11178 20. NOTIZIE dall’ITALIA e dal MONDO 17 maggio 2014.

20140519 02:26:00 red-emi

ITALIA – POSTE ED ENAV, SVENDITA PRIORITARIA. RENZI L’AMICO DEL WASHINGTON CONSENSUS ndr. PRIVATIZZAZIONI, IL NUOVO CHE AVANZA. Ora si capisce perché ha vinto il congresso del PD. /
In Italia 430 mila slot, il rischio di ”normalizzare” il gioco d’azzardo / MILANO – Arresti expo 2015: degenerazione corruttiva o collusione pianificata
VATICANO – SOLDI E POTERE -La privatizzazione cattolica del welfare
EUROPA – Ucraina: la verità vittima della guerra. L’Europa ha qualcosa da dire?
AFRICA & MEDIO ORIENTE – LA POLIZIA CARICA UN CORTEO DI PROTESTA CONTRO LA STRAGE DI SOMA / Si estende in tutta la Turchia la protesta contro l’orrenda strage nella miniera di carbone di Soma, dove il numero delle vittime, ufficialmente fermo a 235, 440 dispersi
AMERICA CENTROMERIDIONALE – VENEZUELA y PALESTINA – FIRMAN ACUERDOS DE COOPERACIÓN PARA EL DESARROLLO Y LA PAZ / El Presidente de la República
AMERICA SETTENTRIONALE – NEW YORK / Fast food, il 15 giornata storica: sciopero mondiale della polpetta / NEW YORK, rivolta allo Smith college: "non vogliamo la Lagarde (fmi) a SCUOLA" – “NIET, NIET, NIET”. Il direttore generale del Fondo Monetario Internazionale (Fmi), Christine Lagarde, si è vista sbarrare la strada allo Smith College di New York

ITALIA
IN ITALIA 430 MILA SLOT, IL RISCHIO DI ”NORMALIZZARE” IL GIOCO D’AZZARDO / Hanno organizzato Slot Mob in giro per tutta l’Italia, affrontando situazioni diverse con modalità differenti. Erano una quarantina i rappresentanti delle associazioni che si sono dati appuntamento dopo l’evento del mattino a largo Appio Claudio.
La campagna per la sensibilizzazione sui rischi del gioco d’azzardo sta avendo un notevole successo, è il momento di confrontarsi, mettere in comune le esperienze, diffondere le buone pratiche portate avanti dalle 150 associazioni che da Catania a Biella, passando per Roma e Macerata, hanno animato gli eventi e fatto rete. Chiarire su quali zone lavorare, infittire la maglia delle relazioni sociali, evitare contrapposizioni negative.
“ Non si tratta di demonizzare il gioco , si rischia di passare per bigotti o intolleranti, ma di capire che idea di umanità si ha con l’azzardo, – spiega Carlo Celafoni, portavoce della campagna SlotMob -. C’è di fondo un’idea di sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Quando visitiamo i locali senza macchinette, a volte ci dicono che è solo per evitare di avere brutta gente fra i clienti, e allora tengono solo i gratta e vinci, per clientela di passaggio. Così rischia di restare un discorso economico e di opportunità, che non approfondisce gli effetti dell’azzardo pompato in modo selvaggio”. “Ludopatia” richiama il gioco, mentre il problema è l’azzardo che entra nel regolare sistema dei consumi"
“ Il rischio è quello di ‘normalizzare’ il gioco – commenta Paolo Nanni, presidente di Spazio Famiglia, capofila nell’organizzazione dello SlotMob di Fermo – “Quando vado nelle scuole chiedo chi ha mai fatto una scommessa sportiva, un gratta e vinci, usato le slot: alla fine quasi tutti, e magari l’euro gliel’ha dato la nonna. Viene considerato naturale”. Nanni spiega che il passaggio cruciale è la comprensione che la suggestione dei soldi facili è emotiva, non razionale e neanche dettata da sostanze . “Iniziano ad associare l’azzardo alle dipendenze, ma senza una sostanza se non un’aspettativa irrazionale . Allora si comprende anche la responsabilità personale in tutto questo, nel renderlo normale”.
Fra bingo, gratta e vinci, slot-machine e pubblicità in televisione è un bombardamento continuo di inviti a scommettere la fortuna. “ Ci sono circa 430 mila macchinette in Italia , molte più per abitante che negli Stati Uniti – e a volte si tira fuori il discorso occupazionale del settore – dice Celafoni -, ma i bar esistevano prima delle macchinette, e i costi sociali non sono paragonabili”.
Fra le esperienze che hanno destato più interesse c’è proprio quella realizzata nelle Marche, a Macerata, Fermo e San Severino, capeggiate dalle associazioni Agorà, Spazio Famiglia e dalla Caritas. “È un caso particolare di coinvolgimento delle istituzioni – racconta Nanni -, da questo punto di vista la collaborazione con il Dipartimento Dipendenze Patologiche diventa strategico, e permette di entrare nella rete sanitaria. Ciò ci consente, pur partendo come sempre da un’esigenza dal basso, di avere una serie di interlocutori privilegiati istituzionali , coi quali lavorare per ottenere i migliori risultati”.
MILANO
ARRESTI EXPO 2015: DEGENERAZIONE CORRUTTIVA O COLLUSIONE PIANIFICATA? / La nuova urbanistica (che ha un cuore antico): «Ciò che conta non sono più i contenuti delle scelte insediative e pianificatorie, ma la loro funzionalità a muovere il business immobiliare da spartirsi».
“Per piacere: evitateci lo stupore scandalizzato, «chi se lo immaginava?», «non l’avrei mai detto…». Tutto sono, gli arresti di ieri per l’Expo 2015, tranne che una clamorosa sorpresa. Perché, ferma restando l’innocenza di tutti fino alle sentenze, le cose stavano procedendo esattamente come era andata troppe altre volte. Il solito copione. Recitato per i Mondiali di nuoto, le Universiadi, la World Cup di calcio, l’Anno Santo… Anni perduti nei preliminari, discussioni infinite sui progetti, liti e ripicche sulla gestione e poi, di colpo, l’allarme: oddio, non ce la faremo mai! Ed ecco l’affannosa accelerazione, le deroghe, il commissariamento, le scorciatoie per aggirare lacci e lacciuoli, le commesse strapagate, i costosissimi cantieri notturni non stop.”
Così scrive G.A. Stella nell’editoriale del Corriere della Sera del 9 maggio scorso . Parole sante, cui ci sarebbe poco o nulla da aggiungere, se non fosse che mettendo sullo stesso piano inefficienze, litigi e ripicche, ritardi e deroghe nella procedura attuativa dei progetti con il terreno germinativo di quelle distorsioni, e cioè ciò che Francesco Indovina nel bel titolo di un suo libro del 1993 ha icasticamente definito “la città occasionale”, si rischia di oscurare la radice originaria su cui quelle distorsioni trovano modo di attecchire e prosperare e cioè la sostanziale sfiducia in un progetto di lungo periodo della città, fondato su scelte collettivamente discusse e condivise, ciò che costituisce il nucleo fondativo del pensiero urbanistico moderno. Non è un caso che le pratiche corruttive all’ origine dell’ondata di arresti non riguardino solo il progetto di Expo 2015, maturato originariamente dalla collusione della lobby politico-affaristica di Cl-Compagnia delle Opere annidatasi contestualmente nella conduzione politica e dirigenziale dell’assessorato all’urbanistica del Comune di Milano – tenuto dai ciellini Lupi prima, durante la sindacatura Albertini,e Masseroli poi, durante la sindacatura Moratti -; della lunga presidenza del ciellino Formigoni alla Regione Lombardia e infine della presidenza di Fondazione Fiera, consegnata da Formigoni al ciellino Luigi Roth.
Roth, con la straordinaria valorizzazione immobiliare consentitagli dal Comune di Milano nella vendita dell’area dismessa del vecchio recinto fieristico in città, ha trovato le risorse non solo per completare il nuovo polo fieristico di Rho-Pero, ma anche quelle per acquisire a basso costo le aree a destinazione agricola su cui oggi si sta attuando in modo raffazzonato l’evento Expo 2015, dopo averle cedute a prezzo quasi decuplicato alla società regionale Arexpo. La medesima distorsione corruttiva, con il coinvolgimento più o meno delle stesse figure dirigenziali nelle istituzioni e stessi referenti del mondo della sussidiarietà, cooperazione e imprenditoria di vario orientamento politico si ritrova, infatti, anche nella vicenda della Città della Salute a Sesto San Giovanni (comune da sempre amministrato dalle sinistre) quasi a forza ficcata nello strumento-veicolo delle aree pubbliche del piano di valorizzazione immobiliare dell’ex acciaieria Falck, che, in deroga al PRG, ha ottenuto gli stessi assurdi indici edificatori dell’ex Fiera di Milano, come ormai giudizialmente accertato grazie alle facilitazioni mediate dall’ex sindaco Penati, a seguito dei contributi erogati dalla proprietà immobiliare alla sua Fondazione “Fare Metropoli”.
La scelta di realizzazione a Sesto di una nuova cosiddetta Città della Salute per riallocarvi integralmente gli istituti scientifico-ospedalieri di Milano (Neurologico Besta, Istituto Nazionale Tumori, ecc.) ora insediati nel quartiere Città Studi e che avrebbero potuto più utilmente trovare spazio alle proprie esigenze di riassetto funzionale in aree pubbliche, oggi sottoutilizzate e attigue alle sedi esistenti, appare, quindi, più che altro un’opzione orientata ad alimentare una catena di prospettive immobiliari (il passo successivo sarebbe inevitabilmente quello del riutilizzo immobiliare delle vecchie sedi liberate in città). Ciò favorisce la possibilità di condizionamento corruttivo da parte di ambiti imprenditoriali clientelari delle varie tendenze politiche, e non, viceversa, una scelta insediativa razionalmente individuata dalle pubbliche amministrazioni nel pubblico interesse.
Le vicende giudiziarie di questi giorni ne sono la coerente conseguenza e non un incomprensibile episodio dovuto ad avidità o debolezze umane di singoli individui. Certo la fretta necessitata forse ad arte dai ritardi procedurali e il conseguente allentamento dei controlli di legittimità sono un’ulteriore facilitazione al prevalere della spartizione clientelare dei frutti del condizionamento corruttivo, ma la ragione di fondo è la sudditanza della pianificazione pubblica ad esigenze particolaristiche, cosa che ormai caratterizza quasi indifferentemente amministrazioni locali di qualsiasi colore politico a fronte di bilanci pubblici sempre più asfittici e condizionabili da economie esterne.
Ciò che conta non sono più i contenuti delle scelte insediative e pianificatorie, ma la loro funzionalità a muovere il business immobiliare da spartirsi. É ciò che si profila all’orizzonte per il destino finale dell’area dell’Expo 2015, dopo l’evento intitolato al tema “Nutrire il pianeta” (un grande tema sfruttato come mero pretesto per giustificare i cambi di destinazione d’uso, dato che trascura completamente il rapporto tra settore agro-alimentare e modi di produzione sul territorio) nel semestre maggio-ottobre 2015, che quasi certamente si concluderà con un clamoroso “flop” di affluenza dei visitatori ed un enorme deficit di bilancio.
Ciò servirà a giustificare la necessità di rivendere l’area ad uno scalpitante mondo della sussidiarietà cooperativistica ansioso di nuove occasioni in campo edilizio e dei servizi sociali, in particolare su un’area resa accessibile dall’infrastrutturazione per l’evento Expo, ma quanto mai isolata dal resto del contesto sociale ed urbano. Un vero e proprio feudo per il rilancio di collateralismi negli ultimi decenni ormai svaniti nella crisi di credibilità della politica propriamente detta. Solo con questo orizzonte allargato di considerazioni potremo evitare che episodi come quelli di questi giorni tornino nuovamente ad apparirci come imprevedibili e sorprendenti

ROMA
POSTE ED ENAV, SVENDITA PRIORITARIA. RENZI L’AMICO DEL WASHINGTON CONSENSUS (vale a dire componente essenziale di un contesto politico più ampio condivisa ed imposta da FMI, BANCA mondiale e Tesoro degli Stati Uniti – La ricetta prevede il ridimensionamento dell’intervento pubblico nell’economia, deregulation e rapida liberalizzazione e privatizzazione dello stato) . PRIVATIZZAZIONI, IL NUOVO CHE AVANZA. Ora si capisce perchè ha vinto il congresso del PD. ndr
IL CONSIGLIO DEI MINISTRI HA DATO IERI L’OK ALLA COLLOCAZIONE IN BORSA DEL 40% DI POSTE ITALIANE E DEL 49% DI ENAV, CON L’INTENZIONE DI INCAMERARE UNA CIFRA DI CIRCA 6 MILIARDI DI EURO. L’obiettivo dichiarato è naturalmente la riduzione del debito pubblico, che da questa operazione riceverà, come ognuno può notare, una spinta decisiva : scenderà infatti da 2.120 a 2.114 miliardi di euro, senza contare come le entrate annuali dello Stato, stanti gli utili attuali delle due società, passeranno da 1 miliardo a 600 milioni (Poste) e da 50 a 25 milioni (Enav).Un vero e proprio nonsense economico, che svela il meccanismo che sottende a tutte le politiche di austerità : le privatizzazioni non servono ad abbattere il debito pubblico, ma è la trappola –costruita artificialmente– del debito pubblico a permettere la prosecuzione delle privatizzazioni.
Sbandierate come il nuovo che avanza, le privatizzazioni hanno ormai una lunga e fallimentare storia nel nostro Paese: negli anni ’90, furono il cavallo di battaglia del liberismo imperante, al punto che, nonostante la guerra neoliberale alla società porti da sempre con sé il vessillo (meritato) di Margaret Thatcher, il nostro Paese con i suoi ricavi di 152 miliardi di euro, è riuscito a piazzarsi al secondo posto mondiale, dopo il Giappone, nella classifica dei proventi da privatizzazione.
Con i risultati che tutti oggi conosciamo: il totale disimpegno dello Stato dai settori, anche strategici, dell’economia, l’azzeramento di ogni funzione pubblica in campo economico-finanziario, la costruzione di monopoli privatistici, la drastica riduzione dell’occupazione e della qualità dei servizi, l’aumento delle tariffe a carico dei cittadini.
Il governo Renzi, in partico­lare riguardo a settori sensibili per i diritti universali dei cittadini– com’è il caso di Poste Italiane– propaganda una sorta di azionariato popolare riservato ai dipendenti e ai risparmiatori; come se la storia non dimostrasse, al di là di tutte le favole sulla democrazia economica, quale sia il vero ruolo dei piccoli investitori: mettere i soldi nella società, permettendo così agli azionisti maggiori di poterla controllare senza nemmeno fare lo sforzo di doverla possedere.
Ciò che viene propagandato come nuovo è di conseguenza la vecchia ricetta che, CON LO SHOCK DELLA CRISI, viene riproposta in maniera estensiva: a rischio sono oggi le aziende partecipate dallo Stato, ma ancor più l’insieme delle ricchezze in mano alle comunità locali –TERRITORIO, PATRIMONIO PUBBLICO, BENI COMUNI– sui quali i grandi capitali accumulati in due decenni di speculazione finanziaria hanno deciso di met­tere le mani, favoriti dalle politiche monetariste dell’Ue e dalle scelte liberiste del governo Renzi.
Per opporsi a tutto questo e per mettere in campo le coordinate di un altro modello sociale e di democrazia, che parta dalla riappropria­zione dei beni comuni, dei servizi pubblici e della ricchezza prodotta, dal diritto al reddito, al lavoro e al welfare, oggi una grande, pacifica e colorata manifesta­zione nazionale attraverserà le strade di Roma. Sarà composta da donne e uomini diversi, ognuno con lo sguardo rivolto all’orizzonte. Senza sapere ancora come raggiungerlo, ma per iniziare a camminare.

VATICANO
SOLDI E POTERE -La privatizzazione cattolica del welfare di Carlo Clericetti
La strategia l’aveva indicata 17 anni fa Giorgio Vittadini, all’epoca presidente della Compagnia delle opere, braccio operativo di Comunione e Liberazione, nel suo libro “Il non profit dimezzato”. Lo Stato, diceva Vittadini, deve ritirarsi dalla gestione diretta dei servizi sociali, deve limitarsi a finanziare e controllare. La gestione, invece, dev’essere affidata al “privato sociale”, definizione preferita a Terzo settore (che fa pensare a qualcosa di residuale) o a non profit, perché le imprese sociali i profitti vogliono farli, solo che non li ridistribuiscono. Lo Stato è burocratico, ottuso, lontano dalla vita reale dei cittadini, incapace di percepire i nuovi bisogni. Il privato sociale (o “economia civile”, secondo la definizione di un altro teorizzatore di questa materia, Stefano Zamagni) è invece in grado di garantire una qualità superiore, grazie alla motivazione di chi ci lavora. Questa affermazione è posta come un assioma, cioè “una verità evidente che non si dimostra”, e peggio per chi non ci crede.
A leggere le “Linee guida per una riforma del Terzo settore” che il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha diffuso per sottoporle a discussione si ha la netta impressione che si tratti esattamente della trasposizione delle idee di Vittadini in quella che sarà la proposta di legge delega. “Lo chiamano terzo settore, ma in realtà è il primo. Un settore che si colloca tra lo Stato e il mercato, tra la finanza e l’etica, tra l’impresa e la cooperazione, tra l’economia e l’ecologia, che dà forma e sostanza ai principi costituzionali della solidarietà e della sussidiarietà. E che alimenta quei beni relazionali che, soprattutto nei momenti di crisi, sostengono la coesione sociale e contrastano le tendenze verso la frammentazione e disgregazione del senso di appartenenza alla comunità nazionale”. E allora ci si può magari ricordare che qualcuno dei più stretti collaboratori di Renzi è proprio di Comunione e Liberazione, come del resto anche il ministro Maurizio Lupi, che dopo Alfano è il più importante rappresentante dell’Ncd nel governo.
Cosa c’è che non va in questa visione? Due cose. La prima è quella più importante. Le “imprese sociali”, come spiegano i loro stessi esponenti, sono imprese e quindi tra i loro scopi c’è quello del profitto. Non entriamo neanche nel discorso se questo sia il loro scopo principale oppure se – come si afferma – non prevale comunque sull’obiettivo di garantire la qualità dei servizi. Anche dando per scontato ciò che scontato non è (quantomeno non sempre, non in tutti i casi), basta la prima parte del discorso. Le imprese sociali devono fare profitti, lo Stato no. Ciò significa che, a parità di servizio offerto, quello delle imprese sociali costerà di più. La replica è che ciò non avviene perché queste imprese sono più efficienti. Davvero? E quando è stata dimostrata questa affermazione? O per “più efficienti” si intende che pagano di meno i loro dipendenti, che sarebbero contenti così perché sono motivati al servizio? In realtà, da alcune inchieste fatte sui dipendenti delle cooperative che molti ospedali usano in luogo dell’assunzione diretta di personale è risultato che costoro lavorano per le cooperative solo perché non trovano di meglio. Non solo, ma mentre le loro retribuzioni sono inferiori a quelle corrispondenti dei dipendenti pubblici, il costo per gli enti appaltanti è superiore a quello che avrebbero avuto assumendo direttamente. Chissà dove finisce la differenza…
La seconda cosa che non va è che questo mondo è egemonizzato dalle organizzazioni cattoliche, Comunione e Liberazione davanti a tutte. Stiamo parlando di settori come istruzione, sanità, assistenza, cultura, servizi al lavoro e ricreativi. E di cattolici che, in grande maggioranza, mettono le prescrizioni della loro fede al di sopra delle leggi dello Stato. Vogliamo dargli in mano la sanità? Certo, risolveremmo i dibattiti su procreazione assistita, interruzioni di gravidanza, testamento biologico e altre piccolezze del genere, perché semplicemente non se ne parlerebbe più. Vogliamo che una parte ancora più grande della scuola diventi a orientamento confessionale? Perché questa è l’inevitabile conclusione.
A questo proposito è un piccolo capolavoro il punto 8 del capitolo “Valorizzare il principio di sussidiarietà verticale e orizzontale”, che recita: “introduzione di incentivi per la libera scelta dell’utente a favore delle imprese sociali mediante deduzioni o detrazioni fiscali oppure mediante voucher”. La “libera scelta” va “incentivata”? Ma allora non è più libera, è guidata dalla convenienza. E quanto alla detassazione, è quella che i tecnici chiamano tax expenditure, che è semplicemente un modo diverso di finanziamento pubblico. A parte i problemi costituzionali (“senza oneri per lo Stato”, articolo 33), Renzi ci sta dicendo che vuole rendere più conveniente ricorrere alle strutture private piuttosto che a quelle pubbliche. Le quali, se perdono utenti, verranno via via ridimensionate, destinate a un circolo vizioso tale da provocare un‘agonia non si sa quanto lenta.
Non sembri un’affermazione esagerata, perché di fatto questo processo è già in atto. Non dimentichiamo che da tempo il settore delle “imprese sociali” gode di facilitazioni fiscali, esenzioni, finanziamenti. Trascriviamo qui i dati tratti da un articolo di Attilio Pasetto, che ha confrontato i censimenti Istat dell’industria e dei servizi del 2001 e del 2011: “Le istituzioni pubbliche sono diminuite in dieci anni del 21,8% in termini di unità e dell’11,5% come addetti, a fronte di aumenti, rispettivamente, del 28% e del 39,3% delle istituzioni non profit. Le imprese private sono anch’esse cresciute, anche se più modestamente (l’8,4% come unità e il 4,5% come addetti). I due fenomeni speculari – arretramento della p.a. e crescita del non profit – si colgono in maniera evidente nel sistema di welfare. Nel settore dell’istruzione le istituzioni non profit contano nel 2011 per il 13,1% in termini di addetti, con un aumento del 76,3% rispetto al 2001. Il ruolo della p.a. rimane preponderante, con l’81,5%, ma in calo del 10,3% sul 2001. Nella sanità e assistenza sociale il non profit ha un peso molto alto, pari al 24%, con una crescita in dieci anni del 47,2%, a fronte di un peso della p.a. sceso al 43,5% per effetto di un calo dell’8,6%. Occorre aggiungere che in entrambi i settori cresce anche il ruolo delle imprese private, con incrementi dal 2001 al 2011 del 21,9% nell’istruzione e del 40% nella sanità. In quest’ultimo comparto il peso delle imprese private raggiunge ora il 32,5%”.
Si è fatto un referendum per mantenere pubblica la gestione dell’acqua. Ma la privatizzazione del welfare nel frattempo sta avanzando a passi da gigante, e la legge delega annunciata da Renzi, con i suoi ulteriori incentivi e detassazioni, le metterebbe il turbo. E’ quello che vogliamo?
Si è fatto un referendum per mantenere pubblica la gestione dell’acqua. Ma la privatizzazione del welfare nel frattempo sta avanzando a passi da gigante, e la legge delega annunciata da Renzi, con i suoi ulteriori incentivi e detassazioni, le metterebbe il turbo. E’ quello che vogliamo?
LATINA (RM)
I "NUOVI SCHIAVI" SIKH COSTRETTI A DROGARSI PER REGGERE FATICA, MALATTIE E PAGHE DA FAME
Dodici ore al giorno sotto il sole per 4 euro l’ora, vittime di violenze, vessazioni, incidenti sul lavoro mai denunciati e "allontanamenti" per chi tenta di reagire. E se non ce la fai ecco la droga che ti tira su. Un dossier realizzato dall’associazione ‘In Migrazione’ presentato questa mattina a Latina svela la situazione drammatica in cui molti braccianti agricoli della comunita’ Sikh sono costretti a lavorare nei campi della provincia di Latina. Storie allucinanti già messe in luce negli anni scorsi anche dal sindacato ma che evidentemente lasciano piuttosto insensibili le istituzioni e le autorità che devono effettuare i controlli. Il dossier, presentato nel capoluogo pontino, parla di questa nuova schiavitu’ vissuta da persone costrette a lavorare sette giorni su sette, anche in condizioni meteorologiche impossibili, e svela il mercato di queste sostanze dopanti, vendute anche da gruppi di stessi indiani ai loro connazionali. Il traffico di queste persone sarebbe, secondo quanto denunciato dall’associazione, in mano a gruppi di italiani organizzati con collegamenti, probabilmente, anche con l’estero. Secondo gli ultimi dati disponibili, e forniti da uno studio della Cgil, la comunita’ conta ufficialmente 12mila persone in provincia di Latina, anche se il numero stimato si aggira intorno alle 30mila presenze soprattutto nella zona dell’agro tra Latina, Sabaudia, San Felice Circeo, Pontinia, Terracina e Fondi. Secondo altre testimonianze raccolte in un dossier del sociologo Marco Omizzolo, alcuni braccianti sikh sono obbligati a tagliarsi la barba, simbolo religioso di grande importanza, solo perché essa infastidisce il padrone, il quale peraltro, li obbliga a volte a rivolgersi a lui facendo due passi indietro e guardando per terra. I racconti dei sikh sono da brividi. Se saltano uno o due giorni di lavoro perché malati, rischiano di perdere la paga del mese intero se non anche il licenziamento. Le loro buste paga raccontano di pochi giorni di lavoro al mese e di ritardi nei pagamenti anche di nove mesi. Capita inoltre che il giorno di paga, alcuni di loro vengano attesi sul ciglio della strada da ragazzi italiani che li aggrediscono per rubargli il salario faticosamente guadagnati. (di Fabio Sebastiani)

EUROPA
UCRAINA
LA VERITÀ VITTIMA DELLA GUERRA. L’EUROPA HA QUALCOSA DA DIRE? / Come in tutte le guerre, la verità e l’informazione sono vittime designate. Il caso ucraino non fa eccezione. Si omette deliberatamente di dare notizia sull’uso di paramilitari nazisti al servizio del governo di Kiev, così come dei tragici eventi accaduti ad Odessa (46 persone disarmate uccise in un vero e proprio pogrom antirusso, imputabile alle milizie filogovernative di Pravyi Sektor, Settore di Destra) . Criminale è l’aver fomentato, soprattutto da parte degli USA, una guerra civile e aver sdoganato in Europa forze naziste, che speravamo di aver cancellato definitivamente dal futuro dell’Europa.
Ed è anche il futuro dell’Europa che si gioca in Ucraina: gli Stati Uniti hanno lavorato e stanno lavorando pesantemente per destabilizzare la situazione ucraina, in primo luogo al fine di favorire una espansione ad Est dei confini della NATO. Non solo: nel contesto della trattativa sul Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti (Ttip), gli Stati uniti lavorano per impedire qualsivoglia autonomia geopolitica dell’Europa, e per arginare gli scambi Europa-Russia, soprattuto energetici. Insomma, si vuole rinchiudere l’Europa in un più serrato patto atlantico, volto a fare dell’Europa il cortile degli USA sia sul terreno militare che su quello economico.
Occorre che le pacifiste e i pacifisti si mobilitino in Italia e in Europa, contro la violazione dei diritti umani e il governo di Kiev e in favore di una Ucraina libera e federata. Come ha detto Alexis Tsipras al “Guardian”: “L’Unione europea dovrebbe far di tutto per ristabilire l’accordo di Ginevra del 17 aprile , e cercare la fine immediata delle violenze. Dovrebbe anche lanciare un ultimo monito al governo provvisorio ucraino, esigendo che gli accordi non siano ancora una volta violati.
Il massacro nell’edificio dei sindacati a Odessa mostra che esistono elementi nel governo ucraino, intimamente legati a unità paramilitari criminali e naziste, che vogliono un’Ucraina più piccola e “etnicamente ripulita”. È per raggiungere i propri obiettivi che cercano di provocare la Russia. La soluzione praticabile della crisi richiede come prima cosa la rimozione di tutti gli elementi neonazisti e di estrema destra dal governo provvisorio. La pace in Ucraina è difficile se tali elementi restano al potere, perché la loro strategia consiste nel seminare insicurezza in tutte le minoranze etniche e religiose del paese”
ODESSA
CONTRO LA GUERRA NEL CUORE DELL’EUROPA, A FIANCO DELL’UCRAINA ANTIFASCISTA!/ A Odessa un’orda nazista ha trucidato oltre 50 cittadini ucraini di origine russa. Disarmati. Lo ha fatto con i metodi nazisti del pogrom: bruciare, uccidere, non lasciare via di scampo alle vittime.
I media, all’unisono, hanno deformato la notizia fino a renderla irriconoscibile. Questa falsificazione è funzionale a coprire le responsabilità degli Stati Uniti e dell’Unione europea, che appoggiano il governo golpista di Kiev, da essi portato al potere.
Noi, cittadini italiani di una repubblica antifascista ormai solo di nome, siamo parte involontaria di questa mostruosa tragedia e di questo ritorno al passato. Lo siamo in quanto membri della NATO e alleati degli Stati Uniti. Non a caso il ministro della Difesa italiano, non pago delle violazioni che in questi ultimi due decenni hanno ripetutamente sfigurato l’articolo 11 della nostra Costituzione, è stato il primo a dichiararsi disponibile per un’ennesima sciagurata missione militare, stavolta in Ucraina.
POSSIAMO TACERE? SE LO FAREMO, SAREMO COMPLICI.
Sono altissime, purtroppo, le probabilità che, nelle prossime settimane, quelle che ci separano dal voto ucraino del 25 maggio, possano verificarsi eventi ancora più sanguinosi, mentre la crisi tra Russia e Occidente rischia di scivolare in conflitto aperto.
Chiediamo a tutte e tutti coloro che condividono i valori della democrazia e della pace, che vogliono battersi contro la guerra, di partecipare a una manifestazione nazionale di protesta e di lutto. Chiediamo che lo si faccia insieme e subito. Con urgenza, sabato 17 maggio, a Roma.
E’, questo, un appello perché ci si riunisca in segno di lutto e di vergogna, per questa Unione europea senza vergogna. Diamo una risposta collettiva, grande, dignitosa, al fianco dell’Ucraina antifascista, contro l’escalation bellica nel cuore dell’Europa.
LA MANIFESTAZIONE E’ CONVOCATA, DUNQUE, SABATO 17 MAGGIO ALLE ORE 18.00 CIRCA, NEI PRESSI DELL’AMBASCIATA DELL’UCRAINA A ROMA, VIA GUIDO D’AREZZO, VICINO A PIAZZA VERDI, ZONA PARIOLI E SI TERRA’ DOPO IL CORTEO IN DIFESA DELL’ACQUA PUBBLICA, AL QUALE SI PARTECIPERA’

PALESTINA
I DETENUTI NELLE CARCERI ISRAELIANE ESTENDONO LO SCIOPERO DELLA FAME
I detenuti palestinesi nelle carceri israeliane hanno deciso di estendere lo sciopero della fame intrapreso 23 giorni fa da un gruppo di prigionieri in regime di detenzione amministrativa a tutti i "volontari". E’ quanto ha riferito all’agenzia palestinese ‘Maan’ il direttore del Centro studi dei detenuti, l’ex prigioniero Raafat Hamdouna. In una lettera pervenuta al Centro, i detenuti affermano di aver "deciso di dare la possibilita’ ai volontari che desiderano arruolarsi in questa battaglia di intraprendere lo sciopero della fame".
La settimana scorsa 5.000 detenuti palestinesi avevano partecipato a uno sciopero di solidarieta’ con i prigionieri in regime di detenzione amministrativa nelle carceri israeliane che da 15 giorni stavano conducendo lo sciopero della fame in segno di protesta contro la loro "detenzione arbitraria e i maltrattamenti subiti". In quell’occasione, avevano minacciato di allargare la protesta se le autorita’ israeliane non avessero soddisfatto le richieste dei prigionieri entro una settimana.
Ieri le celebrazioni per la Nakba sono state funestate dalla morte di due giovani palestinesi, uccisi dall’esercito israeliano durante violenti scontri nei pressi del carcere di Ofer, vicino a Ramallah, in Cisgiordania. Celebrata ogni anno il 15 maggio in tutta la Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, la ‘Nakba’ (Catastrofe) e’ il termine con cui i palestinesi definiscono i fatti che hanno portato alla nascita dello stato di Israele e alla dispersione, con varie motivazioni, di circa 750 mila di loro.
I due palestinesi, Muhammad Abu Thahr (22 anni) e Nadim Nuwara (17) – secondo fonti mediche, citate dall’agenzia Maan – sono stati colpiti al collo dal fuoco dei militari israeliani.
Nei violenti incidenti con l’esercito altri tre ragazzi – secondo le stesse fonti – sono state feriti in egual modo. Fonti militari – citate dai media israeliani – hanno segnalato che
circa 150 palestinesi durante la manifestazione hanno cominciato a lanciare, in un "attacco aggressivo", molotov e sassi ai soldati.
La Nakba e’ stata ricordata dal presidente palestinese Abu Mazen (Mahmud Abbas): "E’ tempo di mettere fine alla piu’ lunga occupazione nella storia ed e’ tempo per i leader di Israele – ha ammonito in un messaggio tv – di comprendere che i palestinesi non hanno altra casa che la Palestina". E il capo negoziatore dell’Olp Saeb Erekat ha alzato i toni sostenendo, in un fondo pubblicato ieri su Haaretz, che Israele "non puo’ cancellare dalla storia la ‘Nakba’. La pace – ha insistito – puo’ essere raggiunta soltanto attraverso la giustizia e la riconciliazione", aggiungendo che la Nakba commemora "l’esilio forzato di oltre 750.000 palestinesi dalle loro case e dalle loro terre nel 1948".

MEDIO ORIENTE & AFRICA
TURCHIA
LA POLIZIA CARICA UN CORTEO DI PROTESTA CONTRO LA STRAGE DI SOMA / Si estende in tutta la Turchia la protesta contro l’orrenda strage nella miniera di carbone di Soma, dove il numero delle vittime, ufficialmente fermo a 235, 440 dispersi, è destinato a salire. Domani, intanto, tutti i maggiori sindacati hanno in programma di inscenare tre minuti di silenzio nelle piazze con i dimostranti vestiti di nero al grido di "Non è un incidente, è un assassinio".
Un gruppo di manifestanti oggi ha inscenato una protesta di fronte alla sede di Istanbul della societa’. Sui muri dell’edificio e’ stata scritta con la vernice rossa la parola "Assassini", mentre i manifestanti hanno esibito cartelli con la scritta "Questo edificio sorge sul sangue dei “lavoratori" e "Non sono morti beatamente, questo e’ un omicidio, non e’ il destino". Il cartello si riferisce a una frase pronunciata nel 2010 dal premier Recep Tayyip Erdogan, che in seguito a un incidente in miniera disse che i minatori erano "morti beatamente" e che la morte e’ "il destino" di chi fa quel mestiere. La frase suscito’ un’ondata di polemiche. In mattinata c’erano stati alcuni flash mob nella metropolitana dove molti passeggeri si sono stesi a terra imitando i corpi ammassati nelle strette gallerie di Soma. Ad Ankara, la polizia ha usato i gas lacrimogeni per disperdere un migliaio circa di manifestanti che denunciavano le responsabilita’ del governo nel disastro. Manifestazioni di protesta contro le misure di sicurezza ritenute carenti sono in corso o sono previste anche in altre citta’ del paese, in particolare a Istanbul, Smirne e Antalya.
Intanto la Soma Coal Mining Company, titolare della miniera, ha addirittura chiuso il suo sito Web, tilaga.com.tr, sostituendo la sua home-page con una schermata nera su cui si legge un testo che parla di "un triste incidente". Nel testo si parla di un’inchiesta per accertare i fatti e si afferma che il recupero dei superstiti e’ "la priorità assoluta". "L’incidente scrive ancora l’azienda – e’ successo nonostante le precauzioni piu’ attente e il continuo monitoraggio".
SECONDO LA STAMPA TURCA i lavoratori morti non sono vittime di una tragica fatalità. L’accusa contro il governo è di avere sempre ignorato gli allarmi per la sicurezza nell’impianto, l’ultima volta non più di due settimane fa. A sottolineare il caos sulla reale situazione dell’impianto, il fatto che a 24 ore dall’esplosione di gas che ha devastato le gallerie, il ministro dell’Energia Taner Yildiz non è ancora in grado di determinare il numero dei dispersi. Yildiz ha detto di "temere" che ci siano altri morti, dato che erano "stimati" quasi 800 minatori sottoterra al momento dello scoppio.
Tuttavia permane l’incertezza, perchè si conoscono i numeri dei dipendenti della società Soma Mining, ma alcune delle vittime sono "persone al di fuori delle miniera", come ha detto il ministro. Tra gli altri è stato recuperato il corpo di un quindicenne. Come è possibile? Nel 2012 Ali Gurkan, che ha acquisito l’impianto a seguito della privatizzazione, si è vantato in un’intervista di aver abbattuto i costi di estrazione a 24 dollari la tonnellata di carbone da 130, producendo in proprio i trasformatori invece di importarli. Ma soprattutto ingaggiando subappaltatori per i lavori più pesanti, con lavoratori non sindacalizzati, pagati meno degli aderenti al sindacato. Secondo il sindacalista della Disk Kani Beko, nella miniera "lavoravano moltissimi subappaltatori. Addirittura di secondo e terzo grado". "Spero che il bilancio delle vittime non salga, ma non sono ottimista. Dopo l’esplosione lì dentro c’è stato un massacro" ha detto Beko. Due settimane fa, il 29 aprile, il partito del premier Recep Tayyip Erdogan ha respinto la richiesta del principale partito di opposizione di aprire un’inchiesta parlamentare sulla sicurezza nella miniera.
Il deputato del Partito repubblicano del popolo Chp Ozgur Ozel aveva denunciato i numerosi incidenti anche mortali a Soma e chiesto un’indagine parlamentare che si concludesse con un rafforzamento delle misure di sicurezza nell’impianto. Un altro parlamentare d’opposizione, Erkan Akcay, del Mhp, aveva fornito in aula i dati sugli incidenti. "Nel 2013 nel distretto di Soma sono avvenuti 5.000 incidenti sul lavoro. Di questo il 90% è avvenuto in miniera.

PALESTINA
W LA PALESTINA LIBERA / IL 15 MAGGIO, IL GIORNO DELLA NAKBA, DELLA CATASTROFE PER IL POPOLO PALESTINESE. È iniziata allora una storia di profughi, esilio e di lotta per il diritto a poter tornare sulla propria terra. Per l’autodeterminazione.
Di questa catastrofe l’Europa porta una responsabilità grande. È l’Europa la responsabile della tragedia della Seconda Guerra Mondiale. È l’Europa ora complice silente di fronte all’occupazione, all’apartheid e alla violazione del diritto internazionale permanente da parte di Israele. È l’Europa che fa finta di non vedere il muro, i prigionieri politici, la colonizzazione di Gerusalemme e l’esproprio continuo di terra e futuro ai palestinesi In Europa, mi batterò affinché venga revocato l’accordo di associazione con Israele, ne denuncerò senza sosta le politiche repressive, per vedere riconosciuto finalmente il diritto del popolo palestinese alla propria terra, al ritorno, alla pace. Come sempre ho fatto e come continuerò a fare comunque. Dalla parte dei popoli, del popolo palestinese.

NIGERIA
LONDRA – Il gruppo estremista islamico Boko Haram avrebbe abbandonato la richiesta di liberazione per suoi alti comandanti nello ‘scambio di prigionieri’ e sarebbe pronto a rilasciare fino a metà delle oltre 200 ragazze rapite in Nigeria. Lo scrive il Daily Telegraph citando fonti vicine al gruppo islamista.

AMERICA CENTRO-MERIDIONALE
HAITI
ESPLORATORE TROVA LA CARAVELA DI COLOMBO.
Il relitto della Santa Maria, la più grande delle tre navi con le quali Cristoforo Colombo attraversò l’Atlantico nel 1492, è stato ritrovato da un’equipe di esploratori americani al largo della costa settentrionale di Haiti. Barry Clifford, considerato uno dei più importanti esploratori subacquei del mondo, ha detto al quotidiano britannico The Independent di essere giunto alle sue conclusioni in base a immagini riprese sul fondale marino dal 2003: "Tutta la geografia, la topografia marina e le prove archeologiche suggeriscono fortemente che il relitto ritrovato corrisponde a quello della famosa caravella di Colombo, la Santa Maria". L’ammiraglia del navigatore genovese in realtà non era tecnicamente una caravella, come tramanda la tradizione, bensì una caracca, lunga 21 metri e con un ponte a tre alberi: partì dal porto di Palos, in Andalusia, il 3 agosto 1492 -insieme con la Pinta e la Nina – e s’incagliò su una barriera corallina al largo di Haiti il 25 dicembre dello stesso anno

VENEZUELA y PALESTINA
FIRMAN ACUERDOS DE COOPERACIÓN PARA EL DESARROLLO Y LA PAZ / El Presidente de la República Bolivariana de Venezuela Nicolás Maduro y de Palestina Mahmud Abbás, fortalecieron los lazos de cooperación y hermandad con la firma de acuerdos en beneficio de ambas naciones durante una reunión llevada a cabo en el Palacio de Miraflores.
Los acuerdos concretados consisten en la firma de un convenio en el área de petróleo y minería para el suministro de diesel a Palestina, con el fin de contribuir en su crecimiento y desarrollo.
En el ámbito económico, se acordó evitar la doble tributación y evasión fiscal en materia de impuesto sobre la renta. Esto permitirá una mayor certeza en la inversión extranjera y erradicar los ilícitos tributarios.
Asimismo, se firmó un comunicado conjunto donde Venezuela ratifica el pleno apoyo al pueblo palestino en los procesos de negociación para la construcción de la paz, que puedan unirse por encima de sus diferencias y que sean visibles y reconocidos como Estado en organismos internacionales como la ONU, la Unesco y la FAO.
En este sentido el presidente de la República Bolivariana de Venezuela Nicolás Maduro, expresó que brindará una mano amiga a Palestina en todo lo que sea necesario para lograr su plena soberanía e independencia y que seguirán avanzando en los acuerdos conjuntos.
"Nosotros hemos ratificado la pedagogía de Chávez, él era en sí mismo un proyecto humano, él era la ideología viva hecha ser humano, la ideología de las grandes causas de la humanidad y con el método Chávez hemos enfocado la relación bilateral Venezuela – Palestina. Ya hemos definido temas concretos, en salud, la Misión Milagro con la construcción del centro oftalmológico en Palestina. Queremos seguir avanzando a buen paso con la participación de sus estudiantes en la Escuela de Educación para la Medicina Integral que funciona en nuestro país".
Como parte de la integración económica, el Presidente Maduro invitó a los empresarios de la comunidad árabe- palestina a trabajar en conjunto, "vamos a producir, lo que fue ayer superémoslo y miremos hacia el futuro…Yo espero que la visita del Presidente Abbás sirva como empuje para trabajar, para ampliar y crecer juntos con el gran objetivo de consolidar a Venezuela".
Por su parte, el primer mandatario de Palestina Mahmud Abbás, agradeció el respaldo del gobierno venezolano en la lucha de su país contra el monopolio económico y su disposición de seguir ampliando los convenios para el desarrollo.
"Gracias al Presidente Maduro querido amigo, quien dio instrucciones a sus funcionarios para darle seguimiento a los convenios y por la conformación del Comité Ministerial Venezolano – Palestino, que se ha organizado para estos acuerdos y todos lo que van a venir.Somos dos países amigos, comprometidos", expresó.

RECONOCIMIENTO DE LEALTAD Y UNIÓN
Durante este encuentro de trabajo y amistad que se realizó en el Palacio de Miraflores, el presidente Palestino Mahmud Abbás, entregó la condecoración Orden de Estrella de Palestina de Grado Supremo, al Presidente de la República Bolivariana de Venezuela Nicolás Maduro, esto en reconocimiento a su decisivo rol en el fortalecimiento y consolidación de las relaciones entre ambas naciones y por su apoyo al pueblo palestino en el establecimiento de un Estado independiente
Asimismo el presidente Maduro entregó la Orden Francisco de Miranda, Grado Generalísimo, al Primer Mandatario palestino como una distinción para premiar la lealtad y entrega al progreso del país y a la historia de la Patria de Bolívar.
"Yo acepte recibir la estrella Palestina por lo que representa, representa una tierra y un pueblo milenario, y se los digo, no la recibí como persona individual sino como el pueblo de Venezuela. Esta estrella está en el corazón del pueblo de Venezuela, es una estrella de resistencia pero también brilla la victoria y sabrá llegar a la victoria", manifestó el presidente Maduro.

AMERICA SETTENTRIONALE
USA
NEW YORK
FAST FOOD, IL 15 GIORNATA STORICA: SCIOPERO MONDIALE DELLA POLPETTA / E’ da un anno e mezzo che negli Stati Uniti i dipendenti dei fast food manifestano per avere salari dignitosi. Ora, la protesta si allarga a livello internazionale: il 15 maggio ci sarà uno sciopero dei lavoratori delle catene più importanti, MCDONALD’S, BURGER KING, WENDY’S E KFC, in più di trenta Paesi. E in questi paesi c’è anche l’Italia.
Riuniti per la prima volta in un unico sindacato internazionale, l’International Union of Food, AGRICULTURAL, HOTEL, RESTAURANT, CATERING, TOBACCO AND ALLIED WORKERS’ ASSOCIATIONS (UITA), i dipendenti dei fast food si sono accordati per lanciare il loro movimento con una giornata di protesta in 150 città americane e in altri 33 Paesi, tra cui Giappone, Brasile, Marocco e Italia, appunto. Sono passati due anni da quando circa 200 lavoratori cominciarono a manifestare a New York alla fine del 2012, chiedendo salari più alti e condizioni di lavoro migliori. La protesta, poi, che non si è mai fermata, ha interessato via via più di cento città statunitensi.
"I lavoratori di decine di Paesi in tutti i continenti hanno annunciato l’ingresso nel movimento per salari più alti e migliori condizioni di lavoro nei ristoranti", hanno reso noto gli organizzatori del movimento in un comunicato. Un gruppo di 70 manifestanti di diversi Paesi si è riunito davanti a un ristorante di McDonald’s, ieri a Manhattan, in occasione dell’annuncio. Negli Stati Uniti, i lavoratori dei fast food chiedono un salario di 15 dollari all’ora, ovvero più del doppio dell’attuale stipendio minimo federale, fissato a 7,25 dollari all’ora, applicato dalla maggior parte delle catene.
"Affrontiamo tutti le stesse sfide, gli stessi problemi, le stesse lotte. Continueremo a protestare finché non raggiungeremo il nostro obiettivo" ha dichiarato Massimo Fratini, coordinatore dell’Uita, che raggruppa 396 sindacati di 126 Paesi, per un totale di 12 milioni di impiegati. Molti lavoratori si lamentano di avere lo stesso stipendio di quando cominciarono a lavorare, come Tabitha Verges, una ‘minimum-wage worker’ di un Burger King a Harlem, intervistata dal New York Times in occasione dello sciopero dell’aprile 2013: "Prendo 7,25 dollari all’ora e non ho mai ottenuto un aumento in quattro anni" raccontò. Ogni volta che lo ha chiesto, "hanno sempre trovato la stessa scusa: non fanno abbastanza soldi".
La coalizione dei lavoratori che ha organizzato le proteste negli Stati Uniti, Fast Food Forward, sottolinea che un impiegato che prende 9 dollari all’ora – ma molti, come Verges, prendono i 7,25 dollari previsti ora dallo stipendio minimo nello Stato di New York, che sarà aumentato a 9 dollari dal 2016 – arriverà alla fine dell’anno con un reddito di circa 18.000 dollari per un lavoro a tempo pieno. Una situazione inaccettabile anche per Obama, che ha più volte chiesto al Congresso, anche nei suoi discorsi settimanali alla nazione, di aumentare il salario minimo federale. "Una cosa su cui dovremmo essere tutti d’accordo" ha detto Obama, "è che nessuna persona che lavora a tempo pieno dovrebbero vivere in povertà".
NYC
NEW YORK, RIVOLTA ALLO SMITH COLLEGE: "NON VOGLIAMO LA LAGARDE (FMI) A SCUOLA"
“NIET, NIET, NIET”. Il direttore generale del Fondo Monetario Internazionale (Fmi), Christine Lagarde, si è vista sbarrare la strada allo Smith College di New York. Un no secco, motivato con i “crimini” del Fmi internazionale in tema di economia, contrari ai valori "che insegnano a scuola". E quindi niente discorso e consegna dei diplomi. Il no alla cerimonia, in programma per domenica prossima, e’ legato alle proteste degli studenti contro il Fmi, ritenuto "oppressivo, inefficace e imperialista" con politiche che danneggiano le donne. Insomma, secondo gli studenti, il Fondo incarna tutto quello che contraddice i valori che sono stati insegnati sui banchi di scuola.
"Negli ultimi giorni e’ divenuto chiaro che molti studenti e molti professori non mi gradiscono come speaker. Rispetto il loro punto di vista e capisco l’importanza vitale della libertà accademica. Per preservare lo spirito della consegna dei diplomi, ritengo che sia meglio ritirare la mia candidatura" scrive Lagarde al presidente dello Smith College, Kathleen McCartney.
Per fermare la Lagarde gli studenti hanno organizzato una petizione online, che e’ stata sottoscritta da 477 studenti. "Scegliendo Lagarde come speaker – si legge nella petizione – si sostiene il Fondo e coloro che vanno direttamente contro i valori dello Smith di unita’ e uguaglianza per tutte le donne, a dispetto della razza e dell’etnia. Anche se non vogliamo ignorare i traguardi di Lagarde come donna leader nel mondo, non vogliamo neanche essere rappresentati da qualcuno che contribuisce direttamente al sistema che ci hanno insegnato a combattere
Usa, sospesa all’ultimo minuto l’esecuzione di un condannato a New Orleans
NEW ORLEANS
Una corte d’Appello di New Orleans ha sospeso all’ultimo minuto l’esecuzione di un condannato a morte prevista per le sette di ieri sera ora di New York, la una di notte in Italia. La decisione è stata presa all’unanimità dai giudici dopo la richiesta degli avvocati di Robert James Campbell, 41 anni, di fermare l’uccisione a causa di deficit cognitivi dell’uomo: la Corte suprema ha infatti stabilito che giustiziare una persona con ritardi mentali è incostituzionale, fissando il limite a un quoziente intellettivo di 70 punti (la maggior parte delle persone hanno 100 punti).
Secondo la perizia presentata dai legali, Campbell quando è stato imprigionato all’età di 19 anni aveva un quoziente intellettivo di 71. Il 41enne, in carcere dal 1991, è accusato dello stupro e dell’uccisione di Alexandra Rendon, avvenuto dopo il rapimento della ragazza in una stazione di benzina a Houston, Texas. I suoi avvocati hanno anche chiesto alle autorità texane di tramutare la sua pena nel carcere a vita.
Nei giorni scorsi l’esecuzione di Campbell aveva creato molte polemiche, soprattutto dopo la decisione dello Stato dell’Oklahoma di sospendere per sei mesi la pena capitale: un condannato aveva sofferto per oltre 40 minuti a causa della miscela barbiturici usata per l’iniezione letale. Il governo del Texas aveva sostenuto di uccidere i propri carcerati con i migliori standard e di non volere assolutamente sospendere l’esecuzione.
Il Texas è il primo Stato americano per pene capitali: 515 dal 1982, più dei sei Stati con il maggior numero di condanne a morte portate a termine messi insieme. Dal 2012 le autorità locali hanno deciso di cambiare il cocktail iniettato, passando da un mix di tre medicinali a uno solo.
WASHINGTON
L’ESERCITO AMERICANO È PRONTO AD AFFRONTARE QUALSIASI EMERGENZA, ANCHE UNA ‘ZOMBIE APOCALYPSE’, UN’OFFENSIVA DEGLI ZOMBIE. Non si tratta di uno scherzo ma, come sottolinea la prestigiosa rivista Foreign Policy, di una strategia militare del Dipartimento della Difesa Usa. Il documento non classificato si chiama ‘CONOP 8888’: un piano di sopravvivenza per eliminare la minaccia degli zombie e "aiutare qualsiasi popolazione del mondo, compresi gli avversari tradizionali". I ‘pianificatori’ militari assegnati al Comando strategico degli Stati Uniti di Omaha, in Nebraska, tra il 2009 e il 2010 hanno cercato di creare un piano che potesse proteggere i cittadini statunitensi da attacchi di qualsiasi tipo. E nel documento si procede anche ad un dettagliato censimento delle tipologie di zombie. Come ha spiegato il capitano della Marina, Pamela Kunze, si tratta di uno sforzo creativo a scopo formativo, per insegnare agli studenti i concetti basilari delle risposte militari a ipotetici scenari di guerra.

(articoli da: NYC Time, Time, Guardian, The Irish Times, Das Magazin, Der Spiegel, Folha de Sào Paulo, Clarin, Nuovo Paese, L’Unità, Internazionale, Il Manifesto, Liberazione, Ansa , AGVNoveColonne, ControLaCrisi e Le Monde)

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