11158 IN ITALIA NON BASTA PIÙ LA SCIENZA (ndr). IL SENSO DELLA STUPIDITÀ

20140507 14:24:00 red-emi

PERCHÉ ANCHE LE PERSONE INTELLIGENTI SI COMPORTANO IN MODO STUPIDO.
CAPIRLO POTREBBE SPIEGARE MOLTE CATASTROFI SOCIALI.
COME L’ATTUALE CRISI ECONOMICA.
SEMBRA CHE NEL CERVELLO DELLE PERSONE PIÙ INTELLIGENTI CI SIANO RETI DI COLLEGAMENTI PIÙ EFFICIENTI TRA I NEURONI MA, (ndr)HO QUALCHE DUBBIO VISTO I RISULTATI SOPRATTUTTO IN ITALIA.
LA STUPIDITÀ È PIÙ PERICOLOSA NELLE PERSONE CHE HANNO UN ALTO QI, PERCHÉ DI SOLITO HANNO MAGGIORI RESPONSABILITÀ.

LA TERRA HAI SUOI CONFINI, MA LA STUPIDITÀ UMANA È SENZA LIMITI", scriveva Gustave Flaubert. Commenti coloriti e fulminanti sulla fatuità dei suoi simili riempivano molte delle lettere che scriveva a Louise Colet, la poetessa francese che gli ispirò Madame Bovary. Vedeva la stupidità ovunque, dai pettegolezzi dei piccolo borghesi alle conferenze degli accademici. Neanche Voltaire sfuggiva alle sue critiche. Consumato da questa ossessione, dedicò i suoi ultimi anni a raccogliere migliaia di esempi per una sorta di enciclopedia della stupidità. Morì prima di poter completare la sua grande opera, e alcuni attribuiscono la causa della sua morte improvvisa, all’età di 58 anni, alle frustranti ricerche per scrivere quel libro. Anche documentare la vastità della stoltezza umana può sembrare un’impresa sciocca, e questo spiegherebbe perché gli studi sull’intelligenza, in genere, si concentrano sull’altra estremità dello spettro. Tuttavia, l’ampiezza stessa dello speni solleva molti interrogativi affascinanti.

SE ESSERE INTELLIGENTI È UN VANTAGGIO COSÌ GRANDE, PER ESEMPIO, PERCHÉ NON LO SIAMO TUTTI ALLO STESSO MODO?
O FORSE NELL’ESSERLO C’È QUALCHE SVANTAGGIO CHE A VOLTE PERMETTE AI MENO INTELLIGENTI DI AVERE LA MEGLIO?
E PERCHÉ’ ANCHE LE PERSONE PIÙ INTELLIGENTI TENDA NO A COMMETTERE DELLE SCIOCCHEZZE?

…..“Sembra che gli strumenti usati normalmente per misurare l’intelligenza, in particolare il calcolo del quoziente d’intelligenza (Qi), abbiano poco a che fare con i comportamenti illogici e irrazionali che tanto infastidivano Flaubert. Si può essere molto intelligenti e al tempo stesso molto stupidi. Una maggiore comprensione dei fattori che spingono persone brillanti a prendere decisioni sbagliate sta cominciando a far luce su molte delle grandi catastrofi sociali, compresa la recente crisi economica. Ma la cosa più interessante è che dalle ultime ricerche emergono alcuni consigli su come evitare questo problema.

TEST SBAGLIATI
L’idea che l’intelligenza e la stupidità siano semplicemente i due estremi di un unico spettro è sorprendentemente moderna. Il teologo rinascimentale Erasmo da Rotterdam definiva la follia – in latino stultitia – come un’entità a sé, che discendeva dal dio della ricchezza e dalla ninfa della giovinezza. Altri la vedevano come una combinazione di vanità, testardaggine e imitazione. Fu solo a metà del settecento che la stupidità fu associata a un’intelligenza mediocre, spiega Matthijs van Boxsel, uno storico olandese che ha scritto molti libri sul tema. "In quel periodo salì al potere la borghesia, e con l’illuminismo la ragione diventò la nuova norma", spiega, "rendendo ogni uomo responsabile del suo destino".
I tentativi più recenti di studiare le varia-zioni dell’intelligenza umana si sono concentrati sui test per stabilirne il quoziente, attribuendo un numero alle capacità men-tali di ognuno. In realtà misurano solo la capacità di ragionamento astratto, spiega lo psicologo Richard Nisbett dell’università del Michigan. "Se avete un Qi di 120 non avrete difficoltà a capire il calcolo integrale. Con 100, potrete impararlo ma dovete impegnarvi molto. Con 70, non avete nessuna speranza". Sono uno strumento di misura che sembra prevedere chi avrà successo a livello accademico e professionale.
I fattori che determinano dove ci collo-chiamo sulla scala del Qi sono vari. Probabilmente la nostra intelligenza dipende per un terzo dall’ambiente in cui siamo cresciuti, per esempio dal tipo di alimentazione e dal grado di istruzione ricevuti. I geni, da parte loro, determinano il 40 per cento delle differenze tra due persone. Sembra che nel cervello delle persone più intelligenti ci siano reti di collegamenti più efficienti tra i neuroni. Questo può determinare la loro capacità di usare la memoria "di lavoro" a breve termine per collegare idee disparate e trovare rapidamente strategie per risolvere i problemi, spiega Jennie Ferrell, psicologa dell’università del West England: "Le connessioni sono la base biologica dei collegamenti mentali".
Queste variazioni dell’intelligenza hanno spinto qualcuno a chiedersi se possedere capacità superiori ha un costo, altrimenti perché non siamo tutti geni? Purtroppo, è difficile dimostrarlo. Per esempio, qualcuno ha ipotizzato che la depressione sia più comune tra le persone intelligenti e porti a un più alto tasso di suicidi, ma nessuno è riuscito a confermarlo. Da uno dei pochi studi sugli svantaggi dell’intelligenza è emerso che durante la seconda guerra mondiale i soldati con un Qi più alto erano quelli che avevano più probabilità di morire. La differenza, tuttavia, era minima e altri fattori potevano aver distorto i dati. In alternativa, le variazioni del livello di intelligenza possono essere dovute a un fenomeno chiamato "deriva genetica", avvenuto dopo che la civiltà ha superato alcune delle difficoltà che hanno stimolato l’evoluzione del nostro cervello. Gerald Crabtree dell’università di Stanford è uno dei principali sostenitori di questa ipotesi. Fa notare che la nostra intelligenza dipende da un numero di geni che vanno da duemila a cinquemila e che mutano continuamente. Nel lontano passato, i portatori di mutazioni che rallentavano lo sviluppo mentale non sopravvive-vano e quindi non potevano trasmettere i loro geni, ma Crabtree ipotizza che quando le società umane sono diventate più collaborative, le persone che pensavano più lentamente potevano appoggiarsi a quelle che avevano qualità intellettive superiori. In realtà, aggiunge, una persona dell’anno mille a.C. inserita nella società moderna sarebbe " uno dei nostri amici più brillanti ".
Questa teoria è spesso chiamata ipotesi dell’ "IDIOCRAZIA", che immagina un futuro in cui la rete di sicurezza sociale avrà creato il deserto intellettuale. In realtà non è mai stata dimostrata. È difficile calcolare il livel-lo di intelligenza dei nostri antenati, e nel passato recente il Qi medio è leggermente aumentato. "Questo smentisce l’ipotesi che le persone meno intelligenti abbiano più fi-gli e che quindi il livello di intelligenza si stia abbassando", afferma lo psicologo Alan Baddeley dell’università di York. A ogni modo, alcuni sviluppi recenti hanno portato molti a presupporre che il pensiero umano abbia più dimensioni di quelle misurate dal Qi, e potrebbe essere necessario rivedere completamente le teorie sull’evoluzione dell’intelligenza. Chi li contesta fa notare che il punteggio ottenuto nei test per determinare il quoziente d’intelligenza può essere facilmente distorto da fattori come la dislessia, il livello di istruzione e la cultura di appartenenza. "Probabilmente non supererei un test di intelligenza preparato da un sioux del settecento", dice Nisbett. Inoltre, persone che non superano gli 80 punti possono comunque parlare diverse lingue e perfino architettare complesse frodi finanziarie. Al contrario, un alto quoziente intellettivo non garantisce un comportamento razionale : pensate agli scienziati che si osti-nano a negare il cambiamento climatico.
Era proprio questa incapacità di soppesare i fatti e di prendere decisioni sensate che faceva imbestialire Flaubert. A differenza dello scrittore francese, molti scienziati evitano di parlare di stupidità. "Non è un termine scientifico", sostiene Baddeley.
Ma l’intuizione di Flaubert che l’illogicità può danneggiare anche la mente più brillante sta cominciando ad attirare l’attenzione degli studiosi. "Ci sono persone intelligenti che si comportano in modo stupido", spiega Dylan Evans, psicologo e scrittore che studia i rapporti tra emotività e intelligenza. Come si spiega questo apparente paradosso? Una possibile teoria è quella proposta da Daniel Kahneman, un cognitivista dell’università di Princeton che ha ricevuto il Nobel per l’economia per i suoi studi sul comportamento umano. Un tempo gli economisti erano convinti che gli esseri umani fossero intrinsecamente razionali, ma Kahneman e il suo collega Amos Tversky hanno scoperto che non è così. Per elaborare le informazioni, dicono, il nostro cervello può accedere a due sistemi diversi. I test di intelligenza ne misurano solo uno, il processo cosciente, che svolge un ruolo fondamentale nel risolvere i problemi. Ma nella vita quotidiana, quello che usiamo di più è il nostro intuito. Tanto per cominciare, sono stati questi meccanismi intuitivi a garantirci un vantaggio evolutivo, offrendoci le scorciatoie cognitive che ci aiutano ad affrontare il sovraccarico di informazioni.
Di queste scorciatoie fanno parte pregiudizi cognitivi come la tendenza a usare stereotipi, a cercare conferma delle proprie convinzioni, a opporre resistenza all’ambiguità, cedendo quindi alla tentazione di accettare la prima soluzione a un problema che ci viene in mente anche se palesemente non è la migliore. Anche se questi pregiudizi, cosiddetti "euristici", in certe situazioni possono aiutarci, se li accettiamo in modo acritico possono anche indebolire il nostro giudizio. Per questo motivo, l’incapacità di riconoscerli o di resistergli è alla radice della stupidità. "Nel cervello non abbiamo un interruttore che ci permette di decidere ‘userò gli stereotipi solo per i ristoranti ma non per le persone’", spiega Ferrell. "È una facoltà che va appresa".
Dato che la stupidità non ha nulla a che vedere con il Qi, per capirla ci vuole un test che misuri la nostra propensione al pregiudizio. Una proposta in questo senso l’ha fatta Keith Stanovich, un cognitivista dell’università di Toronto, in Canada, che sta studiando un possibile quoziente di razionalità (Qr) per valutare la nostra capacità di evitare i pregiudizi cognitivi. Consideriamo questa domanda, che mette in evidenza l’effetto ambiguità: Jack sta guardando Anne ma Anne sta guardando George. Jack è sposato e George è scapolo. Una persona sposata ne sta guardando una che non lo è? Le possibili risposte sono "sì", "no", "non possiamo saperlo". La maggior parte delle persone risponderà "non possiamo saperlo", semplicemente perché è la prima cosa che gli viene in mente, ma a un’analisi più attenta è evidente che la risposta è "sì". Il Qr misurerebbe anche l’intelligenza del rischio, vale a dire la capacità di stimare cor-rettamente le probabilità. Per esempio, tutti sopravvalutiamo le probabilità di vincere alla lotteria, dice Evans, e sottovalutiamo quella di dover divorziare. Una scarsa intelligenza del rischio può portarci a fare scelte sbagliate senza rendercene conto.
Come si fa a stabilire se abbiamo un quoziente di razionalità alto? Stanovich ha scoperto che, a differenza del Qi, il Qr non dipende dai geni né da fattori ambientali o culturali. Dipende più che altro da quella che si chiama meta-cognizione, vale a dire dalla capacità di valutare le nostre conoscenze. Le persone che hanno un Qr alto hanno acquisito una serie di strategie per potenziare questa consapevolezza di sé. Il sistema più semplice è prendere la risposta intuitiva a un problema e considerare anche quella opposta prima di decidere. Questo ci aiuta a capire meglio quello che sappiamo e quello che non sappiamo.
Ma anche le persone che hanno un Qr naturalmente alto possono essere ingannate da circostanze che sfuggono al loro controllo.
"INDIVIDUALMENTE POSSIAMO AVERE GRANDI CAPACITÀ COGNITIVE, MA È L’AMBIENTE A DETTARE I NOSTRI COMPORTAMENTI", spiega Ferrell. Come avrete sperimentato anche voi, le distrazioni emotive possono essere le principali cause di errore. Sentimenti come il dolore o l’ansia ingombrano la memoria di lavoro, lasciandoci meno risorse per valutare quello che succede nel mondo che ci circonda. In questi casi tendiamo a ricorrere ai pregiudizi euristici per trovare una via d’uscita facile. Secondo Ferrell, questo spiega anche la cosiddetta "minaccia degli stereotipi", l’ansia che provano i gruppi minoritari quando sanno che i loro risultati potranno essere visti come la conferma di un pregiudizio già esistente. È stato dimostrato più volte che questo influisce sul risultato dei test.
Come hanno scoperto André Spicer e Mats Alvesson, forse non c’è nulla che incoraggi la stupidità più delle pratiche di certe aziende. Al momento di questa scoperta, Spicer della Cass business school di Londra e Alvesson dell’università svedese di Lund, avevano deciso di indagare su come le organizzazioni più prestigiose trattano le persone molto intelligenti. Ma ben presto hanno dovuto rinunciare alla loro tesi di partenza. Continuavano a trovare uno schema ricorrente: certe organizzazioni, soprattutto le banche d’investimento, le agenzie pubblicitarie e quelle di consulenza, di solito assumono persone altamente qualificate. Ma, dice Spicer, "siamo rimasti colpiti dal fatto che quelle persone perdevano proprio le capacità per le quali erano state assunte", fenomeno che i due studiosi hanno definito "stupidità funzionale".
A spiegarlo è proprio il contrasto tra pregiudizi e razionalità. "All’inizio non facevamo riferimento a Kahneman nella nostra ricerca", racconta Spicer. "Ma a un certo punto abbiamo cominciato a notare alcun: collegamenti interessanti con le cose che aveva osservato". Per esempio, il modo di lavorare delle organizzazioni di solito atrofizza l’intelligenza del rischio dei loro dipendenti. "Non c’era nessun rapporto diretto tra quello che facevano e i risultati", dice Spicer, quindi non avevano modo di valutare le conseguenze delle loro azioni. La pressione amplificava anche il pregiudizio verso l’ambiguità. "Nelle organizzazioni complesse l’ambiguità è molto diffusa e quindi anche il desiderio di evitarla a tutti i costi", dice Spicer. Le conseguenze di questo possono essere catastrofiche. In una meta-analisi condotta nel 2012, Spicer e Alvesson hanno riscontrato che la stupidità funzionale è stato uno dei fattori che hanno contribuito a provocare la crisi economica. "Quelle persone erano incredibilmente intelligenti", spiegano. "Sapevano benissimo che i titoli ipotecari e i derivati erano un problema". Ma non solo non dovevano occuparsene, se esprimevano i loro dubbi rischiavano anche una sanzione. Il risultato è stato che persone brillanti hanno rinunciato a comportarsi in modo logico.

LA FOLLIA DENTRO DI NOI
Alla luce della crisi economica, queste scoperte confermano la tesi di van Boxsel che la stupidità è più pericolosa nelle persone che hanno un alto Qi, perché di solito hanno maggiori responsabilità:
"PIÙ SONO INTELLIGENTI, PIÙ I RISULTATI DELLA LORO STUPIDITÀ POSSONO ESSERE DISASTROSI".
Per questo, secondo Stanovich, il settore finanziario chiede da anni un buon test per valutare la razionalità. Al momento il test per il Qr non dà risultati sicuri come quello per il Qi, perché per stabilire una scala che consenta di confrontare tra loro gruppi diversi sono necessari molti volontari.
Se mai qualcuno completerà l’opera di Flaubert è un’altra questione, ma la biblioteca del congresso degli Stati Uniti, forse inconsapevolmente, ha raccolto il testimone decidendo di archiviare tutti i tweet del mondo. La presa di coscienza della nostra stupidità potrebbe aiutarci a evitarla. Forse Erasmo aveva capito perfettamente il suo potere su di noi.
Sotto le sue immagini della Follia compare la scritta "LA FOLLIA REGNA IN ME". “……..
(di Adee, New Scientist, Regno Unito)

 

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