11038 7. NOTIZIE dall’ITALIA e dal MONDO 15 febbraio 2014

20140214 15:08:00 guglielmoz

ITALIA – Roma / crisi di governo / PD con Renzi, Letta se ne va / il segretario vince il duello: la direzione vota compatta – (136 sì, 16 no, 2 astenuti)
Roma – Istat, la povertà che non ci piace vedere: 6 milioni senza il necessario per vivere.
Roma – Mandiamo in pensione il Pil Il prodotto interno lordo compie 80 anni
EUROPA – La Germania deferisce la Bce all’Alta corte. Si riaccende lo scontro sull’euro
AFRICA & MEDIO ORIENTE – SUD SUDAN /LE STRAGI IMPUNITE DEL SUD SUDAN / A un mese dai massacri e dai saccheggi della fine del 2013, le strade di Bor sono ancora piene di cadaveri
ASIA & PACIFICO – TOKYO HA SCELTO / IL NUOVO GOVERNATORE The Japan Times, Giappone / Yòichi Masuzoe, sostenuto dal premier Abe, ha vinto le elezioni nella capitale mettendo in secondo piano la questione del nucleare e basando la sua campagna sul welfare
AMERICA CENTROMERIDIONALE – COLOMBIA CHUZADAS ASÍ FUE LA HISTORIA Il 3 febbraio la versione online della rivista Semana ha pubblicato un’inchiesta che sta facendo discutere la Colombia
AMERICA SETTENTRIONALE – USA – In difesa di Pete Seeger, comunista americano
CALIFORNIA e COLORADO, l’economia dei due Stati salvata dalla cannabis.

ITALIA
ROMA
CRISI DI GOVERNO / PD CON RENZI, LETTA SE NE VA / IL SEGRETARIO VINCE IL DUELLO: LA DIREZIONE VOTA COMPATTA – (136 sì, 16 no, 2 astenuti) per il nuovo governo oggi LETTA al Quirinale per dare le dimissioni. Serve un rilancio radicale, correrò il rischio. 136 sì, 16 no, 2 astenuti: la direzione del Pd dà il via libera al governo Renzi. Un governo «per uscire dalla palude», come sostiene il premier in pectore, che ha come orizzonte il 2018. Enrico Letta ne prende atto. Oggi salirà al Colle per rassegnare le dimissioni. La crisi sarà breve. Apertura dalle parti sociali, (ndr)
UNA SFIDA AL PD CORRAL
PD, preparata da dibattiti, interviste e commenti preventivi, tra i quali il più duro da reggere, per noi, è stato quello soddisfatto di Gasparri Certo, non ci saremmo mai aspettati di assistere a una discussione come ad Sfida al Pd Corral. Anche se uno dei duellanti non era presente, mentre l’altro era circondato da una tale folla di telecamere, amici e alleati, che non sembrava proprio l’eroe solitario dei film western. Mentre l’assenza di Enrico Letta è stato forse un gesto di generosità dello sconfitto, che in questo modo ha sottratto alla crudeltà dello streaming almeno l’habeas corpus. Pippo Ovati ha dichiarato addirittura che Letta rischiava di essere trattato come Marius, la piccola giraffa dello zoo di Copenaghen. Insomma, fatto a pezzi sotto gli occhi degli innocenti, che forse siamo noi, elettori Pd, messi in grado di assistere non a un oscuro rito della vecchia politica, ma a una aperta dichiarazione di sfiducia. Anche se il vecchio rito era meno doloroso. (di Novella Maria Oppo)

ROMA
ISTAT, LA POVERTÀ CHE NON CI PIACE VEDERE: 6 MILIONI SENZA IL NECESSARIO PER VIVERE.
Sei famiglie su dieci vivono con meno di 2.500 euro al mese. Nel 2011 circa il 58% delle famiglie residenti in Italia ha conseguito un reddito netto inferiore all’importo medio annuo di 29.956 euro, circa 2.496 euro al mese. E’ quanto emerge dal rapporto Istat ‘Noi Italia, 100 statistiche per capire il Paese in cui viviamo’. Un rapporto che mette nero su bianco alcune contraddizioni laceranti in cui si dibatte il Bel Paese da qualche anno a questa parte. Una fra tutti, “vantiamo” la pressione fiscale della Svezia, circa il 44,1%, comunque superiore alla media Ue, ma abbiamo la povertà della Grecia, con quasi sei milioni di persone, il 10% della popolazione, in povertà assoluta. Sono in situazione di deprivazione circa 15 milioni di persone in 6,3 milioni di famiglie. Nel 2012, per la precisione, il 24,9 per cento delle famiglie residenti in Italia presenta almeno tre delle difficolta’ considerate nel calcolo dell’indice sintetico di deprivazione, una quota in aumento rispetto all’anno precedente. Il panorama regionale mette in evidenza il forte svantaggio del Mezzogiorno, dove l’indicatore raggiunge il 41,0 per cento.
La piu’ alta diseguaglianza nella distribuzione del reddito e’ in Campania mentre in Sicilia si registra il reddito medio annuo piu’ basso (oltre il 28% in meno del valore medio italiano); sempre in quest’ultima regione, in base al reddito mediano, il 50% delle famiglie si colloca al di sotto di 17.804 euro annui (circa 1.484 euro al mese). Nel 2012 il 24,9% delle famiglie residenti in Italia presenta almeno tre delle difficoltà considerate nel calcolo dell’indice sintetico di deprivazione, una quota in aumento rispetto all’anno precedente. Si conferma il forte svantaggio del Mezzogiorno, dove l’indicatore raggiunge il 41%.
Secondo l’Istat, nei primi mesi del 2013, solo quattro persone over14 su dieci si dichiarano molto o abbastanza soddisfatte della propria situazione economica. Il livello di soddisfazione
per la situazione economica presenta una forte variabilità regionale: passa dal 69,2% di Bolzano al 25,3% della Sicilia.
Se solo il 2,4% delle famiglie dichiara di non potersi permettere l’acquisto di una lavatrice, un televisore a colori, un telefono o un’automobile, sono il 50,5% del totale quelle che non possono permettersi una settimana di vacanza lontano da casa.
Circa il 22% delle famiglie dichiara di non riuscire a riscaldare adeguatamente l’abitazione e il 17,5% di non potersi permettere un pasto adeguato almeno ogni due giorni. Circa l’11 per cento delle famiglie residenti e’ rimasto in arretrato con almeno un pagamento tra mutuo, affitto, bollette o debiti diversi dal mutuo e il 42,9% non riuscirebbe ad affrontare una spesa imprevista di 800 euro. Il panorama regionale mette in evidenza il forte svantaggio dell’Italia meridionale e insulare, con valori in alcuni casi piu’ che doppi rispetto alla media nazionale. Le situazioni piu’ gravi si registrano tra le famiglie residenti in Sicilia (53,2%) – Fabrizio Salvatori
ROMA
Mandiamo in pensione il Pil Il prodotto interno lordo compie 80 anni. Molto più di un numero, il pil ha rappresentato un modello di società anche i processi politici e culturali. Ma come disse il suo stesso inventore, l’economista Simon Kuznets, ogni generazione deve riformulare i propri indicatori in risposta al mutare delle condizioni
Il prodotto interno lordo (pil) ha appena compiuto ottant’anni. Fu, infatti, nel 1934 che Simon Kuznets presentò il primo rapporto sul sistema di contabilità nazionale al congresso degli Stati uniti. Nel pieno della Grande Depressione, i governi occidentali erano alla disperata ricerca di un qualche indicatore per monitorare lo stato dell’economia. Con il pil, Kuznets fece esattamente ciò: aggregò una serie di dati relativi alla spesa in beni e servizi nell’economia di mercato in un unico numero, disegnato per crescere in tempi di bonanza e decrescere in tempi di contrazione economica. Pochi anni dopo, la Seconda guerra mondiale conferì al pil e al sistema di contabilità nazionale un’importanza senza precedenti nella politica: Kuznets venne nominato advisor dell’amministrazione Roosevelet ed i suoi dati vennero utilizzati per pianificare la conversione dell’economia civile in macchina da guerra senza ostacolare i consumi interni, un vantaggio importante nel generare risorse per la guerra (evitando così le strozzature vissute dalla Germania di Hitler). Questo permise agli americani di surclassare tutte le altre nazioni coinvolte nel conflitto, terminando con un settore industriale intatto e milioni di consumatori pronti a sostenere l’espansione economica di Washington a livello globale nel periodo postbellico. Dopo Bretton Woods e la definizione delle prime linee guida sulla contabilità nazionale prodotte dall’Onu, la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale cominciarono ad ‘esportare’ il pil nel resto del mondo, trasformando questo numero nel gold standard del successo economico del XX secolo.
Molto più di un numero, il pil ha rappresentato un modello di società, influenzando non solo le politiche economiche, ma anche processi politici e culturali. La nostra geografia, le nostre città, i nostri stili di vita sono definiti dal circolo di continua produzione e consumo esemplificato dal pil. Questo numero ha colonizzato anche il lessico della governance e la distribuzione del potere a livello globale. Club internazionali come il G8 o il G20 sono definiti in base al pil. Concetti come «mercati emergenti » e «potenze emergenti » sono legati alla crescita nominale del pil, così come la distinzione, decisamente discutibile, tra mondo sviluppato e sottosviluppato (o in via di sviluppo) .
Al giorno d’oggi, la convergenza delle crisi economiche, sociali e ambientali ha generato una preoccupazione crescente tra economisti progressisti, politici e studiosi, che stanno guidando un dibattito internazionale circa i difetti e le aberrazioni generate da questo numero. Recentemente, la rivista Nature ha pubblicato un appello globale che invita i governi a “lasciarsi il pil alle spalle”. Il pil è ‘lordo’ perché non include l’ammortamento di beni utilizzati nel processo di produzione (ad esempio, macchinari, attrezzi, veicoli, ecc.). Tutto ciò che è scambiato al di fuori del mercato (ad esempio all’interno delle famiglie, nelle economie informali, attraverso il baratto, ecc.) non conta per il pil. Inoltre, il pil non tiene conto del valore delle risorse naturali consumate nel processo di crescita economica, perché queste sono messe a disposizione gratuitamente da madre natura. Infine, il pil non prende in considerazione i costi economici dell’inquinamento e del degrado ambientale, che sono ovvie conseguenze dello sviluppo industriale. Un paese potrebbe distruggere il proprio sistema sociale, dilapidare le proprie risorse naturali e inquinare i propri ecosistemi in modo irreversibile, ma il pil registrerebbe tutti questi abusi come progresso economico.
Tali omissioni rendono il pil una misura molto selettiva della performance economica, e decisamente inadeguata e pericolosa se applicata alla misurazione del benessere sociale. I servizi resi al livello domestico, per esempio, hanno un impatto economico fondamentale, anche se non sono considerati ‘produttivi’ dal pil. Se i governi dovessero pagare per le innumerevoli funzioni svolte a livello domestico (dalla produzione di cibo, all’educazione dei bambini e cura degli anziani), le nostre economie smetterebbero di funzionare. Uno studio del Bureau of Economic Analysis stima che il valore della produzione domestica negli Stati uniti ha rappresentato oltre il 30 % dell’output economico ogni anno dal 1965 and 2010, con un picco del 39 % nel 1965 , scendendo al 25,7 % nel 2010. Ma il pil ignora le funzioni economiche svolte nel contesto familiare, nel volontariato e nella vita locale delle nostre comunità. In molti paesi, i beni e servizi scambiati informalmente forniscono la sussistenza necessaria a milioni di persone e spesso costituiscono la spina dorsale dell’economia reale, anche se non vengono registrati nel pil. Trascurare l’input delle risorse naturali solo perché non vengono ‘vendute’ da madre natura ci fa dimenticare che la crescita economica è possibile solo a causa di una fornitura continua di ‘capitale’ da parte degli ecosistemi naturali. La produzione agricola non sarebbe possibile senza terreni fertili, acqua, aria e altri servizi ecosistemici. L’industrializzazione non sarebbe possibile senza i combustibili fossili, gli idrocarburi e le fonti energetiche messe a disposizione dal pianeta. Quando queste risorse si esauriscono, si mette in pericolo non solo il progresso economico, ma anche l’equilibrio naturale che rende la vita possibile. È questo il modello di sviluppo che desideriamo nel XXI secolo?
Qualunque manuale di contabilità ci ricorda che il reddito è uguale al ricavo meno «tutti» i costi. Siccome pil non tiene conto di settori chiave della produzione economica informale e naturale, e trascura costi significativi (per esempio, quelli relativi all’inquinamento, le tensioni sociali, ecc.), nessun manager penserebbe di usarlo per monitorare la performance di un’azienda. Eppure, è diventato il parametro chiave per guidare le politiche di interi paesi. Anche l’Ocse riconosce che “se mai ci fosse un’icona controversa nel mondo delle statistiche, questa è il pil. Misura il reddito, ma non l’uguaglianza, misura la crescita, ma non la distruzione, e ignora valori come la coesione sociale e l’ambiente. Ciononostante, i governi, le imprese e probabilmente la maggior parte delle persone lo trattano come un dio.”Anche la commissione istituita da Joseph Stiglitz e Amartya Sen ha evidenziato la profonda inadeguatezza del pil come misura della performance economica, ricordandoci i rischi associati con il considerare il pil un indicatore di progresso: “questo porta a conclusioni fuorvianti circa il benessere delle persone, comportando decisioni politiche sbagliate.”
Già nel 1934, Kuznets mise in guardia la classe politica circa il rischio di abusare il pil. In particolare, sottolineò come “il benessere di una nazione non si può dedurre da una misura del reddito nazionale.” Alcuni anni dopo, sostenne che non ha senso promuovere la crescita del pil per sé. Non era la quantità della crescita che interessava Kuznets, ma la sua qualità. Kuznets sapeva molto bene che il modo in cui misuriamo la performance economica influenza le decisioni che prendiamo e le politiche che sosteniamo. Per questo raccomandò che ogni generazione avesse la libertà di cambiare il modo in cui si misura il progresso “formulando e riformulando i propri indicatori in risposta al mutare delle condizioni.” Con il pil siamo ancora fermi ad 80 anni fa. I rischi dell’inerzia sono enormi. Abbiamo bisogno di inventare un nuovo modello economico. È tempo di ascoltare Kuznets e mandare il pil in pensione.

EUROPA
EU
La GERMANIA deferisce la Bce all’Alta corte. Si riaccende lo scontro sull’euro / Si riaccende lo scontro tra Germania e Bce. Guarda caso, proprio nella fase in cui prende corpo l’accordo sulla vigilanza bancaria. La Corte Costituzionale tedesca ha deciso di deferire alla Corte europea il programma Omt della Bce, lanciato a settembre da Mario Draghi.
L’acquisto "illimitato" di Bond dei paesi europei, secondo i giudici tedeschi è una misura che allude alla politica economica, che non è nei poteri dell’Eurotower. La Corte sostiene che la Bce "sta agendo oltre il suo mandato di politica monetaria, in violazione del divieto di finanziamento monetario dei bilanci". Tuttavia, in una nota, la Corte afferma anche di "considerare possibile che se il programma Omt fosse interpretato restrittivamente" potrebbe essere conforme alla legge. Nello stesso comunicato i giudici costituzionali tedeschi annunciano che si pronunceranno sull’Esm il 18 marzo. La Banca centrale europea "prende atto dell’annuncio della Corte costituzionale tedesca" ma "ribadisce che il programma Omt ricade nell’ambito del suo mandato".
Proprio nei giorni scorsi Draghi aveva messo l’accento su una ripresa dell’Eurozona “ancora fragile e soggetta a rischi, come quelli derivanti dalle recenti turbolenze monetarie sui mercati emergenti”. La Bce, aveva sottolineato Draghi, "rimane pronta ad agire e a utilizzare ogni strumento consentito dai trattati".
L’Eurozona sta attraversando una "fase prolungata di bassa inflazione" ma "non c’e’ una deflazione", ne’ "alcuna analogia con la situazione del Giappone negli anni ’90", aveva sottolineato Draghi, per fugare i timori dell’approssimarsi di uno scenario di stagnazione come il "decennio perduto" nipponico. Il rallentamento dell’inflazione, ha spiegato il presidente dell’Eurotower, e’ legato da una parte "ai prezzi di cibo ed energia", dall’altra "alla debole domanda, legata all’elevata disoccupazione". Da questo punto di vista, secondo il numero uno dell’Eurotower, presto "dovrebbe materializzarsi anche un miglioramento della domanda interna", nel quadro generale di una ripresa che procede "a ritmo lento" ed e’ "ancora fragile e diseguale, partendo da livelli di attivita’ molto bassi".
Per il momento, ad ogni modo", le previsioni di medio lungo termine restano fermamente ancorate agli obiettivi della Bce di un tasso di inflazione inferiore ma prossimo al 2%"

RUSSIA
SCRITTORI E PUSSY RIOT CONTRO PUTIN
Le Pussy Riot tor¬nano a far par¬lare di loro, in con¬co¬mi¬tanza con l’inizio dell’evento olim¬pico voluto for¬te¬mente da Putin. «Se uno va alle Olim¬piadi di fatto viene meno alle sue con¬vin¬zioni e mostra di appog¬giare il regime oppres¬sivo di Putin». È un pas¬sag¬gio dell’intervista delle due Pussy Riot, Maria Alyo¬kina e Nadia Tolo¬kon¬ni¬kova, al New York Times. Le due gio¬vani hanno riba¬dito che «nes¬sun dia¬logo è pos¬si¬bile con le auto¬rità russe, come i fatti dimo¬strano con¬ti¬nua¬mente». Il quo¬ti¬diano ame¬ri¬cano aggiunge, che le due espo¬nenti del gruppo musi¬cale, avreb¬bero anche smen¬tito una loro futura par¬te¬ci¬pa¬zione — come can¬di¬date — alle ele¬zioni poli¬ti¬che. Come vuole la tra¬di¬zione, un appello per le libertà è arri¬vato anche da 200 scrit¬tori, tra cui Gun¬ter Grass, Sal¬man Rush¬die, Mar¬ga¬ret Atwood, Paul Auster, Jona¬than Fran¬zen. I 200 intel¬let¬tuali hanno scritto una let¬tera a The Guar¬dian, con¬dan¬nando la legge con¬tro la pro-pa¬ganda omo¬ses¬suale e le due con¬tro la bla¬sfe¬mia. «Que¬ste tre leggi met¬tono a repen¬ta¬glio gli scrit¬tori — si legge nell’appello -, non pos¬siamo restare fermi men¬tre col¬le¬ghi autori e gior¬na¬li-sti sono costretti al silen¬zio o rischiano la persecuzione».

FRANCIA
GIORNALE O RISTORANTE ?
"Siamo un giornale. Non un ristorante, non un social network, non uno spazio culturale, non un bar, non un incubatore di startup…". Così i dipendenti di Liberation hanno risposto, sulla prima pagina dell’8 febbraio, agli azionisti del giornale che, di fronte a una nuova crisi di liquidità, avevano scritto alla redazione una lettera in cui reagivano allo sciopero indetto il 6 novembre indicando nuove fonti di profitto. Secondo la proprietà, il quotidiano della sinistra francese non può più essere "solo un giornale stampato", ma deve sfruttare il suo marchio per creare "contenuti monetizzabili su un largo spettro di supporti". Tra le proposte c’è l’apertura di un ristorante e di uno spazio culturale nella sede della redazione. Definita dai giornalisti "una provocazione", la proposta ha avuto però il merito di rilanciare il dibattito su cosa sia oggi un giornale e come debba finanziarsi. Secondo molti analisti, infatti, non è possibile sopravvivere nel mercato della stampa senza diversificare le attività o coinvolgere i lettori. Tra i casi citati ci sono quelli del Guardian e di Nrc Handelsblad, nella cui sede sono ospitati, oltre alla redazione, un ristorante, un bar, una libreria e un centro culturale.

SPAGNA
MAIORCA
I lavoratori si mobilitano contro la chiusura della Coca Cola: taglio di 1.500 posti.
Sciopero a tempo indeterminato dei lavoratori della Coca-Cola Iberian Partners di Maiorca e Minorca contro il piano della multinazionale statunitense che prevede il licenziamento di 1.500 dipendenti in quattro stabilimenti spagnoli.
Il blocco, con presidio davanti ai cancelli, durerà sino a quando – hanno detto i sindacati l’azienda non avrà revocato il piano. Analoghe iniziative sono in programma nei prossimi giorni nelle altre strutture. Coca-Cola Iberian Partner, imbottigliatore unico della bibita in Spagna, aveva ha annunciato il 22 gennaio scorso la chiusura di 4 stabilimenti e il taglio di 1.250 posti di lavoro per ridurre i doppioni generati dalla fusione dei sette impianti spagnoli di imbottigliamento della Coca-Cola. Gli stabilimenti dei quali e’ prevista la chiusura sono quelli di Alicante, Fuenlabrada, Colloto (Asturie) e Palma di Maiorca, dove e’ cominciata la protesta
SPAGNA
IL TRONO NELLA BUFERA
L’8 febbraio l’infanta Cristina (nella foto), la figlia più giovane del re Juan Carlos, è stata interrogata per sei ore dal tribunale di Palma de Maiorca, nell’ambito dell’inchiesta sullo scandalo finanziario che coinvolge il marito, Ifiaki Urdangarin. La principessa è sospettata di frode fiscale e riciclaggio di denaro: secondo gli inquirenti non poteva non essere a conoscenza della sottrazione di fondi pubblici compiuta da Urdangarin attraverso la fondazione non profit Nóos. "Alla maggior parte delle 400 domande del giudice José Castro, dona Cristina ha risposto ‘non so’, ‘non mi risulta’, ‘mi fidavo di mio marito ", riferisce El Pais. Il giornale aggiunge che "Castro le ha mostrato decine di fatture, di firme, di contratti e di note spese legati all’attività commerciale e privata della famiglia, dell’istituto Nóos e della società finanziaria Aizoon, controllata in parti uguali dai coniugi. Ma l’infanta ha negato di essere a conoscenza dei fatti". I legali della principessa hanno sottolineato che "è stata trattata come qualsiasi altro imputato". Dopo l’udienza, Cristina è volata a Madrid, dove ha incontrato i reali per mettere a punto la strategia di comunicazione sul caso e "disporre tutte le contromisure per proteggere l’istituzione monarchica", la cui popolarità è stata danneggiata dalla vicenda e da altri recenti eccessi, come la battuta di caccia agli elefanti in Botswana del re Juan Carlos.

UCRAINA
ASSEMBLEA PERMANENTE
A due mesi dall’inizio delle pro-teste, in Ucraina la situazione è ancora tesa. Il 9 febbraio a Kiev "decine di migliaia di persone sono scese in piazza per riunirsi in quella che ormai è chiamata l’Assemblea popolare", scrive Zerkalo Nedeli. Il ministero dell’interno, tuttavia, riferisce il Kommentarii, "ha ricordato all’opposizione che le condizioni per l’entrata in vigore dell’amnistia decretata dal presidente Viktor Janukovic devono ancora essere soddisfatte. Secondo le autorità, le persone arrestate per i disordini sono in totale 266". Intanto, prosegue il sito,
"l’Unione europea sta preparando una lista di sanzioni contro gli alti funzionari ucraini, che dovrebbe essere pronta a fine febbraio". Sotto il profilo politi-co, invece, scrive Ukrainska Pravda, "le autorità e l’opposi-zione stanno cercando un accordo per la riforma della costituzione. Il governo è prudente, mentre l’opposizione spera in una procedura d’urgenza".

KOSOVO
GLI STUDENTI IN PIAZZA
Tra il 3 e l’8 novembre centina di studenti sono scesi in piazza a Pristina per protestare contro la dirigenza dell’università locale e chiedere le dimissioni del rettore, Ibrahim Gashi, accusato di aver ottenuto in modo irregolare i suoi titoli accademici e di una gestione nepotistica e baronale dell’ateneo. Negli scontri con la polizia sono rimasti feriti trenta agenti, e altrettanti manifestanti sono stati arrestati. La mobilitazione, cominciata già da settimane e alimentata dall’altissimo tasso di disoccupazione, ha comunque raggiunto l’obiettivo: il 9 febbraio il rettore si è dimesso. "Resta il dubbio", commenta il quotidiano Bota Sot, "che siano state decisive le pressioni del parlamento: un’interferenza politica di dubbia utilità per le ragioni degli studenti".

CIPRO
L’11 febbraio sono ripresi a Nicosia i negoziati tra il presi-dente Nicos Anastasiades e il leader turco cipriota Dervis Eroghi per la riunificazione dell’isola.

MOLDOVA
II 2 febbraio il 98,4 per cento degli elettori della Gagauzia, una regione autonoma nel sud del paese, ha approvato un referendum non autorizzato dal governo centrale che prevede l’adesione a un’unione doganale con la Russia.

SVIZZERA
II 70 per cento degli elettori ha bocciato il 9 febbraio un referendum che avrebbe sospeso il finanziamento pubblico dell’aborto.
SVIZZERA
Gli svizzeri hanno approvato un referendum "contro l’immigrazione di massa": i si’ hanno raggiunto il 50,3%. Lo ha riferito l’agenzia di stampa svizzera Ats. I risultati definitivi sono giunti al termine di un testa a testa che ha tenuto con il fiato sospeso il Paese per tutto il pomeriggio. L’iniziativa, promossa dal partito di destra ed antieuropeista dell’Unione democratica di centro (Udc/Svp) chiede la reintroduzione di tetti massimi e contingenti per l’immigrazione di stranieri.

AFRICA & MEDIO ORIENTE
SIRIA
L’EVACUAZIONE DÌ HOMS
Dal 7 febbraio almeno 1.417 persone sono riuscite a uscire da Homs approfittando di un fragile cessate il fuoco, risultato di lunghi sforzi diplomatici, scrive Now. La città siriana è sotto l’assedio delle truppe governative dal giugno del 2012. Tuttavia l’evacuazione del centro di Homs e la distribuzione di razioni alimentari alle famiglie è stata disturbata da una serie di attacchi che hanno causato almeno 14 morti. L’11 febbraio le operazioni sono state interrotte per un giorno. Inoltre, l’Onu ha denunciato che 400 uomini di età compresa tra i 15 e i 55 anni sono stati presi in custodia dalle forze governative per essere interrogati. E, se a Ginevra il 10 febbraio sono ripresi i colloqui di pace tra governo e opposizione, i combattimenti hanno impedito un intervento umanitario nel campo profughi palestinese di Yarmuk, a sud di Damasco. "Le immagini provenienti da Homs mostrano qualcosa di moralmente intollerabile: agli uomini con più di 55 anni è concesso di lasciare la città, ma le stragi e lo sterminio continuano altrove", scrive Elias Khoury su Al Qudsal Arabi. "L’aspetto più scandaloso è stata la disinvoltura con cui gli scagnozzi del regime, appostati in alcuni quartieri, impedivano l’ingresso dei soccorsi. Un simile accordo mi lascia senza parole. Questo sarebbe il risultato di Ginevra 2? Il miglior sostegno che il mondo riesce a dare ai siriani?".

ALGERIA
L’11 febbraio un aereo militare è precipitato nell’est del paese uccidendo 77 persone.

IRAQ
Ventuno presunti terroristi sono morti il 10 febbraio quando l’autobomba che stavano preparando è esplosa per errore a nord di Baghdad.

IRAN
APERTURA ECONOMICA
All’inizio di febbraio una delegazione del mondo dell’industria francese ha compiuto un viaggio in Iran. La visita, che secondo la camera di commercio franco-iraniana è stata la più importante dalla caduta dello scià nel 1979, è stata criticata dal presidente statunitense Barack Obama, che mentre accoglieva a Washington il presidente francese Francois Hollande ha avvertito sui pericoli di stabilire rapporti d’affari prematuri con Teheran. L’11 febbraio la stampa iraniana ha dato ampio spazio alle celebrazioni perii 350 anniversario della rivoluzione. Il quotidiano riformatore Ghanoun, secondo cui milioni di iraniani hanno partecipato alle cerimonie pubbliche, sostiene che "la rivoluzione continua". Nel suo discorso il presidente Hassan Rohani ha sfidato le critiche dei conservatori ribadendo il suo impegno a "nessun compromesso, ma anche nessuno scontro con l’occidente". E, in vista della ripresa dei colloqui sul programma nucleare iraniano il 18 febbraio a Vienna, Rohani ha detto di essere pronto a un accordo finale. In un negoziato parallelo, Teheran e l’Agenzia internazionale per l’energia atomica hanno raggiunto un’intesa che permetterà una cooperazione più stretta sulle ispezioni ai siti nucleari iraniani.

YEMEN
LA PROPOSTA FEDERALISTA
Secondo un piano approvato il 10 febbraio, lo Yemen diventerà una federazione di sei regioni (Hadramaut, Aden, Saba, Azal, Tahama e Janad), scrive Al Thawra. Il documento è stato approvato dai rappresentanti dei principali partiti del paese, riuniti in un comitato formato dal presidente Abd Rabbo Mansur Hadi, che spera in questo modo di arginare le spinte secessioniste nel sud del paese. Gli unici che non hanno approvato il progetto sono i rappresentanti dei ribelli sciiti Houthi.

SUD SUDAN
LE STRAGI IMPUNITE DEL SUD SUDAN
Jean-Philippe Rémy, Le Monde, Francia
A un mese dai massacri e dai saccheggi della fine del 2013, le strade di Bor sono ancora piene di cadaveri. I superstiti accusano i soldati che si sono ribellati al presidente Salva Kiir
A parte i rapaci in volo, tutto è immobile come il cadavere dal volto mummificato. L’uomo si era nascosto in una piccola buca tra l’erba nel tentativo di salvarsi dalla cac¬cia all’uomo in corso nelle paludi del Nilo Bianco, appena fuori da Bor. Gli aggressori erano i soldati che, a metà dicembre del 2013, si sono ribellati contro il presidente sud-sudanese Salva Kiir. A un mese di distanza, nelle strade vicino al fiume si potevano contare ancora quaranta cadaveri, solo una piccola parte delle vittime.
Uno dei rari osservatori esterni che si trovavano in città durante i massacri descrive scene terribili di donne violentate e mas-sacrate, e di cadaveri sparsi per le strade. Non è stato risparmiato niente: né la cattedrale Saint Andrews, dove le donne che vi si erano rifugiate sono state uccise, né l’ospedale , dove i feriti sono stati ammazzati nei loro letti. William Deng, un uomo triste ma molto fortunato, è tornato in città all’inizio di febbraio. Il 19 dicembre, al culmine delle violenze, era riuscito a mettere in salvo la sua famiglia fuggendo tra i meandri del fiume. Un barcaiolo si era offerto di portarli sull’altra sponda per 200 dollari. Per otto ore si sono fatti strada tra i bracci laterali del fiume, mentre sul corso principale i ribelli provenienti da Bentiu su delle chiatte apri-vano il fuoco sulle altre imbarcazioni.
PRESENTE E PASSATO
È impossibile stabilire il numero preciso di morti, tra i corpi inghiottiti dal fiume e quel-li che marciscono nelle paludi. "Sono stati gli uomini di Peter Gadet", afferma Deng. Gadet, un ex ribelle, era il comandante dell’ottava divisione dell’Esercito popolare di liberazione del Sudan (Spia) a Bor. Quando, il 15 dicembre, il conflitto ai vertici dello stato a Juba ha innescato una serie di defezioni nell’esercito, alcune guarnigioni si sono ammutinate anche a Bor, Bentiu e Malakal. Le ultime due città, vicine ai pozzi petroliferi, avevano un forte valore strategico. Bor, invece, poteva servire come base per tentare un’offensiva sulla capitale. Ribelli e lealisti (questi ultimi appoggiati dai soldati inviati dall’Uganda), si sono contesi Bor, che è passata di mano quattro volte. Nel corso della battaglia, tutti hanno commesso atrocità.
Ora la città, che in passato era abitata in maggioranza da persone di etnia dinka bor, è sotto il controllo dell’Spla e dei militari ugandesi. Secondo il sindaco Nhial Majak Nhial, Bor aveva già subito un massacro nel 1991. Nel corso della guerra civile tra il nord e il sud del Sudan (che poi è diventato uno stato indipendente), alcune fazioni sudiste si ribellarono a John Garang, il leader storico dell’Spla, e si scagliarono contro Bor, dove uccisero migliaia di dinka bor. Il capo delle truppe che attaccarono Bor nel 1991 era Riek Machar, l’ex vicepresidente di etnia nuer che è la figura di riferimento dell’attuale ribellione. Questa volta Machar non ha messo piede a Bor. E gli oppositori di Kiir non sono tutti Nuer. Questo, però, non impedisce al sindaco di affermare: " I crimini del 1991 non erano stati puniti. Per quei sto i Nuer hanno ricominciato. Ma stavolta qualcuno finirà davanti alla Corte penale internazionale".
Le violenze scoppiate a Juba il 15 dicera bre hanno visto i soldati disertori di Machai scontrarsi con i militari rimasti fedeli a Kiir, Nella capitale un numero ancora imprecisato di persone, forse più di diecimila, I gran parte nuer, potrebbe essere stato ucci so dai lealisti. Il 17 dicembre, anche Bori esplosa: i soldati di Gadet si sono ammutì nati e hanno lanciato una rappresaglia contro i dinka bor. In seguito hanno perso 1 controllo della città.
Una parte della popolazione si è rif ta presso il campo della Missione delle nazioni Unite in Sud Sudan (Unmiss), che poteva ospitare al massimo duemila person In poche ore ne sono arrivate duecentomila. I nuer sono la maggioranza. Vivono 1 terrore di una spedizione punitiva e han in mente una sola cosa: scappare dalla zo il prima possibile.

BURUNDI
II 5 febbraio l’Unione per il progresso nazionale, il principale partito tutsi, ha ritirato i suoi ministri dal governo a causa delle divergenze con il presidente Pierre Nkurunziza, di etnia hutu. La costituzione prevede la condivisione del potere tra la maggioranza hutu e la minoranza tutsi.

RDC
II 10 febbraio la procuratrice della Corte penale internazionale dell’Aja, Fatou Bensouda, ha accusato l’ex capo ribelle Bosco Ntaganda di aver commesso crimini etnici nell’est del paese tra il 2002 e il 2003.

REPUBBLICA CENTROAFRICANA
MUNSULMANI SOTTO ATTACCO
Il 12 febbraio Amnesty international ha lanciato l’allarme sul rischio di una "pulizia etnica" nella Repubblica Centrafricana, dove l’ong ha documentato almeno duecento omicidi di musulmani commessi dalle milizie antibalaka (anti-machete), cioè i gruppi cristiani di autodifesa che si sono formati dopo il colpo di stato compiuto nel 2013 dalla coalizione ribelle Séléka. La presidente Catherine Samba-Panza ha annunciato un’operazione contro gli antibalaka, ma secondo Jeune Afrique, decine di migliaia di musulmani sono già scappati nei paesi confinanti.

ASIA & PACIFICO
GIAPPONE
Ora il maltempo e le nevicate record si sono spostate da Tokyo al Tohoku, Nordest del Giappone, già duramente colpito dallo tsunami del 2011. Secondo i media locali sono sette le vittime e 1000 i feriti: nevicata record sulla capitale, dove sabato sera la neve ha toccato i 27 centimetri di altezza massimi: non si vedeva nulla del genere da 45 anni, nota la Japan Meteorological Agency. A Tokyo è tornato il sole e le temperature si sono alzate, ma viabilità e trasporti continuano a risentire del maltempo. A Sendai, nella prefettura di Miyagi, domenica mattina c’erano 35 centimetri di neve, 44 nella città di Fukushima. L’agenzia meteo giapponese ha rinnovato l’allerta per i forti venti e per l’ulteriore calo delle temperature
TOKYO HA SCELTO
IL NUOVO GOVERNATORE The Japan Times, Giappone / Yòichi Masuzoe, sostenuto dal premier Abe, ha vinto le elezioni nella capitale mettendo in secondo piano la questione del nucleare e basando la sua campagna sul welfare. Yòichi Masuzoe, ex ministro della salute e del welfare, il 9 febbraio è stato eletto governatore di Tokyo. Sostenuto dal Partito liberaldemocratico, dal New Komeitò e dalla sezione locale della Confederazione sindacale giapponese (Rengó), di cui fa parte anche il sindacato della società elettrica della capitale (Tepco) che gestisce la centrale di Fukushima, Masuzoe ha incentrato la campagna elettorale su temi cari agli abitanti di Tokyo, come il miglioramento degli asili nido e dei servizi sanitari e le Olimpiadi del 2020. Tuttavia il governo centrale dovrebbe ricordarsi che c’era un altro grande tema che stava a cuore agli elettori: l’energia nucleare. Tra le 47 regioni giapponesi, Tokyo è quella che usa più elettricità, consumando circa il 10 per cento dell’energia dell’intera nazione, e i due candidati contrari al nucleare – l’ex primo ministro Morihiro Hosokawa e l’ex capo della federazione giapponese degli avvocati Kenji Utsunomiya – insieme hanno ottenuto circa il 40 per cento dei voti. Hosokawa e Utsunomiya si sono opposti al tentativo dell’amministrazione Abe di riavviare le centrali dismesse e hanno chiesto l’interruzione immediata di tutti i nuovi progetti sul nucleare. Utsunomiya è stato appoggiato dal Partito comunista giapponese e dal Partito socialdemocratico, men-tre Hosokawa ha avuto il sostegno dell’ex primo ministro Junichirò Koizumi, a favore della causa antinucleare dopo il disastro di Fukushima . Durante le elezioni l’amministrazione Abe ha cercato di minimizzare il problema del nucleare, sostenendo che la politica energetica deve essere gestita dal governo centrale. Eppure si tratta di un problema che riguarda ogni municipalità e ogni singolo cittadino e solleva molte questioni critiche. Per esempio, Tokyo dovrebbe continuare a usare l’energia prodotta in zone rurali le cui comunità sono costrette a sopportare la presenza delle centrali? Ha senso continuare a costruire centrali nucleari in un paese ad alto rischio sismico? E cosa ne sarà delle scorie radioattive prodotte dalle centrali, considerando che per ora non esiste alcuna tecnologia in grado di stoccarle e renderle innocui per sempre?
L’amministrazione Abe ha accantonato il problema per proteggere gli interessi delle aziende produttrici di energia anche se l’emergenza di Fukushima non è finita e ci siano ancora cornila persone costrette a vivere lontano dalle loro case. Il governo si è sentito in pericolo di fronte all’opposizione della maggioranza degli abitanti di Tokyo alla riattivazione degli impianti nucleari, e ha temuto che la vittoria di Utsunomiya o Hosokawa lo avrebbe obbligato a cambiare la sua politica nuclearista. Ma Utsunomiya e Hosokawa hanno preso insieme 1,9 milioni di voti contro i 2,1 di Masuzoe, perciò l’amministrazione Abe non può considerare le elezioni di Tokyo come un lasciapassare per continuare a favorire la produzione di energia atomica.
RISPARMIO ENERGETICO
Inoltre il governo non dovrebbe dimenticare che anche Masuzoe ha ammesso che la maggioranza della popolazione vuole una società indipendente dal nucleare, tanto che dopo il voto ha dichiarato che gli abitanti di Tokyo hanno sostenuto il suo obiettivo di diminuire gradualmente la produzione di energia atomica, nella speranza di aumentare del 20 percento l’uso di energie rinnovabili nell’area della capitale. Il nuovo governatore dovrebbe promuovere il risparmio energetico e l’uso di fonti rinnovabili, per mettere Tokyo al riparo da terremoti violenti e altri disastri naturali; sradicare la povertà e aumentare i posti di lavo-ro; e migliorare il welfare per tutti gli abitanti della capitale. Per quanto riguarda le Olimpiadi del 2020, dovrebbe cercare di limitare il più possibile i costi eliminando gli sprechi.
LE QUESTIONI PIÙ URGENTI I segnali di ripresa economica a Tokyo hanno spento negli abitanti della capitale la voglia di un cambiamento, scrive il Tokyo Shimbun. Negli ultimi tempi la disoccupazione è scesa. Intanto, però, la popolazione continua a invecchiare e l’assistenza medica è inadeguata, le famiglie con figli sono sempre più povere e le condizioni dei lavoratori atipici non migliorano. Gli elettori, conclude il giornale, hanno votato pensando alle questioni più urgenti

NEPAL
UN PREMIER PER KATHMANDU
Dopo quasi tre mesi di stallo dall’elezione della seconda assemblea costituente, dove nessun partito aveva ottenuto la maggioranza, il 10 febbraio Sushil Koirala, leader del Nepali congress, è stato eletto primo ministro con 405 voti su 553. "Il principale partito nepalese adesso guida un governo di maggioranza, cosa che sarebbe stata difficile senza l’appoggio della seconda forza politica, il Partito comunista", scrive il Kathmandu Post. "Il premier dovrà tenere fede all’impegno di redigere una nuova costituzione entro un anno". Koirala è il sesto capo di governo dalla nascita della repubblica nel 2008.

THAILANDIA
II 12 febbraio la corte costituzionale ha respinto la richiesta dell’opposizione di annullare le elezioni legislative del 2 febbraio.

CINA
DISGELO SULLO STRETTO – CHINA TIMES, TAIWAN
L’11 febbraio a Nanchino Wang Yu-chi, responsabile della politica cinese per il governo di Taiwan, e il suo collega della Cina continentale, Zhang Zhijun, si sono incontrati per il più importante vertice diplomatico tra Pechino e Taipei dalla fine della guerra civile. L’obiettivo è stabilire rapporti politici diretti. "L’iniziativa segna una nuova epoca nelle relazioni tra le due sponde dello stretto", scrive il China Times. L’ipotesi che a Nanchino, ex capitale della Cina nazionalista, si potesse preparare un vertice tra i due capi di stato, il cinese Xi Jinping e il taiwanese Ma Ying-jeu, aveva suscitato l’interesse degli esperti, però non se n’è parlato. Dalla vittoria comunista nel 1949, con la fuga dei sostenitori di Chiang Kaishek a Formosa, Pechino considera l’isola una provincia ribelle. Sui rapporti continuano a pesare divergenze sulla sovranità, scrive il quotidiano, favorevole alla politica di riavvicinamento a Pechino avviata nel 2008 con il ritorno dei nazionalisti al governo di Taiwan, dopo due esecutivi autonomisti.

PAKISTAN
L’11 febbraio, nonostante il dialogo in corso tra il governo e i taliban, 13 persone sono morte in un attentato in un cinema porno a Peshawar. Il giorno dopo altre nove persone sono morte in un attacco alla periferia della città.

AFGHANISTAN
Le vittime civili del conflitto sono state 2.959 nel 2013, con un aumento del 7 per cento rispetto al 2012. Lo rivela un rapporto dell’Orni.

INDIA
IL TRICOLORE INDIANO A SOCI
L’11 febbraio il Comitato olimpico internazionale (Ciò) ha revocato la sospensione dell’Associazione olimpica indiana (Ioa). Il Ciò aveva preso la decisione nel 2012 dopo che la Ioa aveva eletto alcuni funzionari accusati di corruzione durante i Giochi del Commonwealth del 2010. L’elezione di N. Ramachandran alla guida della Ioa, il 9 febbraio, è stata decisiva. I tre atleti indiani a Soci, che durante la cerimonia inaugurale avevano sfilato con la bandiera olimpica, potranno usare quella del loro paese, scrive The Hindu.

VIETNAM
MCDONALD’S SBARCA A SAIGON Il 1 febbraio 2014 a Ho Chi Minh City (l’ex Saigon) è stato inaugurato il primo McDonald’s del Vietnam. L’arrivo della catena statunitense di fast food nel paese comunista quasi quarant’anni dopo la fine della guerra del Vietnam ha suscitato la curiosità dei mezzi d’informazione stranieri. In realtà nel paese sono già presenti da anni altre catene simili come Burger King, Kentucky Fried Chicken e Pizza Hut.

AMERICA CENTROMERIDIONALE
ARGENTINA
BUENOS AIRES
La resa dei conti / L’Argentina è sempre stata un paese di grandi contraddizioni. Latinoamericana, ma europea. Ricca, ma miserabile. Un esempio, nel bene e nel male. Prima della crisi del 2001 era l’emblema del successo neoliberista, poi rivelatosi una catastrofe. E fino a pochi mesi fa sembrava invece il modello per uscire dalle grane dello spread, salvo poi ritrovarsi adesso, nuovamente, con le spalle al muro. ( di Nicola Melloni )
Il decennio dei Kirchner è stato, per alcuni versi, un successo. Prima Nestor, poi Cristina si sono impegnati per aiutare una popolazione scossa dalla crisi e impoverita dal mercatismo di Menem, Caballo e del Fondo Monetario. Tanti programmi sociali e sussidi per le spese più rilevanti, come ad esempio la corrente elettrica. Cose indispensabili per ricostruire un paese, ma che rischiano ora di travolgerlo nuovamente. Il governo spende risorse che non ha, la Banca Centrale stampa moneta e l’inflazione si alza pericolosamente – stime non ufficiali la danno intorno al 30%. Ed intanto il prezzo ridotto dell’elettricità porta a troppo consumo ed a cavallo di Natale Buenos Aires ha subito squassanti black out – in verità anche a causa di una ondata di caldo straordinario che ha fatto boccheggiare la popolazione.
Intanto le contraddizioni argentine sono rimaste intatte. Una famiglia oligarca al potere, con la presidenza passata da marito a moglie, nel miglior spirito peronista; populismo di vecchia data, attenzione ai lavoratori ma poche azioni per cambiare una struttura economica squilibrata; i quartieri più ricchi, da Palermo a Recoleta, che sembrano, anche durante la crisi, Londra e Parigi e favelas miserevoli dove arraffare voti; sfarzo e delinquenza. Ed un potere politico sempre ondivago: si proibisce il possesso di dollari e si tollera il cambio nero nel microcentro di Buenos Aires; si introducono nuovi controlli sui capitali e li si cancellano nel giro di una settimana. Mentre il governo viene preso d’assalto da tutte le parti: prima gli attacchi ripetuti del gruppo mediatico che fa capo al Clarin, grancassa della borghesia reazionaria argentina; poi gli scioperi dei poliziotti e poi degli agricoltori.
E poi, soprattutto, i venti di tempesta sui mercati internazionali. Non è un caso che la svalutazione del peso sia arrivata in concomitanza con simili crisi in Turchia e Sud Africa. Sono anni, infatti, che le cosiddette economie emergenti attraggono capitali in fuga da un Occidente che non offre opportunità di profitto. Peccato che questo disordinato muoversi di risorse non abbia fatto altro che creare l’ennesima bolla; come sempre nessuno ha guardato ai fondamentali di queste economie, non ci si è curati della loro stabilità, delle prospettive di crescita. Bastava cercar far soldi, tanti, in fretta. Salvo poi svegliarsi una mattina ed accorgersi che l’economia internazionale ha ancora qualche problemino da risolvere, che la volatilità degli investimenti rimane sempre alta e che governi che sembravano stabili sono invece sempre a rischio. E di nuovo panico, di nuovo fuga di capitali, di nuovo venti di crisi. Con l’Argentina che rischia di trovarsi di nuovo in mezzo al ciclone

BRASILE
SAO PAULO
Le proteste di giugno sono nate da un aumento delle tariffe degli autobus. Ma poi sui cartelli dei manifestanti hanno fatto capolino altre questioni, come gli investimenti per i Mondiali. Secondo la Folha de Sào Paulo, il governo ha commissionato un dossier sul rap-porto tra le proteste e i Mondiali. Il risultato è chiaro: l’opinione pubblica non crede al "patrimonio" di sviluppo economico e infrastrutture che i Mondiali lasceranno al paese, soprattutto dopo aver scoperto da alcuni mezzi d’informazione che sono stati abbandonati molti progetti per la mobilità urbana, mentre gli investimenti per gli stadi sono raddoppiati. Gli strateghi della propaganda ufficiale hanno trovato la soluzione: bisogna incentrare il messaggio sul nazionalismo e sull’orgoglio calcistico. Il terreno principale della propaganda è internet. Sull’account Twitter di Dilma Rousseff è comparso l’hashtag # CopaDasCopas. Da luglio si è diffuso un hashtag contro i Mondiali, rilanciato da gruppi come Anonymous: # NàoVai-TerCopa (non ci saranno i Mondiali). Le intenzioni di chi usa l’hashtag variano, ma il go-verno teme un boicottaggio o proteste violente per fermare la manifestazione. Rousseff ha risposto con un altro hashtag: # VaiTerCopa (i Mondiali ci saranno). Resta da vedere chi vincerà la battaglia degli hashtag, e come questa retorica virtuale influirà sul rapporto tra i brasiliani e le piazze durante i Mondiali.

BRASILE
CAMERAMAN UCCISO
6 febbraio centinaia di persone hanno manifestato a Rio de Janeiro contro la decisione del sindaco, Eduardo Paes, di aumentare del 9 per cento le tariffe del trasporto pubblico. Ci sono stati scontri tra i manifestanti e la polizia, e un ordigno esploso durante le proteste ha ferito e poi ucciso il cameraman Santiago Andrade, della tv Bandeirantes. La polizia ha arrestato il principale sospettato della morte di Andrade. Secondo la Folha de Sào Paulo, "Andrade è stato vittima di una violenza irrazionale che si ripete da giugno sen-za che lo stato intervenga".

COLOMBIA
CHUZADAS ASÍ FUE LA HISTORIA
Il 3 febbraio la versione online della rivista Semana ha pubblicato un’inchiesta che sta facendo discutere la Colombia. Da un locale di Bogotà, dov’erano attivi un ristorante e un centro d’informatica, si realizzavano azioni di spionaggio militare. Da lì alcuni affiliati dell’esercito avrebbero spiato i funzionari del governo che stanno negoziando a Cuba la pace con le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Fare). Era legale? E chi aveva dato l’ordine di intercettare i negoziatori? Il 4 febbraio il presidente colombiano Juan Manuel Santos ha denunciato "le forze oscure che spiano i nostri delegati e stanno cercando di sabotare il processo di pace". Lo stesso giorno Santos ha sollevato dall’incarico Ricardo Mauricio Zùfiiga, capo dell’intelligence dell’esercito. Ma il giorno dopo è tornato sui suoi passi affermando che la sede, chiamata Andromeda, agiva nella legalità. Secondo Semana, che ricostruisce l’inchiesta nei dettagli, di legale c’è molto poco: "Dal materiale visionato finora è emerso che molte informazioni d’intelligence sono state ottenute illegalmente. E i nomi delle persone coinvolte non si fermano ai negoziatori".

AMERICA SETTENTRIONALE
NYC
IN DIFESA DI PETE SEEGER, COMUNISTA AMERICANO / Quando Pete Seeger è morto, lunedì, all’età di 94 anni, gli articoli in sua memoria, come era lecito attendersi, erano incentrati più sul suo attivismo sociale che sulla sua musica. Peraltro Seeger, il prototipo dell’instancabile messaggero di ogni causa, avrebbe gradito la cosa. Alcuni commenti erano lusinghieri, lodando ogni aspetto della sua attività. Ma la maggior parte di essi si muoveva sulla scia del commento equilibrato di Dylan Matthews del Washington Post, che ha twittato: “Amo Pete Seeger, e mi mancherà, ma non sorvoliamo il fatto che egli era un vero Stalinista”. Questo tentativo di fornire un giudizio equilibrato manca il punto. Non è che Pete Seeger ha fatto molte cose buone nonostante il suo storico legame con il Partito Comunista; ha fatto molte cose buone proprio perché era comunista. Quest’affermazione non vuole giustificare quella catastrofe morale e sociale che fu il socialismo reale nel XX secolo, ma piuttosto tratteggiare una distinzione tra il ruolo dei comunisti al potere e quello dei comunisti all’opposizione. Un giovane lavoratore del Bronx che distribuiva copie del Daily Worker nel 1938 non dovrebbe essere confuso con la nomenclatura che istituiva campi di lavoro dall’altra parte del mondo. Per quanto contro intuitivo ciò possa sembrare, nel corso del tempo i comunisti americani come Seeger sono stati sempre dalla parte giusta della storia, e attraverso la loro leadership hanno incoraggiato altri ad unirsi loro. I comunisti hanno guidato brutali stati di polizia nel blocco orientale, ma in Asia e in Africa si sono trovati alla guida delle lotte anti-coloniali, e negli Stati Uniti i radicali hanno rappresentato i primi e più ferventi sostenitori dei diritti civili e delle altre lotte per l’emancipazione sociale. Negli anni Trenta, i membri del Partito Comunista condussero un movimento militante antirazzista tra i mezzadri dell’Alabama per reclamare il diritto di voto, paghe uguali per le donne e terra per i contadini che non l’avevano. Importanti personalità apertamente staliniste quali Mike Gold, Richard Wright e Granville Hicks spinsero il New Deal di Franklin Delano Roosevelt ad essere più inclusivo e condussero la sindacalizzazione delle masse lavoratrici del periodo. Questi individui, legati insieme dall’appartenenza ad un’organizzazione che la maggior parte dei cittadini americani medi temeva e osteggiava, giocarono un importante ed estremamente positivo ruolo nella politica e nella cultura americana. Seeger era uno degli ultimi sopravvissuti legati a questa grandiosa eredità. Il comunismo americano era differente durante questi anni. Non era grigio, burocratico e rigido come in Unione Sovietica, ma creativo e dinamico. Irving Howe pensava fosse una “brillante mascherata” che combatteva per le giuste cause ma in modo ingannevole e opportunista. Ma c’era un fascino innegabile nel Partito Comunista – un’organizzazione che promuoveva feste e balli giovanili così come manifestazioni militanti – che attrasse inizialmente Seeger. Uno deve solamente rileggere le trascrizioni del suo interrogatorio del 1955 al Comitato di Sorveglianza delle Attività Antiamericane per notare la differenza tra l’ottusità degli interrogatori e lo scoppiettante ingegno del giovane ribelle. I comunisti americani erano gli oppressi, che combattevano il sistema per ottenere giustizia, le vittime della censura e della repressione poliziesca, non coloro che li perpetravano. Seeger, così come altri membri del partito, giunse a pentirsi delle illusioni che aveva mantenuto sull’Unione Sovietica. Si scusò nella sua autobiografia “Where have all the flowers gone” per aver pensato che “Stalin fosse un semplice condottiero severo e non invece un dittatore estremamente crudele”. Ma non abbandonò mai il suo impegno nella politica radicale. Assieme con Angela Davis e altri importanti precedenti esponenti del Partito Comunista, aiutò a formare il Commitees of Correspondence for Democracy and Socialism, un gruppo socialista democratico, nel 1991. Parlando di Seeger, Bruce Springsteen una volta ha etto che “è un archivio vivente della musica e della coscienza americana, una testimonianza del potere delle canzoni e della cultura di spingere in avanti la storia, di far muovere gli eventi americani verso conclusioni più giuste e umane.” In netto contrasto con il ruolo giocato dagli stati socialisti all’estero, è un buon modo per descrivere l’eredità del Partito Comunista negli Stati Uniti, un’eredità che Seeger non ha mai abiurato. ( di Bhaskar Sunkara )
Articolo di pubblicato sui siti di Al Jazzera America e della rivista americana di sinistra Jacobin: http://america.aljazeera.com/opinions/2014/1/peet-seeger-communistpartyactivism.html traduzione di Federico Vernarelli
segnalo anche: “We Shall Overcome”: Remembering Folk Icon, Activist Pete Seeger in His Own Words & Songs

USA
CALIFORNIA E COLORADO
L’ECONOMIA DEI DUE STATI SALVATA DALLA CANNABIS
La legalizzazione delle droghe leggere esplosa nell’ultimo anno negli Stati Uniti è figlia della crisi economica e dei buchi nei bilanci statali. La California è stato il primo Stato a legalizzare la cannabis nel 1996 per scopi terapeutici, facendo poi da apripista anche tra quelli che ora ne consentono l’uso ricreativo. La decisione è stata presa non per facilitare l’assunzione di droga ma come iniziativa in grado di portare nelle casse pubbliche 1,4 miliardi di dollari l’anno, grazie alla tassane, diminuendo allo stesso tempo i costi per forze dell’ordine e carceri locali, pieni di persone che avevano commesso crimini minori collegati al possesso di marijuana.
Quando nel 2010 è arrivato il via libera dell’allora governatore dello Stato, il Repubblicano Arnold Schwarzenegger, la California era sull’orlo del baratro a causa di un buco di bilancio che aveva raggiunto i 60 miliardi di dollari. Oggi le cose sono cambiate radicalmente grazie al rigore sociale, alle politiche di riduzione della spesa e perché no, alla tasse sulla vendita della marijuana, tanto che la scorsa primavera il nuovo governatore, il Democratico Jerry Brown, ha annunciato che la California non rischia più la bancarotta ma può anzi contare oggi su un surplus di 1,4 miliardi di dollari. La cifra esatta generata in anno dalle imposte sulla cannabis. La fallimentare strategia della «war on drugs», lanciata nel 1971 dall’allora presidente degli Stati Uniti Richard Nixon, starebbe insomma volgendo al termine, a partire proprio da dove era ini-ziata oltre 50 anni fa. Se prima c’era soltanto l’Olanda ad aver unilateralmente legalizzato la vendita delle droghe leggere nei suoi 670 coffeeshop, ora lo è anche in parte degli stessi Usa: in 18 Stati la vendita della cannabis per uso terapeutico, mentre in altri 11 addirittura la distribuzione commerciale. Oltreoceano è così nato un nuovo business, il cui valore potrebbe raggiungere nei prossimi quattro anni i 10 miliardi di dollari Le mul¬ti¬na¬zio¬nali, ovvia¬mente, non sono restate a guardare e scommettendo nella fine del proibizionismo si sono tuffate a capofitto nel nuovo business. Piccole e grandi aziende dell’industria della cannabis sono così sbarate in Borsa con ottimi risultati. C’è ad esempio MediSwipe, gruppo che produce bevande a base di marijuana, il cui titolo a gennaio ha registrato un balzo del 70%, oppure GreenGro Technologies, che produce tecnologie per la coltivazione di cannabis (+40%). Crescono anche le ditte biomedicali o farmaceutiche come Medbox, macchinari per ospedali anche per le cure alternative a base di marijuana (+16,6%) o GW Pharmaceuticals (2,6%). Un mercato che può soltanto continuare a crescere, visto l’imminente arrivo in diversi Stati a stelle e strisce dei distributori automatici touchscreenche che vendono pacchetti con 800 diverse varietà di marijuana. In Colorado, dove è stato legalizzato anche il consumo ricreativo, soltanto il primo giorno è stato incassato un milione di dollari, il 40% dei quali sono tasse. I tuor operator stanno così inserendo nei loro pacchetti visite ai centri produttivi per seguire la crescita delle piante e comprare cannabis. A dettare a livello mondiale l’inversione di rotta è stata una petizione presentata alle Nazioni Unite nell’ottobre 2011 dalla Global Commission on Drug Policy, composta da esperti, ex presidenti sudamericani e importanti personaggi pubblici, come l’ex numero uno dell’Onu Kofi Annan. Il loro rapporto dimostra che questo nuovo approccio umano e sociale in chiave antiproibizionista, attuato in alcuni Paesi eurOpei, in Canada e in Australia, abbia portato per i consumatori maggiori benefici rispetto alla criminalizzazione e alla repressione. Proprio in Sudamerica, l’Uruguay è finora il Paese che si è spinto più avanti: dall’aprile 2014 sarà la prima nazione al mondo a garantire ai suoi residenti maggiorenni un consumo procapite fino ai 40 grammi al costo di un dollaro l’uno e rilasciare licenze per la produzione.
Anche nella vecchia Europa, dopo la depenalizzazione del possesso e della coltivazione per uso personale in diversi Stati (persino in Russia) è tempo di primi bilanci. Il Portogallo è stato il primo a seguire que¬sta strada nel luglio 2001 con un’importante esperimento legislativo in materia, che lo ha reso sulle droghe il Paese più liberale del Vecchio continente. Tredici anni dopo i risultati sono più che incoraggianti: l’uso delle droghe tra i giovani si è ridotto, l’epidemia di Aids tra i consumatori è stata fermata, la delinquenza legata al narcotraffico è diminuita, mentre sono viceversa aumentati i sequestri di sostanze.

USA
FOOTBALL: USA, STELLA CAMPIONATO UNIVERSITARIO RIVELA DI ESSERE GAY / Michael Sam, stella della squadra di football americano dell’Università del Missouri, ha rivelato di essere gay. Con il suo coming out, l’anno prossimo sarà il primo giocatore della NFL apertamente omosessuale. Lo ha annunciato con un’intervista al New York Times, compiendo un gesto che rompe un tabù molto radicato in uno sport come il football. "Sono gay. Li ho guardati negli occhi (i suoi compagni ndr.), ed hanno agitato la testa come dicendo: ‘Finalmente è uscito dall’armadio’", ha confessato Sam nell’intervista, la prima nella quale parla pubblicamente di un orientamento sessuale, cosa rivelata alla sua squadra vari mesi fa.
Sam, 187 centimetri per 120 chili, è un difensore di livello assoluto: quest’anno la sua squadra ha vinto il campionato con numeri stellari, 12 partite vinte e solo 2 perse. E Sam è stato votato dai suoi compagni il miglior giocatore della stagione. Tra qualche mese sarà tra i giocatori più ambiti dai grandi club professionistici.
Primo e unico componente della sua famiglia ad aver fatto il College, Sam ha una storia personale molto complicata: settimo di otto figli, nato e cresciuto alla periferia di Houston, Texas, figlio di una madre single, ha passato gran parte della sua infanzia affidato a un’altra coppia. Tre dei suoi fratelli sono morti e due si trovano tuttora in prigione. Ma tutti, come sottolinea il Nyt, lo hanno appoggiato in questa sua scelta coraggiosa.
USA
USA, LE "TOMBE DI SALE" PER LE SCORIE NUCLEARI NEL DESERTO DEL NEW MEXICO / Negli Stati Uniti si riaccendono i riflettori sui rifiuti nucleari, tonnellate di scorie che costituiscono il retaggio degli esperimenti per creare le armi atomiche e per affrontare la Guerra Fredda. Dopo la recente pubblicazione dell’inchiesta del Wall Street Journal sulla presenza di decine di migliaia di barili carichi di rifiuti nucleari nei fondali marini al largo delle coste statunitensi, è ora la volta del deserto di sale del New Mexico.
L’incidente avvenuto la scorsa settimana – un camion che trasportava sale che ha preso fuoco, fortunatamente lontano dai siti in cui sono sepolte le scorie – ha infatti riportato la vicenda sulle pagine dei giornali americani. "Il dipartimento dell’Energia sta scavando spazi grandi come campi da calcio e stipandoci dentro barili e contenitori di rifiuti nucleari", racconta il New York Times.
Si tratta di "tombe di sale" realizzate dal governo federale per isolare e sigillare l’attività atomica del passato. Ogni anno, secondo le stime pubblicate dal Times, si forma sulla superficie del deserto un nuovo strato minerale di circa 15 centimetri, assicurando un isolamento dei barili che secondo gli ingegneri di Washington sarà efficace per milioni di anni. Il seppellimento delle scorie atomiche nel deserto del sale del New Mexico – tra le mete turistiche naturali più suggestive del sud degli Stati Uniti – è iniziato nel 1999 ed è incrementato dopo che il Nevada ha negato al governo federale la possibilità di depositare i barili sotto la formazione montuosa dello Yucca, una cresta di roccia vulcanica non lontana dal confine con la California.
Sebbene gli studiosi sostengano che non ci siano particolari controindicazioni per la trasformazione del deserto del New Mexico in un cimitero di barili di scorie – assicurando che "il sale non viene minimamente contaminato" – c’è chi si oppone con forza. Don Hancock, ai vertici del Southwest Research and Information Center – un centro fondato per informare la cittadinanza sugli effetti dei programmi per l’energia nucleare – teme per le generazioni future. Essendo l’area ricca di petrolio e gas, tra qualche secolo qualcuno potrebbe avviare un’attività estrattiva senza sapere esattamente cosa giace sotto quello spesso strato di sale e provocare una pericolosa fuoriuscita di scorie.

WASHINGTON
OBAMA FIRMA IL "TEN TEN", SALARIO MINIMO E SCALA MOBILE
Si chiama ‘Ten Ten’. E’ lo slogan con cui Barack Obama lancia l’offensiva perche’ ovunque in America il salario minimo sia aumentato a 10,10 dollari l’ora: per i lavoratori dei fast food, per quelli delle mense, per quelli delle lavanderie. Sono le categorie piu’ deboli – spiega – che fanno un lavoro duro senza avere un futuro. Come anche i lavoratori disabili, spesso discriminati sul fronte della paga, retribuiti anche al di sotto del minimo.
"Ten Ten, 10,10 dollari. E’ un aumento che fara’ la differenza per molte persone", ha spiegato il presidente Usa in occasione della firma del decreto che aveva annunciato nell’ultimo discorso sullo Stato dell’Unione: quello che obbligherà tutte le aziende che lavorano per l’amministrazione federale ad innalzare il salario minimo dei propri addetti (compresi quelli con problemi di disabilità) da 7,25 a 10,10 dollari l’ora. Gli aumenti scatteranno dal primo gennaio del prossimo anno e riguarderanno tutte le nuove assunzioni e poi, via via, i rinnovi contrattuali.
Insomma, Obama ha mantenuto la promessa e chiede a tutti di seguire l’esempio del governo federale: "Chiedo a tutti gli imprenditori, ai governatori, ai sindaci, ai leader locali: volete alzare i salari?". "Ten Ten", ripete, sottolineando come "aumentare i salari minimi non e’ un ostacolo alla crescita. E’ invece un bene per i lavoratori, ma anche per le imprese e per l’economia. Piu’ salario – spiega – significa piu’ consumi, piu’ guadagni per le aziende e, dunque, piu’ assunzioni".
Un circolo virtuoso che per il presidente americano va innescato a tutti i costi, per cominciare ad aggredire seriamente le troppe diseguaglianze che ancora caratterizzano la societa’ americana. E che rappresentano una enorme minaccia al mito dell’American Dream, il sogno americano
Obama rilancia anche la proposta di introdurre una sorta di ‘scala mobile’, un meccanismo che agganci il valore degli stipendi all’andamento effettivo dei prezzi al consumo: "Se il salario minimo fosse agganciato all’inflazione sarebbero gia’ piu’ di 10,10 dollari", afferma, invitando il Congresso a non tirarsi indietro e a fare anche sul tema delle retribuzioni la sua parte.
STATI UNITI
L’8 febbraio il ministro della giustizia Eric Holder (nella foto) ha detto che i gay sposati potranno rivendicare gli stessi diritti delle coppie etero davanti ai tribunali federali. Cuba II 10 febbraio l’Unione europea ha approvato l’apertura dei negoziati con l’Avana per un accordo di dialogo politico e cooperazione economica

CANADA
ESAMI DI CITTADINANZA
Test di lingua più difficili, una tassa di 300 dollari canadesi per fare la domanda e la prova di aver vissuto nel paese e pagato le tasse per almeno quattro an-ni: sono alcune delle novità contenute nella proposta di riforma della legge sulla cittadinanza avanzata dal governo canadese il 6 febbraio. L’esecutivo conservatore di Stephen Harper vorrebbe inoltre dare più poteri al ministro per la cittadinanza e l’immigrazione Chris Alexander, che potrà revocare la cittadinanza, senza bisogno di un processo, a chi l’ha ottenuta fornendo informazioni false e ai cittadini con doppia cittadinanza che abbiano partecipato ad attacchi terroristici anche fuori dal Canada. "Questa legge minaccia seriamente i diritti di tutti i cittadini canadesi, rendendoli più vulnerabili agli abusi commessi dal governo", scrive il Toronto Star. "Inoltre i nuovi requisiti rendono la cittadinanza un obiettivo irraggiungibile per molti immigrati".

(articoli da: NYC Time, Time, Guardian, The Irish Times, Das Magazin, Der Spiegel, Folha de Sào Paulo, Clarin, Nuovo Paese, L’Unità, Internazionale, Il Manifesto, Liberazione, Ansa , AGVNoveColonne, ControLaCrisi, Le Monde e Al Qudsal Arabi )
PER LE ASSOCIAZIONI,CIRCOLI FILEF, ENTI ed AZIENDE. Sui siti www.emigrazione-notizie.org e www.cambiailmondo.org è possibile utilizzare uno spazio web persona

 

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