11097 CRIMEA

20140319 15:17:00 red-emi

TOKYO – INTERVISTA – NOAM CHOMSKY: IL PROBLEMAE’ L’ASSERVIMENTO DEI GIORNALISTI AL PENSIERO COMUNE. “ Altro che feroce invasione “. “ PERCHE’ FACCIO FATICA A UNIRMI ALL’INDIGNAZIONE DELL’OCCIDENTE.”
Sceda 1 – I piani di realizzazione dello scudo spaziale
Scheda 2 – CHERNOBYL E ora appare anche lo spettro nucleare
Scheda 3 – Sulla pelle degli Ucraini. Il gioco sporco dopo l’89.
Scheda 4 – Analisi/ STORICAMENTE il bilinguismo e radicato nel vissuto di tutti i giorni / Questione linguistica, strumento di incomprensione politica / L’ucraino fu sdoganato nell’800 dal letterato Shevchenko.

Gorbaciov. “Rimediato un errore storico dell’Urss.”

TOKYO – “ INTERVISTA – NOAM CHOMSKY: IL problema e’ l’asservimento dei giornalisti al pensiero comune”. Altro che feroce invasione (di Pio d’Emilio)
Di «passaggio» a Tokyo per una serie di affollatissime conferenze, abbiamo chiesto a Noam Chomsky, professore emerito di linguistica al Massachusetts Institute of Technology, il suo parere sui nuovi «venti di guerra» tra Occidente e Oriente, che agitano il pianeta. E non solo per quel che riguarda la crisi ucraina e ora la Crimea.

L’OCCIDENTE SEMBRA ESSERE PREOCCUPATO DA QUELLO CHE QUALCUNO HA DEFINITO IL «FASCISMO» DI PUTIN. E MENTRE TORNANO I TONI DA GUERRA FREDDA, LA SITUAZIONE, IN CRIMEA, RISCHIA DI PRECIPITARE…

Non solo in Crimea, direi che anche qui, in Asia orientale, la tensione è altissima, tira una bruttissima aria. Il recente riferimento del premier Shinzo Abe -per il quale non nutro particolare stima alla situazione dell’Europa prima del primo conflitto mondiale è più che giustificato.
Perché le guerre possono anche scoppiare per caso, o a seguito di un incidente, più o meno provocato. Quanto alla Crimea, faccio davvero fatica ad associarmi all’indignazione dell’occidente. Leggo in questi giorni editoriali assurdi, a livello di guerra fredda, che accusano i russi di essere tornati sovietici, parlano di Cecoslovacchia, Afghanistan.
Ma dico, scherziamo? Per un giornalista, un commentatore politico, scrivere una cosa del genere, oggi, significa avere sviluppato una capacità di asservimento e subordinazione al «pensiero comune» che nemmeno Orwell avrebbe potuto immaginare. Ma come si fa? Mi sembra di essere tornato ai tempi della Georgia, quando i russi entrando in Ossezia e occupando temporaneamente parte della Georgia, fermarono quel pazzo di Shakaashvili, a sua volta (mal) «consigliato» dagli Usa. I russi, all’epoca, evitarono l’estensione del conflitto, altro che «feroce invasione».
Per carità, tutto sono tranne che un filo russo o un fan di Putin: ma come si permettono gli Stati uniti, dopo quello che hanno fatto in Iraq – dove dopo aver mentito spudoratamente al mondo intero sulla storia delle presunte armi di distruzione di massa, sono intervenuti senza un mandato Onu a migliaia di chilometri di distanza per sovvertire un regime – a protestare, oggi, contro la Russia? Voglio dire, non mi sembra che ci siano state stragi, pulizie etniche, violenze diffuse. Io mi chiedo: ma perché continuano a considerare il mondo intero come nostro territorio, che abbiamo il diritto, quasi il dovere di «controllare» e, nel caso, modificare a seconda dei nostri interessi? Non è cambiato nulla, alla Casa Bianca e al Pentagono, sono ancora convinti che l’America sia e debba essere la guida – e il gendarme del mondo.
A proposito di minacce, oltre alla Russia, anche la Cina e il Giappone fanno paura? Chi dobbiamo temere di più? Dobbiamo temere di più gli Stati uniti. Non ho alcun dub-bio, e del resto è quanto ritengono il 70% degli intervistati di un recente sondaggio internazionale svolto in Europa e citato anche dalla Bbc. Subito dopo ci sono Pakistan e India, la Cina è solo quarta. E il Giappone non c’è proprio. Questo non significa che quello che stanno facendo, anzi per ora, per fortuna, solo dicendo i nuovi leader giapponesi non siano pericolose e inaccettabili provocazioni. Il Giappone ha un passato recente che non è ancora riuscito a superare e di cui i paesi vicini, soprattutto Corea e Cina non considerano chiuso, in assenza di serie scuse e soprattutto atti di concreto ravvedimento dal parte del Giappone.
Proprio in questi giorni leggo sui giornali che il governo, su proposta di alcuni parlamentari, ha intenzione di rivedere la cosiddetta «dichiarazione Kono», una delle poche dichiarazioni che ammetteva, esprimendo contrizione e ravvedimento, il ruolo dell’esercito e dello stato nel rastrellare decine di migliaia di donne coreane, cinesi e di altre nazionalità e costringendole a prostituirsi per «ristorare» le truppe al fronte.

GIÀ, LE FAMOSE «DONNE DI RISTORO», TUTTAVIA OGNI PAESE HA I SUOI SCHELETRI. IN ITALIA POCHI SANNO CHE SIAMO STATI I PRIMI A GASARE I «NEMICI» E ANCHE INGLESI E AMERICANI NON SCHERZANO, QUANTO A CRIMINI DI GUERRA NASCOSTI E/O IGNORATI
Assolutamente d’accordo. So-lo che un conto è l’ignoranza, l’omissione sui testi scolastici, un conto è il negazionismo: insomma, in Germania se neghi l’olocausto rischi la galera, in Giappone se neghi il massacro di Nanchino rischi di diventare premier.

SCHEDA 1 – I PIANI DI REALIZZAZIONE DELLO SCUDO SPAZIALE, proseguiranno, secondo quanto affermato dal vicepresidente americano, Joe Biden, in visita in Polonia, Biden ha specificato che i piani di realizzazione dello scudo spaziale in Europa, visti da sempre dalla Russia come un atto ostile, proseguiranno anche con la prevista dislocazione di installazioni in Polonia.

Ha poi aggiunto che saranno intrapresi altri, imprecisati, passi per rafforzare la cooperazione fra Europa e Usa nell’ambito della Nato. Durante la conferenza stampa a Varsavia, il vicepresidente Usa ha anche specificato che «dopo l’annessione della Crimea la Russia si trova sola rispetto al resto del mondo, un isolamento che potrà solo aumentare se continuerà a seguire questa strada». Biden ha ribadito la volontà di Washington di dare il massimo sostegno all’Ucraina e che se Mosca continuerà in questo atteggiamento «ci saranno ulteriori sanzioni da parte di Stati Uniti e Unione Europa». Il vice presidente americano ha inoltre sottolineato come «i recenti eventi ci ricordino come la difesa collettiva sia colonna portante della Nato» e che l’auspicio è che l’Alleanza Atlantica «emerga da questa crisi più forte e unita che mai», anche il presidente polacco Tusk si è espresso contro Mosca: «L’annessione della Crimea da parte della Russia è una provocazione per tutto il mondo libero».

SCHEDA 2 – CHERNOBYL E ora appare anche lo spettro nucleare. / Per deformazione professionale, assistendo all’attuale agonia dell’Ucraina, ho pensato molto e immediatamente ai suoi reattori nucleari. L’Ucraina ne ha ben 15, che generano circa la metà della sua elettricità.

La produzione totale di energia elettrica nel 2009 è stata pari a 173 miliardi di kWh: il 48% da nucleare, 21% da carbone, il 20% da gas, e il 7 % da energia idroelettrica. Il paese riceve la maggior parte dei suoi servizi nucleari (tecnologia, manutenzione) e del combustibile nucleare (uranio arricchito) dalla Russia. Prima della crisi attuale, era programmato fino al 2030 un forte programma di manutenzione e rinnovo del nucleare, con investimenti previsti di 25 miliardi di dollari: cosa ne sarà in futuro?
Lo sviluppo del nucleare in Ucraina iniziò nel 1970 con la costruzione della centrale di Chernobyl, la cui tragedia del 1986 è talmente nota da non doversi neppure menzionare. Oggi i reattori di Chernobyl sono chiusi, mentre le 15 unità nucleari dell’Ucraina sono di modello russo Vver ad acqua in pressione (simili ai nostri reattori Pwr). Onestamente, Chernobyl a parte, i reattori nucleari ucraini non hanno mai causato finora grossi guai.
Altrettanto onestamente, non è dato sapere e desta pre-occupazione cosa succederà ora, nel momento in cui una tecnologia delicatissima e che necessita know-how e manutenzione, ed è ovvia-mente un bersaglio sensibile in caso di guerra o disordini, si troverà in un paese al quale mancheranno gli aiuti e la collaborazione tecnica russa.
Il Presidente russo Putin ha comunicato che subito cesserà lo sconto sul gas naturale all’Ucraina, che dovrà pagarlo a prezzo di mercato, e regolare il suo debito di circa 2 miliardi di dollari con la Russia. D’altra parte non si vede il motivo per il quale la Russia debba fare favori ad uno stato che vuole pencolare pesantemente nell’orbita dell’Unione Europea, dell’Alleanza atlantica e degli Stati Uniti.
Quale sarà il suo atteggia-mento riguardo alla collabo-razione con l’Ucraina in campo nucleare? Nessuno se ne preoccupa, per il momento, mentre i reattori ucraini continuano a reggere l’elettricità del paese.
È prevedibile come minimo un taglio alle risorse per la manutenzione, che comporterà necessariamente guasti più frequenti. Le nazioni nuclearmente sviluppate dovrebbero pensare anche a questo, nel piano di aiuti per il nuovo alleato: ma qui l’Italia non c’entra, non è neppure in grado di risolvere i problemi del nucleare a casa propria. (di Massimo Zucchetti)

SCEDA 3. SULLA PELLE DEGLI UCRAINI. IL GIOCO SPORCO DOPO L’89. Dopo 74 anni di paure si erano convinte che la Russia era un paese «finito», con la sua economia in macerie, con un governo e uno stato, irrimediabilmente corrotti.

Un paese che dipendeva finanziariamente dalle organizzazioni internazionali e politicamente e culturalmente accettava lezioni da chi l’aveva vinto.
Putin ha rotto questo schema con politiche e comportamenti pubblici e privati, universalmente criticati all’estero. Che la Russia, l’ex impero zarista, l’ex Unione delle repubbliche socialiste sovietiche, torni a contare sulla scena internazionale è un imprevisto calato sugli equilibri post 1989, per colpa di una ex spia sovietica che si crede un novello Metternich. Politici e grandi opinionisti Usa chiedono a Obama di punirlo (fo punish), mentre al presente Merkel sta verificando le difficoltà di tener in piedi le due politiche parallele della Germania unificata. Da un lato l’intesa commerciale con Putin e dall’altro l’egemonia sulle economie dei paesi dell’ex Patto di Varsavia. E dunque a braccetto con-temporaneamente con la Polonia e con la Russia. La sfida di Putin sulla Crimea è un sasso su tale status quo.
Innanzitutto sono più chiari i giochi che da tempo si fanno sulla pelle degli ucraini. Il loro paese in crisi non fa gola all’Unione Europea. Bruxelles e il Fondo Monetario tremano all’ipotesi di doversene fare carico e infatti sino a ieri si sono spesi in lusinghe solo verbali. Oggi il confronto politico li obbliga a promettere soldi, nella stessa quantità offerta da Putin, ma legati alle solite ristrutturazioni radicali.
Come è successo agli altri paesi est europei: messi in salvo dalla gestione sovietica e subito calati in quella neoliberista. L’effetto è lacrime e sangue per buona parte degli abitanti e grandi fortune per le élite finanziare transnazionali. Se il braccio di ferro con la Russia si risolverà con Putin nell’angolo, allora per l’Ucraina finirà II limbo. È un limbo che dura dal distacco da Mosca, da quando un paese di 46 milioni di abitanti, super industrializzato, con una ricca agricoltura e soprattutto un retaggio culturale e religioso, non è riuscita a farsi stato.
È rimasto un territorio di conquista degli ex direttori dei grandi kombinat sovietici, gli oligarchi che lo governano. Il più noto è una donna, Yulia Abramovic Timoshenko, la zarina del gas, così brava che processata per un suo ambiguo business con Putin, in prigione si è dichiarata vittima della lotta per l’indipendenza dalla Russia. In tal senso è ormai un’icona universale, con la treccia bionda delle contadine ucraine anni trenta: un vero colpo di genio della comunicazione da parte sua che è un ingegnere di etnia ebraica, di cultura urbana, esperta di mille traffici politici ed economici. E che ha imparato l’ucraino giusto al tramonto dell’Urss.
L’altra pista del puzzle ucraino è capire appunto da dove vengono storie simili. Io ho imparato il russo da Valia, un’ucraina della Galizia che a casa parlava polacco, e non conosceva la lingua ucraina «tanto non serve impararla». Le vicende allora apprese non da libri ma nel modo più domestico, mi aiutano a capire quelle di oggi. Valia raccontava del collaborazionismo degli ucraini, che per essi era una vendetta nei riguardi dei bolscevichi ebrei del Cremlino, come Lazar Kaganovic, un ex ciabattino ebreo, massimo responsabile della guerra ai contadini e della carestia. Raccontava di quanto venerato fosse l’ultra nazionalista Stepan Bandera, che appoggiava i tedeschi, e di quello che era successo ai tatari, deportati nel dopo guerra perché erano per i turchi. E infine vi era la Crimea, più bella di Capri, piena di ebrei, i quali avevano addirittura sperato di farne la loro repubblica, «un focolare ebraico». Anche per questo Kruscev l’aveva regalata agli ucraini, antisemiti come lui che era un minatore ucraino e ucraino era anche Breznev, un operaio che aveva industrializzato la sua terra, strappandola al destino di granaio della Russia. Da trenta anni l’Urss era governata da dirigenti ucraini e Valia che parlava nell’ultimissimo periodo di Breznev, non sapeva che un altro ucraino, Chernenko stava per diventare segretario del Pcus.
Valia raccontava della sua terra, di Kiev dove viveva, degli ucraini tenacemente anticomunisti e degli ebrei ucraini che vi vivevano da secoli, con una lucidità che sorprendeva in un intellettuale sovietica dell’epoca.
È la medesima lucidità delle analisi di Haaretz, il solo giornale (israeliano) che descrive il puzzle ucraino senza le ipocrisie degli altri. Certo lo fa perché preoccupato dalle aggressioni agli ebrei da parte di membri di partiti ultra nazionalisti, ora al governo e ricevuti alla Casa Bianca. L’avversione per la Russia di Putin è tale da sostenere i suoi avversari comunque siano. E invece la mossa utile per tutti i contendenti è quella di ridiscutere gli anni successivi alla fine dell’Unione sovietica e riconoscere gli errori commessi allora da tutti i contendenti.

SCHEDA 4 – Analisi/ STORICAMENTE IL BILINGUISMO E RADICATO NEL VISSUTO DI TUTTI I GIORNI – Questione linguistica, strumento di incomprensione politica / L’ucraino fu sdoganato nell’800 dal letterato Shevchenko.

Nei giorni scorsi il ministero degli esteri russo ha diffuso un pacchetto di proposte, rivolto al blocco euro-occidentale, sul futuro assetto dell’Ucraina. La necessità di passare a una forma federale di stato ne è uno dei pilastri. Molti, non solo in Russia, sono convinti che questa sia la formula, forse l’unica, capace di tenere insieme una nazione spezzata. Mosca ha toccato anche il tema della lingua. «Accanto all’ucraino, il russo dovrà avere il rango di secondo idioma ufficiale», si precisava nel documento. È stato rigettato dagli occidentali, ma è chiaro che al netto della forma che prenderà la trattativa, ammesso che parta, la pacificazione dell’Ucraina passa anche dagli idiomi, argomento da sempre molto sensibile. Lo si è visto quando il 23 febbraio il parlamento di Kiev, dopo la fuga di Yanukovich, ha azzerato la legge varata nel 2012 dallo stesso Yanukovich che eleva il russo a lingua ufficiale nelle regioni dove almeno il 10% della popolazione lo parla.
Quell’atto ha contribuito al precipitare la situazione. Mosca l’ha sfruttato per rilanciare la sua tesi: il governo della Majdan discrimina, dunque dobbiamo difendere i nostri concittadini. Pochi giorni dopo Putin – è lecito pensare che l’avrebbe fatto lo stesso -ha fatto scattare l’operazione Crimea. A nulla è servita la decisione del presidente del parlamento e capo provvisorio dello stato, Turchynov, di non firmare la misura, lasciando in vita l’attuale legge e istituendo una commissione di esperti, anche su consiglio dell’Ue, incaricata di elaborarne una nuova. Al di là delle recenti cronache il tema della lingua, in Ucraina, s’insinua da sempre nelle fenditure che attraversano cultura e territorio dell’ex repubblica sovietica, da quanto è diventata indipendente. Correva l’anno 1991. Allora la leadership di Kiev vide nella lingua uno strumento con cui rafforzare l’identità del nuovo stato. Si oppose al bilinguismo e fece dell’ucraino, parlato dai due terzi della popolazione secondo il censimento del 2001, l’ultimo effettuato, la lingua ufficiale. Postura, questa, che derivava da ragioni storiche e politiche. Si trattava di marcare la rottura con l’esperienza sovietica, quando il russo era stata la lingua dominante. Emerse il timore che, riconoscendo al russo pari dignità, la lingua ucraina e l’identità nazionale potessero lasciare il fianco scoperto all’influenza russa.
Questa è la tesi che alberga nel campo influenzato dal pensiero nazionale-nazionali-sta, dal partito di Tymoshenko (russofona di nascita, ha imparato l’ucraino in età adulta) alle destre radicali. Questa lettura è stata contrastata dalle forze politiche più sensibili al rapporto stretto con Mosca. Il loro ragionamento, almeno a livello pubblico, è che è giusto che ognuno usi la lingua che pratica nella quotidianità. La battaglia, negli anni seguenti, s’è srotolata lungo questi due binari, innescando periodicamente scontri politici. Ma la lingua è stata anche usata strumentalmente, a scopi elettorali. Yanukovich approvò la legge del 2012 non perché volesse potenziare i diritti delle minoranze linguistiche. Piuttosto, intendeva mettere benzina nella macchina elettorale, visto che il provvedimento fu varato in agosto e in ottobre si tennero le politiche.
Tutta questa bagarre politica sulla lingua, tuttavia, stona con il contesto di ogni giorno. Gli ucraini comprendono perfettamente il russo, che è più diffuso rispetto al peso demo-grafico della componente russa (circa il 20%) e si spalma nelle regioni centrali, orientali e meridionali del paese. I russi, dal canto loro, capiscono senza problemi l’ucraino, che fu sdoganato nell’800 dal letterato Taras Shevchenko nel contesto del processo di formazione della coscienza nazionale ucraina e trova nella regione di Poltava, nel versante centro-orientale del paese, il suo polo più purista.
In mezzo, tra le due lingue, c’è poi una sorta di idioma franco, il surzhyk. Ha diverse gradazioni, a seconda dei territori. Lo mastica chi non conosce alla perfezione né il russo né l’ucraino. Sebbene si stia semplificando, è la lingua degli strati meno istruiti della popolazione. Ma nel complesso la gente salta senza problemi da un idioma all’altro. Il bilinguismo è radicato nel vissuto di tutti i giorni. La lingua, tra le persone, favorisce relazioni e commerci. Tra i politici solo incomprensioni. Uno dei tanti paradossi dell’Ucraina. ( di Matteo Tacconi)
Fonte Il Manifesto 18 marzo 2014

 

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