10938 25 NOVEMBRE. GIORNATA INTERNAZIONALE CONTRO LA VIOLENZA DI GENERE

20131126 01:17:00 guglielmoz

GIORNATA INTERNAZIONALE CONTRO LA VIOLENZA DI GENERE:
BASTA FEMMINICIDI, BASTA VIOLENZA SULLE DONNE IN OCCASIONE DELLA GIORNATA INTERNAZIONALE CONTRO LA VIOLENZA DI GENERE, RIPROPONIAMO UN RECENTE ARTICOLO DI IMMA BARBAROSSA,

PUBBLICATO DA IL MANIFESTO, INTITOLATO “IL FEMMINICIDIO DELLE LARGHISSIME INTESE”.

SETTE MILIONI DI VITTIME NELLA GUERRA INVISIBILE COMBATTUTA SOPRATTUTTO TRA LE MURA DI CASA.
FISICA O SESSUALE: UNA DONNA SU TRE HA SUBITO VIOLENZA.

RIPROPONIAMO UN RECENTE ARTICOLO DI IMMA BARBAROSSA, PUBBLICATO DA IL MANIFESTO, INTITOLATO “IL FEMMINICIDIO DELLE LARGHISSIME INTESE”.
Confesso di aver provato un moto di sgomento nel sentire (e vedere) Angelino Alfano parlare di “violenza di genere” e di un decreto governativo composto di prevenzione, punizione, protezione”. Poi con la retorica commossa del presidente Letta il femminicidio entra a pieno titolo in un provvedimento con cui le larghe intese affrontano con la fretta del “fare” l’emergenza della violenza maschile contro le donne, accanto a misure repressive contro il “terrorismo” del movimento No Tav e… contro i ladri di rame.
Ancora una volta le donne entrano in un provvedimento di ordine pubblico e sicurezza, ancora una volta corpi e menti sotto tutela. La storia è lunga, il dibattito tra le femministe complesso e accidentato, fin da quando nel senso comune cominciò a farsi strada l’idea che la violenza contro le donne non era una questione di offesa al pudore o alla morale, in cui si sono per decenni esercitati giudici e penalisti su quanto la “provocazione” femminile desse o non desse adito al desiderio irrefrenabile dell’uomo cacciatore e su come le mogli non dovessero rifiutarsi al debito coniugale. Sotto l’urto e la riflessione del movimento femminista la questione della violenza contro le donne cominciò a collocarsi dentro l’ordine patriarcale e il sistema del dominio maschile. Dell’amore come possesso. Dentro il ‘nido’, della famiglia, dentro la ‘serenità’ della coppia anche ‘regolarmente’ coniugata in chiesa.
L’ottica prevalente fu la giusta abrogazione delle norme del codice Rocco e ,insieme, l’esigenza di una legge che, da una parte, affrontasse la questione in termini penali ,dall’altra rendesse ‘superflua’ la denuncia della vittima. “Procedibilità d’ufficio” sembrava la soluzione più protettiva nei confronti delle donne, e tale senso cominciò a insinuarsi nelle donne delle istituzioni,a cui fu delegato il compito di occuparsi dei termini legislativi, magari con qualche eccezione, quella all’interno del matrimonio, in quanto “tra moglie e marito non mettere il dito”, come recita un proverbio popolare.
Eravamo in poche,tra gli anni Settanta e Ottanta,a ritenere che alla donna dovesse essere lasciata la libertà e la responsabilità della querela di parte,costruendole intorno un contesto e una rete di solidarietà e di “welfare di genere”. Poche ma visibili. Ma furono gli anni Novanta a partorire le “Norme contro la violenza sessuale” (legge n.66 del 15 febbraio 1996),alla fine di uno dei governi Berlusconi,pochi mesi prima della vittoria elettorale di Prodi. Relatrici Alessandra Mussolini e Anna Finocchiaro. Una legge che aumentava le pene sempre a motivo di sicurezza,introduceva la querela di parte ,tranne alcuni casi (se lo stupro era commesso da un genitore o tutore o appartenente alle forze dell’ordine e via dicendo),ma soprattutto introduceva la questione della violenza presunta che interveniva pesantemente sul ‘consenso’ delle minori,cioè sulla libertà delle giovanissime. Ricordo che nel plauso generale istituzionale Rifondazione comunista votò contro (dichiarazione di voto di Elettra Deiana) e fu estremamente faticoso spiegare ai compagni maschi le motivazioni di quel voto contrario: quando c’è da “difendere” le donne tutti,o quasi tutti,diventano paladini.
Oggi ci risiamo: nel frattempo le larghe intese hanno scoperto il termine femminicidio,si approvano misure già approvate e mai applicate (ad esempio l’allontanamento del violento dall’abitazione familiare),si rende irrevocabile la querela, ignorando che tante donne uccise hanno ripetutamente e inutilmente denunciato. Questa volta il plauso non è tanto generale. Crepe si sono aperte,ma fuori delle istituzioni: subito dopo il decreto del consiglio dei ministri le prime critiche che mi è capitato di leggere,tranne qualche eccezione,erano di questo tipo: la legge va bene,ma sono solo parole,non ci sono soldi per i centri di accoglienza per donne maltrattate,non basta una legge o la questione è culturale. Voglio dire che si trascurano,a mio avviso,due aspetti,uno sociale e culturale,l’altro simbolico. Quello sociale e culturale sta nella mancanza di un contesto solidale nei confronti delle donne: soprattutto occorrerebbe avviare percorsi formativi sessuati nelle scuole e in tutti i luoghi in cui le relazioni tra i sessi potrebbero essere sottratte agli stereotipi maschilisti,viriloidi,patriarcali. Percorsi formativi per docenti,personale dei tribunali,commissariati,vigili urbani e così via. Tuttavia l’aspetto simbolico a me pare centrale: la modifica profonda della relazione tra i sessi e soprattutto la centralità di una soggettività femminile libera e consapevole della sua autonomia e della sua autodeterminazione. Il punto è questo. Senza di questo si rischia la celebrazione,in parlamento e sui giornali che contano, del solito squallido rito della “unanimità” sulle donne, magari con qualche ghiribizzo del Movimento Cinque stelle, affascinato dall’aumento delle pene. E, secondo un senso comune ahimé troppo diffuso, la violenza contro le donne non è né di destra né di sinistra. Nel senso che la sinistra non è né maschile né femminile. È neutra, cioè è maschile.

2 – SETTE MILIONI DI VITTIME NELLA GUERRA INVISIBILE COMBATTUTA SOPRATTUTTO TRA LE MURA DI CASA. FISICA O SESSUALE: UNA DONNA SU TRE HA SUBITO VIOLENZA.

FONTE: ELABORAZIONI SU DATI ISTAT. Provate a immaginare un mondo cupo, dove il terrore non è qualco¬sa d’improvviso e occasionale ma ripetitivo, costante, ossessivo. Immaginate di vivere l’incubo di una violenza che non viene da «fuori», ma nasce e si consuma all’interno dei luoghi più familiari e rassicuranti. E spesso ha un volto noto, consueto, abituale. Immaginate una violenza che esplode senza preavviso, senza ragione. Provate a pensare cosa vuol dire avere costantemente paura, vivere una crescente in-sicurezza che si trasforma in ansia. E immaginate di perdere l’autostima, il senso della realtà, la capacità di definire quello che succede e dargli un significato. Provate a immaginare l’angoscia di un’esistenza parallela, opaca al mondo esterno; di provare vergogna per gli abusi subiti e custodire il segreto di violenze indicibili, perché il racconto può non essere creduto, oppure minimizzato e banalizzato proprio da quelle persone che dovrebbero rap-presentare la vostra rete di protezione. Provate a vivere il senso d’impotenza, la depressione, la tachicardia, l’insonnia. E provate ad ascoltare il silenzio interno, l’ansia costante che si annida progressivamente nell’anima fino a diventare una presenza inquietante che rende impossibile ogni movimento, svuotando ogni possibilità di leggere la realtà per quella che è, senza riuscire a fronteggiarla e contrastarla. Provate a sentirti vuoti, stanchi, privi di obiettivi, presi in ostaggio da un nemico oscuro che vive sotto il vostro stesso tetto o nell’abitazione accanto.
ACCANTO A NOI
Per quanto possiate immaginare tutto questo, non sarà mai abbastanza. Perché l’orrore delle vittime della «guerra invisibile» che si consuma ogni giorno è inimmaginabile. Vittime che non sono poi lontane come si può credere. Sono accanto a noi, anche se non vediamo i segni delle ferite inferte nel profondo. Vittime di una violenza che si consuma prevalentemente tra le mura domestiche. Sono sette milioni le donne italiane che hanno subito violenza fisica o sessuale. Quasi una su tre. Ma è una stima ap-prossimata per difetto, considerato che solo una minima parte dei reati arriva all’autorità giudiziaria. Basti pensare che le denunce per violenza sessuale rappresentano meno di un decimo degli abusi sessuali subiti dalle donne.
Un dramma invisibile e impalpabile, dalle forme nascoste e spesso difficili anche da conte-nere all’interno di perimetri giuridici certi. Almeno all’inizio, come quando si esprime sotto forma di una sottile e insidiosa pressione psicologica. Un’atmosfera di sopraffazione e di minaccia che si insedia poco alla volta nella quotidianità. E si riflette nella paura «di farlo arrabbiare», di deluderlo, di sentirsi «stupida» nel contraddirlo, facendosi carico della sua aggressività. Ed è solo il principio di un percorso che distrugge la vita.
Se pensate che gli autori delle violenze siano brutti, sporchi e (apparentemente) cattivi, vi sbagliate. Nel quotidiano hanno un comportamento socievole e seduttivo, ma giocano con le emozioni degli altri per ottenere il raggiungi-mento di controllo e potere. Si credono superiori, vogliono che gli altri li riconoscano come tali e hanno bisogno di una costante ammira-zione e attenzione. Non cercano amore, di cui non conoscono il significato, ma rassicurazione nell’immagine idealizzata di loro stessi. Per questo è insopportabile che una donna li possa semplicemente criticare. E nel momento in cui una donna manifesta insofferenza, rifiuto oppu-re minaccia l’abbandono, esplodono in una rabbia devastante che può sfociare in qualsiasi cosa. Persino in omicidio. O femminicidio, come si dice oggi.
Sarebbe un errore immaginare che le donne che subiscono violenza siano persone deboli e predisposte a subire la loro condizione di vitti-me. Perché fragili lo diventano dopo. E spesso fino al punto di non saper riconoscere ciò che hanno subito. Le emozioni negative e i vissuti legati alla loro condizione sono talmente difficili da accettare che le spingono a non rivelare a nessuno quello che subiscono quotidianamente. Spesso a negarlo. Per questo raramente le vittime denunciano la violenza subita ma cerca-no di controllare il dolore, eliminandolo o minimizzando l’intensità di quello che provano.
La sofferenza più grande sta qui, nel rimane-re immobili, senza capire come mai si è portate ad accettare una situazione che non può essere tollerata.
Si è spesso cercato di comprendere per quale motivo le donne che subiscono violenza in moltissimi casi non lo denunciano e non cercano aiuto. Ma più interessante è chiedersi per quale motivo i casi di violenza «sommersi» siano così «invisibili» al contesto familiare e ancor più sottaciuti dal contesto sociale che circonda le vittime. Si tratta d’ignoranza del fenomeno, o, invece, di una sorta di accettazione sociale, in particolare quando la violenza si consuma tra le mura domestiche?
Vi è tutta una seria di pregiudizi e stereotipi che spiega perché, nonostante la grande sofferenza che vivono, le donne impieghino molto tempo a cercare una via di fuga rispetto alla situazione in cui si trovano, tanto che alcune denunciano il compagno dopo molti anni di violenze.
ISOLAMENTO PROGRESSIVO
D’altronde la costellazione di ostacoli che si r-trovano davanti è difficile da superare e non tutte possiedono le risorse necessarie (non solo quelle economiche) per intraprendere un cambiamento da affrontare in solitudine. Perché nel frattempo, infatti, le donne si ritrovano sole e senza amici, avendo subito anche un progressivo isolamento dal contesto di relazioni affettive. E più il partner ha un’identità sociale forte e gode di considera-zione, più è difficile uscire dalla condizione in cui sono prigioniere, perché di fronte al consenso sociale di cui gode l’uomo, non riesco-no a far coincidere l’immagine pubblica del partner con quella privata. Il favore di cui gode l’uomo all’esterno, nell’ambiente in cui vive, mette costantemente in dubbio la condizione di vittima della donna, esponendola a ritorsioni e al rischio di un ulteriore isolamento sociale. L’emarginazione delle vittime è il miglior alleato dei violenti, e anche se è una guerra invisibile, voltarsi dall’altra parte costituisce una responsabilità da cui nessuno è immune. Vale la pena tenerlo presente perché prima che finiate di leggere queste parole, altre dieci donne subiranno violenza fisica o sessuale.

 

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