10982 NOTIZIE dall’ITALIA e dal MONDO 21 dicembre 2013

20131223 02:53:00 guglielmoz

ITALIA – CRISI, ITALIANI PIÙ POVERI. E NEL 2014 LA RIPRESA ANDRÀ A FAVORE DI BANCHE ED EQUITALIA /Calano, per la prima volta da anni, i prezzi e il valore delle case e la ricchezza delle famiglie italiane, già messa sotto pressione dalla crisi, subisce una ulteriore, decisa, erosione
VATICANO – Chiesa povera? La faccia tosta di “Avvenire” sull’ottopermille
EUROPA –
AFRICA & MEDIO ORIENTE – Sudafrica. L’eredità tradita / di Nelson Mandela non nasconde lo scontento della popolazione verso l’African national congress (ANC, al governo dal 1994) e, in particolare, verso il presidente Jacob Zuma.
ASIA & PACIFICO – BALI COMMERCIO GLOBALE, IL PACCO DI BALI / Poche luci e tante ombre sul pacchetto di misure approvate la settimana scorsa a Bali dai 160 paesi membri dell’Organizzazione mondiale del commercio
AMERICA CENTROMERIDIONALE – CILE. La ex-presidente Michelle Bachelet vince senza sorprese (62,16 %) e nella corsa alla presidenza lascia dietro di sé Evelyn Matthei (32,87 %), l’impresentabile candidata della destra nostalgica, con una differenza di quasi un milione e mezzo di voti.
AMERICA SETTENTRIONALE – da NEW YORK a LOS ANGELES, a CHICAGO a WASHINGTON
ALTRO CHE RIPRESA, AUMENTANO HOMELESS E POVERI / I bollettini economici degli Usa nelle ultime settimane segnano sempre valori positivi, a cominciare dal calo della disoccupazione.

ITALIA
ROMA
CRISI, ITALIANI PIÙ POVERI. E NEL 2014 LA RIPRESA ANDRÀ A FAVORE DI BANCHE ED EQUITALIA
Calano, per la prima volta da anni, i prezzi e il valore delle case e la ricchezza delle famiglie italiane, gia’ messa sotto pressione dalla crisi, subisce una ulteriore, decisa, erosione. A segnalarlo e’ la Banca d’Italia secondo cui il calo del tradizionale bene rifugio mattone porta cosi’ il passivo della ricchezza netta dal 2007 a -9% a prezzi costanti. La media fissa la ricchezza a 143 mila euro pro capite e a 357 mila euro per famiglia su un valore totale di 8542 miliardi di euro con un ribasso dello 0,6% a prezzi correnti e del 2,9% in termini reali. E nei primi sei mesi del 2013 le stime parlano di un ulteriore -1%.
E cosi’ per la prima volta dal 1995 il totale del valore delle proprietà immobiliari detenute dalle famiglie e’ sceso da oltre 5000 miliardi a quota 4832 (-3,9% che arriva a -6% in termini reali), un ribasso che peraltro e’ proseguito nei primi mesi del 2013 facendo vaporizzare in 18 mesi oltre 270 miliardi di valore. Il mercato infatti e’ stretto fra le tenaglie del restringimento del credito da parte delle banche e dal calo del reddito per colpa della crisi che provoca meno richieste di mutui e che solo ora mostra qualche timido segnale di ripresa.
Anche il risparmio viene limato e ‘nel 2012 e’ sceso per il settimo anno consecutivo in termini nominali, risultando pari a 36 miliardi di euro”. Alla fine degli anni novanta si attestava in media intorno ai 100 miliardi di euro.
Insomma, il refolo di ripresa di cui il Governo parla rischia di essere meno di un alito e questo per il semplice motivo che le famiglie si stanno indebitando e quindi ammesso che i lievi incrementi di Pil possano dare qualche incremento di reddito, questo andrà in direzione dei creditori. E se non saranno le banche sarà il pareggio di bilancio a spillare soldi dalle tasche degli italiani.
Proprio ieri il presidente del Centro Studi di Economia Reale, Mario Baldassarri, ha sottolineato che alla luce della legge di stabilità la cosiddetta "ripresa appare molto incerta”. Nel 2014 – spiega – solo +0,2% e non l’1%", prospettato da ministro dell’economia Fabrizio Saccomanni. E il tasso di crescita continuera’ a essere assolutamente modesto anche negli anni successivi. Il Pil tornerebbe ai livelli del 2007 nel 2022. Per vedere qualche segnale piu’ incoraggiante bisognera’ attendere il 2015, quando si registrerà un +1,3%. Ma l’anno prossimo la disoccupazione crescera’ ulteriormente, prima di ripiegare a partire proprio dal 2015. "Il quadro previsionale – ha detto Baldassarri – fino al 2018 dice che nei prossimi cinque anni saranno aumentate le tasse per 98 miliardi, che servono a ridurre il deficit e ad aumentare di pochi miliardi gli investimenti. E’ evidente che il rapporto debito/pil inizia a scendere dopo il 2017. La nostra previsione ci dice che, con questa legge di stabilita’, nel 2013 avremo -1,9%, +0,2% nel 2014, +1,3% nel 2015, +1,5% nel 2016. Con questa legge di stabilita’ un +0,1 nel 2014 e nel 2015. Rispetto al 2007 abbiamo perso il 10% di pil.
ROMA
IN ITALIA LA POLITICA? SOLO CON I SOLDI DEI RICCHI E DEI POTENTI.
Sentite le grida di giubilo e gli squittii con cui lor signori (equamente distribuiti fra i partiti maggiori) stanno salutando, in compagnia dell’innocuo esercito grillino, l’abolizione di ogni forma di finanziamento pubblico dei partiti. “Neanche un quattrino (dalle finanze pubbliche) ai partiti”, annunciano garruli, a petto in fuori, facendo a gara a chi si intesta il risultato di questa presunta campagna moralizzatrice. E’ raggiante Letta (“Quando il governo è nato tra le priorità aveva l’abolizione del finanziamento con una riforma e un nuovo sistema basato sulla volontarietà dei cittadini”); è felice Renzi che di questo obiettivo aveva fatto il proprio cavallo di battaglia; esulta Gaetano Quagliariello (”E una è andata: abolito il finanziamento pubblico ai partiti! Ecco i fatti”); rilancia, come sempre, L’egoarca a 5 Stelle che chiede a Letta di restituire “i 45 milioni di rimborsi elettorali del Pd a iniziare da quelli di luglio”.
Quello che, ahinoi, i più non hanno capito, a partire dai diseredati che ne pagheranno le conseguenze, è che con questa decisione il Consiglio dei ministri consegna la politica a quelle formazioni i cui referenti sociali, o (per meglio dire) i cui “clientes”, possono permettersi laute elargizioni (private) affinché i propri interessi siano ben rappresentati nelle sedi che contano. E’ la politica che torna ad essere un privilegio dei ricchi, le cui lobbies terranno al guinzaglio ministri, sottosegretari, deputati e senatori nonché, ovviamente, segretari di partito che a quei munifici emolumenti dovranno la propria esistenza. L’assalto populistico al finanziamento pubblico, condotto nel nome del repulisti contro gli sprechi e le malversazioni di cui la ‘casta’ si è macchiata, è servito a rendere chiaro che da oggi la politica sarà, più di quanto non sia mai stata, roba da piani alti dell’edificio sociale. Chi fra i propri finanziatori potrà collezionare industriali, finanzieri (più o meno d’assalto), proprietari di hedge fund , immobiliaristi, professionisti à la page , avrà diritto di fare politica; gli altri, ed in particolare quei partiti che ancora si ‘attardano’ a rappresentare il lavoro dipendente, proletario e precarizzato saranno consegnati a vita grama, gramissima. E’ quello che già sta accadendo sul fronte dell’editoria, della carta stampata, sequestrata e monopolizzata da finanziatori dal portafoglio gonfio, i soli che spopolano sul mercato dell’informazione e che esercitano una funzione disciplinare sul pensiero, sulle opinioni di larghe masse popolari. Dopo la legge elettorale maggioritaria, che fra premio di maggioranza e soglia di sbarramento abolisce il criterio secondo cui “ogni testa vale un voto” e distrugge il principio proporzionale della rappresentanza parlamentare, ora si assesta un colpo solenne e definitivo al pluralismo politico e al diritto ad esistere delle minoranze.
Poi Letta ha provato a raddrizzare un po’ la barra, spiegando che “con la nuova disciplina “ASSEGNIAMO TUTTO IL POTERE AI CITTADINI”, perché “il cittadino che vuole dare un contributo a un partito lo può fare attraverso il 2 per mille o con contribuzione volontaria”. Già: il 2 per mille di Agnelli ai partiti che fanno gli affari suoi e il 2 per mille dell’operaio, del cassaintegrato, o del disoccupato che vive di Aspi alle formazioni che provano a rappresentare questi soggetti sociali. Un capolavoro! Ma niente paura, dice Letta, “il sistema “non frega il cittadino” perché “l’inoptato rimane allo Stato”. Il diritto al voto secondo il censo: manca solo questo. Ma forse non ce n’è neppure più bisogno.

VATICANO
CITTA’ DEL VATICANO
Chiesa povera? La faccia tosta di “Avvenire” sull’ottopermille / A proposito di povertà della Chiesa: tra il Patto delle catacombe e papa Francesco, l’Avvenire pretende di “infilarci” il sistema fondato sul Concordato e sull’ottopermille che ha fatto ricca la Chiesa in Italia. Quanta faccia tosta!
Alcune informazioni: al Concilio il tema della povertà della Chiesa e nella Chiesa fu affrontato da una minoranza di padri conciliari. Alla fine, nel novembre del 1965, essi firmarono un testo (detto Patto delle catacombe) con il quale si impegnarono a uno stile di vita molto sobrio e ad abbandonare l’apparenza e la realtà della ricchezza delle strutture episcopali ed anche altri simboli esterni (titoli, onori…). Da allora questo documento è diventato il punto di riferimento per chi, nella Chiesa, ha cercato di tenere viva la riflessione e la proposta di una Chiesa povera e dei poveri. Nel nostro paese questa tematica, nella teoria e nella pratica, è finita in un angolo nel mondo ecclesiastico ed è stata trascurata anche nella generalità del mondo cattolico. Luisito Bianchi ne è stato il profeta inascoltato.
Con papa Francesco la situazione è completamente cambiata (dovrebbe cambiare). Nelle sue interviste e nella Evangelii Gaudium le sue parole sulla Chiesa povera non sono equivocabili.
Ora l’Avvenire, con un editoriale di Umberto Folena (12 dicembre), fa un’opera di manipolazione troppo evidente perché sia efficace. Egli sostiene che è nella stessa linea del Patto delle Catacombe e di papa Francesco anche il documento dei vescovi italiani “Sovvenire alle necessità della Chiesa” del 1988. Per i non addetti ai lavori ricordo che questo è il testo fondamentale (riconfermato vent’anni dopo) con cui la CEI, insieme a tante belle parole, annunciava e strutturava il sistema, fondato sul nuovo Concordato Craxi-Casaroli del 1984, con cui la Chiesa italiana dal 1990 avrebbe goduto di ingenti risorse grazie soprattutto (ma non solo) al sistema dell’ottopermille; il gettito per il 2012 è stato di 1.148 milioni, dei quali solo il venti per cento è destinato a opere caritative (tra queste il 7,5 per cento al terzo mondo). Sono risorse che, dal 1990 in poi, si sono circa quintuplicate rispetto a quelle di cui la Chiesa godeva precedentemente.
In Europa la Conferenza episcopale italiana è la più ricca dopo quella tedesca. Con le risorse dell’otto per mille la presidenza Ruini ha potuto organizzare l’attuale forte struttura centrale della CEI (che papa Francesco ha chiesto di contenere decentrando alle conferenze episcopali regionali), aprire una televisione (TV 2000), mantenere l’Avvenire, garantire a ogni membro del clero una retribuzione certa e costante e fare tanti altri interventi.
Chiesa povera? E anche – per dirla tutta – Chiesa dei poveri e per i poveri intervenendo in politica sempre a favore dei poteri forti rappresentati dal centrodestra?

EUROPA
GERMANIA
BERLINO
LA GROSSE-KOALITION SEGNATA DA UNA SASSAIOLA CONTRO LA SEDE DELL’SPD A BERLINO / La stampa lo ha definito un "attacco in piena regola", ma il blitz contro la sede della Spd a Berlino non è andato oltre un fitto lancio di sassi. Comunque, l’azione è arrivata nella notte seguita alla presentazione dei ministri di grande coalizione tra l’Unione di Cdu/Csu e la socialdemocratica Spd, alla vigilia dell’elezione della cancelliera Angela Merkel per il suo terzo mandato consecutivo da cancelliera. Coperti dal buio, tra lunedì 16 e martedì 17, alcuni sconosciuti hanno preso a sassate la centrale del partito socialdemocratico a Berlino, la Willy-Brandt-Haus, danneggiando 14 vetrate.
Secondo le prima indagini, tra i sospettati ci sarebbero appartenenti alla scena degli autonomi radicali di sinistra. Sull’episodio sono al lavoro gli uomini della polizia criminale, responsabile per i delitti di natura politica. Stando alle testimonianze raccolte, intorno all’1.15 della scorsa notte un gruppo di circa 15 persone ha tirato una serie di blocchetti di pietra, tipo sampietrino, sulle vetrate della facciata della Willy-Brandt-Haus. Prima dell’arrivo della polizia gli autori del gesto sono riusciti a fuggire, qualcuno anche in bicicletta.

BELGIO
BRUXELLES
BASTA TAGLI, SCONTRI TRA POMPIERI E POLIZIA / Centinaia di pompieri si sono scontrati con altrettanti agenti in assetto antisommossa, nella capitale belga Bruxelles, per protestare contro le misure decise dal governo che tagliano pesantemente vari settori della pubblica amministrazione, Vigili del Fuoco compresi. Non è la prima volta che i pompieri del paese decidono di adottare forme determinate di protesta e si scontrano con i celerini – era successo anche lo scorso anno – sui quali i dimostranti in divisa hanno scaricato quintali di schiuma antincendio arrivando fino allo scontro fisico davanti alla sede del Primo Ministro Elio Di Rupo. La polizia ha cercato di bloccare i dimostranti con un ampio ricorso al manganello ma senza grande successo visto che i Vigili del Fuoco indossavano il casco d’ordinanza. Nel mirino dei pompieri in mobilitazione, oltre ai tagli al finanziamento del corpo quelli alle loro pensioni e l’allungamento della loro età lavorativa, assurdo se si considera la pericolosità delle condizioni in cui devono operare quotidianamente durante incendi, alluvioni ecc. Misure che il governo belga naturalmente giustifica in nome dell’austerity e della necessità di ridurre la spesa pubblica. A scapito della sicurezza dei cittadini oltre che dei diritti dei lavoratori.

RUSSIA
II 16 dicembre il governo ha confermato di aver schierato dei missili a corta gittata nell’exclave di Kaliningrad in ri-sposta al progetto di scudo anti-missile della Nato.
La Duma ha approvato il 18 dicembre una legge di amnistia che prevede anche la scarcerazione degli attivisti di Greenpeace arrestati a settembre e delle Pussy Riot.

UCRAINA
KIEV SI AVVICINA ALLA RUSSIA
Mentre nelle strade di Kiev continuano le manifestazioni contro il governo, colpevole di aver interrotto il processo di avvicinamento all’Unione europea, la situazione politica e diplomatica tra l’Ucraina, Mosca e Bruxelles rimane intricata. Il 15 dicembre Bruxelles ha fatto sapere che per il momento considera sospesa la trattativa con Kiev, e due giorni dopo il presidente ucraino Viktor Janukovic (nella foto con Putin) è stato in visita a Mosca, incassando da Vladimir Putin un cospicuo sconto sulle forniture di gas e l’impegno del Cremlino a investire 15 miliardi di euro in titoli di stato ucraini. Nell’incontro non si è parlato esplicitamente del progetto russo di un’unione doganale eurasiatica, ma i due paesi hanno siglato importanti protocolli di collaborazione in materia di commercio. Secondo il settimanale ucraino Zerkalo Nedeli, "l’opposizione vuole sapere cosa l’Ucraina ha promesso alla Russia in cambio del taglio del prezzo del gas e del prestito. Stando a uno dei suoi leader, Vitali] Klicko, Janukovic ha dato come garanzia l’intero paese, con le sue imprese e le sue infrastrutture energetiche". Più prudente è il sito russo Gazeta: "Putin ha teso la mano a Janukovic, ma è an-cora presto per affermare che la Russia sia riuscita a fare compiere a Kiev un passo decisivo verso l’unione doganale e a convincerla a rinunciare per sempre all’integrazione europea".

SPAGNA
LO STRAPPO DELLA CATALOGNA
El Pais 13 dicembre 2013 / Il 12 dicembre il presidente della comunità autonoma della Catalogna, Artur Mas, ha annunciato che il referendum sull’indipendenza della regione si terrà il 9 novembre 2014. "Una sfida in piena regola alle istituzioni", scrive EI Pais, "e un altro passo verso la crisi costituzionale". La consultazione, in programma due mesi dopo il voto sull’indipendenza della Scozia, sarà articolata in due quesiti. Chi dirà sì al primo – "Vuoi uno stato catalano?"- dovrà rispondere anche al secondo: "Vuoi che questo stato sia indipendente?". In questo modo, sostiene Mas, tutti i cittadini potranno dire la loro, "sia chi desidera solo una modifica dello statuto politico catalano, sia chi vuole l’indipendenza". Le opzioni, quindi, sono due: la prima non implica la secessione da Madrid (sul modello della Baviera, che si definisce uno stato, ma rimane all’interno della Repubblica federale di Germania), ma la seconda, chiaramente indipendentista, è molto più problematica, commenta La Vanguardia. Per questo, aggiunge il quotidiano di Barcellona, l’iniziativa è stata definita "illegale" dal premier Mariano Rajoy, il quale ha anche dichiarato che "rifiuterà categoricamente" di autorizzare lo svolgimento del referendum, in quanto "contrario alla costituzione e alla sovranità di tutti gli spagnoli".

SPAGNA
Migliaia di persone hanno partecipato il 14 dicembre a una manifestazione a Madrid contro un progetto di legge che vieta le proteste da-vanti alle sedi del parlamento e del governo.

AUSTRIA
IL COMPROMESSO AL GOVERNO
Il 12 dicembre, a tre mesi dalle elezioni legislative, i conserva-tori dell’Ovp e i socialdemocratici dell’Spò hanno annunciato un accordo che conferma la grande coalizione, al governo a Vienna dal 2007. Il socialdemo-cratico Werner Faymann resta cancelliere, mentre Michael Spindelegger, il leader dell’Ovp, sarà ancora il suo vice. Unica grande novità è Sebastian Kurz, ministro degli esteri a soli 27 an-ni. "La grande coalizione", commenta Die Presse, "è tipica-mente austriaca, cioè un governo basato sul compromesso tra i partiti", il cui scopo non è "rea-lizzare le cose, ma impedirle. E sarà così anche questa volta: i temi su cui l’Òvp e l’Spò non sono d’accordo saranno praticamente ignorati".

AFRICA & MEDIO ORIENTE
MEDIO ORIENTE
NEGOZIATI INCONCLUDENTI
Gli attuali negoziati tra israeliani e palestinesi non porteranno a una soluzione del conflitto, scrive Moshe Arens su Ha’aretz. L’obiettivo delle pressioni sempre più forti esercitate dall’inviato statunitense John Kerry (nella foto) è solo ottenere "il ritiro delle forze armate israeliane da Giudea e Samaria, lasciando irrisolte le altre questioni". Alcuni alti funzionari palestinesi hanno criticato l’amministrazione Obama, accusandola di favorire Israele nei negoziati, scrive Ha’aretz. "La mancanza di progressi nei colloqui con Israele solleva ancora una volta la questione della riconciliazione tra Al Fatah e Hamas". L’agenzia palestinese Ma’an ha rivelato che l’organizzazione islamica al potere nella Striscia di Gaza è pronta a formare un governo di unità nazionale in vi¬sta delle prossime elezioni legislative e presidenziali.
Il 15 dicembre un soldato israeliano è rimasto ucciso a Ras al Naqura, sul confine con il Libano, probabilmente per un colpo sparato dai militari libanesi.

TUNISIA
ACCORDO SU MEHDIJOMAA
Il 17 dicembre 2013 la Tunisia ha celebrato il terzo anniversario dell’immolazione di Mohamed Bouazizi, il gesto che ha dato il via alle rivolte arabe del 2011. L’anniversario è caduto in un momento delicato sul piano politico. Il 14 dicembre, dopo mesi di trattative e nonostante la contrarietà di parte dell’opposizione, il ministro dell’industria Mehdi Jomaa è stato designato come successore del primo ministro Ali Laarayedh. Jomaa, un indipendente, dovrà formare un nuovo governo entro un mese, scrive il sito Tunisie Numérique, e guidare il paese fino alle elezioni del 2014.

SUD SUDAN
COMBATTIMENTI A JUBA
Il 15 dicembre a Juba sono scoppiati degli scontri tra unità rivali della guardia presidenziale che, secondo le Nazioni Unite, hanno causato 500 morti, 800 feriti e ornila sfollati (nella foto, sfollati nella sede della missione dell’Orni). I combattimenti sono durati due giorni. Il 18 dicembre, in un momento di calma, sono partiti i primi voli per portare gli stranieri fuori del paese, scrive Radio Tamazuj. Il presidente Salva Kiir ha accusato l’ex vicepresidente Riek Machar (destituito a luglio) di aver tentato un golpe mobilitando i reparti dell’esercito che gli sono fedeli. Vecchio leader della lotta per l’indipendenza, Machar ha smentito questa versione, evocando scontri interni alla guardia presidenziale, e ha accusato il governo di alimentare l’odio tra le etnie. Secondo altri, all’origine degli scontri ci sarebbe la decisione di Kiir di disarmare i soldati nuer della guardia presidenziale. Il 18 dicembre ci sono state violenze in altre parti del paese, in particolare a Bor, che è stata attaccata da disertori.

CONGO
II 16 dicembre 22 persone sono morte negli scontri tra l’esercito e il corpo di guardia di Marcel Tsourou, un ufficiale di alto grado. Tsourou era stato condannato a cinque anni con la condizionale per l’esplosione accidentale di un deposito di armi, il 4 marzo 2012, in cui erano morte circa trecento persone.

MALI
II partito del presidente Ibrahim Boubacar Keita e le formazioni alleate hanno ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi nel secondo turno delle elezioni legislative il 15 dicembre.

NIGERIA
II 18 dicembre il presidente Goodluck Jonathan ha perso la maggioranza in parlamento dopo la defezione di 37 deputati del suo partito.

RDC
L’11 dicembre l’esercito ha lanciato un’offensiva nel Nord e nel Sud Kivu contro i ribelli hutu ruandesi dell’Fdlr. Il giorno dopo il governo e un altro gruppo ribelle, l’M23, hanno firmato delle dichiarazioni che mettono ufficialmente fine al conflitto nel Nord Kivu.

SUDAFRICA
L’EREDTA’ TRADITA
L’eredità tradita TheSunday Times, Sudafrica / di Nelson Mandela non nasconde lo scontento della popolazione verso l’African national congress (Anc, al governo dal 1994) e, in particolare, verso il presidente Jacob Zuma. Sul capo dello stato, scrive il Sunday Times, aumentano le pressioni affinché si dimetta. Zuma è coinvolto in uno scandalo che riguarda 1 uso di fondi pubblici per i lavori di ammodernamento della sua residenza privata di Nkandla e l’n dicembre allo stadio Fnb di Soweto, ha subito l’umiliazione di essere fischiato davanti ai leader di tutto il mondo. Secondo un sondaggio commissionato dal giornale, il 42 per cento degli intervistati è convinto che Zuma abbia abusato del suo potere spendendo 200 milioni di rand di denaro pubblico (15 milioni di euro) per la sua casa, "il dissenso e lo scontento sono sempre più forti sia tra la popolazione sia all interno del partito", commenta l’analista politico Justice Maiala su Al Jazeera. "Dal 2010 almeno tre nuovi partiti sono nati dalle divisioni dell’Anc. In pochi ormai credono che il partito stia portando avanti la lotta per L’uguaglianza cominciata da Mandela".

SUDAFRICA
PRETORIA. IN MARCIA CON MADIBA
NELSON MANDELA: IL PARTITO COMUNISTA SUDAFRICANO E LA LOTTA CONTRO L’APARTHEID (1990)
In occasione della scomparsa di Nelson Mandela il Partito Comunista Sudafricano e l’African National Congress hanno per la prima volta ufficialmente confermato la militanza comunista di Madiba. Vi proponiamo il discorso che Nelson Mandela tenne il 29 luglio 1990 al raduno per il rilancio del Partito Comunista Sudafricano che segnava il ritorno alla legalità dopo 40 anni. Nel 1950 il regime dell’apartheid aveva approvato la "legge per la soppressione del comunismo".
Compagno Presidente,
Compagni e amici,
Questo è un importante giorno nella storia politica del nostro paese. È un giorno che potrebbe dare conforto e speranza a chiunque in Sudafrica consideri se stesso o se stessa un Democratico. È importante perché segna la fine di un periodo di esattamente 40 anni, durante il quale dichiarato intento e pratica dello stato era la soppressione di tutte le opinioni politiche che non fossero certificate dal governo del Partito Nazionale come legittime e permesse. Sicuramente, ci sono, oggi, sorrisi felici sui volti dei pensatori politici che dissero che, pur se in disaccordo con opposti punti di vista che alcune persone avrebbero potuto esprimere, avrebbero comunque difeso con le loro vite il diritto democratico di questi oppositori ad esprimerle.
L’ANC non è un partito comunista. Ma è un difensore della democrazia, ha combattuto e continuerà a combattere per il diritto all’esistenza di un partito comunista. Come movimento per la liberazione nazionale, l’ANC non ha alcun mandato per propagandare l’ideologia marxista. Ma come movimento democratico, come Parlamento del popolo del nostro paese, l’ANC ha difeso e continuerà a difendere il diritto di qualsiasi sudafricano a aderire all’ideologia marxista se questa è la sua volontà.
Per noi come movimento democratico, la lezione della nostra storia è molto chiara. È quella dei popoli dell’Europa imparata durante il turbolento decennio degli anni ’30, quando il fascismo iniziò il suo assalto verso la democrazia lanciando una violenta offensiva contro i comunisti. È la stessa lezione che il popolo degli Stati Uniti apprese durante il decennio degli anni ’50, quando le forze del Maccartismo lanciarono un assalto volto a minare il patrimonio democratico del popolo americano, conducendo un offensiva virulenta contro i comunisti e le opinioni di sinistra. I teologi della Chiesa tedesca capirono questi processi molto bene quando dissero che la Chiesa cristiana non aveva fatto nulla quando i nazisti attaccarono i comunisti. E nuovamente la Chiesa non fece nulla quando i nazisti volsero le loro brutali attenzioni verso i socialisti. E quando i nazisti si rivolsero verso gli uomini cristiani e le donne di tale coscienza, la Chiesa scoprì che non viera più nessuno a difenderla.
Questo è un errore che l’ANC non ha mai fatto, perché capimmo che aver reso illegale il Partito Comunista nel 1950, era un preludio alla soppressione di tutte le opinioni democratiche nel nostro paese. Questa è una lezione che coloro i quali sono all’interno del Partito Nazionale, e si considerano democratici, devono imparare al più presto.
La lezione che debbono imparare è che fu fondamentalmente sbagliato l’aver emanato il decreto per la soppressione del comunismo nel 1950. La lezione che debbono imparare è che è fondamentalmente sbagliato oggi cercare di creare un clima di tolleranza democratica di diversi punti di vista tentando di demonizzare coloro che scelgono di avere opinioni comuniste. Una posizione come questa conduce ad una cosa e una cosa soltanto, vale a dire, la negazione e la soppressione della democrazia stessa.
Siamo qui oggi per partecipare con voi al rilancio del Partito Comunista, 40 anni dopo la sua soppressione. Lo facciamo perché durante gli ultimi 70 anni della sua esistenza, il Partito Comunista si è distinto come un alleato nella lotta comune per la fine dell’oppressione razziale e dello sfruttamento delle masse nere nel nostro paese. Esso ha lottato fianco a fianco con l’ANC con lo stesso obiettivo della liberazione nazionale del popolo, senza cercare di imporre le sue visioni sul nostro movimento. È stato ed è un amico affidabile che ha rispettato la nostra indipendenza e la nostra politica. I suoi membri sono stati dei devoti congressisti che, come membri dell’ANC, hanno propagandato e difeso le politiche del nostro movimento, inclusa la Freedom Charter (Carta della Libertà, NdT), senza esitazione. Hanno quindi dato forza al nostro movimento, qualunque fossero le loro diverse prospettive come formazione politica indipendente. I suoi capi sono stati stretti amici e colleghi dei capi del nostro movimento.
Il segretario generale del Partito Comunista, compagno Joe Slovo, è un vecchio amico. C’è una vecchia e stabile amicizia che lega la sua famiglia alla mia. Siamo andati all’università insieme. Siamo stati imputati insieme nei processi per tradimento del 1956 e del 1961. Nel corso degli anni, abbiamo condiviso le stesse opinioni su questioni fondamentali come la fine del sistema criminale dell’apartheid e la trasformazione democratica del nostro paese. Oggi condividiamo le stesse visioni riguardo l’importanza vitale e l’urgenza di arrivare ad soluzione politica attraverso i negoziati, in condizioni di pace per tutto il nostro popolo. Questa personale e politica relazione è stata in grado di durare durante gli anni precisamente perché Joe Slovo e i suoi colleghi del Partito Comunista hanno compreso e rispettato il fatto che l’ANC è un corpo indipendente. Non hanno mai provato a trasformare l’ANC in una marionetta del Partito Comunista. Hanno combattuto per difendere il carattere dell’ANC come il Parlamento degli oppressi, contenente al suo interno persone dalle differenti visioni ideologiche, le quali sono unite da una prospettiva comune di emancipazione nazionale rappresentata dalla Freedom Charter.
Anche quando ci siamo messi insieme al compagno Joe Slovo e ad altri nel 1961 per formare l’Esercito del Popolo, Umkhonto we Sizwe (Lancia della nazione, NdT), abbiamo compreso il ruolo specifico che Umkhonto avrebbe dovuto giocare. Abbiamo capito che nonostante la repressione dello stato ci avesse costretto a prendere le armi, questo non avrebbe dovuto fare dell’ANC uno schiavo della violenza. Sapevamo che i quadri che formavano Umkhonto we Sizwe avrebbero dovuto essere uomini e donne che dovevano rispettare l’autorità politica dell’ANC, e sapevamo che dovevamo sempre partire dal fatto che avevano preso le armi precisamente per aiutare a stabilire un ordine democratico nel quale le persone avrebbero avuto il diritto alla libertà di opinione politica e di espressione, senza paura di alcuna intimidazione da qualsiasi parte.
Tali sono le opinioni degli uomini e delle donne che hanno composto la nostra gloriosa armata. Suggerire, come alcuni fanno in questi giorni, che questi eccezionali figli e figlie del nostro popolo covino idee di un’azione militare unilaterale contro il processo di pace, è un insulto fabbricato dai nemici della democrazia i quali hanno costruito reti cospiratorie all’interno delle strutture di potere nel nostro paese.
Tutti, governo incluso, sanno anche che l’ANC è la formazione politica che dispone l’uso strategico delle armi nelle mani dell’Esercito Popolare. Il nostro movimento, il quale ha una storia illustre e incontrastata nella ricerca di soluzioni pacifiche, non ha mai abbandonato da parte sua la strategia della lotta non violenta, anche quando il regime dell’apartheid fece tutto ciò che era in suo potere per rendere questo tipo di lotta impossibile. Non possiamo ora rivoltarci contro una risoluzione pacifica del conflitto nel nostro paese, soprattutto dal momento che tale risoluzione sembra possibile.
Coloro che oggi si atteggiano a esperti sulla struttura e la strategia del nostro vasto movimento per la liberazione nazionale devono capire questo ABC della nostra lotta. Ciò che questo ABC indica è l’impegno dell’alleanza guidata dall’ANC di fare tutto ciò che è in suo potere per arrivare a una soluzione pacifica dei problemi che affliggono il nostro paese.

ASIA & PACIFICO
AUSTRALIA
CAMBERRA
II 12 dicembre l’alta corte ha annullato i matrimoni omosessuali celebrati nella capitale Canberra. Secondo i giudici, solo il parlamento federale può autorizzare le nozze tra persone dello stesso sesso. Cina II governo ha confermato il 18 dicembre che all’inizio del mese una nave da guerra cinese ha rischiato una collisione con una nave da guerra statunitense nel mar Cinese meridionale.

GIAPPONE
I RÌSCHI DEL PRIMO IMPIEGO
SHUKAN KINYÓBI, GIAPPONE / Come ogni anno a dicembre, per i laureandi giapponesi è cominciata la caccia al primo impiego. In questo periodo dell’anno, infatti, gli studenti universitari che frequentano il penultimo anno prendono contatto con le aziende in cerca di personale, che il 1 del mese pubblicano le loro offerte di lavoro. L’obiettivo degli studenti è ottenere una "promessa d’impiego" che, una volta laureati, dovrebbe trasformarsi in un’assunzione vera e propria. Lo shùkatsu (ricerca di lavoro), però, è sempre più difficile, e secondo il ministero del lavoro e del welfare nei prossimi tre anni un laureato su tre sarà disoccupato. Inoltre è in aumento il rischio di incappare nelle cosiddette burakku kigyó (aziende nere), scrive lo Shukan Kinyóbi. Si tratta di aziende che reclutano neolaureati con offerte di stage pubblicate sui siti specializzati e li sfruttano con metodi criminali: minacce, imposizione di orari di lavoro massacranti, e straordinari e stipendi non pagati. Il ministero del lavoro ha creato una linea telefonica per offrire assistenza alle vittime di questi abusi, sempre più numerose

UZBEKISTAN
STERILIZZAZIONE FORZATA
Secondo uno studio della Open society foundation, la sterilizzazione forzata delle donne con due o più figli è ancora molto diffusa in Uzbekistan, scrive Eurasianet. Le donne prese di mira dalla campagna del governo per il controllo delle nascite sono soprattutto le appartenenti alla fascia socioeconomica più bassa e alle minoranze etniche. Le sterilizzazioni, decine di migliaia dal 1999, avvengono alla nascita del secondo figlio, all’insaputa delle donne.

INDIA
LA NUOVA LEGGE ANTICORRUZIONE
Il 17 dicembre la camera bassa ha approvato una proposta di legge contro la corruzione presentata nel 2011 e rimasta finora bloccata alla camera alta. Secondo la nuova legge, un difensore civico avrà il potere di indagare su esponenti politici e funzionari pubblici. L’attivista Anna Hazare (nella foto), che nel 2011 aveva guidato le manifestazioni a favore della nuova legge e che da nove giorni era in sciopero della fame, ha interrotto la protesta. Maggioranza e opposizione hanno votato compatte – tranne il Samajwadi party, che ha boicottato il voto – dopo il successo del nuovo partito anticorruzione alle elezioni di New Delhi, scrive l’Hindustan Times.
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CINA
ALTA TENSIONE NELLO XINJIANG
La notte del 15 dicembre almeno sedici persone sono morte in una rivolta nello Xinjiang, una regione a maggioranza uigura, turcofona e musulmana. Secondo le autorità le forze di sicurezza hanno ucciso quattordici persone, definite "una banda di terroristi", che si erano rivoltate contro la polizia perché gli agenti avevano cercato di togliere il velo a una donna. Ma secondo il Congresso mondiale uiguro, un gruppo in esilio, si tratta dell’ennesimo episodio di abuso delle autorità contro la popolazione locale. Il Congresso denuncia una campagna repressiva in atto da mesi e discriminazioni culturali e religiose. Tra i 14 morti almeno sei sarebbero donne, scrive Radio Free Asia che parla di un raid della polizia in una casa, seguito dalla reazione degli uiguri, che hanno fatto esplodere un’auto delle forze di sicurezza. Le misure di controllo nello Xinjiang sono aumentate dopo che a ottobre un’auto con a bordo degli uiguri si è scagliata contro i turisti in piazza Tiananmen.

THAILANDIA
DONNE IN PIAZZA
L’annuncio delle nuove elezioni da parte della prima ministra Yingluck Shinawatra non ha cambiato la situazione in Thailandia, dove il leader delle proteste Suthep Thaugsuban ha indetto una manifestazione per il 22 dicembre. Il 23 comincerà la registrazione dei partiti alle elezioni. Suthep, scrive il Bangkok Post, vuole che le manifestanti raggiungano in corteo la residenza della premier per chiederle "gentilmente" di andarsene: "Ci servono volontarie, solo donne, niente katoey (travestiti) per favore".

TURKMENISTAN
II 15 dicembre per la prima volta due partiti hanno partecipato alle elezioni legislative. Oltre al Partito democratico del presidente Gur- banguly Berdymukhammedov al potere dall’indipendenza del paese, c’era il Partito degli industriali e degli uomini d’alFari, vicino al presidente.

BALI
COMMERCIO GLOBALE, IL PACCO DI BALI/ Poche luci e tante ombre sul pacchetto di misure approvate la settimana scorsa a Bali dai 160 paesi membri dell’Organizzazione mondiale del commercio
UN MILIONE DI MILIARDI: tanto, secondo la Camera di Commercio Internazionale 1 – e di seguito per tutti quelli che ne hanno citato la previsione – dovrebbe valere solo uno dei dieci accordi che costituiscono il pacchetto misure di liberalizzazione commerciale approvato la scorsa settimana a Bali dai 160 Paesi membri dell’Organizzazione Mondiale del commercio (Wto). Dopo quattro giorni di negoziati ininterrotti, il Direttore Generale Roberto Azevedo ha portato a casa il primo accordo commerciale multilaterale dal 1994, anno della fine del Ciclo di negoziati. Al virtualmente lucroso capitolo della Facilitazione del commercio si affiancano altri nove capitoli: 4 agricoli e cioè servizi generali, stoccaggio pubblico di materie prime alimentari ai fini della sicurezza alimentare, tariffe “quota rates”, competizione nelle esportazioni; poi un molto annacquato capitolo sul cotone; poi altri 4 capitoli riguardanti i paesi meno sviluppati (LDCs), estratti dall’Agenda di sviluppo di Doha, e cioè il rinvio dell’implementazione della liberalizzazione dei servizi, regole d’origine semplificate, accesso duty free quota free dei loro prodotti nei mercati dei paesi avanzati e un meccanismo di monitoraggio specifico dell’impatto delle misure commerciali.
"Non siamo riusciti solamente a tenere in vita questa organizzazione, ma a dimostrare come dovrebbe lavorare, in modo energico, non in incontri chiusi, ma con tutti i membri impegnati a negoziare", ha dichiarato soddisfatto del suo lavoro il direttore generale neoeletto Roberto Azevedo. A guardare però con un po’ di attenzione il pacchetto di Doha, si capisce che entusiasmo e propaganda hanno un po’ esagerato i contorni deI risultato. La maggior parte delle misure – poche e limitate rispetto al mandato di Doha – è stata approvata nella sua forma meno definita, per non creare dissenso, e molto lavoro resta ancora da fare a Ginevra a livello tecnico per dar loro corso. Scendendo, poi, nel dettaglio, il quadro diventa ancor più disarmante. Sulla facilitazione del commercio, che dovrebbe portare dogane e confini di tutto il mondo a lavorare con le stesse procedure ed elettronicamente, Jeronim Capaldo della Tuft University 2 ha verificato che i conti fatti per arrivare ai fantastilioni prefigurati, prevedono un tasso fisso di aumento del Pil legato all’aumento dei flussi commerciali, che presuppone, innanzitutto, che i flussi commerciali non si contraggano, cosa regolarmente successa negli ultimi anni in molte aree del pianeta a causa della crisi globale. Il calcolo prevede, in secondo luogo, un coefficiente di aumento di occupazione legato all’aumento degli scambi, già utilizzato nel passato anch’esso da Banca Mondiale e Fondo Monetario, ma smentito più volte dai fatti. Se aggiungiamo a questo il fatto che informatizzare le dogane e omologare le loro procedure a livello globale a standard propri di un paio di corrieri internazionali, oltre che risultare costosissimo per paesi poveri e già strutturalmente in crisi come quelli meno sviluppati, costituisce un implicito favore per un numero selezionato di corrieri e operatori dei servizi postali e un danno certo per le imprese nazionali, pratica ben altro che giusta e concentrata sugli interessi dei più poveri.
PASSIAMO POI AL CAPITOLO AGRICOLO. È vero: all’India, dopo dura battaglia, è stato consentito in via transitoria di stoccare materie prime alimentari acquistate dal governo dai produttori nazionali, per distribuirle ai più poveri nell’ambito di programmi di sicurezza alimentare, senza che questo sia considerato sussidio illegale alla propria agricoltura. È vero che questo vale, però, solo per le misure già in piedi, e non sarà permesso più a nessun altro d’ora in poi. E che questa concessione copre politicamente anche gli attuali programmi di assistenza alimentare che gli Stati uniti garantiscono ai propri cittadini poveri, e che costano ogni anno 75 miliardi di dollari. Senza contare i sussidi agricoli Usa considerati legali dalla Wto, che valgono 120 miliardi di dollari. E quelli illegali notificati ogni anno per evitare cause valgono altri 19 miliardi. È chiaro che un riequilibrio redistributivo a livello globale, obiettivo di ogni sistema multilaterale che si rispetti, con queste polarizzazioni di poteri assolutamente indiscutibili e indiscusse, è del tutto fuori questione. Africa Trade Network, rete di ong africane, constata che i propri governi sono tornati a casa a mani vuote, contrariamente a quanto hanno entusiasticamente affermato alla chiusura del vertice. Le misure specificamente dirette ai paesi meno sviluppati, infatti, paradossalmente “rappresentano un ulteriore indebolimento degli impegni che avevano ottenuto sulle stesse questioni in conferenze ministeriali precedenti. Era dal vertice di Hong Kong del 2005 che i nostri prodotti avrebbero dovuto godere di un accesso senza dazi nè quote nei mercati avanzati, e addirittura da quello del 2003 di Cancún che doveva essere garantito sostegno ai paesi produttori di cotone”. A Bali, su entrambi i capitoli, troviamo solo la promessa di prendere in esame ulteriori azioni relative agli impegni assunti in precedenza. Tutto considerato, quello di Bali si dimostra, più che un pacchetto, “un pacco”, una fregatura, ai danni dei più poveri e dei nostri diritti fondamentali a vantaggio dei soliti noti.
DI FRONTE A TANTA TRUFFA, è dimostrato che la Wto non è l’assise più adatta per discutere di temi sempre più sensibili quali il diritto al cibo, l’occupazione, le attività umane e il loro impatto sulla vita del pianeta. È lampante che continuare ad allargarne le competenze non sia la scelta giusta, e che la governance globale trovi più adatta cornice nelle istituzioni dell’Onu (Fao, Ilo, Unctad, Unfccc), in relazione alle loro specifiche competenze. In tempi di crisi così stringente, Il Parlamento e il Governo italiano, e a maggior ragione il Parlamento e la Commissione europea – nel rispetto dello stesso Trattato di Lisbona – dovrebbero innanzitutto promuovere il rispetto dei diritti umani fondamentali e di quel vincolo di coerenza delle politiche in un’ottica di solidarietà internazionale che costituisce valore fondante della stessa costruzione europea 3 . Con sindacati e associazioni, crediamo ci sia bisogno, in vista delle prossime elezioni europee, di lavorare ad un mandato alternativo per la Commissione europea rispetto ai temi del commercio. Un gruppo di organizzazioni europee 4 , tra cui la nostra, ci sta già lavorando. A partire dai valori fondativi dell’Europa come cooperazione e sostenibilità, bisogna superare il dogma della competitività, affermare nei fatti il multilateralismo, porre fine alla proliferazione dei tavoli bilaterali e plurilaterali, garantire piena trasparenza ai processi e la garanzia della partecipazione democratica dei Paesi membri e della loro società. Per delle politiche commerciali al servizio dell’occupazione di qualità, dei diritti ambientali, sociali e del lavoro.
1 www.iccwbo.org/News/Articles/2013/Business-gives-last-push-to-seal-Bali-deal-and-salvage-Doha-Round/
2 Capaldo, J “The uncertain Gains from Trade Facilitation, GDAE Policy Brief 23-02, Medford, MA, Tuft University, December 2013.
3 A questo proposito, leggere la prima analisi del Pacchetto di Bali dell’Osservatorio italiano sul commercio Trade Game http://tradegameblog.com/2013/12/07/wtobali-un-modesto-compromesso-manteniamo-un-atteggiamento-critico-e-vigile/
4 http://www.alternativetrademandate.org/

AMERICA CENTROMERIDIONALE
BRASILE
MANAUS
MONDIALI 2014, I LAVORATORI PROTESTANO CONTRO GLI INCIDENTI MORTALI / Circa 1.800 lavoratori impiegati nella costruzione del nuovo stadio di Manaus, dove l’Italia esordira’ il 14 giugno contro l’Inghilterra nella Coppa del Mondo di Brasile 2014, hanno incrociato le braccia in seguito alla morte di un loro collega, che e’ caduto sabato scorso da un’altezza di 35 metri, mentre stava installando dei riflettori sul tetto dell’impianto. Secondo quanto riferito dal sindacato dei lavoratori lo sciopero e’ stato effettuato sia per la scarsa sicurezza sia contro la pressione subita dai lavoratori per accelerare la consegna dello stadio, prevista per l’inizio del prossimo anno. "I lavori sono in ritardo e cosi’ stanno cercando di mettere sotto fratta agli operai per rispettare il programma. La nostra protesta non e’ contro i mondiali, ma vogliamo la massima sicurezza per i lavoratori", ha detto il presidente del sindacato, Cicerone Custodio, al portale ‘G1′

CILE
SANTIAGO
CILE, "QUANDO MAI È STATO FACILE CAMBIARE IL MONDO". LE SFIDE DI BACHELET. L’ANALISI DI MARCO CONSOLO
La ex-presidente Michelle Bachelet vince senza sorprese (62,16 %) e nella corsa alla presidenza lascia dietro di sé Evelyn Matthei (32,87 %), l’impresentabile candidata della destra nostalgica, con una differenza di quasi un milione e mezzo di voti.
Nel secondo turno delle elezioni presidenziali, la candidata della coalizione di centro-sinistra “Nueva Mayorìa” ha ottenuto quasi tre milioni e mezzo di voti, superando il consenso ottenuto al primo turno, mentre l’astensionismo questa volta è arrivato quasi al 58% (9 punti in più). Di certo, il voto volontario, introdotto dal governo di destra, è servito a depotenziare l’inclusione automatica nelle liste elettorali e non ha favorito la partecipazione elettorale. Ma come sempre l’astensionismo ha molti motivi ed è refrattario ad un’analisi sistematica.
MATTHEI AMMIRATRICE DI PINOCHET
Alla fine, non ci sono stati i “miracoli” invocati dalla Matthei nella sua chiusura di campagna con un discorso rivolto alla classe media, ed ai settori cattolici ed evangelici (questi ultimi molto presenti nel Paese). “Ci vogliono far diventare come il Venezuela, dove si fanno le file perchè non c’è da mangiare” ha detto la Matthei. “Vi ricorda qualcosa ?”, ha continuato l’ammiratrice di Pinochet, evocando lo spettro della guerra economica contro il socialista Salvador Allende nei mesi prima del golpe. Ma nonostante i consigli degli “spin doctors” per ripulire la sua immagine, i falsi sorrisi e le finte buone maniere non sono riusciti a sedurre l’elettorato. Viceversa l’aspetto umano e simpatico della Bachelet ha avuto un peso nella campagna e nella sua vittoria. Ma sono le promesse di riforme democratiche quelle che hanno spostato la bilancia a suo favore.

La nuova presidente si insedierà il prossimo marzo e l’attuale governo di Sebastiàn Piñera sta accelerando l’iter parlamentare di diverse leggi (tra cui quella elettorale) per approvarle prima di lasciare il palazzo de La Moneda. A proposito di “palazzi”, la destra ne ha approfondito la distanza dalle strade, la lontananza tra la politica tradizionale e le aspirazioni di cambiamento al centro delle mobilitazioni degli ultimi anni. Non c’è dubbio che senza i movimenti sociali (in primo luogo degli studenti, ma anche dei lavoratori, e dei settori ambientalisti) non ci sarebbe stata questa vittoria. Ed oggi i vincitori parlano della necessità di “ascoltare i cittadini”, mentre i movimenti per il momento dichiarano di non essere disposti a fare sconti al nuovo governo.
IL CILE CAMBIERÀ DAVVERO?
Con queste elezioni si apre una fase nuova nella politica cilena. C’è chi parla di un momento storico vincendo il proprio scetticismo. Ma la domanda di fondo che percorre tutta la società è se davvero cambierà qualcosa in questo sistema così ben ingessato. Prima dai 17 anni di dittatura civico-militare che ha imposto il modello neo-liberista “a sangue e fuoco”. Poi dal ventennio di centro-sinistra che lo ha “migliorato” e ha realizzato la modernizzazione capitalista in salsa “agrodolce”. Infine dagli ultimi quattro anni di gestione pragmatica (ed inefficiente) da parte della destra, andata al governo grazie al voto castigo contro il centro-sinistra.

AL DI LÀ DELLA RISICATA MAGGIORANZA ISTITUZIONALE, CI SARANNO LA VOLONTÀ POLITICA, IL SUFFICIENTE APPOGGIO ED I NUMERI PARLAMENTARI PER LE RIFORME ? FINO A CHE PUNTO PESERÀ LA PROBABILE PRESENZA DENTRO IL GOVERNO DEL PARTITO COMUNISTA ? E I MOVIMENTI SOCIALI SARANNO IN GRADO DI FARE SENTIRE LA LORO VOCE E DI INCIDERE NELLE DECISIONI DI GOVERNO ?
Di certo la candidatura della Bachelet ha avuto un forte consenso trasversale, dentro e fuori dal Paese. Molti settori impresariali interni ed internazionali hanno espresso il loro appoggio (o la loro indifferenza). Insieme a loro i partiti politici tradizionali (la Democrazia Cristiana, il Partito Socialista, il Partito per la Democrazia e i radicali), a cui si è aggiunto per la prima volta anche il Partito Comunista.

IL PROGRAMMA DI GOVERNO DELLA NUEVA MAYORIA HA TRE PUNTI cardine
Riforma tributaria, riforma dell’educazione e soprattutto riforma della costituzione ereditata dall’epoca di Pinochet, i fondamentali del programma. Quanto basta a spaventare la destra che vede le riforme come una minaccia, mentre la sinistra della coalizione le considera un passo in avanti, anche se chiaramente insufficienti.
Il Partito Comunista ancora non ha deciso se andrà o meno al governo, e riunirà i suoi organismi dirigenti tra qualche giorno. Al suo interno c’è comunque consenso sulla partecipazione, percepita come il possibile epilogo dell’esclusione anti-comunista iniziata con il golpe e la dittatura. Restano da definirne le modalità.

LA CENTRAL UNITARIA DE TRABAJADORES (CUT) DÀ L’OK
La principale centrale sindacale cilena, ha dichiarato il suo appoggio al governo solo dopo il primo turno. C’è chi dice che, così facendo, abbia comunque ipotecato la sua autonomia rispetto al governo. La CUT risponde dichiarando la volontà di saldare il debito sociale forse più importante, quello con i lavoratori. In Cile, infatti, è ancora in vigore di fatto il Codice del Lavoro pinochetista che limita fortemente l’organizzazione sindacale, nega in concreto il diritto di sciopero e pregiudica la firma di contratti collettivi. Gli abusi nei posti di lavoro sono la regola ed i salari in molti settori sono sotto il livello della sopravvivenza. Il “miracolo economico” cileno è fatto quindi di bassi salari, mancanza di diritti ed indebitamento di massa (70% della popolazione).
La promessa riforma tributaria che dovrebbe appesantire il carico fiscale sulle grandi imprese e su chi ha di più, alleggerendo la pressione nei confronti dei lavoratori, permetterebbe entrate addizionali per aumentare salari e pensioni da fame. Se Bachelet ha parlato di “fine del lucro” nel sistema educativo, sul versante del sistema pensionistico e di quello della salute (entrambi pesantemente privatizzati) sono ancora incerte le misure che prenderà la nuova presidente.

MA LA “MADRE DI TUTTE LE RIFORME”…
…è quella della Costituzione, ereditata dall’epoca di Pinochet. Ieri sera nel suo discorso in strada, durante i festeggiamenti nell’Alameda, la Bachelet ha parlato di “una nuova Costituzione, nata in democrazia, che assicuri più diritti e garantisca in futuro che la maggioranza non possa essere azzittita da una minoranza. Un patto sociale nuovo, moderno e rinnovato di cui ha bisogno il Cile”. Ma c’è un piccolo dettaglio: mancano i voti in Parlamento a causa alle altissime maggioranze necessarie, imposte dalla attuale costituzione. Gioco forza la Presidente dovrà cercare di guadagnare consensi anche nelle file della destra. Cambiare la costituzione non sarà semplice, ma già ci sono alcuni spiragli in questo senso e qualche possibile appoggio. In questi mesi i giuristi della “Nueva Mayorìa” hanno lavorato per trovare i grimaldelli necessari a scardinare l’architettura istituzionale disegnata dal fascismo. Probabilmente si farà ricorso congiuntamente all’iniziativa del governo, del parlamento ed alla mobilitazione nelle piazze. E’ forse la unica maniera di portare a casa il risultato.

LA DESTRA ESCE DURAMENTE SCONFITTA DA QUESTE ELEZIONI
Con profonde divisioni interne ed al suo interno già si è aperta la resa dei conti nella destra. Quella che lo stesso Sebastian Piñera ha chiamato la “notte dei lunghi coltelli”. Dopo un solo mandato dalla fine della dittatura, la scommessa di rinnovamento della destra con l’elezione del “moderato ed indipendente” Piñera, non ha portato a grandi consensi. Viceversa l’anima dura pinochetista della Uniòn Democratica Independiente (UDI) affila le armi rivendicando un protagonismo che le è dovuto, per essersi confermata come primo partito in voti. Con questa ultima sconfitta, si aprono scenari imprevedibili nella ridefinizione degli assetti della destra.
Parlando di destra e di estrema destra, anche per quanto riguarda le violazioni dei diritti umani c’è molto da fare. L’anniversario dei 40 anni del golpe ha scosso l’aria, fino ad oggi quasi immobile. Quella che permetteva e permette che all’angolo della strada o nel supermercato si incontrino i carnefici e le vittime, o di trovare in qualche clinica privata i medici torturatori della dittatura. Quella che ha garantito una quasi totale impunità ai responsabili di crimini di lesa umanità che tuttora ricoprono cariche importanti ed alzano la voce minacciando. Sono militari attivi ed in pensione, insieme a qualche industriale, che proprio in questi giorni si sono fatti risentire, mentre le vittime aspettano giustizia. Non ci sono più nè scuse, nè giustificazioni che tengono.
Su tutti i versanti l’aria che si respira è carica di aspettativa e si aspetta al varco il nuovo governo. Non c’è dubbio che la prossima presidente dovrà marcare una discontinuità netta sia con gli ultimi 4 anni di Piñera, sia soprattutto con la gestione neo-liberista del centro-sinistra del ventennio post-dittatura.

LA SFIDA CHE HA DAVANTI BACHELET
Mantenere gli equilibri politici interni alla coalizione, e mantenere un dialogo aperto con i movimenti sociali, soprattutto con gli studenti ed il movimento sindacale è il banco di prova di Bachelet. Dopo 4 anni di governo delle destre (sia moderata, che pinochetista) il giro a sinistra con la “Nueva mayoria” e l’inclusione dei comunisti ha la sua ragion d’essere se lascia dietro di sè il ricordo della vecchia coalizione di centro sinistra, e la sequela di corruttele della “Concertaciòn”.

DUE MONDI A CONFRONTO
Anche sul piano internazionale non sarà semplice. Innanzitutto a causa della crisi economica e della contrazione della domanda globale di molti beni. Nel caso cileno spicca in particolare il rame, prodotto principale di esportazione, assorbito in gran parte dalla Cina, che resta il primo partner commerciale del Paese.
Fatta salva la visione “bi-partisan” sull’importanza di mantenere e rafforzare le relazioni commerciali con il continente asiatico, sul versante dei rapporti internazionali del Cile si scontrano due visioni. Da una parte quella che privilegia la “Alianza del Pacifico” composta dalla destra continentale (Messico, Colombia, Perù in primo luogo) con la benedizione degli Stati Uniti. Dall’altra quella dell’integrazione regionale, nel solco del nuovo corso latino-americano con una ritrovata autonomia dal gigante del Nord.
Nella regione, il Cile dovrà ridare ossigeno ai rapporti raffreddati dal governo della destra di Piñera. Bachelet ha gioco facile con il Brasile di Dilma e con l’Uruguay (il rapporto con il probabile futuro presidente Tabarè Vasquez è molto stretto), ma anche con l’Ecuador e l’Argentina. Per quanto riguarda il Venezuela di Maduro, dovrà vedersela con le contraddizioni interne alla sua coalizione, in particolare con l’ala destra della DC e dello stesso Partito Socialista che vedono con il fumo negli occhi l’esperienza bolivariana e che, solo pochi mesi fa, hanno ricevuto l’oppositore Henrique Capriles.
Altro tema decisivo sarà il verdetto del tribunale internazionale de La Haya sia per quanto riguarda il Perù, che la Bolivia, per annose dispute territoriali e marittime. Entrambe di non poco conto. La Haya ha già comunicato che nel caso peruano il verdetto sarà a gennaio. E la Bolivia di Evo Morales, stanca di negoziati bilaterali che non hanno portato a nulla a causa della intransigenza cilena, ha portato il Cile davanti alla Corte per cercare di risolvere il tema dello sbocco al mare. Nel frattempo ha praticamente smesso di utilizzare i porti cileni a vantaggio di quelli peruani.
C’è molta aspettativa sul responso de La Haya e le prime pagine dei giornali strillano titoli a tinte forti. Riaffiora prepotente il nazionalismo, alimentato prima dalla dittatura per difendersi dall’isolamento internazionale, e poi anche dal centro-sinistra per riscattare l’orgoglio nazionale post-dittatura. E purtroppo la xenofobia inizia a trasparire nella società, in particolare contro boliviani, peruani, e colombiani. Sono i nuovi migranti che cercano opportunità nel “miracolo economico”, a fianco del popolo cileno. Un popolo fiero che ha sofferto molto, ma non si è mai piegato e che oggi affronta il pericolo della “guerra tra poveri”.
In questa lunga fascia di terra alla fine del mondo, stretta tra l’oceano e la cordigliera delle Ande, non sarà facile cambiare passo. Ma come ha ricordato proprio ieri la neo-presidente Bachelet davanti alla folla festante “quando mai è stato facile cambiare il mondo?”.

BRASILE
SERVONO STADI PIÙ SICURI
"Il 15 dicembre il ministero del lavoro brasiliano ha ordinato la chiusura immediata del cantiere nello stadio Arena da Amazònia (nella foto), nella città di Manaus, dopo la morte di un operaio che il 14 dicembre era precipitato dal tetto dello stadio, da un’altezza di 35 metri", scrive Carta Capital. Poche ore dopo un altro operaio è morto d’infarto. Gli operai che lavorano nello stadio sono entrati in sciopero – per chiedere condizioni di sicurezza migliori. "Dall’inizio dei lavori per i Mondiali del 2014 sono già morte sei persone".

URUGUAY
L’ESPERIMENTO DI MUJICA
Brecha, Uruguay Il 10 dicembre il parlamento dell’Uruguay ha approvato una legge che legalizza la produzione, la vendita e il consumo di marijuana per scopi non medici. Il giorno dopo, l’agenzia delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine ha dichiarato che, con la nuova norma, l’Uruguay viola le convenzioni internazionali sul controllo delle sostanze stupefacenti. Invece il settimanale Brecha sottolinea l’eccezionalità di questa legge voluta dal presidente José "Pepe" Mujica e dal partito al governo, il Frente amplio: "È la prima volta che un paese si fa carico di regolare tutta la catena di produzione e vendita di una droga che, secondo l’Onu, nel 2011 era consumata da 230 milioni di persone. L’Uruguay ha rotto un tabù e sta cercando un’alternativa per mettere fine al narcotraffico e alle sue guerre. Con l’approvazione di questa legge, la legalizzazione del matrimonio omosessuale e la depenalizzazione dell’aborto, il piccolo paese latinoamericano si è guadagnato il rispetto di molti attivisti per i diritti umani e dei politici di altri paesi che considerano l’Uruguay un modello a cui ispirarsi".

MESSICO
RIFORMA ENERGETICA
"Il 12 dicembre il parlamento ha approvato, con i voti contrari della sinistra, una riforma energetica che manterrà il petrolio in mano allo stato, ma permetterà l’intervento di aziende private messicane e straniere", scrive Reforma. Con il provvedimento, il presidente Enrique Pena Nieto vuole favorire la produzione dell’azienda statale Pemex, che dal 2004 è diminuita del 24 per cento. Secondo Proceso, "la costituzione è stata oltraggiata per permettere il saccheggio legale delle risorse naturali del paese da parte d’interessi privati". The Economist è favorevole alla riforma che mette fine al monopolio di Pemex, ma avverte: "Ora bisogna risolvere il problema della sicurezza". Nella foto: un deputato dell’opposizione protesta contro la riforma

NICARAGUA
II 10 dicembre il congresso ha approvato una ri-forma della costituzione che permetterà al presidente Daniel Ortega di candidarsi per un nuovo mandato nel 2016.

AMERICA SETTENTRIONALE
USA
NEW YORK a LOS ANGELES, a CHICAGO a WASHINGTON
ALTRO CHE RIPRESA, AUMENTANO HOMELESS E POVERI / I bollettini economici degli Usa nelle ultime settimane segnano sempre valori positivi, a cominciare dal calo della disoccupazione. Ma si tratta solo di numeri. La realtà è ben diversa. Nelle grandi e medie citta’ Usa i senzatetto, gli affamati che non hanno i soldi per pagarsi da mangiare: a denunciarlo e’ la Conferenza dei sindaci americani in un sondaggio che ha coinvolto 25 aree metropolitane, da New York a Los Angeles, a Chicago a Washington. La cosa curiosa è che molti di questi hanno un lavoro, solo che non ce la fanno a far fronte al costo della vita, a cominciare dagli alti costi delle case in affitto. Evidentemente la rendita immobiliare, che in qualche modo sta guidando la ripresa schiaccia i più deboli e candida alla povertà fasce sempre più ampie di popolazione. Il costo delle case in affitto è salito del 12% negli ultimi 5 anni. Un vero e proprio paradosso a pensarci bene.
A Los Angeles ad esempio, lo scorso anno gli ‘homeless’ sono cresciuti di un drammatico 26%, ed al 16% di costoro e’ stato negato alcun aiuto finanziario pubblico per un alloggio. A Chicago l’incremento dei senzatetto e’ stato dell’11,4% negli ultimi 12 mesi, e dei ‘senza cibo’ del 6%. Ogni notte nelle strade di Los Angeles dormono almeno 20.000 persone, di queste 2.000 sono bambini. Nei dormitori, le pubbliche amministrazioni permettono l’ingresso di sempre piu’ cittadini.
Con un tasso di poverta’ a livello nazionale al 15%, vicinissimo al peggiore (pari al 15.1%) registrato nella storia recente dell’Unione della Grande Depressione, i sindaci temono un peggioramento della situazione per il 2014 : gli esperti sono preoccupati in particolare per i recenti tagli ai buoni pasto e per la legge di bilancio approvata, che non rinnova i benefici per i disoccupati da lungo tempo. Dopo Natale non riceveranno piu’ gli assegni di sostegno.
A livello globale, negli Stati Uniti, il numero dei senzatetto e’ salito del 3% nelle citta’ analizzate, ma per il 2014 l’indagine prevede un ulteriore incremento. Meno grave la situazione dell’occupazione: A San Francisco, ad esempio, infatti il 22% degli ‘homeless’ ha un lavoro.
Brutte anche le statistiche sulla mancanza di cibo: il 21% degli americani che ha fatto richiesta per i buoni alimentari per poverta’ non li ha ricevuti, e 21 citta’ hanno riportato un aumento delle domande, salite in media del 7%.
"Gli affamati ed i senza casa continuano ad essere qui, con noi, siamo preoccupati che il governo di Washington non capisca cosa succede nei quartieri delle nostre citta’", ha dichiarato Tom Cochran, direttore della Conferenza dei sindaci.

USA
II 16 dicembre il governo ha annunciato di aver trasferito due prigionieri di Guantanamo in Arabia Saudita. Nel carcere militare rimangono così 160 detenuti. Il 16 dicembre il senato ha confermato, con 78 voti a favore e 16 contrari, la nomina di Jeh Johnson a capo del dipartimento della sicurezza interna. Johnson prende il posto di Janet Napolitano.

WASHINGTON / SORVEGLIANZA IRRAGIONEVOLE
Secondo Richard J. Leon, un giudice federale di Washington, il programma di sorveglianza telefonica condotto dalla National security agency (Nsa) su milioni di cittadini statunitensi è incostituzionale. Il 16 dicembre Leon ha spiegato che il programma, scoperto a giugno grazie alle rivelazioni di Edward Snowden, viola il quarto emendamento, che proibisce perquisizioni, arresti e confische irragionevoli, spiega il New York Times. La sentenza è un duro colpo per l’amministrazione Obama e dà il via a una battaglia giuridica che probabilmente arriverà fino alla corte suprema.

PUERTO RICO AL COLLASSO
Quasi otto anni di recessione, un tasso di disoccupazione vicino al 15 per cento e un tasso di omicidi sei volte più alto della media statunitense hanno provocato un esodo che non si vedeva dagli anni cinquanta: tra il 2010 e il 2012 Puerto Rico ha perso l’i,5 per cento dei suoi abitanti, scrive il Washington Post. Il governatore Alejandro Javier Garcia Padilla è alle prese con un debito di 70 miliardi di dollari e con le agenzie di rating che minacciano di declassare il debito. Come la altre amministrazioni statunitensi, anche Puerto Rico, un territorio non incorporato degli Stati Uniti con un governo eletto localmente ma soggetto alla giurisdizione di Washington, non può per legge dichiarare insolvenza. L’amministrazione Obama per ora esclude di intervenire con un piano di salvataggio, ma la crisi di Puerto Rico potrebbe avere gravi ricadute per i fondi d’investimento statunitensi che detengono buona parte del debito dell’isola.

(articoli da: NYC Time, Time, Guardian, The Irish Times, Das Magazin, Der Spiegel, Folha de Sào Paulo, Clarin, Nuovo Paese, L’Unità, Internazionale, Il Manifesto, Liberazione, Ansa , AGVNoveColonne, ControLaCrisi e Le Monde)

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