11078 Cronache sulla Sinistra europea e l’opportunità di Tsipras

20140310 19:23:00 red-emi

Da Bertinotti a Tsipras.
«Sarò il candidato del Sud d’Europa, di tutti i cittadini europei, contro l’Europa della Troika, della austerità e delle banche, per l’Europa della democrazia, dei popoli e del lavoro». (di Roberto Musacchio*)
Con queste parole Alexis Tsipras, il giovane leader di Syriza, già coalizione ed ora partito della sinistra greca, accettava di essere candidato alla Presidenza della Commissione Europea per le prossime elezioni continentali del 22-25 maggio 2014. Lo scenario è quello del quarto congresso del Partito della Sinistra Europea che si è tenuto a Madrid dal 13 al 15 dicembre.

Quasi dieci anni prima, era l’8 e il 9 maggio del 2004, il Partito della Sinistra Europea nasceva a Roma con un congresso fondativo che vede la partecipazione di oltre 300 delegati in rappresentanza di 15 formazioni politiche di sinistra, comuniste, socialiste e rosso-verdi di tutta Europa. Nel congresso viene eletto presidente all’unanimità Fausto Bertinotti. Il congresso rappresentava il culmine di due anni di incontri preparatori per costruire una proposta condivisa di statuto e manifesto, ed era stato convocato dopo che a Berlino, nel gennaio dello stesso anno, era stato lanciato l’appello per la fondazione del partito, in un meeting ospitato dal Pds, uno dei partiti che darà poi vita alla Linke, in occasione dell’anniversario dell’uccisione di Rosa Luxemburg. Ma la proposta della costruzione di un soggetto politico che riunisse la sinistra antagonista e di alternativa continentale era già dibattuta da diversi anni e aveva trovato nuovo impulso grazie alla spinta dei movimenti e all’esperienza dei social forum europei.
Dieci anni sono un periodo lunghissimo, specie in un’epoca come la nostra segnata dalla crisi della politica e dall’irrompere di quello che potremmo chiamare il pensiero unico del postmoderno. Un pensiero per cui la politica si fa liquida ed ancillare rispetto all’economia e alla società neoliberale. E ciò è stato vero in particolare in questa “Europa Reale” che si è andata costruendo come una sorta di regime destrutturando e/o modificando di segno tutto, dal vecchio compromesso sociale ai corpi sociali e politici che lo avevano edificato.
Proprio per questo l’intuizione di dar vita ad una formazione politica, un Partito, che provasse a cimentarsi sul nuovo livello del conflitto, era stata felice ma difficile insieme. Felice perché provava a mettersi al passo con i tempi e difficile perché in realtà quei tempi correvano assai più veloci. La stessa idea di ripensare le ragioni di una prospettiva di alternativa di società mentre si andava edificando il regime che ne bandiva anche solo l’esistenza in ipotesi era una impresa ardua. Tanto più se si provava a scommettere non sulla sopravvivenza di un vecchio passato identitario ma sulla rifondazione di pensieri e pratiche nuove. Trovandosi spesso molti epigoni dei gloriosi tempi andati contro o a frenare laddove la nuova sfida richiedeva invece il massimo di slancio.
E dovendosi cimentare con l’impresa e cioè con la ricostruzione di coalizioni proprie, a partire da quella del lavoro, sulla nuova dimensione europea e nella nuova dimensione del lavoro, segnata dalla globalizzazione, dalla precarizzazione, dall’irrompere delle questioni ambientali, dei migranti o del diritto comunque al reddito. Cosa che, lo sappiamo, non è fin qui riuscita. Anzi, una parte considerevole della vecchia sinistra, quella che poi si è ritrovata nel Partito Socialista Europeo, l’ha proprio derubricata dal proprio orizzonte, oscillando tra neonazionalismi e subalternità al costituendo neoregime liberale, che trovava una nuova alleanza, sia pure conflittuale, tra le borghesie. La Grosse Koalitione, e la parabola della Spd tedesca, simboleggiano bene entrambi gli errori capitali.
Ci hanno provato i movimenti che, dalle marce per il lavoro in Europa di fine ’900, ai social forum europei e all’Alter Summit, hanno lavorato a ricostruire chiavi di lettura e pratiche condivise. Che però solo raramente sono riuscite a irrompere sulla scena con la forza necessaria. Lo hanno fatto nelle manifestazioni contro la guerra. Si sono messi di traverso contro proposizioni particolarmente aggressive del neoliberalismo europeo come nel caso della Direttiva Bolkestein, quella del famigerato principio del “Paese d’origine” che destrutturava tutte le normative di protezione, o della direttiva orario di lavoro, che portava di fatto l’orario possibile fino alle 72 ore settimanali. Hanno contrastato il processo di costituzionalizzazione liberale dei Trattati, vincendo anche alcuni referendum nazionali, senza però fermarlo e senza riuscire a imporne un altro, democratico e in continuità con le Costituzioni storiche, quelle che la JP Morgan dichiara incompatibili con la nuova Europa.
Specie nella stretta della austerità, si è faticato moltissimo a costruire una risposta unitaria che si è manifestata assai più in termini di una generica contestazione e di una altrettanto generica solidarietà ai punti più martoriati, a partire dai Paesi del Sud Mediterraneo. Che, non a caso, hanno promosso l’unico sciopero realmente europeo ma nei fatti circoscritto a quelle aree. Lo stesso sdegno degli indignati è riuscito a coagulare la giornata del 15 ottobre del 2012 ma non ha avuto la continuità necessaria. Le difficoltà del Social Forum europeo sono note e si sono ritrovate anche nell’occasione dell’incontro che celebrava i dieci anni passati dallo straordinario appuntamento di Firenze. Più compiuta la piattaforma elaborata dalla nuova struttura dell’Alter Summit, che raccoglie sinistre sindacali e movimenti, ma con grandi limiti di operatività.
Il fatto che nel frattempo sono procedute lotte, anche durissime e continuate, sulle dimensioni nazionali, dalla Grecia al Portogallo, alla Spagna, e dunque in particolare nei Paesi del Sud, ma anche in Francia e in altri Paesi, compresi quelli dell’Est, dice che non è il conflitto a mancare ma la sua capacità di porsi alla dimensione necessaria. E questo chiama in causa la sinistra. Che questa dimensione non è riuscita a darsela ed anzi, in alcuni suoi settori, ha cominciato a teorizzare di doverla rifiutare, proponendosi di rifluire dal contesto europeo per una nuova dimensione nazionale. Come se fosse possibile per questa via sfuggire alla globalizzazione e alla sua specificità europea.
Nonostante questo quadro difficilissimo, il Partito della Sinistra Europea ha resistito. Ha faticato molto ad agire come soggetto veramente transazionale ma pure ci è riuscito in alcuni momenti significativi come alcune lotte, dalla Bolkestein ai Trattati, o come il comune sentire rispetto a temi delicati come l’immigrazione, impegnandosi a fondo contro i Cie e per i diritti dei migranti. Soprattutto, ha retto meglio di tutti gli altri l’impatto con l’austerità. Non perché sia riuscito a contrastarla effettivamente, ma perché ha partecipato a tutte le lotte e ha votato contro tutti i provvedimenti che la edificavano, dal Six Pack al Fiscal compact. Soprattutto ha saputo rafforzare un proprio profilo europeo e solidale nella lotta contro l’austerità. Basti pensare alla Linke che, mentre la Spd votava tutti i provvedimenti pro austerità della Merkel in nome sostanzialmente di un interesse tedesco, ha avuto il coraggio invece di contrastarli pubblicamente e nel voto. Fino ad essere una ispiratrice fondamentale della idea di candidare a presidente della Commissione Alexis Tsipras, cioè il capo della resistenza greca, additato in Germania dalla propaganda della Merkel, accettata però da quasi tutti, come il capro espiatorio della colpa del debito.
Il fatto che questa idea, quella di Tsipras presidente, che è andata elaborandosi per più di un anno, abbia trovato al congresso di Madrid una consacrazione così ampia, il 79,6% dei delegati a favore del principio di presentare un candidato e l’84,1% a favore di Alexis, non è un dato che possa passare via senza una riflessione attenta. A Madrid si è infatti ritrovato un Partito della Sinistra Europea che è cresciuto, arrivando a comprendere 30 partiti tra membri ed osservatori. Che si è allargato verso l’Est, dove pure è ancora molto debole se non con qualche eccezione nell’area dell’ex Cecoslovacchia, e verso il Nord Europa, con alcuni soggetti dei verdi di sinistra, che già fanno parte del Gue, il gruppo parlamentare europeo, che sono arrivati ad essere osservatori.
Ma questa crescita non è puramente meccanica. Innanzitutto essa ha ampliato la complessità dei punti di vista, da quelli dell’Est a quelli Nordici. Che, come è noto, in tema di idea di Europa ma anche di culture politiche, pongono molte problematiche. Eppure, nonostante ciò, l’appoggio all’idea di presentare un candidato e di presentare Tsipras, è stata amplissima. E la candidatura di Tsipras è una candidatura che si accompagna a un forte prevalente programmatico, in particolare alla opzione netta per una lotta di resistenza per cambiare l’Europa e non per uscirne. Ed è una candidatura simbolica e politica insieme in quanto è la candidatura che vuole certificare l’esaurimento dell’asse franco-tedesco, ormai quasi solo tedesco, e una nuova centralità mediterranea. Vuole poi contrastare la logica delle grandi intese tra socialisti e popolari che il candidato socialista Schultz impersona, sia perché esponente della Grosse Koalitione tedesca sia perché già eletto presidente del parlamento europeo con i voti, e in staffetta con loro, dei popolari. E vuole rilanciare la sfida per il governo in Grecia chiedendo, in caso di sua vittoria alle europee, nuove elezioni per portare Syriza a fare un governo che smantelli l’austerità. Dunque l’indicazione politica uscita dal congresso di Madrid è una indicazione forte, che porta ad un salto politico.
Ma la riflessione attenta riguarda anche i dieci anni che sono passati dalla nascita di Sinistra Europea. Anni che sono stati durissimi e che hanno visto percorsi travagliatissimi, complessivamente e nei singoli Paesi. La Sinistra Europa di Madrid è diversa da quella di Roma. Gli italiani, ad esempio, furono protagonisti della sua invenzione, in particolare grazie al lavoro comune di Fausto Bertinotti e del compianto Lothar Byski, il leader della Pds e poi della Linke che fu anche il secondo presidente di Se dopo Bertinotti, e purtroppo recentemente scomparso, ed ora vivono una crisi terribile con il Prc ridotto ai minimi termini e la sinistra radicale incapace di rifondarsi. Forse in questa crisi c’è anche il fatto di non aver investito tutto, dopo l’intuizione iniziale per altro anche contrastata da alcuni settori del partito di allora, proprio su questa nuova dimensione. Ma le cose sono state travagliate anche per altri.
Pensiamo agli stessi tedeschi che non solo sono passati dall’essere Pds alla costruzione della Linke, ma hanno vissuto anche l’estromissione dal parlamento tedesco, non superando lo sbarramento del 5%, prima di rientrarci in forze ma anche di conoscere nuove crisi politiche, di tenuta del partito ed elettorali. Riuscendo però nell’ultima votazione recente a riattestarsi vicino al 9%, cioè al dato registrato nelle penultime elezioni, inferiore al circa 12% delle ultime, quando però si arrivava dalla precedente Grosse Koalitione tra Cdu e Spd, e comunque risultando il terzo partito e la prima forza di opposizione e di alternativa alla Grosse Koalitione. È anche questo consolidamento importantissimo, oltreché naturalmente al bisogno tattico di coprirsi a sinistra, che ha determinato una scelta a suo modo storica come quella fatta dalla Spd che nel congresso straordinario svolto per sancire il via libera al nuovo accordo con la Merkel ha fatto cadere la pregiudiziale ideologica eretta da sempre verso la Linke dichiarando possibile una alleanza futura. Naturalmente c’è in tutto ciò molta strumentalità e in realtà la pregiudiziale anti Linke ormai era più un rigurgito settario contro lo “scissionista” Lafontaine piuttosto che verso “gli eredi della Ddr”, ma resta il fatto che il dado è tratto.
I francesi anche hanno vissuto momenti terribili culminati con la debacle della loro candidata alle Presidenziali ai tempi della vittoria di Sarkozy che raggiunse un miserrimo 1,9%, il punto più basso della storia del Pcf, prima di risalire la china elettoralmente e politicamente con l’invenzione del Front de Gauche e l’alleanza con il Parti de gauche di Melanchon, il socialista uscito dal Psf un po’ come accaduto a Lafontaine con la Spd, che ha portato lui a valicare il 10% alle presidenziali vinte da Hollande e il Front vicino al 10% alle politiche vinte dai socialisti. Storia altalenante anche per gli spagnoli che, per primi, sperimentarono l’allargamento rispetto al tradizionale Partito Comunista fondando Izquierda Unida, arrivando a teorizzare il possibile sorpasso dei socialisti, salvo poi conoscere crisi interne, politiche e elettorali e ad essere surclassati dallo Zapaterismo. Per poi però riemergere oggi, quando la modernizzazione socialista crolla e lascia spazio alla austerità, e a collezionare brillanti risultati nelle varie elezioni regionali svoltesi in questi ultimi due anni, ed essere quotati nei sondaggi nazionali abbondantemente sopra le due cifre.
Diversi poi sono i greci che, da piccola coalizione erede del vecchio Synaspismos, debole elettoralmente, intorno al 4,5%, e divisa anche da una scissione, sono esplosi diventando il secondo partito, con oltre il 20% alle politiche, il primo nei sondaggi, surclassando i socialisti del Pasok alla deriva, contrastando le destre ed esprimendo fino in fondo una sfida di governo e di leadership. Facendosi nel frattempo partito, Syriza lo è diventato, ed ora accettando di mettere in campo Tsipras per la sfida Europea. Syriza è naturalmente l’esempio più grande e clamoroso di un cambiamento strutturale che ha portata storica. Riesce infatti ad affrontare la devastante crisi greca incarnando una risposta politica all’altezza, come non accadeva più per una forza di vera sinistra da tantissimo tempo.
Egemonia sociale ed egemonia politica vanno di pari passo e coincidono con la costruzione di una nuova soggettività che attinge e dal sociale e dal politico. Il vecchio Pasok risulta sradicato e desertificato di voti e militanti, abbarbicandosi in una resistenza dal governo. Ma la forza di Syriza si impone anche rispetto all’ideologismo e al settarismo di un partito comunque storico come il Kke. E tiene botta anche rispetto al riemergere dei fantasmi delle destre estreme, particolarmente inquietanti. Tutto ciò viene realizzato in pochissimo tempo, addirittura in pochi mesi, portando avanti, insieme, pratica politica pratica sociale in una Paese che riscopre le forme dell’autogestione, della solidarietà dal basso, del mutualismo per poter letteralmente sopravvivere alle condizioni di guerra cui lo costringe la Troika. In questa fucina si forgia il nuovo partito il cui gruppo dirigente più giovane dice apertamente di aver tratto ampia ispirazione politica e morale dall’esperienza di Genova e del movimento alterglobalista.
Dunque è una Sinistra Europea diversa, ma che ha tenuto ed anzi è cresciuta quantitativamente e politicamente. Resta un cantiere aperto, naturalmente. C’è tutta da costruire la dimensione effettivamente europea dell’agire politico. E c’è da portare avanti la ricostruzione delle soggettività che sono ancora a cavallo tra le eredità del passato, i vecchi partiti comunisti, e le nuove costruzioni. Alcune postsessantottine come alcune nordiche. Altre più recenti, pur con radici proprio nel ’68, come il Bloco portoghese che ha pianto questo anno la morte di un suo leader, ancora molto giovane, Miguel Portas. Altre, come Syriza, che, come ricordavo, dicono di aver imparato dalla Genova dei movimenti. Sta di fatto che invece che essere spazzata via, nazionalmente o a livello europeo, questa costruzione ha tenuto, tiene. Fa solidarietà con i Tedeschi quando la Pds resta fuori dal parlamento. La fa oggi con gli italiani che sono in pieno terremoto. Soprattutto mostra di poter essere, almeno, un abbozzo di resistenza, e alternativa, alle politiche di austerità. Sarà un caso ma, mentre tutti parlano del possibile exploit degli euroscettici e delle destre alle prossime europee, se si guardano i sondaggi il gruppo che raddoppierebbe praticamente i propri seggi è quello del Gue, cui partecipa Sinistra Europea.
Naturalmente i sondaggi sono ancora oggi una sommatoria dei trend nazionali, visto che non si è lavorato ancora a una massmediologia europea se non per imporre il regime dell’austerità. Ma se li si legge si vede che ci potrebbe essere un travaso dai popolari alle destre. Un miglioramento dei socialisti che deriva dalla somma tra cattivi risultati ad Ovest, dalla Francia delusissima di Hollande, alla Grecia e alla Germania, e da buone performance all’Est. E un quasi raddoppio dei seggi del Gue. Naturalmente va vista la dinamica che si svilupperà nelle europee e molti sono interessati a che essa sia un pro o contro l’Europa che è ben visto dai detentori dell’attuale regime che sono precisamente l’altra faccia dell’euroscetticismo. Ma la realtà potrebbe essere diversa. In Repubblica ceca, ultimo voto nazionale avuto, il partito comunista, osservatore di Se e aderente al Gue, ha sfiorato il 20%. E nelle recenti amministrative danesi, bene i verdi nordici di sinistra che hanno praticamente raddoppiato i voti portandosi al ridosso de 10%. Il primo impatto, molto forte, della candidatura di Tsipras, potrebbe dare uno slancio importantissimo.
Naturalmente è presto per dire se, come accaduto in altre epoche storiche segnate da giganteschi conflitti europei si avrà una debacle dei socialisti e l’affermarsi di una nuova sinistra. A una ipotesi del genere può far pensare l’ascesa dirompente di Syriza ma indubbiamente il quadro generale è profondamente diverso ad esempio di quello successivo alla prima guerra mondiale. Non c’è infatti una Rivoluzione russa e c’è invece una profondissima crisi storico politica. Ma, come sempre, le crisi radicali, e quella europea attuale lo è, sono destinate a non lasciare le cose come stavano. Intanto, comunque, potrebbe dunque uscire rafforzato il Gue, che è un’altra delle costruzioni cui è stata affidata la resistenza di un pensiero alternativo in Europa e che, appunto, ha resistito, pur tra alti e bassi.
La sinistra alternativa, nonostante le differenze che la attraversano, è riuscita a convivere dal 1994 dentro un unico gruppo nel parlamento europeo. La fondazione del Gruppo non è stata per niente facile, ma sicuramente hanno spinto a tale esito, oltre la volontà politica di molti partecipanti, i meccanismi propri con i quali è organizzato il parlamento dell’Unione europea, che prevedono per la costituzione di Gruppi un minimo di parlamentari, oggi divenuto 25, e di Paesi rappresentati, oggi 7.
Apro una parentesi per riflettere sul fatto che questa cosa è interessante perché mostra con chiarezza come si sia in mezzo ad un guado per cui le elezioni avvengono su base nazionale ma i Gruppi sono su base politica. E fa riflettere su quanto sarebbe importante arrivare a una elezione del Pe per liste transeuropee anche per togliere gli alibi a chi ancora contesta l’affidamento della funzione legislativa diretta al Pe proprio in nome del carattere interstatuale della formazione della rappresentanza. E inoltre, per stare alle “miserie” italiane, conferma l’assurdità dello sbarramento voluto da Pdl e Pd per le elezioni europee che contrasta con l’indicazione dei Trattati a favore di modelli elettorali proporzionali per l’esigenza di favorire la rappresentatività e che ha comportato l’esclusione della rappresentanza dell’Italia da due gruppi importanti come il Gue e i Verdi con una limitazione al formarsi di una rappresentatività europea effettiva.
Riprendendo la ricostruzione storica c’è da dire che la presenza organizzata dei comunisti nel parlamento europeo risale a prima dell’elezione diretta da parte dei cittadini, iniziata nel 1979. Le presenze predominanti del gruppo comunista erano quelle del Pc italiano e francese, che avevano tra loro orientamenti diversi sull’integrazione europea, favorevole il primo, scettico il secondo.
Nel 1979, nel primo parlamento ad elezione diretta, si forma il gruppo dei comunisti ed apparentati, nel quale oltre a Pcf e Pci che, dopo il declino del movimento eurocomunista, iniziano un percorso che li porterà progressivamente ad allontanarsi sempre più, è presente il Partito Socialista Popolare danese. Successivamente entrano anche i comunisti del Sud Europa (greci, portoghesi e spagnoli) che portano però orientamenti molto diversi sull’Europa e sulla politica internazionale. Nel 1989 il gruppo comunista si divide. Il Pci, impegnato nel processo di trasformazione che approderà al Pd, costituisce un nuovo “Gruppo della Sinistra Unitaria (Gue)”. Le altre forze comuniste “ortodosse” (francesi, greci, e portoghesi) danno vita a un proprio gruppo, la Coalizione delle Sinistre, al quale aderisce anche un parlamentare del Partito Operaio Irlandese.
Durante il corso della legislatura il Pci abbandona il Gue ed entra nella socialdemocrazia, mentre altre forze come Izquierda Unida riflettono sulla loro collocazione. Le elezioni del 1994 segnano un notevole successo di Izquierda Unida e una buona affermazione di Rifondazione Comunista e del Partito del Socialismo Democratico, la Pds tedesca, antesignana della Linke. La loro convergenza, come già accaduto per il partito della Se, è decisiva per dare luogo a una nuova dimensione politica e organizzata del Gruppo parlamentare. Non senza difficoltà, ma con grande lungimiranza politica, si determinano le condizioni per costruire un gruppo unitario che prende nome di “Gruppo Confederale della Sinistra Unitaria Europea”. La sottolineatura della “confederalità” serve a garantire i vari componenti che gli orientamenti del gruppo non hanno valore costrittivo per le singole delegazioni, che potranno decidere liberamente il loro comportamento.
Il Gruppo viene allargato e modificato nella sua denominazione con l’ingresso nel 1995 dei Paesi scandinavi. Fra i nuovo parlamentari vi sono i rappresentanti del Partito di Sinistra svedese e dell’Alleanza di Sinistra finlandese. D’ora in avanti si chiamerà Gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/ Sinistra verde nordica (Gue/Ngl). Nel tempo subirà della modifiche dovute all’ingresso o alla scomparsa di altre forze politiche (come con la temporanea presenza dei trotskisti francesi o con la scomparsa della sinistra comunista italiana).
Anche la storia del Gue, dunque, come quella della Sinistra Europea non ha un carattere lineare ma è attraversata dai sommovimenti politici di questi anni. Per giunta il Gruppo parlamentare, come abbiamo visto, ha una realtà più complessa di quella dello stesso Partito. Anche numericamente i parlamentari che sono iscritti alla Se sono circa la metà del totale. Non si può dire che il Gruppo sia esente da articolazioni di punti di vista e da vere e proprie divisioni anche su elementi nodali come la stessa concezione dell’Europa. D’altronde, basta guardare le votazioni in aula per vedere che le differenziazioni e le articolazioni nel voto sono costanti. C’è da dire che questo riguarda anche gli altri gruppi parlamentari e che la cosa rimanda a una difficile, e scarsa, costruzione di quel pensiero politico europeo e dei suoi corpi sociali e istituzionali di cui si è parlato anche in questo articolo.
Eppure a chi, come me, ha vissuto dal di dentro la vita del Gruppo, è possibile affermare, e non per propaganda, che il Gue è forse il Gruppo parlamentare con la più intensa vita politica interna e, soprattutto, il più proiettato nell’attività politica esterna, nella pratica sociale diretta e nella promozione del rapporto tra movimenti e attività del Pe. La discussione politica fa parte integrante della vita del Gruppo che non si limita a coordinare i lavori istituzionali ma discute i dossier. Il Gruppo in quanto tale poi pratica una vita collettiva fatta ad esempio delle giornate di studio che si tengono per ogni cambio di semestre di Presidenza della Ue nel Paese che la assume. Le relazioni internazionali sono intensissime con una forte convergenza sui punti più delicati e significativi, dalla Palestina a Cipro, passando naturalmente per il no alle guerre in cui l’Europa, purtroppo, è sempre più spesso coinvolta. Ma il sistema di relazioni internazionali è molto forte ad esempio con l’America Latina e le sue esperienze progressiste. E i rapporti non si limitano certo a quelli istituzionali. Il Gruppo in quanto tale è presente da sempre in tutti i social forum mondiali e continentali e in tutte le mobilitazioni altermondialiste.
Per altro moltissime reti di movimenti, da quelle sindacali, a quelle dell’acqua, a quelle femministe e a tante altre trovano nel Gue un punto di appoggio che consente non solo il sostegno alle loro battaglie ma un aiuto concreto all’organizzazione di momenti di incontro. E il Gue non si limita ad aiutare le lotte ma spesso le conduce in prima persona. Penso a quelle contro la Bolkestein, di cui ho parlato per la Se, con il Gruppo coinvolto nelle manifestazioni. E penso alle lotte per i diritti dei migranti, contro i Cie e la Direttiva rimpatri, detta della vergogna. Le raccolte delle impronte digitali dei parlamentari contro le misure discriminatorie sui Rom per rivendicare invece i diritti pieni di cittadinanza europea per tutte e tutti. Gli esempi sono tantissimi. Da questo punto di vista la vita del Gue è diversa da quella di un normale Gruppo parlamentare nazionale ma anche da quella degli altri Gruppi europei in quanto molto proiettata oltre il lavoro istituzionale in quello di relazione sociale e di pratica dei conflitti.
Si può dire che il Gruppo a volte esercita quasi una supplenza rispetto alla mancanza di pratiche di corpi sociali intermedi su dimensione europea. In questo, anzi, dà il meglio di sé, non solo come unità ma anche come efficacia. Anche perché sempre più il Pe è stato soffocato dalla morsa delle larghe intese al servizio della gestione autoritaria della austerità. E questa è probabilmente la direttrice di marcia da continuare e da approfondire se, come dicono i sondaggi, il Gruppo si rafforzerà notevolmente.
Da ultimo voglio anche citare l’attività dei Centri studi e delle Fondazioni che sono un pezzo importante e decisivo del consolidarsi della Sinistra Europea. Tra queste, quella del Partito e cioè Trasform. Ma poi sono molto importanti quella legata alla Linke, la Rosa Luxemburg e la francese Espace Marx. Come il Partito e il Gruppo le trovi in tutti i luoghi di elaborazione e di movimento con una capacità di elaborazione e iniziativa importante. Come è noto, dal 22 al 25 maggio prossimo si terranno le prossime elezioni europee. Esse saranno un momento significativo proprio perché si svolgeranno in una realtà che in molti accostano a quella che si vive in una guerra. Naturalmente siamo lontanissimi dalle devastazioni delle armi militari. Eppure il malessere sociale, che in alcune situazioni è addirittura tragico, dovrebbe colpire ancora di più proprio perché si realizza in quelli che chiamiamo tempi di pace. In realtà il movimento altermondialista ci aveva ben detto che esistono le guerre militari e quelle economiche. Ebbene, in questa Europa Reale è in corso ormai da anni una guerra della ricchezza contro la povertà, della finanza contro i diritti. La nostra speranza è che, come spesso accaduto anche in questa guerra nasca una resistenza. E, per quanto ci riguarda come italiani di questa Europa, la speranza, ma anche l’impegno, è che anche in questo troppo disperato Paese la sfida di Tsipras possa aiutare ad aiutarci, a ricostruire quella sinistra che oggi non c’è più.

* associazione Altramente, già capogruppo Prc al parlamento europeo

 

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