10945 C’è la legge di stabilità ma manca la politica economica. Ovvero SHOCK ECONOMY all’Italiana.

20131129 15:56:00 guglielmoz

1.Stabilità. Quale reddito minimo? È solo Social card.
2.Legge di Stabilità, via un altro pezzo di sanità pubblica: la denuncia della Cgil-Fp.
3.I precari di oggi hanno un futuro: poveri tutta la vita e senza pensione.
4.Legge di Stabilità, la protesta contro i tagli delle vittime delle strage.
5.Stabilità, l’inguardabile legge firmata da Letta e Napolitano.
6.Legge Stabilità, 3 miliardi per le navi dei signori della guerra.
7.La crisi di lunga durata.
8.È NATO IL «SIA» 120 milioni in tre anni contro la miseria.
9.Proprietà privata pubbliche servitù.
10.C’è la legge di stabilità ma manca la politica economica.

1 – STABILITÀ. QUALE REDDITO MINIMO? È SOLO SOCIAL CARD
Nessun reddito minimo, né ipotesi di sperimentazione a livello nazionale del Sostegno per l’inclusione attiva voluto dal ministro del Welfare, Enrico Giovannini: nel testo della legge di stabilità 2014 votato ieri si parla solo dell’estensione della Nuova social card. Il maxiemendamento, infatti, non parla né del Sia, né di qualsiasi altra forma di reddito minimo, nonostante nella serata di ieri circolasse la notizia di un primo passo verso uno strumento di questo tipo, ancora assente in Italia. Il testo approvato, invece, parla sì di 40 milioni l’anno per tre anni (2014-2016), ma si riferisce alla Nuova social card. “E’ incrementato, di 40 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014-2016 ai fini della progressiva estensione su tutto il territorio nazionale, non già coperto, della sperimentazione di cui all’articolo 60 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n.35”, cioè la sperimentazione della nuova carta acquisti. Dal ministero del Welfare, infatti, fanno sapere che i nuovi finanziamenti previsti dalla legge di stabilità 2014, quindi, permetteranno di allargare la sperimentazione della nuova Card a tutto il Centro Nord , a cui si riferisce quel “non già coperto” riportato nel testo. Allargamento a tutto il territorio nazionale già ricordato nel testo della legge di stabilità laddove indica il rinnovo degli stanziamenti per la social card ordinaria, fissati a 250 milioni per il 2014. Attualmente, la nuova social card è finanziata con 50 milioni per quanto riguarda le 12 città con più di 250 mila abitanti (Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Napoli, Palermo, Venezia, Verona, Milano, Roma e Torino) e le prime carte acquisti arriveranno già al termine di quest’anno. Per il 2014, invece, sono previsti i bandi per l’attivazione della sperimentazione in tutte le città del Sud Italia a cui sono stati stanziati 167 milioni provenienti dalla riprogrammazione di fondi europei, ripartiti in 140 milioni nel 2014 e i restanti 27 nel 2015.(ga)

2 – LEGGE DI STABILITÀ, VIA UN ALTRO PEZZO DI SANITÀ PUBBLICA: LA DENUNCIA DELLA CGIL-FP
Il maxiemendamento del Governo sulla Legge di Stabilita’ approvato ieri in SENATO NON SOLO CONFERMA IL TAGLIO DI 1,150 MILIARDI AL FONDO SANITARIO NAZIONALE per il biennio 2015 -2016 – colpendo le risorse contrattuali che avrebbero consentito di valorizzare la professionalità e di premiare il merito di medici ed operatori della sanita’ pubblica – ma finanzia con 400 milioni di euro i policlinici universitari privati dal 2014 al 2024. Lo denunciano Cecilia Taranto, segretaria nazionale Fp Cgil e Massimo Cozza, segretario nazionale Fp Cgil Medici. "A fronte di scelte politiche di potere di investimento nel privato – spiegano i sindacati – i cittadini avranno un servizio pubblico sempre piu’ povero, già decurtato di oltre 30 miliardi di tagli lineari in pochi anni. Prima di pensare a destinare risorse ai policlinici universitari privati il Governo si impegni a dare nel prossimo incontro con il sindacato del 3 dicembre una risposta alle nostre richieste di stabilizzazione per i 35mila precari della sanita’, e a finanziare la formazione specialistica sanitaria dell’Università pubblica nella quale e’ stato perfino ridotta la possibilità di accesso ai laureati. Il Governo cambi rotta.
NON VORREMMO CHE ANCHE DOPO IL PROSSIMO PASSAGGIO ALLA CAMERA IL TESTO DEFINITIVO DELLA LEGGE DI STABILITA’ PORTI PER NATALE CARBONE PER LA SANITA’ PUBBLICA E DONI NATALIZI PER L’UNIVERSITÀ PRIVATA".

3 – I PRECARI DI OGGI HANNO UN FUTURO: POVERI TUTTA LA VITA E SENZA PENSIONE
«Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati – disse il presidente dell’Inps Antonio Mastrapasqua il 6 ottobre 2010 – rischieremmo un sommovimento sociale». Lo studio «Pensions at a Glance» pubblicato ieri dall’Ocse ha finalmente dissolto tutte le reticenze. Finalmente tutti i precari, i lavoratori autonomi e indipendenti sanno che avranno un presente da working poors e un futuro di povertà da anziani. «L’adeguatezza dei redditi pensionistici potrà essere un problema per le generazioni future – sostiene la ricerca – i lavoratori con carriere intermittenti, lavori precari e mal retribuiti sono più vulnerabili al rischio di povertà durante la vecchiaia».
Sul banco degli imputati ci sono il metodo contributivo e l’assenza delle pensioni sociali. Secondo l’Ocse, il metodo contributivo è legato strettamente all’ammontare dei contributi. Quindi penalizza tutti coloro che hanno un lavoro precario e nelle loro vita attraversano periodi crescenti di disoccupazione e precariato, quindi di retribuzione e di contribuzione diseguali. Al termine di questo zigzagare tra lavori e non lavori, queste persone rischiano di non percepire una pensione degna di questo nome. E, in futuro, non godranno delle pensioni sociali «per attenuare il rischio di povertà tra gli anziani». Una catastrofe, dopo più di mezzo secolo di Stato sociale.
Il sistema contributivo è stato tuttavia una manna per i conti pubblici. Ha garantito la stabilizzazione della spesa pensionistica. Nel 2010 era il 15,4% del Pil rispetto alla media Ocse del 9,3%. In virtù della riforma, nel 2050 sarà del 14,7%, mentre la spesa media nei paesi Ocse crescerà all’11,4%. La riforma Fornero del 2012 ha consolidato questi risultati, garantendo la stabilità del sistema tra il 2010 e il 2050. L’aumento dell’età pensionabile a 69 anni ha contribuito a questo fine, ma per l’Ocse non basta. «L’età effettiva alla quale uomini e donne lasciano il lavoro è ancora relativamente bassa: 61,1 anni per gli uomini e 60,5 per le donne – precisa l’Ocse – Le politiche per promuovere l’occupazione e l’occupabilità e per migliorare la capacità degli individui ad avere carriere più lunghe sono essenziali».
La riforma dovrebbe continuare, evitando che i lavoratori «lascino il mercato in anticipo». in condizioni di crescente precarietà. Un circolo vizioso che rischia di trasformarsi in una dannazione perché lavorare 40 e più anni non garantisce comunque una pensione pari o quasi all’ultimo stipendio, come invece avveniva nel sistema precedente. Per questa ragione l’Ocse insiste sullo sviluppo dei sistemi integrativi privati e le assicurazioni vita. Due strumenti che non hanno prodotto i risultati attesi in Italia, molto probabilmente per i bassi salari (28.900 euro, pari a 38.100 dolari, al di sotto dei 42.700 dollari medi dell’Ocse). Ciononostante, nella logica neoliberista, l’Ocse sollecita a proseguire sulla strada della privatizzazione della previdenza a carico del lavoratore mentre i giovani non hanno la possibilità di versare i propri contributi e la percentuale degli over 55 che lavorano (sempre più precariamente) è «relativamente bassa», al 40,5%.
L’obiettivo che spinse 17 anni fa alla trasformazione del sistema, il suo costo elevatissimo, è stato dunque raggiunto. Le pensioni sono state vincolate alla crescita del Pil. Se oggi il Pil non cresce, e non crescerà nei prossimi anni, gli assegni previdenziali saranno ancora più poveri. Ciò peggiorerà l’attuale macroscopica diseguaglianza ai danni dei nuovi entrati sul mercato del lavoro, oltre che ai danni di chi non avrà una carriera professionale con regolari versamenti dei contributi.
Lavorare più a lungo, lavorare peggio, guadagnare sempre meno e, nel caso di chi ha iniziato a lavorare dopo la riforma Dini del 1996, non arrivare alla pensione contando sulla capacità di consumare di più. Nei fatti questa situazione è il rovesciamento della teoria del Nobel per l’Economia Franco Modigliani che rifletteva sull’attitudine dell’individuo al risparmio nella fase attiva della vita per poi consumare di più durante il pensionamento. Chi avrà lavorato per tutta la vita con il metodo contributivo, in maniera precaria, intermittente o indipendente, non ha più speranza di rientrare nel «ciclo vitale del lavoratore» sperimentato nel secondo Dopoguerra. E nel 2050 non consumerà quanto accumulato nel frattempo, continuando a lavorare da povero a 70 anni. E oltre.

4 – LEGGE DI STABILITÀ, LA PROTESTA CONTRO I TAGLI DELLE VITTIME DELLE STRAGE
La rabbia per il mancato inserimento dei risarcimenti alle vittime di strage nella Legge di stabilita’ monta anche a Firenze. Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili, evidenzia come il "27 del mese" si confermi giorno ‘negativo’ per chi ha a che fare con stragi terroristiche ed eversive: il 27 maggio 1993 esplose la bomba in via dei Georgofili e "per ironia della sorte", oggi, 27 novembre, si accende il "disco verde alla piu’ tribolata Legge di stabilita’ di questi ultimi 20 anni, e come prevedile, malgrado le promesse dello stesso Governo in carica, nella finanziaria non c’e’ l’emendamento composto di nove punti che avrebbe sanato la 206 del 2004 legge in favore delle vittime delle stragi".
In una nota, Maggiani Chelli, continua dicendo: "Quindi ora forse capiamo perche’ il Governo, nella veste del primo ministro, ha avanzato la proposta che il prossimo 27 maggio quello del 2014, sia la giornata dedicata alla cultura nella citta’ di Firenze e che migliore data del 27 maggio, data del ricordo delle vittime della strage di via dei Georgofili, non ci fosse. Era ancora una volta, ahime’, non una pensata di un animo nobile, protesa a cambiamenti, bensi’ l’azione di chi ancora una volta usa le vittime delle stragi mentre di li a poco le avrebbe abbandonate a se stesse. Infatti di quale anno della cultura stiamo parlando? Di quello dell’ipocrisia?". I parenti delle vittime di via Georgofili non possono "impedire che il 27 maggio prossimo sia a Firenze la giornata dedicata a qualunque minestra riscaldata si ami rimestare per dare lustro a istituzioni sorde ai richiami delle vittime della strage di via dei Georgofili", ma se le cose non cambiano quel giorno i familiari daranno vita ad un presidio "di protesta".

5 – STABILITÀ, L’INGUARDABILE LEGGE FIRMATA DA LETTA E NAPOLITANO
Il prelievo sulle pensioni d’oro che scattera’ sui redditi oltre 90mila euro e servira’ per finanziare la carta acquisti ma anche l’introduzione, in via sperimentale, di un reddito minimo di inserimento, che nulla ha a che vedere con il reddito minimo vero e proprio; la nuova tassazione sulla casa con l’addio alla Trise e l’arrivo della Iuc, che in realtà esenta già chi era esentato; l’aumento degli sconti per le imprese ai fini Ires e Irpef per il solo 2013 e la riduzione della platea del taglio del cuneo fiscale con le detrazioni concentrate sui redditi medio-bassi. E ancora, oltre alla norma ammazza-sanità dei costi standard, la sanatoria sulle cartelle esattoriali, le risorse per la Sardegna e le aree terremotate e alluvionate cosi’ come il rinvio delle norme sulle spiagge, il taglio dei fondi per le vittime delle stragi, e sull’indicizzazione delle pensioni che saranno probabilmente affrontate alla Camera. Sono queste le principali novita’ della legge di stabilita’ che sara’ licenziata stanotte dal Senato con il voto di fiducia sul maxiemendamento del governo. Questa inguardabile finanziaria serve solo a "passa’ a nuttata" dei numeri e dell’ennesima crisi politica provocata dalla vicenda Berlusconi. E quindi, è tutto un andirivieni di norme per questo o quel feudo che serve e rinforzare la maggioranza, così come ha preteso SM Napolitano. Che è inguardabile lo dicono i sindacati, scontenti della riduzione delle tasse "da operetta", e anche gli imprenditori della Confcommercio. Insomma, un lavoro di basso profilo che a questo punto potrebbe andare storto anche all’Ue che aveva promosso con riserva i conti portati da Saccomanni. Dopo il voto notturno del Senato ora tocca alla Camera.
Questo il quadro sintetico delle norme, che potrebbe subire ancora delle modifiche.

CASA: via la TRISE, arriva la IUC (imposta unica comunale). Avrà ben tre componenti: rimane l’Imu ma non sulla prima casa, ci sara’ la TARI sulla raccolta dei rifiuti e la TASI sui servizi indivisibili. Sara’ esentata la prima casa, ad esclusione delle case di lusso e l’aliquota massima sara’ del 10,6 per mille. Vengono stanziati 500 milioni di euro in piu’ all’anno a favore dei Comuni (la dote sale a 1,5 miliardi) da destinare alle detrazioni per le famiglie con redditi bassi.
SCONTI IMPRESE: aumenta dal 20 al 30% la deducibilità Imu sui beni d’impresa ai fini Ires e Irpef ma solo per il 2013, con una dote di 200 milioni di euro.
CONTRIBUTO PENSIONI D’ORO: il contributo scatterà sui redditi oltre 90mila euro l’anno con un 6% che sale al 12% per redditi oltre 128mila euro fino al 18% per redditi sopra 193mila.
REDDITO MINIMO INSERIMENTO: le risorse derivanti dal prelievo sulle pensioni d’oro finanzieranno la sperimentazione della carta acquisti ma anche, come ha spiegato il viceministro dell’Economia, Stefano Fassina, il reddito minimo d’inserimento in alcune grandi aree metropolitane. A protestare contro la presa in giro del Governo è invece il segretario del Prc Paolo Ferrero. "Se, come si legge, la copertura finanziaria del provvedimento è di 40 milioni di euro l’anno, visto il numero di disoccupati e di poveri qui siamo a meno di 10 euro all’anno a testa§", scrive Ferrero in una nota. "Una cosa simile in un contesto in cui si spendono miliardi per la Tav e i cacciabombardieri e decine di miliardi vengono regalati alle banche e agli speculatori attraverso gli interessi del debito pubblico, non è nemmeno una elemosina, è un insulto alla miseria". "Inoltre la copertura di questa spesa pare somigliare da vicino a quella già bocciata dalla Corte Costituzionale quando c’era il governo Monti, per cui al danno rischia di aggiungersi la beffa e cioè che quei pochi soldi non verranno mai nemmeno stanziati sul serio". ricevuto cartelle esattoriali da Equitalia potranno sanare la loro posizione pagando l’imposta al 100% e le sanzioni ma senza corrispondere gli interessi di mora.

CUNEO FISCALE: riduzione della platea dei destinatari con benefici aumentati fino a un massimo di 225 euro all’anno che si registra nella fascia tra i 15 e i 18mila euro. La norma prevede detrazioni fiscali fino ai 35mila euro.
CDP PER SOSTEGNO ECONOMIA: esteso il perimetro d’azione della Cassa per il credito alle Pmi, anche con garanzia dello Stato. La Cassa potra’ acquistare titoli cartolarizzati delle imprese di ogni dimensione.
CREDITO PMI E MUTUI FAMIGLIE: nasce un ‘Sistema di garanzia nazionale’ con un fondo di garanzia per le Pmi, e un fondo per i mutui prima casa delle famiglie e per i lavoratori
co.co.pro.
SARDEGNA: nel biennio 2014-2015 lo Stato stanziera’ 103,4 milioni per la ricostruzione e la ripresa economica nelle zone interessate dagli eventi alluvionali il commissario delegato potra’ avvalersi dell’Anas per il ripristino della viabilita’ interrotta o danneggiata.
COSTI STANDARD: monitoraggio e revisione dei costi standard di regioni ed enti locali entro il 2015, incluso il comparto della Sanita’.
CONTI CORRENTI: il cliente potra’ trasferire a un’altra banca a costo zero, senza spese aggiuntive, i servizi di pagamento connessi al rapporto di conto corrente. L’operazione deve essre perfezionata entro 14 giorni lavorativi dalla richiesta.
VEICOLI SEQUESTRATI IN VENDITA: i veicoli sequestrati da oltre 2 anni per violazione al codice della strada saranno messi in vendita o riscattati. Resta il diritto di riscatto del proprietario. I veicoli che non riusciranno a essere venduti saranno rottamati.
MANAGER SOCIETA’ COMUNALI: basteranno due bilanci in rosso perche’ i manager delle societa’ "partecipate" dai comuni
possano essere cacciati "per giusta causa".
CALAMITA’ NATURALI: i risparmi derivanti dalla riduzione dei finanziamenti ai partiti andranno alle regioni colpite da calamita’ naturali. Le risorse dovrebbero ammontare a circa 68 milioni di euro.
AUTOTRASPORTO: 330 milioni per il settore

6 – LEGGE STABILITÀ, 3 MILIARDI PER LE NAVI DEI SIGNORI DELLA GUERRA
"La super-casta delle spese militari che non conosce la crisi e il rigore che devono sopportare i cittadini italiani che ormai sommano sacrifici a sacrifici, la fa sempre franca e si arricchisce". Nel giorno degli affari d’oro di Fincantieri con i partner russi per la fornitura di navi da guerra e piattaforme, e dopo la vicenda degli F-35, la legge di stabilità regala ben 3 miliardi di euro alla difesa per nuovi navi da guerra. La denuncia viene dal co-portavoce dei Verdi Angelo Bonelli che aggiunge: "Nei commi 21 e 22 del maxi-emendamento del governo ci sono oltre 3 miliardi di euro in 20 anni per interventi nel settore della difesa degli interessi nazionali nel settore marittimo oltre che per sostenere l’industria naval-meccanica. Tradotto, significano finanziamenti per nuove navi militari". Angelo Bonelli aggiunge: "Il comma 21 prevede 40 milioni nel 2014; 110 del 2015 e 140 dal 2016 e per i successivi vent’anni. A questi si sommano 400 milioni di sostegno previsti al settore aereo navale disposti dal comma 22- denuncia il leader ecologista -. Con queste stesse risorse utilizzate nello stesso arco temporale si potrebbe rivoluzionare il settore del trasporto pubblico nelle citta’ italiane che e’ ormai al collasso oppure finanziare un grande piano per la messa in sicurezze del territorio italiano che e’ a rischio idrogeologico: priorità velocemente dimenticata dalla politica nonostante il dramma sardo".
"Di certo – conclude Bonelli – finanziare l’acquisto di navi da guerra mentre latitano risorse per la sanita’, la scuola la sicurezza come dimostra la denuncia del capo della Polizia sugli organici sottodimensionati e’ uno schiaffo in faccia all’Italia che fa sacrifici e che soffre a causa della crisi". A protestare è anche l’Idv, per bocca del segretario nazionale Ignazio Messina, che sul suo profilo twitter scrive: “E’ schiaffo a chi non arriva alla fine del mese".

7 – LA CRISI DI LUNGA DURATA
La crisi non è finita, lo sappiamo bene in Italia con l’economia in recessione e la disoccupazione in aumento. Il resto dell’Europa meridionale non è messa molto meglio, mentre Germania e Stati Uniti sembrano essere usciti dal momento peggiore, almeno se si guardano gli indicatori macroeconomici più classici, come crescita e disoccupazione.
Che nascondono però alcune inquietanti verità. Per esempio che il famoso top 1% si è impossessato del 95% della crescita avvenuta in questi anni negli USA. O che, sempre negli Stati Uniti, la partecipazione al mercato del lavoro è la più bassa dal 1948, l’anno in cui si cominciarono a registrare questi dati. E la produzione industriale, in tutti i paesi occidentali, è ancora sotto il livello pre-crisi. Perché? Perché mancano le opportunità di investimento.
Certo, lo shock finanziario ha colpito duro, ed ancora più duro han colpito le politiche di austerity. Il problema, però, è di natura strutturale, non congiunturale. Si tratta di trend di lungo periodo del capitalismo, proprio quelli che, in primo luogo, hanno gettato le basi per il meltdown del 2007. La finanziarizzazione dell’economia ha creato una enorme massa di capitale in eccesso in cerca di investimento che non era, però, facile trovare. Il risultato è stato la creazione di bolle su bolle, sempre più grosse, sempre più difficili da controllare. Fino a Lehman, appunto. Nulla però si è fatto per curare questi problemi e lo stesso trend è ricomparso quasi subito: una crescita esponenziale del mercato azionario americano, pure a fronte di bassi investimenti e bassa crescita; ed un aumento fortissimo dei prezzi delle case in Inghilterra, soprattutto a Londra. Insomma, nuovamente il capitale – presto riformatosi soprattutto grazie ai quantitative easing – gira il mondo e, non trovando investimenti produttivi, crea bolle speculative. I segni di una certa instabilità del sistema finanziario non mancano, anche JP Morgan ha messo in guardia i mercati denunciando un eccesso di liquidità superiore anche al periodo 2001-2006, gli anni che hanno portato alla bolla e alla crisi finanziaria.
Quello cui ci troviamo davanti è, in sintesi, una crisi di struttura. C’è una sovraccumulazione di capitale ed un eccesso di capacità produttive. Da una parte, l’avanzamento tecnologico e la robotizzazione porta ad un eccesso di offerta rispetto alla domanda corrente. Dall’altra, la stessa domanda è costretta dalla crescente diseguaglianza che è stato l’altro trend dominante degli ultimi trent’anni. Per un decennio abbondante, questo squilibrio è stato nascosto proprio dalla leva finanziaria che, con i vari mutui subprime e l’economia del debito, ha finanziato tanto gli investimenti profittevoli quanto il consumo. In realtà, la struttura economica attuale – e con l’attuale livello di domanda – sembra portarci a quella che Larry Summers ha definito una stagnazione secolare, con pochissime opportunità di investimento, e dunque di crescita. Tant’è che è stato calcolato che il livello di equilibrio dei tassi di interesse per garantire la piena occupazione sia negativo (-3%). Un trend che rischia di peggiorare con il progressivo re-orientamento dell’economia cinese verso i servizi. Non è una sorpresa quindi che la politica monetaria espansiva di questi anni abbia portato risultati assai modesti: in America, appunto, un rigonfiamento artificiale dei prezzi delle azioni – il rapporto prezzo/guadagni che indica la presenza di un eccesso di esuberanza nei mercati è già a livello di rischio – in Europa una riduzione dei tassi di interesse sul debito pubblico.
Affidarsi al mercato, dunque, non potrà portare a nessuna vera crescita non solo per i prossimi mesi o anni, ma addirittura per i prossimi decenni. L’uscita dalla crisi può avvenire solo attraverso l’intervento pubblico. Da una parte, con politiche fiscali redistributive che possano incoraggiare la domanda interna. Dall’altra, soprattutto, con la spesa pubblica. Tutto l’Occidente, oggi, è in disperato bisogno di interventi pubblici per ricalibrare il sistema economico in maniera sostenibile, verso una versione ecologicamente compatibile del capitalismo. Si tratta di una modernizzazione necessaria, tanto per ragioni sociali quanto per motivi economici. Un tipo di investimento infrastrutturale di lungo termini che, per sua stessa natura, difficilmente potrebbe vedere il mercato privato protagonista – mercato che però, nel medio periodo, si gioverebbe sia della maggior crescita, sia della modernizzazione tecnologica.
In Italia poi, e non solo in Italia, il bisogno di investimento pubblico sarebbe essenziale per sopperire la mancanza cronica di infrastrutture – dai trasporti locali ai porti alla messa in sicurezza del territorio. Si tratterebbe di una ritorno al passato nella maniera di intendere l’economia pubblica. E soprattutto di una presa di coscienza che la struttura economia attuale non è sostenibile.

8 – È NATO IL «SIA» 120 milioni in tre anni contro la miseria.
Nel maxiemendamento alla legge di stabilità è inserito il «reddito minimo di inserimento». Lo ha annunciato ieri in aula al Senato il Vice-ministro all’Economia Stefano Fassina. Si tratta di un fondo di contrasto alla povertà finanziato con il prelievo sulle pensioni d’oro (la soglia è stata abbassata da 150 mila a 90 mila euro). Da questo paniere verrà attinto un «contributo di solidarietà» per finanziare il Sostegno di inclusione sociale (Sia) con 40 milioni di euro all’anno per i prossimi tre. In attesa di un’integrazione del fondo, davvero esiguo, nel passaggio della legge di stabilità alla Camera, il governo ha annunciato la sperimentazione di questa misura «in alcune grande aree metropolitane». Il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, ha espresso «grande soddisfazione, anche se abbiamo dovuto ridimensionare le nostre aspettative».
Il ridimensionamento è davvero rilevante e deluderà gli interlocutori di Giovannini (la Caritas e le Acli) che si erano lamentati dell’importo risicato quando si parlava ancora di 400 milioni di euro per tre anni. I cattolici ne hanno chiesti 900 per finanziare il «reddito di inclusione sociale» (Reis). Per finanziare il Sia il governo ha parlato di 7-8 miliardi di euro (all’anno). Considerate le ristrettezze del bilancio, la previsione era stata ristretta a 1,5 miliardi. Ora siamo a 120 milioni (su tre anni). Questi 120 milioni di euro dovranno essere spartiti tra 3 milioni di persone, e in particolare alle famiglie con un valore Isee pari o inferiore a 12 mila euro e reddito inferiore alla soglia di povertà assoluta. Verranno erogati dall’Inps in base al calcolo sulla differenza tra il reddito a disposizione e i margini che contrassegnano l’indigenza totale. Nell’attuale formulazione, i poveri dovranno dimostrare allo Stato di essere buoni padri di famiglia che mandano i figli a scuola e si impegnano a cercare lavoro iscrivendosi alle liste di collocamento, notoriamente gli strumenti ideali per trovare un lavoro in Italia. Nella bozza elaborata prima della legge di stabilità si prevedevano misure ispirate a un workfare disciplinare che dal 2014 obbligherà i Comuni – gli enti che coordineranno l’erogazione del sussidio – al controllo dei «buoni comportamenti» dei capofamiglia.
Quello finanziato, si fa per dire, ieri dal governo non è un «reddito di cittadinanza universale incondizionato», come già si espresse Giovannini il 18 settembre scorso. Non è nemmeno il «reddito minimo garantito», destinato agli individui e non alle famiglie, di cui esistono ben tre proposte di legge (Sel, Pd e Movimento 5 Stelle) alla Camera. Il Sia è una «misura nazionale contro la miseria», così lo ha definito Cristiano Gori, membro della commissione ministeriale che ha elaborato la proposta.

9 – PROPRIETÀ PRIVATA PUBBLICHE SERVITÙ – Ugo Mattei
Dalla gestione del territorio a quella dell’acqua i rapporti tra pubblico e privato sono sbilanciati a favore di quest’ultimo, anche grazie alla complicità degli amministratori locali. «Invertire la rotta» sui beni comuni è possibile. Napoli lo dimostra
Bene ha fatto Tonino Perna a collocare la tragedia che ha colpito la Sardegna nel contesto ecologico di medio-lungo periodo divenuto sempre più insostenibile e necessitante quindi di una inversione di rotta radicale. Poiché il diritto è l’istituzione attraverso la quale una collettività prende le proprie decisioni, qualsiasi declamazione politica mostra la sua coerenza soltanto se mette mano al diritto dei beni (ossia dei rapporti che legano l’individuo al territorio e agli «arredi del mondo»). In quest’ambito l’ipocrisia di Enrico Letta diventa davvero intollerabile, perché mentre recita il miserere, stanzia una cifra del tutto ridicola per il territorio Sardo (20 milioni di Euro, qualche decina di metri di Tav), si lascia andare a proclami irresponsabili sulla necessità della Torino-Lione (dispiacendosi per di più che le sue forze del disordine impediscano con la violenza ogni manifestazione di dissenso e l’accesso a un bene comune come Piazza Farnese), e colloca in vendita alcuni interessi strategici del paese, mostrando nei fatti la sua rinuncia ai mezzi economici per esercitare qualunque tipo di sovranità territoriale.
Proprio quest’ultima vicenda è emblematica. Da molti anni ormai una parte importante della nostra cultura giuridica ed economica (il volume Invertire la la rotta esce per Il Mulino nel 2007) mostra l’insostenibilità dello sbilanciamento costituzionale che consente al governo in carica di privatizzare beni pubblici e comuni alienandoli e distruggendoli (vedi paesaggio in Val Susa) come se fossero di sua proprietà privata, senza dover dimostrare la pubblica utilità, e senza dover indennizzare il popolo sovrano che viceversa ne è formalmente proprietario. Tale comportamento di vero e proprio saccheggio legalizzato dei beni appartenenti al popolo sovrano tradito (che si lamenta con l’astensione) non solo legittima ogni tipo di resistenza, ma mostra pure lo strumentario giuridico con cui esso viene realizzato, che essendo tecnico consente operazioni non agevolmente comprensibili.
Innanzitutto deve essere chiaro che la forma «società per azioni» facilita l’alienazione a fini di speculazione e dunque la mercificazione di brevissimo periodo di ogni interesse. Gli agognati 12 miliardi del pacchetto di privatizzazioni (ma voglio mettere agli atti che se ne realizzerà molto meno della metà) proverranno da «semplici» trasferimenti di pacchetti azionari di società ad azionariato pubblico (Mef e Cdp), confermando che la privatizzazione della forma è già anche privatizzazione della sostanza. I tanti sindaci contro-riformisti che in questa forma vogliono continuare a gestire i servizi pubblici (acqua, trasporti, spazzatura) mentono quando sostengono che una Spa col 100% di azioni del Comune è comunque un ente pubblico di gestione. Il profitto di breve periodo e la facile alienabilità delle azioni sono nel Dna della Spa, sicché la trasformazione formale è inevitabilmente prodromica alla svendita di pacchetti azionari sufficienti al controllo in capo a interessi privati con vocazione «estrattiva».
Oltre alla struttura societaria (antichissima), anche quella del demanio e del patrimonio indisponibile (a loro volta antiche) sono responsabili della situazione di mal governo del territorio e dei beni pubblici e comuni. In Italia le regole del demanio sono le stesse che aveva a disposizione l’amministrazione napoleonica. Esse producono un misto di burocratismo, formalismo ed arbitrio della Pubblica Amministrazione che spiega in gran parte l’impopolarità del settore pubblico percepito come incapace e corrotto. Infatti, sovente i funzionari degli «uffici pubblici» leggono le norme giuridiche come se si trattasse di istruzioni per montare un boiler che bisogna seguire alla lettera per paura di possibili esplosioni. La paura degli occhiuti controlli della Corte dei Conti (a sua volta sovente portatrice di una cultura formalistica) accompagnata all’incapacità generale di interpretazioni del diritto «costituzionalmente orientate» (che pure sono doverose) rendono ben difficile misurarsi giuridicamente con la sfida epocale di cui parlava Perna.
Infine un ruolo drammatico nel formalizzare uno status quo insostenibile svolge la proprietà privata. Anche qui le ragioni sono in parte legate agli sbilanciati rapporti fra pubblico e privato favorevoli a quest’ultimo, in parte alla resa prima di tutto culturale della dottrina giuridica e della giurisprudenza di fronte alle prepotenze neoliberiste che arrivano dalle Corti di Bruxelles e di Strasburgo (purtroppo anche NizzaLisbona non vanno nella direzione sperata da nostri autorevoli teorici dei diritti). La proprietà privata oggi, sia essa in capo a persone fisiche che giuridiche, riceve una tutela assoluta ed indipendente dalla sua funzione sociale, che pur ancora vige nell’Art. 42 Costituzione. La sua natura «estrattiva» e di rendita anche parassitaria è fortemente accettata dal comune sentire. Per questo casi emblematici come il grattacielo sottratto a Macao dall’asse CancellieriLigresti o il Colorificio Liberato a Pisa dove si è restaurata con la forza la proprietà estrattiva contro quella generativa realizzata dal Municipio dei beni comuni non hanno ancora prodotto il moto di indignazione sperato.
In questo quadro di complicità dei sindaci rispetto alla restaurazione neoliberista seguita al referendum del 2011 che appunto chiedeva di invertire la rotta, in attesa di vedere che cosa riuscirà a fare Accorinti, sento il dovere di segnalare il lavoro contro-corrente di De Magistris. Eleganza mi induce ad accennare appena al completamento della della trasformazione di Abc (che mai più potrà esser venduta o data in pegno alle Banche), la sua eccellente condizione di sostenibilità economica attuale, e i passi significativi nel maggior coinvolgimento dei lavoratori e degli utenti nel governo dell’acqua bene comune. Il caso dell’acqua di Napoli resta unico in Italia, è ammirato in tutta Europa ma quotidianamente si misura con la necessità di dare coraggiose letture costituzionalmente orientate alla fiumana di diritto contro-riformista che si abbatte contro questo unico esempio nazionale di cristallina coerenza con la volontà del popolo espressa nel referendum.
La giunta De Magistris sta per approvare altre due rivoluzionarie delibere, preparate dall’Osservatorio Permanente sui Beni Comuni già istituito con sue delibere del giugno 2013 in attuazione dello Statuto Comunale di Napoli che contiene la definizione di beni comuni della Commissione Rodotà. L’osservatorio presieduto da Alberto Lucarelli e composto da autorevoli esponenti della cultura napoletana, propone il rientro di proprietà tanto private quanto pubbliche attualmente abbandonate fra i beni comuni dei napoletani, con successivo loro governo istituzionale partecipato ed inclusivo come già avviene tanto per l’ex Asilo Filangieri quanto per Abc. Le delibere sono assai ben fondata tanto in leggi ordinarie (in particolare Art 838 Codice Civile, 113 Tuel) lette in modo costituzionalmente orientato, quanto nella Costituzione (Artt. 3, 41,42, 43, 44) come era scontato fosse data l’autorevolezza dei giuristi dell’ Osservatorio Permanente (Maddalena, Moccia, De Giovanni). Esse tracciano una procedura di riacquisizione ai beni comuni di proprietà private che non rispettano la funzione sociale (l’esempio Pisano del Colorificio era ben presente ai redattori) e costituiscono quella vera rivoluzione culturale negli assetti proprietari che, se estesa a tutto il territorio nazionale, consentirà davvero di «invertire la rotta» nel senso auspicato da Perna. Se a ciò aggiungiamo il ruolo di promotore di una nuova Associazione nazionale fra i gestori pubblici di servizi di interesse generale denominata Federcommons assunto da Abc Napoli, ecco che la coraggiosa coerenza con la «rivoluzione arancione» delle politiche poste in essere pur fra mille difficoltà dalla giunta di Napoli fa vergogna a chi ha già tradito quel sogno. Ed ecco spiegato il perché gruppi editoriali legati al partito contro-riformista, che ospitano abbondante pubblicità dell’acqua minerale insieme a pseudo-intellettuali di varia natura, attacchino oggi Napoli. Solo il capoluogo partenopeo sta dimostrando nei fatti che la rivoluzione dei beni comuni è possibile. Copia Napoli e il saccheggio muore!

10 – C’è la legge di stabilità ma manca la politica economica
Finalmente abbiamo la legge di stabilità. Saranno in molti a sostenere che il percorso politico della nuova maggioranza si è finalmente delineato. Adesso sarà possibile adottare tutti i provvedimenti che permettono al paese di uscire dalle secche in cui si è trovato in questi ultimi anni, e guidare la ripresa economica con tutti i provvedimenti necessari. Se da un punto di vista politico è possibile sostenere la maggiore coerenza dell’attuale maggioranza, la politica economica e pubblica che si manifesta con la “nuova” legge di stabilità è, forse, il vero manifesto della “nuova” politica economica.

Proviamo a farci una domanda semplice: la politica economica del governo è quella di sostenere…….? Nessuno saprebbe dare una risposta univoca. Qualcuno risponderebbe il lavoro via cuneo fiscale; altri l’edilizia via ecobonus; si potrebbe proseguire facendo riferimento alle infrastrutture e ai nuovi investimenti; se proprio si vuole esagerare possiamo considerare il nuovo fondo SIA, cioè il sostegno all’inclusione attiva. Si potrebbe anche declinare la nuova IUC (imposta unica comunale), in sostituzione della vecchia IMU. Se vogliamo esagerare possiamo considerare la possibilità per le banche e le assicurazioni di dedurre in 5 anni le predite legate alle sofferenze.

L’elenco potrebbe continuare per molte altre voci, ma il senso dell’elenco è quello di denunciare l’assenza di una politica economica di qualsiasi colore. Inoltre, le principali misure di politica economica, quelle che metteranno realmente le mani nelle nostre tasche e nelle tasche dello stato, sono annunciate senza che si possa discutere della loro utilità. Al massimo è concesso il vincolo “politico”, quello legislativo è chiedere troppo, di destinare i risparmi della spending review alla riduzione del cuneo fiscale. Al netto dell’effetto marginale del provvedimento in essere, è necessario conoscere che il fisco interviene sempre a margine dei redditi pattuiti nel mercato, realizzando, quindi, una distribuzione marginale dello stesso reddito. Chiedere al fisco di risolvere i problemi di crescita, distribuzione di reddito e produttività, per non parlare di nuovo lavoro, è la più grande menzogna di questi ultimi 20 anni, ma comoda per dissipare il vasto patrimonio di conoscenze che potrebbero facilitare l’uscita dalla crisi, senza essere per forza keynesiani.

La legge di stabilità è la manifestazione plastica della politica italiana: tutti hanno ragione; tutti devono trovare una risposta più o meno plausibile. Nominalmente tutti possono essere riconosciuti, ma la politica economica è qualcosa di più. L’andazzo non è accettabile. Tutti parlano della più grave crisi del capitalismo. Alcuni si spingono a dire che questa crisi è molto peggiore di quella del ventinove, ma la realtà è più stringente: la crisi economica partita nel 2007 per alcuni paesi si è declinata in minore crescita, per altri in stagnazione, per altri ancora in recessione, per i più sfortunati in depressione. L’Italia è l’unico paese europeo, al netto della povera Grecia, che ha vissuto una depressione nel vero senso della parola. 175 mld di euro di minore crescita dell’Italia rispetto alla media europea nel corso di questi ultimi 10 anni, 6 milioni di persone senza lavoro, una riduzione del reddito procapite del 17%, secondo solo a quello della Grecia (meno 14%), potevano suggerire almeno la scelta di chi e di che cosa privilegiare. La politica dovrebbe occuparsi del cosa e del come progettare il futuro. L’attuale governo gestisce male il presente, mentre il futuro è nelle mani del destino. Ma come possiamo lasciare al destino 6 milioni di persone senza lavoro? Come possiamo rinunciare a creare tanto lavoro quanto se ne perde? Come possiamo guardare al futuro se ai giovani neolaureati non offriamo un lavoro coerente con la loro formazione?
Forse un senso nella legge di stabilità e nella nuova maggioranza c’è, ed è nella parodia di Briatore e di Renzi fatta da Crozza suggerita da Nicolò. Non che gli altri siano meglio o peggio, ma sono la fotografia della classe dirigente che rigenera, nei migliori dei casi, se stessa.

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