10987 DEBITO PUBBLICO E MOVIMENTO 5 STELLE

20131227 09:56:00 guglielmoz

In occasione del dibattito alla Camera dei Deputati sulla fiducia al Governo Letta, chi scrive ha avuto modo di ascoltare l’intervento dell’On. Villarosa, il quale ha ricordato i dati sull’aumento del debito pubblico italiano dal 2005 a oggi, usando testualmente queste parole: “Avete ingrossato il nostro debito fino a farlo triplicare rispetto alle nostre entrate. Il debito nel 2005 era di 1512 miliardi dopo solo otto anni di vostra gestione e di europa nel 2013 siamo arrivati a 2068 miliardi. In 8 anni vi siete mangiati 556 miliardi”.
Ora, chi scrive non è un economista, ma c’è da rimanere perplessi quando le cifre vengono usate a scopo strumentale e puramente propagandistico, poiché così non si contribuisce alla risoluzione dei problemi, anzi si pongono le premesse per creare ulteriori problemi.

Ora, chi scrive non è un economista, ma c’è da rimanere perplessi quando le cifre vengono usate a scopo strumentale e puramente propagandistico, poiché così non si contribuisce alla risoluzione dei problemi, anzi si pongono le premesse per creare ulteriori problemi.
Vediamo alcuni concetti fondamentali:
1) deficit pubblico: nel corso di un anno le uscite pubbliche sono superiori alle entrate;
2) debito pubblico: la somma di tutti i deficit degli anni precedenti;
3) avanzo primario: il bilancio dello Stato sarebbe in attivo se non si dovessero pagare gli interessi sul debito pubblico (cioè il servizio del debito).

Adesso, se si vanno a vedere i conti, anche senza ricordare le statistiche precisamente giacché esse sono disponibili su internet e sono reperibili dunque molto facilmente, si vede chiaramente come in realtà l’incremento di cui parla l’On. Villarosa non dipende dal fatto che i politici in Italia si sono mangiati 556 miliari di euro. Anche volendo, sarebbe stato materialmente impossibile. Questo incremento di debito pubblico dipende unicamente dal servizio del debito, ovverosia dal pagamento degli interessi sul debito. Matematicamente, non dipende cioè dalla necessità di finanziare nuove spese, perché le entrate e le spese dello Stato sono sostanzialmente in equilibrio se non si dovesse considerare il servizio del debito.
Ciò vuol dire, ulteriormente, che chi si è mangiato questi 556 miliardi non sono stati esattamente i politici, come suppostamente si dovrebbe dedurre dall’intervento dell’On. Villarosa, bensì sono stati i finanziatori dello Stato italiano, in particolare i mercati finanziari.
È del tutto evidente a chi scrive che il problema ovviamente ha una complessità suppletiva, dal momento che il tasso di interesse sul debito non è altro che un premio sul rischio del paese e quindi sull’insicurezza che si prova nel prestare i soldi al nostro paese. Da che può dipendere una simile insicurezza, considerato per di più che la situazione si è aggravata negli ultimi tre anni in cui i tassi sono esponenzialmente saliti?
Due possono essere le cause principali, che peraltro probabilmente si intrecciano: a) la credibilità del nostro sistema politico nel garantire la solidità del bilancio pubblico (evidentemente deterioratasi nel decennio berlusconiano); b) la scarsa crescita economica del nostro Paese e la sua incapacità a porsi strutturalmente su un sentiero di performance più elevato.
Stando così le cose, premesso che chi scrive condivide l’opinione di quanti ormai chiedano un ricambio della classe dirigente del Paese (alla luce peraltro del degrado che si è registrato in Parlamento per via di una legge elettorale palesemente volta a determinare un abbassamento del livello complessivo), a condizione però che questo non avvenga unicamente per parametri generazionali ma si fondi sulle competenze delle persone, le leve per agire possono muoversi in due direzioni. O nella direzione di una ripresa economica eventualmente prodotta da politiche pubbliche espansive, in termini di spesa per investimenti, riduzioni fiscali e aumento delle prestazioni sociali. O nella direzione di un intervento sul debito.
Il problema è che non si può far molto in entrambe le direzioni tenuto conto dei vincoli imposti dai trattati comunitari. A questo punto, osservando peraltro che pur essendo probabilmente arrivati al punto di svolta del ciclo, anche se l’Italia probabilmente continuerà a stagnare il prossimo anno sia pure non essendo più tecnicamente in recessione, ci troviamo in una fase in cui i massimi effetti di caduta della produzione si stanno avvertendo ora (come è d’uso in economia), si pone la necessità politica di trattare a livello europeo per una rinegoziazione dei vincoli di politica di bilancio e di politica monetaria perché l’esperienza ci dimostra che la politica economica disegnata dai trattati europei è fallimentare.
Volendo ammettere che non sia possibile interevenire sui parametri classici (o volendo ammettere piuttosto che l’obiettivo di un consolidamento del bilancio pubblico sia comunque condivisibile nel lungo periodo, seppure non nelle modalità disegnate da Maastricht in poi), ad esempio deficit/Pil, dovrebbe rimanere possibile una politica monetaria e di servizio al debito diversa dall’attuale, dal momento che l’attuale impone in pratica agli Stati di finanziarsi unicamente tramite il mercato, con tutti i rischi che ne conseguono.
Vediamo alcune alternative:
1) l’Italia potrebbe dichiarare l’insolvenza sui propri titoli o quantomeno una moratoria sui pagamenti per un certo periodo di tempo;
2) l’Italia potrebbe effettuare, d’accordo coi suoi creditori, una ristrutturazione del suo debito (un hair cut, come si dice), se del caso giungendo a estinguere una quota di crediti d’intesa coi creditori, come ha fatto di recente la Grecia, o anche solo spalmando il proprio debito su un tempo più lungo riducendo parallelamente il saggio di interesse;
3) l’Italia dovrebbe insistere affinché la BCE inizi direttamente operazioni di monetizzazione del debito pubblico, cioè acquisti direttamente il suo debito a tassi agevolati, così da creare un meccanismo di finanziamento alternativo a quello di mercato;
4) insieme a quest’ultima misura, l’Italia potrebbe chiedere di reintrodurre, almeno per un certo periodo di tempo, delle restrizioni ai movimenti di capitale.

La prima misura sembra politicamente ed economicamente un azzardo. Più che altro perché, se è vero che l’Argentina dopo una misura del genere si è economicamente ripresa, sebbene con tutti i limiti del caso, non bisogna dimenticare che molto probabilmente una dichiarazione di default, definitiva o temporanea che sia, dovrebbe comportare, per garantire una ripresa, l’uscita parallela dall’euro, il ritorno alla lira e una sua immediata svalutazione. Con il problema però che, come ci dimostra l’esperienza argentina, la caduta del PIL il primo anno non si arrestrebbe, anzi si aggreverebbe. Ce lo possiamo permettere?
Piuttosto, verrebbe da domandarsi se oggi non sia conveniente discutere per la prima volta di un hair cut del debito, che riesca a incidere sulla spesa per interessi. Anziché effettuare privatizzazioni di dubbia utilità, magari vendendo imprese che garantiscono profitti dacché sono le uniche appetibili dal mercato, sarebbe molto più utile trattare coi creditori per avviare un processo di dimagrimento del debito. D’altronde, se le condizioni del nostro paese viaggiano verso l’insolvenza nel lungo termine, il coltello dalla parte del manico, secondo la teoria dei giochi, sta dal lato del debitore piuttosto che del creditore e non si vede perché i nostri creditori non dovrebbero accettare proposte del genere, specialmente poi quando buona parte del nostro debito è ancora in mano italiana.
La seconda mossa, benché ciò implichi una sorta di mutualizzazione implicita quantomeno del nuovo debito, dovrebbe essere quella di consentire una buona volta alla BCE di poter acquistare il debito degli Stati dell’eurozona così da sottrarlo alle intemperie del mercato.
Ciò che l’Italia non si può più permettere, invece, è di costringere i cittadini a pagare nuove imposte per finanziare il servizio del debito o di continuare con tagli alla Pubblica Amministrazione quando le spese per la sua gestione, ivi incluse le spese per il personale (tartassato da anni col blocco delle retribuzioni), sarebbero già coperte se non fosse per gli interessi sul debito.
Sarebbe bene, allora, che il Movimento 5 Stelle iniziasse a prendere di petto queste questioni affrontandole nella loro dimensione complessa e complessiva, anziché prendere un solo punto e dirigerlo a scopi propagandistici e anche palesemente falsi contro gli altri. Oltretutto, a forza di dimagrire spese, quelle istituzionali, che in realtà sarebbero coperte, anche se poi vengono usate molto male dalla classe politica, si rischia di desertificare tutto il panorama istituzionale e di ridurre in futuro la politica stessa all’impotenza.
Chi scrive non ha votato il Movimento 5 Stelle, ma ha sperato che fosse portatore di un nuovo modo di fare politica, più attento ai fatti e alla realtà che alla propaganda, e che desse una scossa per cercare di avvicinare la soluzione dei problemi, soluzione che va impostata sulla base della situazione reale e non della propaganda.
Speriamo, dunque, in un loro prossimo cambio di passo.

 

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