro o di sinistra, a indignarsi per le sue parolacce, a scandalizzarsi per le sue espulsioni, ad argomentare sui boccoli di Casaleggio e sul colore del suo trench, a irridere le gaffes dei suoi parlamentari, a denunciare l’alleanza con l’improbabile Farage (l’abbiamo fatto anche noi, ed era giusto farlo, ma in un paese normale: dunque non in Italia). Intanto destra, sinistra e centro – quelli che parlano forbito e non hanno i boccoli – rubavano. Rubavano e rubano tutti, e insieme, sempre, regolarmente, scientificamente, indefessamente, su ogni grande e piccola opera, grande e piccolo evento, appalto, consulenza, incarico. Anzi, ogni grande e piccola opera, grande e piccolo evento, appalto, consulenza, incarico servono soltanto a far girare soldi per poterli rubare. Tutti i più vieti luoghi comuni del qualunquismo bar – sono tutti d’accordo, è tutto un magnamagna – diventano esercizi di minimalismo davanti alla Cloaca Massima che si spalanca non appena si intercetta un telefono, si pedina un vip, si interroga un imprenditore. Basta sollevare un sasso a caso per veder fuggire sorci, pantegane, blatte e bacherozzi maleodoranti con i nostri soldi in bocca, o in pancia (il Mose doveva costare 2 miliardi, ne costerà 6 e ora sappiamo perché). La Grande Razzia che ha divorato l’Italia e continua a ingoiarsene le ultime spoglie superstiti è sopravvissuta a Mani Pulite, agli scandali degli ultimi vent’anni e alla crisi finanziaria, nutrendosi dell’impunità legalizzata, dell’illegalità sdoganata e dell’ipocrisia politichese di chi vorrebbe ancora convincerci che esistono i partiti, le idee, i valori della destra, del centro e della sinistra.
Invece esiste soltanto una gigantesca, trasversale, post-ideologica associazione per delinquere che si avventa famelica su ogni occasione per rubare, grassare e ingrassare a spese di quei pochi fessi che ancora si ostinano a pagare le tasse. A ogni scandalo ci raccontano la favola delle mele marce, la frottola della lotta alla corruzione, l’annuncio di regole più severe, la promessa del rinnovamento, della rottamazione. E intanto continuano a rubare, secondo un sistema oliato e collaudato di larghe intese del furto che precede e spiega le larghe intese di governo. E la totale mancanza di opposizione a sinistra negli anni del berlusconismo rampante e rubante. Anche l’art.27 della Costituzione, quello della presunzione di non colpevolezza, diventa una barzelletta se si leggono le carte delle indagini su Expo e sul Mose, dove i protagonisti delinquono in diretta telefonica, o a favore di telecamera: non c’è bisogno della Cassazione, e nemmeno della sentenza di primo grado, per capire che rubavano davvero. Politici, imprenditori, funzionari, generali della Finanza, giudici amministrativi e contabili. Il solito presepe di sempre, che avvera un’altra celebre battuta da bar: a certi livelli “non esistono innocenti, solo colpevoli non ancora presi”. Renzi non ruba, e i suoi fedelissimi sono lì da troppo poco tempo. Ma rischia di diventare il belletto per mascherare un partito marcio con cui – per prenderne il controllo – ha accettato troppi compromessi. Marcio nella testa prim’ancora che nelle tasche. Ieri, senz’aver letto un rigo dell’ordinanza, l’ineffabile Piero Fassino già giurava sulla leggendaria probità del sindaco Orsoni appena arrestato (“chi lo conosce non può dubitare della sua onestà e correttezza”), invitando i giudici ad appurarne al più presto l’innocenza per “consentirgli di tornare alla funzione di sindaco”.
Perché, se ne appurassero la colpevolezza cosa cambierebbe? Fassino lo promuoverebbe a suo braccio destro, come ha fatto con Quagliotti pregiudicato per tangenti?
O il Pd gli restituirebbe la tessera, come ha fatto con Greganti pregiudicato per tangenti? La Cloaca Massima è così pervasiva che ogni strumento ordinario per combatterla diventa favoreggiamento. Ma davvero Renzi pensa di affrontarla con il povero Cantone e la sua “task force” di 25 (diconsi 25) collaboratori? O con qualche presunta riforma? A mali estremi, estremi rimedi: cancellare le grandi opere inutili ancora in fase embrionale, dal Tav Torino-Lione al Terzo Valico; cacciare ogni inquisito dai governi locali e nazionali; radiare dai contratti pubblici tutte le imprese coinvolte in storie di tangenti; introdurre gli agenti provocatori per saggiare la correttezza dei pubblici amministratori (come negli Usa); imporre a chi vuole concorrere ad appalti una dichiarazione in cui accettano di essere intercettati, a prescindere da ipotesi di reato (come fece Rudy Giuliani sindaco di New York); piantarla con le “svuotacarceri” (l’ultima è a pag. 7), costruire nuovi penitenziari e, nell’attesa, riattare caserme dismesse per ospitare i delinquenti che devono stare dentro; radere al suolo tutte le leggi contro la giustizia targate destra, centro e sinistra degli ultimi 20 anni. Tutto il resto non è inutile: è complice. di Marco Travaglio

2 – IDEA, NON PUNIRE PIÙ I DELINQUENTI: LO DICE LA LEGGE / PER I DELITTI CHE PREVEDONO PENE FINO A 5 ANNI ESCLUSI CARCERE, DOMICILIARI E SERVIZI SOCIALI Beatrice Borromeo | 5 giugno 2014
Venghino signori, venghino. Corrotti ed evasori, frodatori e pirati informatici, danneggiatori e bancarottieri: le belle sorprese non mancano mai per la banda dei “diversamente onesti”, colletti bianchi in testa che, ancora una volta, incassano l’assist del legislatore. Un regalo non da poco, perché chi commetterà certi tipi di reato, per quanto gravi (anche delitti che prevedono la reclusione fino a 5 anni), potrà evitare sia il carcere, sia i domiciliari, sia i servizi sociali, sia addirittura la macchia sulla fedina penale. In sostanza, non verrà proprio punito. LA LEGGE delega è la numero 67 dello scorso 28 aprile ed è già stata approvata dalla Camera. A leggere bene, nascosto tra i classici sconti di pena, c’è il dono più apprezzato, che farà felice chi, per dirne una, ama creare discariche abusive. Secondo il testo, sarà infatti da “escludere la punibilità di condotte sanzionate con la sola pena pecuniaria” e anche, notate bene, quelle che prevedono “pene detentive non superiori nel massimo a cinque anni”. Solo che cinque anni non sono pochi. Questa novità, come ricostruisce l’avvocato penalista Federico Penco, riguarda infatti la maggioranza dei reati ambientali e informatici, buona parte dei reati societari e alcuni reati tributari (ma anche, per dire, chi istiga alla pedofilia). Si prevedono poi concitate riunioni di condominio: munitevi di chiavi appuntite, perché rigare l’automobile del vostro vicino di casa potrebbe diventare di fatto lecito (e chi pensa che questa sia istigazione a delinquere, si dia pace: essendo un reato punibile da uno a cinque anni, anche questo rientra nel lungo elenco di quelli che verrebbero “perdonati”). Il processo potrebbe dunque saltare in toto: ci si fermerà un passo prima, per valutare la sussistenza di due soli fattori, cioè la “particolare tenuità dell’offesa” e la “non abitualità del comportamento”. Poi starà al giudice decidere se procedere o, nella logica di svuotare le carceri (e le case-domiciliari, e le strutture alla Cesano Boscone dove si sconta l’affidamento in prova), fare finta che non sia successo nulla. Certo, alcuni vincoli reggono. Nel caso dei delitti contro l’ambiente, per esempio, il tizio che vuole farla franca deve volontariamente “rimuovere il pericolo ovvero eliminare il danno da lui stesso provocato, prima che sia esercitata l’azione penale”. Ma, se proprio non vuole, e dunque non può appellarsi alla particolare “tenuità” del reato, non si disperi. Perché la modifica principale contenuta nella legge delega è ancor più generosa: “Per i delitti per i quali è prevista la pena della reclusione tra i tre e i cinque anni – recita l’articolo – il giudice può applicare la reclusione domiciliare”. Se finora a evitare la galera erano di fatto i condannati fino a tre anni, e poi fino a quattro con le ultime “svuotacarceri”, l’asticella si alza ancora più, fino a cinque, nel nome di un’emergenza-celle ormai perenne (anche se molti penitenziari, nuovi o vecchi come l’Asinara, continuano a restare inutilizzati). E i regali non finiscono qui: anche per i reati puniti fino a quattro anni, l’imputato potrà chiedere la sospensione del processo con la “messa alla prova”. Ancora una volta, basta risarcire il danno o eliminare le conseguenze pericolose del reato non solo per evitare la reclusione, ma addirittura perché il giudice dichiari l’estinzione del reato stesso. “Anche se la norma non è ancora entrata ufficialmente in vigore – racconta Mauro Lissia, giornalista – in Sardegna sta già interferendo con alcuni processi, tra cui uno per lottizzazione abusiva con 45 imputati, che è stato sospeso per vedere se è applicabile, al posto della reclusione, la messa in prova”. Massimiliano Ravenna, avvocato difensore proprio in quel processo, conferma che il Tribunale di Cagliari la scorsa settimana si è riservato di verificare l’applicabilità delle nuove norme: “Ci sono molte lacune – spiega Ravenna – ma la legge è promettente. Ho fatto già sospendere anche un altro processo, a Chia, in cui il mio cliente è accusato di dichiarazione fraudolenta e uso di fatture per operazioni inesistenti”. BUONE notizie infine per chi, inaccontentabile, volesse rendersi direttamente irreperibile: verrà eliminato l’istituto della contumacia. “Si prevede che a fronte dell’assenza dell’imputato, il giudice debba rinviare l’udienza e disporre che l’avviso sia notificato all’imputato personalmente a opera della polizia giudiziaria; quando la notificazione non risulta possibile, e sempre che non debba essere pronunciata sentenza di non luogo a procedere, il giudice dispone con ordinanza la sospensione del processo nei confronti dell’imputato assente”. L’estate è alle porte e il Natale pure.

3 – A PALAZZO MADAMA IL GOVERNO SI È IMPEGNATO ENTRO UN MESE A PRESENTARE GLI EMENDAMENTI AL TESTO GRASSO / Riforme e anti-corruzione: tutto fermo. di Wanda Marra
LA RIFORMA DEL SENATO? Fervono le trattative, aumentano gli ultimatum, ma l’accordo non si vede. La legge anti-corruzione? È ferma in attesa degli emendamenti del governo, che si è impegnato a presentarli entro un mese. A Palazzo Madama il 40,8% del Pd non sembra aver prodotto un turbinio di iniziative politiche. Anzi, ha congelato tutto. Tra i senatori democratici non renziani c’è chi parla di difficoltà di gestione da parte del governo. E chi ricorda che – boom elettorale o no – i numeri della maggioranza sono risicatissimi . Per ora le grandi riforme costituzionali rimangono incagliate tra le impuntature dei 20 irriducibili democratici e il no di FI al cosiddetto sistema francese (prevede che l’elezione dei nuovi senatori dovrà essere affidata a una platea estesa formata da consiglieri comunali-regionali e deputati) nel nome dell’elettività diretta. Ma nel partito di Berlusconi c’è chi racconta che l’ex Cavaliere baratterebbe il suo assenso alla riforma in cambio della mancata reintroduzione del falso in bilancio, quello che il ministro Andrea Orlando sta promettendo. Adesso l’accertamento parte solo su querela di parte, prossimamente dovrebbe diventare automatico. Al di là degli annunci e delle intenzioni, per ora il ddl anticorruzione a Palazzo Madama si è fermato. Coincidenze? Tra l’altro, c’è chi è molto critico sull’iniziativa di Grasso di presentarlo. “Deve tornare alla Camera – spiega un renziano – perché con i numeri del Senato è chiaro che il rischio è l’affossamento”.
ALLO STALLO sul fronte giustizia corrisponde uno stallo sul fronte riforme. Ieri la Commissione Affari costituzionali ha iniziato a discutere i 5200 emendamenti. È chiaro che si prende tempo. Luigi Zanda, il capogruppo, ha incontrato il “dissidente”, Corradino Mi-neo. Si parla di una sua sostituzione con il più ortodosso renziano, Stefano Collina. Ho parlato con Luigi Zanda che mi ha detto di essere preoccupato per la commissione ma non mi ha detto niente sulla mia sostituzione", dice lui. In ogni caso "non lo accetterei e non penso che il Pd se lo possa permettere". Tra le opzioni in agenda per sbloccare la situazione, un nuovo incontro tra Berlusconi e il premier la prossima settimana.

I membri della Commissione – intanto – si chiedono fino a che punto è disposto Renzi a mantenere la sua rigidità. Il punto di caduta individuato da molti è il “listino”, che prevede che quando si va a votare per le Regioni sia possibile individuare quelli che dovrebbero sedere nella Camera delle autonomie. Una forma di elettività a cui Matteo Renzi e il governo restano contrari. A costo di far saltare il banco e la legislatura?

4 – UNA LUNGA STORIA COMINCIATA NEL 1975 CON LA LEGGE SPECIALE . Redazione Il Fatto Quotidiano | 5 giugno 2014
IL CONSORZIO NUOVA VENEZIA è il concessionario unico del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Magistrato alle Acque di Venezia, per la realizzazione degli interventi per la salvaguardia di Venezia e della Laguna di competenza dello Stato: è stato costituito il 27 ottobre 1982 come associazione di quattro grandi imprese italiane, dopo la valutazione positiva a maggioranza dal parte del Consiglio superiore dei lavori pubblici del cosiddetto “progettone” a favore della difesa di Venezia e Laguna dalle acque alte. Una questione cominciata sette anni prima, nel 1975 (quando il ministero dei Lavori pubblici – oggi delle Infrastrutture e dei Trasporti – in attuazione degli indirizzi governativi prescritti dalla legge 171 / 73, la cosiddetta “Legge speciale” per Venezia) aveva indetto un appalto concorso internazionale per “la progettazione e l’esecuzione degli interventi intesi alla conservazione dell ’ equilibrio idrogeologico della laguna e all ’ abbattimento delle acque alte nei centri storici”. Il bando, come si evince da una scheda del Consorzio, indicava gli obiettivi da raggiungere mediante una serie di opere possibili, lasciando di fatto ai partecipanti ampia libertà di scelta rispetto alle soluzioni da adottare. All’appalto concorso parteciparono cinque gruppi di imprese con sei progetti, uno dei quali non venne ammesso. Nel 1978 lo stesso ministero dei Lavori pubblici decretò, conformemente al parere della commissione giudicatrice, la conclusione dell’appalto concorso senza vincitori: nessuno dei progetti presentati fu infatti giudicato idoneo. Tuttavia, in considerazione del loro elevato contenuto conoscitivo e tecnico i progetti furono acquistati dallo stesso ministero dei Lavori pubblici. Sulla base dei progetti ammessi all’appalto concorso del 1975 venne successivamente elaborato il progetto di fattibilità per la difesa di Venezia e della Laguna dalle acque alte (il cosiddetto “progettone”) da parte di esperti e professori universitari. Il Progettone fu positivamente valutato, con voto 209 del 1982, da parte del Consiglio superiore dei lavori pubblici. Alla guida del Consorzio, che negli anni ha aumentato il numero delle imprese associate, si sono susseguiti alcuni presidenti prima del conferimento dell’incarico nel 2005 a Giovanni Mazzacurati, per lungo tempo direttore generale. Mazzacurati si era dimesso l’anno scorso alcune settimane prima dell’arresto.

5 – “DISSI A PRODI CHE IL PROGETTO ANDAVA CAMBIATO” Sandra Amurri | 5 giugno 2014.
Il professor Luigi D’Alpaos, già ordinario di Idrodinamica all’Università di Padova, è uno dei maggiori esperti di idraulica lagunare. A lui si rivolse il Consorzio Venezia Nuova per risolvere il problema delle acque alte. Collaborazione che si interruppe perché il professor D’Alpaos indicò soluzioni diverse da quella del Mose, meno costose e ritenendo che per un problema così complesso dovesse essere coinvolto l’intero Dipartimento di idraulica. È così professor D’Alpaos? Sì. Pur essendo convinto della necessità di intercludere la laguna rispetto al mare per difendersi dalle “acque alte”, ero e resto contrario al Mose, soluzione sofisticata dal punto di vista ingegneristico ed estremamente onerosa per gestione e manutenzione. Non accettarono il coinvolgimento del mio dipartimento, forse, perché il singolo è più facile da controllare e si sono rivolti al Danish Hydraulics Institue di Copenaghen e al Laboratorio di Delft, che hanno condotto studi che avremmo potuto condurre noi con pari dignità scientifica e a un costo notevolmente inferiore. Risultato: corruzione a gogò. Il Consorzio Venezia Nuova aveva in mano tutto, era il concessionario del Mose e fungeva anche da controllore, surrogando di fatto il Magistrato alle acque che deve possedere alte qualità tecniche e morali e non essere nominato dalla politica per ben altre caratteristiche. Va spezzato il circuito perverso fra politica, finanza e tecnica. Gli attori sono tre: la politica, i portatori di interesse e i tecnici. Ognuno dovrebbe agire autonomamente rispetto all’altro come entità indipendenti e gelose soprattutto della propria autonomia. Invece accade che il portatore di interesse, cioè l’impresa, partorisca l ’ idea e la illustri in modo accattivante al politico di turno. Poi? Poi insieme trovano un tecnico disponibile anche a vendersi la propria madre per mettergli un vestitino decente. È ora che ciascuno torni a fare il suo mestiere. Alla politica il primato delle scelte, ai portatori di interesse, l’interesse privato che quasi mai coincide con quello della collettività e ai professionisti bisognerebbe imporre un cappellino con la locuzione latina: frangar non flectar (mi spezzerò ma non mi piegherò), invece del solo flectar. Aggiungo che la mancanza di una legge nazionale, come per esempio l’olandese Deltawerken (Piano Delta), ha permesso alle istituzioni territoriale di lavorare in ordine sparso seguendo il vento dei voti, dei soldi e dei comitati d’affari. Gli olandesi in meno di 40 anni hanno costruito 13 dighe e un mini Mo-se, diventando quasi impermeabili alle possibili inondazioni. L’allora sindaco Massimo Cacciari sosteneva il suo studio? Certamente. Per questa mia posizione tra il 2004 e il 2006 ebbi vita non facile. Proponemmo anche alla Presidenza del Consiglio, il premier era Romano Prodi, di modificare il progetto Mose utilizzando opere fisse per incrementare le resistenze al moto delle correnti attraverso le bocche, intervenendo con gradualità, sperimentabilità e in modo reversibile, come previsto dalla legge speciale su Venezia. Avrebbero dovuto essere grati a Cacciari per la via d’uscita che offriva a una situazione ingarbugliata invece di considerarlo di intralcio. In quei giorni cercò ripetutamente una sponda tra quelli che riteneva amici all’interno della Margherita e non solo, ma si facevano negare: uno di questi fu l’allora ministro all’Università, Fabio Mussi. All’ennesima telefonata a vuoto sbottò: quando eravamo comunisti portavamo i pantaloncini corti, forse pensa che non lo conosca? Ricordo bene al termine di quel Comitato interministeriale la sua amarezza quando Prodi decise che non sarebbe seguito un altro incontro e che avrebbe portato la decisione, da sempre assunta dal Comitatone, al Consiglio dei ministri, sicuro che sarebbe stata approvata visto che avrebbero votato contro solo i tre ministri che facevano parte del Comitatone. E il Mose, infatti, venne finanziato… Già. Cacciari mi disse: “Abbiamo combattuto una buona battaglia e abbiamo perso, non potrò più fare niente però il giorno in cui inaugureranno le opere scoprirò una lapide alla bocca di porto di Malamocco dove si leggerà: ‘ Queste opere sono state realizzate contro la volontà del sindaco di Venezia. Firmato: presidente del Consiglio Romano Romano Prodi e Magistrato alle acque Maria Giovanna Piva”, e aggiunse: “Già che ci sono la farò scrivere in latino”.

6 – LAGUNA AL COLLASSO / Venezia, storia di un suicidio. di Tomaso Montanari
Massimo Cacciari – tra i cui non molti meriti di sindaco di Venezia c’è quello di essersi sempre opposto al Mose – ha detto che le radici della corruzione vanno cercate nell’urgenza. Vero, ma il Mose sarebbe criminogeno anche se i suoi lavori andassero lentissimi. Perché è un progetto sbagliato in sé: frutto di quella vocazione al suicidio da cui Venezia non sembra capace di liberarsi.
Per mille anni la Repubblica Serenissima ha vegliato sul delicato equilibrio della Laguna, che è la particolarissima “campagna” che circonda Venezia. In natura, una laguna ha una vita limitata nel tempo: o vincono i fiumi che portano materiali solidi verso il mare, e la laguna si trasforma in palude e piano piano si interra, oppure vincono le correnti marine, che tendono a renderla un golfo o una baia.
I veneziani capirono subito che tenere in vita la Laguna salmastra voleva dire assicurarsi uno scudo naturale sia verso la terra che verso il mare. Non mancarono le discussioni: celeberrima quella cinquecentesca tra Alvise Cornaro, che avrebbe voluto bonificare la Laguna, e Cristoforo Sabbadino, che ne difese vittoriosamente la manutenzione continua. Così la storia di Venezia – ha scritto Piero Bevilacqua – è stata “la storia di un successo nel governo dell’ambiente”.
Una storia che, con l’avvento dell’Italia unita si è, però, interrotta, ed è definitivamente collassata negli ultimi quarant’anni di malgoverno veneziano. Per fare entrare le Grandi Navi (turistiche, industriali e commerciali) si sono dragati e approfonditi i canali d’accesso in Laguna, e contemporaneamente se ne è abbandonata la secolare manutenzione .
IL RISULTATO è stato un abnorme aumento dell’acqua alta, culminato nella vera e propria alluvione del 1966. Fu proprio quell’enorme choc che mise Venezia di fronte all’alternativa: o riprendere il governo della Laguna e mantenere l’equilibrio, o essere mangiata dall’Adriatico.
Fu allora che emerse la terza via: il Mose, che permise di eludere la scelta tra responsabilità e consumo. L’idea era di continuare indefinitamente a violentare la Laguna e poi rimediare meccanicamente, con una gigantesca valvola che chiudesse le porte al mare. È come se un paziente ad altissimo rischio di infarto venisse persuaso dai medici a non sottoporsi ad alcuna dieta né ad alcun esercizio fisico, e a scommettere invece tutto su una costosissima e complicata operazione di angioplastica. Non verrebbe da pensare solo che i medici sono incompetenti : ma anche che hanno qualche interesse occulto nell’operazione. E se poi quei medici finissero in galera, chi potrebbe stupirsi?
Follemente, la scelta della terapia è stata affidata direttamente ai chirurghi. Fuor di metafora: la salvezza di Venezia e del suo territorio è stata affidata a un consorzio di imprese private (il Consorzio Venezia Nuova) interessate a realizzare il costosissimo meccanismo di riparazione del danno , il Mose appunto. E tutto è stato asservito a questo ente: anche il controllo del Magistrato delle Acque, che si è trovato a ratificare (invece che a sorvegliare) scelte operate in base all’interesse privato.
SAREBBE difficile spiegare un simile suicidio se non vedessimo che Venezia si distrugge ogni giorno in mille altri modi, prostituendosi, fino alla morte, a un turismo cannibale. Ma mentre gli abitanti continuano a scendere (sono ora 59.000: un terzo della popolazione del 1950, la metà di quella del 1510) e le Grandi Navi sembrano inarrestabili, c’è ancora chi resiste, tra mille difficoltà. Esemplare il caso di Italia Nostra, cui appartiene la voce più ferma e coraggiosa contro la morte di Venezia, una voce che un anno fa aveva documentato pubblicamente proprio la corruzione del Mose: ebbene, la soprintendente architettonica veneziana Renata Codello ha querelato l’associazione, che le rimproverava pubblicamente la difesa delle Grandi Navi, e l’autorizzazione allo scempio (futuro) del Fondaco dei Tedeschi e al raddoppio (in corso) dell’Hotel Santa Chiara sul Canal Grande (quello dove, secondo i pm, la segretaria di Giancarlo Galan avrebbe ricevuto le mazzette!). E che avvocato ha scelto la Co-dello? Ma quello del Consorzio Nuova Venezia, che controlla il Mose. Pulire la Laguna, insomma, sarà un’impresa lunga.
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7. L’INCHIESTA MOSE, IL MOSTRO DELLA LAGUNA / MANIFESTANTI “NO MOSE” Ansa /  Sebastiano Canetta, Ernesto Milanesi, VENEZIA, 4.6.2014
VENEZIA. CROLLA LA FACCIATA DEL VENETO. Fondi neri, finanziamenti occulti, concussioni e complicità, la grande opera di Venezia, la più costosa del Paese, è marcia. Trentacinque gli arresti: ai domiciliari il sindaco Orsoni (Pd), accusato di finanziamenti illeciti; chiesto l’arresto per l’ex governatore, e deputato di FI, Galan

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IL MOSE DI VENEZIA
Come (e peg­gio) di vent’anni fa: un «sistema» paral­lelo alla gestione del Mose, la Grande Opera per eccel­lenza. Tren­ta­cin­que gli arre­sti e un altro cen­ti­naio di inda­gati dispo­sti ieri nell’elenco fir­mato dai pm Ste­fano Anci­lotto, Paola Tonini e Ste­fano Buc­cini. Tra i nomi «eccel­lenti» spic­cano quello del depu­tato di Forza Ita­lia Gian­carlo Galan — ex gover­na­tore e mini­stro, attuale pre­si­dente della Com­mis­sione Cul­tura della Camera per cui ser­virà l’autorizzazione — e del sin­daco di Vene­zia Gior­gio Orsoni (Pd) ristretto ai domiciliari.
Ma insieme ai poli­tici è col­las­sata l’architettura delle com­pli­cità: mana­ger, fun­zio­nari pub­blici, pro­fes­sio­ni­sti, con­su­lenti, finan­zieri, vec­chi mar­pioni e nuovi fac­cen­dieri. La para­tia mobile della cor­ru­zione resti­tui­sce, per via giu­di­zia­ria, la cer­tezza di una vera cloaca die­tro la fac­ciata della «sal­va­guar­dia di Vene­zia». Da sem­pre, lo soste­ne­vano gli oppo­si­tori del mega-appalto senza sal­va­gente. Ora è di domi­nio pub­blico, agli atti della Pro­cura della Repubblica.
Un anno dopo l’arresto di Pier­gior­gio Baita (il super­ma­na­ger Man­to­vani Spa) e Gio­vanni Maz­za­cu­rati (sto­rico padre-padrone del Con­sor­zio Vene­zia Nuova), si com­pleta l’indagine con­dotta dalla Guar­dia di finanza con un mal­loppo di 711 pagine che cer­ti­fica fondi neri, finan­zia­menti occulti, con­cus­sioni e com­pli­cità. Seque­strati beni per 40 milioni, scan­da­gliate fat­tu­ra­zioni, veri­fi­cate società a San Marino e in Svizzera.
Crolla let­te­ral­mente la fac­ciata del Veneto: il sin­daco di cen­tro­si­ni­stra è accu­sato di aver preso con­tri­buti elet­to­rali per 560 mila euro; arre­stati l’assessore regio­nale ber­lu­sco­niano Renato Chisso («sti­pen­dio annuale oscil­lante tra i 200 e i 250 mila euro, dalla fine degli anni ‘90 sino ai primi mesi del 2013») e il con­si­gliere regio­nale Pd Giam­pie­tro Mar­chese (58 mila euro ille­citi per le Regio­nali 2010). Ai domi­ci­liari Lia Sar­tori, pre­si­dente uscente della Com­mis­sione indu­stria dell’Europarlamento: 58 mila euro «in nero».
A Galan viene con­te­stata la ristrut­tu­ra­zione milio­na­ria della villa sui Colli Euga­nei, che secondo la Pro­cura sarebbe frutto di un giro di fat­ture false fra Tec­no­stu­dio e Man­to­vani Spa. Al «doge» fon­da­tore di Forza Ita­lia viene con­te­stato di aver rice­vuto «per tra­mite di Chisso, che a sua volta li rice­veva diret­ta­mente da Maz­za­cu­rati, uno sti­pen­dio annuale di circa 1 milione di euro, 900 mila euro tra il 2007 e il 2008 per il rila­scio nell’adunanza della com­mis­sione di sal­va­guar­dia del 20 gen­naio 2004 del parere favo­re­vole e vin­co­lante sul pro­getto defi­ni­tivo del sistema Mose, 900 mila euro tra 2006 e 2007 per il rila­scio (…) del parere favo­re­vole della Com­mis­sione Via della Regione sui pro­getti delle sco­gliere alle boc­che di porto di Mala­mocco e Chioggia».
Senza dimen­ti­care che la Pro­cura ha appena tra­smesso al Tri­bu­nale dei mini­stri il fasci­colo che riguarda Altero Mat­teoli, sena­tore di Forza Ita­lia. Secondo la depo­si­zione di Maz­za­cu­rati, si pro­fi­le­rebbe l’«induzione inde­bita» da parte dell’allora mini­stro prima dell’ambiente e poi delle infra­strut­ture nei lavori di boni­fica a Porto Marghera.
Ma la lista degli arre­stati è ver­ti­gi­nosa intorno al «rici­clag­gio» di circa 25 milioni. Con tanto di «sti­pen­dio in nero» per l’ex magi­strato alle Acque Patri­zio Cuc­cio­letta: 400 mila euro in un conto estero per ammor­bi­dire i con­trolli (più l’assunzione della figlia in una società con­trol­lata dal Con­sor­zio). Stesso atteg­gia­mento nei con­fronti di Maria Gio­vanna Piva che lo rileva al ver­tice dell’ente serenissimo.

Manette per Roberto Mene­guzzo, fon­da­tore e ammi­ni­stra­tore di Pal­la­dio Finan­zia­ria a Vicenza (chiave di volta dei pro­ject finan­cing ospe­da­lieri): nel 2011 aveva ten­tato di sca­lare Fon­sai, pro­po­nen­dosi poi come il Cuc­cia del Nord Est a cavallo fra sus­si­dia­rietà e grandi opere.
Non basta, per­ché l’inchiesta arriva a Padova e fa tre­mare mezza città, alla vigi­lia del bal­lot­tag­gio per l’elezione del sin­daco. In via Trie­ste ha sede anche lo stu­dio del com­mer­cia­li­sta Fran­ce­sco Gior­dano, 69 anni, un pas­sato a sup­porto del Psi e una col­le­zione di inca­ri­chi con la giunta Zano­nato (dalla fusione Magazzini-Interporto al ruolo di revi­sore dei conti nella mul­tiu­ti­lity Ace­ga­sAps). In pas­sag­gio Cor­ner Pisco­pia, a due passi dalla Camera di com­mer­cio, ci sono gli uffici dell’altro col­letto bianco Paolo Venuti: siede nel cda del mer­cato agri-alimentare (38% di quote del Comune) ed è stato pre­si­dente dei revi­sori dei conti di Fiera di Padova Immo­bi­liare Spa (che gesti­sce il nuovo cen­tro con­gressi). Venuti risulta socio della trust com­pany Delta Erre, sigla che com­pare pun­tuale nelle «ope­ra­zioni stra­te­gi­che» di Veneto e Tren­tino. E vanta inca­ri­chi pro­fes­sio­nali in BH4 Spa, Save, Adria Infra­strut­ture, Con­ces­sioni auto­stra­dali venete. Infine, è imba­raz­zante l’arresto dell’architetto Danilo Turato che ha pro­get­tato per Comuni e Uni­ver­sità, oltre alla man­cata nuova sede dell’Arpav nella zona del Tribunale…
È un ver­mi­naio in cui rispunta Lino Bren­tan: uomo della Quer­cia, ex ammi­ni­stra­tore dele­gato dell’Autostrada Padova-Venezia, già con­dan­nato per tan­genti nell’estate 2012. Ma nella lista com­pa­iono i nomi di Giu­seppe Fasiol (brac­cio destro dell’ad di Veneto Strade, Sil­vano Ver­nizzi) e Gio­vanni Artico, già com­mis­sa­rio straor­di­na­rio per Porto Mar­ghera. Arre­sti domi­ci­liari per il magi­strato della Corte dei Conti Vit­to­rio Giu­sep­pone. E ancora Ste­fano Toma­relli del diret­tivo del Con­sor­zio; Ste­fano Boscolo detto Bacheto, tito­lare della Coop San Mar­tino di Chiog­gia, Gian­franco Con­ta­din detto Fla­vio, diret­tore tec­nico della Nuova Coed­mar, e Fede­rico Sutto del Con­sor­zio. Seguono l’ex sin­daco di Mar­tel­lago Enzo Casa­rin, capo della segre­te­ria di Chisso (già con­dan­nato per con­cus­sione); il diret­tore gene­rale di Sit­mar­sub Sc e Bos.ca.srl Nicola Fal­coni; il legale rap­pre­sen­tante di Selc Sc Andrea Rismondo.
Insomma, un sce­na­rio inquie­tante che con­ferma le «intui­zioni» di chi si è sem­pre oppo­sto al Mose. E mette spalle al muro la poli­tica bipar­ti­san delle lar­ghe intese, ma anche il leghi­sta Luca Zaia nella rin­corsa al secondo man­dato. Sin­te­tizza Mas­simo Cac­ciari, scon­so­lato: «Il modo in cui si fanno le grandi opere in Ita­lia è cri­mi­no­geno. Da sin­daco, durante i governi Prodi e Ber­lu­sconi, avviai un pro­cesso di discus­sione e veri­fica. In tanti pas­saggi ebbi modo di ripe­tere che le pro­ce­dure assunte non per­met­te­vano alcun con­trollo da parte degli enti locali e che il Mose si poteva fare a con­di­zioni più van­tag­giose. L’ho ripe­tuto milioni di volte, senza essere ascol­tato. Negli anni del governo Prodi, all’ultima riu­nione del Comi­ta­tone, che diede il via libera al pro­se­gui­mento dei lavori del Mose fui l’unico a votare con­tro con il solo soste­gno di una parte del cen­tro­si­ni­stra. Da allora non me ne sono più interessato…».

8 – ITALIA. NON È COME TANGENTOPOLI, È PEGGIO. A VENEZIA IL «SISTEMA» È LO STATO  Gianfranco Bettin, VENEZIA, 4.6.2014
CONSORZIO VENEZIA NUOVA. UNO SCANDALO NAZIONALE DENUNCIATO DA ANNI, RESO POSSIBILE DA UNA CONVERGENZA POLITICA ANTICA E TRASVERSALE, CON COMPLICITÀ AI PIÙ ALTI LIVELLI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E DEGLI ORGANISMI DI CONTROLLO
Non è come Tangentopoli, è peggio. Allora corruzione e concussione stringevano politici, imprenditori e affaristi in un patto di reciproche convenienze e ricatti. Qui, nel quadro rivelato dalla sacrosanta e benvenuta indagine intorno al Mose, il sistema vede direttamente partecipi anche importanti pezzi dello stato. Fanno scalpore i nomi più eclatanti: EX MINISTRI, CONSIGLIERI E ASSESSORI REGIONALI, IL SINDACO. Ma ciò che dà i brividi a chi conosce meglio come funziona la pubblica amministrazione è ritrovare a libro paga del «sistema» funzionari che dovrebbero essere i garanti della liceità di procedure e meccanismi.
Nell’ordinanza il GIP DI VENEZIA scrive, a proposito dell’ex presidente della REGIONE VENETO GALAN, dell’EX GENERALE DELLA GUARDIA DI FINANZA VINCENZO SPAZIANTE, dei dirigenti del Magi­strato alle Acque (che sovrin­tende a quasi ogni opera in laguna e dipende dal governo) Cuccioletta e Piva, dell’assessore regionale alle infrastrutture Chisso: «Ciascuno di essi, per anni e anni, ha asserviito totalmente l’ufficio pubblico che avrebbe dovuto tutelare, agli interessi del gruppo economico criminale, lucrando una serie impressionante di benefici personali di svariato genere». Diversa la posizione del sindaco Orsoni, accusato di «illecito finanziamento ai partiti» per non aver dichiarato una parte dei contributi elettorali ricevuti in occasione delle amministrative del 2010. Un reato grave ovviamente, se provato, ma di altra natura, anche se a sua volta rivela la capacità di coinvolgimento dei soggetti istituzionali locali nella propria rete da parte del vero motore di tale «sistema» e cioè il Consorzio Venezia Nuova.
Il Consorzio, che raggruppa alcune fra le maggiori imprese italiane e la cui creazione è stata favorita da ambienti politici e imprenditoriali cruciali nella prima Repubblica, avrebbe dovuto essere lo strumento per risolvere il problema della salvaguardia di Venezia dalle acque alte.
La questione, antica, riemersa drammaticamente dopo l’alluvione del novembre 1966, è stata fronteggiata dallo stato approvando un paio di leggi speciali e, appunto, favorendo la costituzione del Consorzio al quale, senza gara né interna né europea, ha affidato direttamente la progettazione e la realizzazione del Mose (opera infine scelta senza nessun vero confronto con progetti alternativi e altresì agevolata dall’inserimento in Legge Obiettivo e oggi realizzata all’80 %). La convergenza politica attorno al Mose è stata trasversale, favorita anche dalla capacità persuasoria del Consorzio, ricchissimo di mezzi per consulenze, studi, uffici comunicazione. Quando ciò non bastava, secondo la magistratura, ci pensava il «sistema» oggi rivelato nei dettagli ma da tempo denunciato dagli oppositori (che oggi ne paventano il riprodursi sulla questione delle Grandi Navi, così come, nella regione, si è riprodotto in tutte le opere pubbliche più significative).
Questo di Venezia, esploso intorno a una delle più grandi e controverse opere pubbliche di sempre, è uno scandalo nazionale, per l’intreccio con cruciali poteri dello stato e per il livello delle connivenze politiche e imprenditoriali, mentre localmente ha inquinato partiti, istituzioni politiche, culturali e scientifiche, nonché l’economia del territorio.
IN UN GIORNO DI AMAREZZA E INDIGNAZIONE, CHI HA SEMPRE COMBATTUTO QUEST’OPERA, NEL MERITO E NEL METODO, PUÒ ALMENO VEDER RICONOSCIUTO IL VALORE DEL PROPRIO IMPEGNO, LA VERITÀ DELLA PROPRIA PRECOCE DENUNCIA (A VOLTE COSTATA PESANTI QUERELE E DENUNCE), E FARE DI QUESTA MAGGIORE CONSAPEVOLEZZA PUBBLICA LA BASE DI PARTENZA PER UN’ALTRA CITTÀ, PER UN ALTRO PAESE.
(* Asses­sore all’ambiente del comune di Venezia)

 

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