11047 CLANDESTINI

20140219 23:26:00 guglielmoz

SONO 500MILA, HANNO TRA 18 E 45 ANNI FRESCHI DI LAUREA O RIMASTI SENZA LAVORO VANNO ALL’ESTERO E VIVONO DA FANTASMI IRREGOLARI SENZA CITTADINANZA NÉ DIRITTI, VIVONO IN UN PAESE STRANIERO DA IRREGOLARI. LONTANO DAI RIFLETTORI, SENZA I CLAMORI DI BARCONI E RIMPATRI, ECCO COME È ESPLOSO UN FENOMENO CHE, PERÒ, RESTA UN TABÙ IN PATRIA. L’Associazione famiglie emigranti: "L’opinione pubblica rimuove quando succede”…….

Fanno i lavapiatti a Sydney, i cuochi a New York, i cacciatori di petrolio in Angola… Sono 500 mila gli italiani che vivono in un Paese straniero da irregolari. Lontano dai riflettori, senza i clamori di barconi e rimpatri, ecco come è esploso un fenomeno che, però, resta un tabù in patria. 150.000 negli Usa, 20.000 solo nello stato di New York.
Friggono hamburger nei locali di New York. Fanno i commessi e i camerieri a Toronto. Aspettano che il tempo se li dimentichi mentre sbarcano il lunario negli ortsteil di Berlino e nei pub di Londra (ma qui è più facile: c’è la libera circolazione) . Volo di sola andata a Rio de Janeiro, a Buenos Aires, a Sydney e a Melbourne: e anche l’Australia li adotta a sua insaputa. Come si fa con chi viene a sgobbare e, in cambio, chiede solo di stare nell’ombra. Gli ultimi, in ordine di tempo, sbarcano in Angola: si inabissano, imparano il portoghese e diventano braccia per le compagnie petrolifere e di trasporto con basi nelle province di Luanda.
Chi li ha visti? Da dove vengono? Come si chiamano? Sono gli italiani clandestini. I "nostri" emigrati fantasma. L’altra metà di una luna che a volte, troppo spesso, vediamo scura. Sono almeno 500 mila, una città più grande di Bologna o Firenze. Hanno tra i l8 e i 45 anni. Freschi di laurea o appiedati dal lavoro. Lasciano l’Italia e si stabiliscono in un altro Paese. Ma vivono da irregolari. Senza più un permesso di soggiorno (nel caso la meta non faccia parte dell’Unione europea). Senza cittadinanza. Senza pagare le tasse e senza diritti. Col rischio di essere rimandati a casa ma con l’unica prospettiva di avere trovato un posto dove vivere meglio, o meno peggio, che in Italia. Come Salvatore che ha 45 anni. «Nel 2006 parto da Napoli con alle spalle un passato difficile. Arrivo nel Queens a New York, cameriere in nero, sposo un’italiana regolare, nascono due figli e adesso devo— per forza —tomare a Napoli, tramite incertezze». O come Manuel e Emanuele, coppia gay romana. Cinque anni trascorsi "in silenzio" a Rio De Janeiro dove vendono bracciali a cottimo: Vorrebbero sposarsi. «In Brasile si può, il problema è che prima dovremmo metterci in regola e non ci conviene. Siamo venuti perché in Italia non avevamo niente. Qui abbiamo qualcosa, e per ora facciamo che va bene così». La geografia, le rotte "silenziose". Stati Uniti (in assoluto i più gettonati), Canada, Argentina, Brasile, Australia, Regno Unito, Germania. Adesso anche alcuni Stati dell’Africa: su tutti Mozambico e Angola.
La clandestinità degli italiani è un fenomeno ancora sconosciuto in Italia — dice Gaetano Cala, direttore nazionale dell’Anfe (Associazione nazionale famiglie emigrati)—.Se ne parla solo tra pochi addetti ai lavori. Nell’opinione pubblica ci sono schemi mentali radicati e diffusi per cui la gente stenta a credere che esistano italiani clandestini. Il fatto stesso che non se ne parli alimenta il fenomeno, favorisce la sua riproduzione». In che modo? «Il silenzio invoglia l’italiano che emigra a cadere nella clandestinità, si lascia andare, sottovalutando le difficoltà e i rischi che questo status comporta ». Molti sono neo laureati che non trovano spazio in Italia. Ma ci sono anche meno giovani, gente che viene dalle professioni, che è rimasta senza stipendio e decide di giocarsi tutto lontano da casa. « Quelli che arrivano a New York sono per la maggior parte ragazzi in cerca di sbocchi professionali — spiega il professor Anthony Tamburri, preside dell’istituto Calandra che promuove la storia della cultura degli italiani d’America —. Arrivano come turisti e, dopo 90 giorni, scaduto il permesso, rimangono e trovano lavoro nero. Magari guadagnano anche bene, non pagano tasse, prendono buone mance nei ristoranti. Per 3-4 anni riescono a vivere più che dignitosamente. Ma il rischio, oltre alla legge, è che quando poi devono tornare in Italia si trovano in difficoltà. C’è un buco di 4 anni in cui non hanno fatto nulla…».
C ‘ è un buco, forse, anche nei numeri. Calcolare con esattezza quindi sono i nostri connazionale che diventano invisibili oltre confine, è difficilissimo. Omertà resistenza , convenienze da parte di lobby ( i padroncini della ristorazione degli alberghi, del commercio per i quali gli irregolari sono ovunque una risorsa, soprattutto perché si adattano a salari "ribassati", anche al di sotto del minimo federale americano di 7,25 dollari l’ora). Ma sarebbero almeno 500 mila – secondo stime ufficiose tarate sulle proiezioni di associazioni, ong, fonti diplomatiche, istituti e studi legali specializzati in diritto dell’immigrazione sondati da Repubblica — gli italiani "irregolari" nel mondo. Un numero da considerarsi per difetto. Perché tiene conto delle sole situazioni "conclamate". Quegli immigrati che, per periodo di permanenza, vanno considerati ospiti, diciamo "non più temporanei".
È un mondo curioso quello della clandestinità italiana. Non sovrapponibile a quello delle "altre" immigrazioni, quelle con cui, tra dibattiti sullo ius soli, integrazione, intolleranza, ipocrisie, ci misuriamo da una trentina d’anni. È anche un segreto di pulcinella di cui l’Italia parla poco e malvolentieri. Bisogna dunque vederlo dall’altra parte dell’oceano, o degli oceani. Letizia Airos vive da anni nella Grande Mela dove dirige il magazine Italy/NY. «Anche i clandestini italiani, come tutti i clandestini, si coprono tra di loro. I giovani vanno e vengono con questi visti da tre mesi. C’è una rete di favori, di connivenze, di documenti. Una zona "di mezzo" sulla quale si appoggia l’attività di molti esercizi commerciali. Penso soprattutto a ristoranti e fast food».
Tra i 200 e i 250mila.Tanti sarebbero gli italiani versione "ghost" che sono riusciti a stabilirsi, provvisoriamente, negli Stati Uniti. New York è il rifugio preferito. Ad accendere le speranze (o forse velati timori), è stato il sindaco Bill De Biasio: «Nessun residente di New York deve essere costretto a vivere nell’ombra. A tutti i miei cittadini che sono degli immigrati senza documenti dico: questa città è casa vostra». Il sindaco ha promesso carte di identità municipali, già sperimentate finora a San Francisco, sull’altra costa. Sono un primo passo «per la partecipazione alla vita civica», ma non sono la Green Card (permesso di residenza permanente). Una roba ben diversa. «Le leggi americane non rendono la vita facile agli immigrati—spiega l’avvocato italo-newyorkese Annalisa Liuzzo, legale di centinaia di decine di immigrati italiani —. O trovi un contratto di lavoro con un’azienda o ti giochi la carta dello studio. Che ha costi elevati». E così ci si arrangia come si può. «Negli anni ’90 sono stato clandestino per 5 anni a New York — ricorda Giovanni, siciliano, oggi vive alle Hawaii —. Ogni tre mesi uscivo dagli Stati Uniti, passavo il confine, andavo alle Barbados o in Canada. Poi rientravo. Ogni volta era uno stress, rischiavo di essere bloccato. Dopo un po’ quel sistema non puoi più usarlo. Così ricorrevo ad altri stratagemmi: smarrimenti di passaporto, tre volte, e poi un aggancio con un operatore aeroportuale…».
Così fanno molti. Lo sa il governo americano. Lo sa il governo italiano. Perché se è vero che non ci sono ancora censimenti elaborati dall’Aire (Anagrafe degli italiani residenti all’estero) né dati ufficiali raccolti dai nostri istituti diplomatici e consolari, è anche vero che la clandestinità italiana è un fenomeno ben noto a Roma. Messo nero su bianco su un resoconto stenografico del 22 febbraio 2012.1 vertici dell’Anfe ne hanno riferito in un’audio zione al Senato della Repubblica —comitato per le questioni degli italiani all’estero. «Riceviamo dati e indicazioni per noi molto preoccupanti — dice ancora Gaetano Cala —. Basti pensare che nel 2011, solo tra Queens e Brooklyn, e cioè due quartieri di Ny, si stimava una popolazione italiana irregolare di 3mila persone». Da un continente all’altro. Angola, Africa centrale, espansione economica. Qui gli italiani, tra residenti é pendolari, sono "solo" 800. «C’è una forte ondata di interesse — dice dalla capitale Luanda l’ambasciatore Giuseppe Mistretta—. Arrivano giovani neolaureati, ma anche professionisti. Molti hanno già in mano contratti, altri trovano opportunità qui. Clandestini? Non ne abbiamo notizia— aggiunge il diplomatico —. Forse è una tendenza ancora agli albori… ». ( di Paolo Berizzi da La Repubblica)

MA RIMANERE UN FANTASMA PER QUALCUNO È UNA SCELTA.

Si fa presto a dire clandestino. Chiunque studi i fenomeni emigratori, in Italia e in altri paesi, sa bene che il confine tra regolarità e irregolarità è spesso fluido e permeabile. Si può arrivare in un Paese in modo irregolare, di nascosto, e poi regolarizzare la propria presenza; o viceversa entrare regolarmente e poi diventare irregolari, salvo poi acquisire un nuovo, diverso, status di regolari.
Questa seconda è l’esperienza di gran parte di chi oggi arriva in Italia. La maggioranza dei migranti, infatti, oggi non arriva attraversando pericolosamente il mare su carrette improbabili, sbarcando di nascosto sulle nostre coste, sperando di non essere intercettati, o fuggendo dai centri di prima accoglienza dopo essere stati intercettati (e spesso anche salvati). Arriva comodamente e per lo più in auto, treno o aereo, con visto turistico o di studio, o anche senza visto, se appartiene a paesi per i quali non è richiesto, come è il caso dei cittadini nell’area Ue. Diventa irregolare se e quando decide di rima¬nere oltre la durata del visto di entrata, o comunque oltre il termine entro cui non viene più considerato di passaggio e quindi dovrebbe o andarsene, o modificare il proprio status, posto che gli venga consentito dalle norme del Paese in cui si trova. Se lavora nell’economia informale, o non è per nulla nel mercato del lavoro, può rimanere in questa situazione di « clandestinità » sul piano formale, ancorché perfettamente visibile e inserito nella comunità in cui vive.
Lo stesso succede per molti italiani che si recano all’estero, con un progetto di permanenza che si definisce a seconda delle opportunità e degli incontri e può rimanere a lungo in uno stato di provvisorietà. Quando lavoravo a Berlino, ho incontrato diversi giovani ed ex gio¬vani che erano venuti per qualche mese, o per qualche anno, poi si erano fermati, senza tuttavia trovare un lavoro stabile e ufficiale, che richiedesse loro di iscriversi all’anagrafe locale per pagare le tasse, avere un contratto d’affitto regolare, il permesso per parcheggiare l’auto. Lavoretti nell’economia informale (ebbene sì, c’è anche in Germania), subaffitti, mancanza di un’auto, consentiva¬no loro di vivere in una città e in un Paese che può esercitare molti controlli sugli immigrati regolari, soprattutto per assicurarsi che abbiano un reddito che garantisca il ricorso all’assistenza sociale, ma nelle cui maghe si può scivolare se si ha un po’ di accortezza – o semplicemente non si ha bisogno di rendersi visibili alla pubbli¬ca amministrazione. Per alcuni è una situazione provvisoria, in at¬tesa che si definiscano le opportunità e i progetti di vita, o semplicemente in attesa di tornare in Italia. Per altri è il rifiuto a ricono¬scersi come migranti, preferendo definirsi come visitatori, per quanto per periodi prolungati. Conosco una persona che ha vissu¬to diversi anni prevalentemente all’estero, per stare con la sua compagna, ma non si è mai iscritto all’anagrafe di quella città. Un clandestino dal punto di vista legale, ancorché onesto cittadino e pagatore di tasse in Italia. Si sentiva perfettamente in regola, perché la sua fonte di reddito, la sua residenza, la sua casa, erano altrove e vi tornava spesso per brevi periodi. Per altri può essere una situazione più permanente, vuoi perché c’è interesse a rimanere legalmente invisibili, vuoi perché le condizioni per regolarizzarsi non ci sono, o perché sembra che non ne valga la pena, o perché ci si vive come provvisori e nomadi, anche se magari non ci si muove più dal posto in cui si è arrivati. Non si tratta solo di evadere le leg¬gi, ma di una rigidità nella definizione amministrativa di presenza regolare e irregolare nella distinzione tra essere qui piuttosto che là e l’appartenere a un posto o a un altro. La multi appartenenza non è concepita dalla burocrazia. (di Chiara Saraceno da La Repubblica )
Nota
ITALIANI REGOLARI RESIDENTI ALL’ESTERO Statistiche AIRE al 31 dicembre 2012
EUROPA, 2.365.170 + 3,1% rispetto al 2011
AMERICA MERIDIONALE, 1.338.172
AMERICA SETTENTRIONALE E CENTRALE, 400.214
AFRICA, ASIA, OCEANIA E ANTARTIDE, 237.600

CLANDESTINI In ITALIA
Nel 1861, anno dell’Unità d’Italia, gli stranieri immigrati nel nostro Paese erano 88.639, con un’incidenza dello 0,4% sulla popolazione residente. Oggi sono 4.570.317 su una popolazione di 60.650.000 di residenti; circa 50 volte in più, pari al 7,5% della popolazione del Belpaese.
Nonostante la crisi, l’aumento è stato di 335.258 residenti nel 2010. E se si tiene conto di circa altri 400mila cittadini stranieri, regolarmente presenti ma non ancora registrati in anagrafe, si tratta di quasi 5 milioni di persone: cifra invariata rispetto allo scorso anno. Viene inoltre accreditata la presenza di circa mezzo milione di persone in posizione irregolare. Sono alcuni dei dati più rilevanti contenuti nel "Rapporto Italiani nel Mondo" realizzato dalla Caritas Italiana, Fondazione Migrantes e Caritas diocesana di Roma, organismi della Conferenza Episcopale Italiana.
Negli ultimi dodici mesi, inoltre, centinaia di migliaia di persone hanno perso l’autorizzazione a rimanere in Italia: perché sono scaduti ben 684.413 permessi di lavoro: due su tre per lavoro e uno su tre per famiglia. I rimpatri forzati, che sono stati 16.086 nel 2010, arrivano a costare, nel complesso, fino a 10mila euro l’uno. I costi dei rimpatri, dei Cie e delle carceri e l’impossibilità di avere frontiere ermetiche (ogni giorno entrano in Italia 200mila persone) inducono a incentivare i flussi regolari. (ndr)

 

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