10922 COME CI VEDONO GLI ALTRI

20131108 14:52:00 guglielmoz

1 – L ITALIA CHE SPEZZA IL CUORE – Ogni anno il paese perde un po’ del suo dinamismo. Ce tanta bellezza ma anche tanto spreco, scrive FRANK BRUNI (*)
2 – LE NOTTI INSONNI DI ENRICO LETTA / cattolico praticante, giocatore di subbuteo e enfant prodige della sinistra italiana. Il ritratto di le monde bisogna diffidare delle acque chete o di chi è apparentemente tranquillo. È la notte tra il 26 e il 27 settembre e il tranquillo enrico letta non riesce a dormire. Philippe Ridet, Le Monde, Francia
3 – la crisi rilancia le donne sul mercato del lavoro. di Giada Zampano, The Wall Street Journal, Stati Uniti / Con la recessione molti uomini hanno perso il posto. E le donne che volevano dedicarsi ai figli ricominciano a lavorare.
4 – Dubbi sull’ora di religione / Eric J. Lyman,/ The Washington Post,. Stati Uniti.
5 – Un gesto simbolico a favore dell’integrazione. La città di Treviso era nota per il suo sindaco razzista.
6 – Dossier. Sprechi all’Aquila dopo il sisma. Giulia Segreti, Financial Times, Regno Unito.

1 – L ITALIA CHE SPEZZA IL CUORE / OGNI ANNO IL PAESE PERDE UN PO’ DEL SUO DINAMISMO. CE TANTA BELLEZZA MA ANCHE TANTO SPRECO, SCRIVE FRANK BRUNI del The New York Times, Stati Uniti
II FUTURO SI COSTRUISCE AFFRONTANDO I PROBLEMI PIUTTOSTO CHE ANNASPANDO .
La prima sera che sono tornato in Italia, durante una cena a Milano, ho visto e sentito una coppia di successo, sulla quarantina, progettare la fuga da un paese che ama ma nel quale ha perso fiducia.
Hanno sparecchiato la tavola, tirato fuori un portatile e cominciato a cercare una casa a Londra, dove a uno dei due era stato offerto di trasferirsi per lavoro. Sono rimasti inorriditi dai prezzi, ma non si sono scoraggiati. Hanno un figlio di dieci anni e temono che l’Italia, con la disoccupazione giovanile al 40 per cento e un’economia la cui debolezza comincia a sembrare la norma, non possa offrirgli un futuro roseo.
Due giorni dopo, e a trecento chilometri a sudest di Milano, è stata una donna di settantanni a lamentarsi del suo paese. Stavo pranzando sull’Appennino marchigiano e, con le salsicce di cinghiale nel piatto e un castello davanti, avrei potuto convincermi di essere in paradiso. "In un museo", mi ha corretto lei, "è in un museo e in un giardino inselvatichito". È questo che è diventata l’Italia, ha aggiunto. Ogni anno il paese perde un po’ del suo dinamismo, e della sua importanza. Dato che ho avuto la fortuna di vivere qui e continuo a tornarci regolarmente, sono abituato al teatrale pessimismo degli italiani, al loro talento per le lamentele. È una specie di sport, una sorta di opera lirica cantata con ampi gesti e toi drammatici e, in passato, con il sottintes che in realtà non esisteva nessun altro post dove avrebbero preferito vivere. Ma quesl volta la musica è cambiata. E anche lo stai d’animo. Provate a chiedere a uno studeni italiano che cosa lo aspetta alla fine del su corso di laurea, e vi risponderà con un’alz ta di spalle. Provate a chiedere ai suoi gerì tori quando o come l’Italia uscirà dalla cri e vedrete sul loro viso la stessa espressioi sconcertata. Oggi si sente parlare molto più della possibilità di emigrare negli St£ Uniti o nel Regno Unito. Molto più di qua to si dicesse dieci o cinque anni fa. C’è m no fiducia nel futuro. Sono rimasto sorpreso. E anche un p spaventato, perché ero arrivato qui drit dal nostro shutdown, e ho visto il malco tento italiano attraverso il filtro dei guai d gli Stati Uniti, prendendolo come un ai monimento. L’Italia è l’esempio di que! che succede quando un paese sa bene qu sono i suoi problemi ma non riesce ad ave il rigore necessario per risolverli. È l’esempio di quello che succede quando il mal funzionamento della politica si trascina all’: finito e il buon governo diventa un miraggio, un mito, una barzelletta. L’Italia si adagia sulla sua fenomenale ricchezza e non ci investe sopra, perdendo terreno in un’economia globale piena di concorrenti più determinati. C’è tanta bellezza qui, e tanto spreco. L’Italia spezza il cuore.
E non è tutta colpa di Silvio Berlusconi. La sua recente condanna per frode fiscale, con la conseguente interdizione dai pubblici uffici, non ha provocato il sollievo e la voglia di ricominciare da capo che ci saremmo aspettati. Ha piuttosto costretto gli italiani a riconoscere che, anche se Berlusconi ha perso tempo, peggiorato le cose e rappresentato una buffonesca distrazione, i problemi del paese (le regole eccessive e la bizantina burocrazia che soffocano le imprese, il sistema clientelare che impedisce qualsiasi iniziativa, la corruzione e il cinismo che tutto questo genera) vanno oltre il Cavaliere.
MEDICO E PAZIENTE
Nel secondo trimestre del 2013 il debito pubblico dell’Italia è salito al 133 per cento del suo prodotto interno lordo, uno dei più alti dell’eurozona, secondo solo a quello greco. Il calo dell’8 per cento del suo pil ri-spetto al periodo precedente alla crisi è superiore a quello della Spagna e del Portogallo. Non si è visto ancora alcun segno significativo di ripresa, anche se verso la fine di quest’anno potrebbe finalmente esserci una modesta crescita. Ma non c’è bisogno di conoscere le cifre per capire che l’Italia è alla deriva. Basta scendere dal treno ad alta velocità (che è fantastico) o uscire dall’autostrada e percorrere le strade secondarie, che cadono a pezzi. O provare a gettare una coppetta di gelato vuota in uno dei cestini dei rifiuti della capitale. Sembra che siano sempre pieni, se non traboccanti. Uno di quelli vicino alla camera dei deputati non veniva svuotato da tempo. La gente lascia i rifiuti alla base del cestino, dove si è formata una collinetta, l’ottavo colle di Roma. In una città il cui bilancio in rosso e l’inefficienza rispecchiano quelli del paese, la spazzatura è diventata un grosso problema, un sintomo del pessimo stato di salute della classe politica.
Il 22 ottobre sono andato a trovare il medico che si occupa del caso. Si chiama Ignazio Marino. A giugno è stato eletto sindaco di Roma battendo il sindaco uscente appoggiato da Berlusconi, e conquistando il 64 per cento di voti. Un risultato che lasciava chiaramente trasparire il desiderio di cambiamento degli italiani. Marino, 58 anni, è entrato in politica solo sette anni fa. Prima ha lavorato come chirurgo specializzato in trapianti di fegato (e anche reni e pancreas) e ha vissuto a lungo in Pennsylvania. Mi ha detto che amministrare Roma non è poi molto diverso dall’eseguire un intervento chirurgico. "È un’emergenza controllata", mi ha spiegato. Marino ha l’ufficio più bello del mondo, in un palazzo rinascimentale sulla piazza del Campidoglio, progettata da Michelangelo. Il balcone accanto alla sua scrivania è proteso, come l’affusolata prua di una nave, sugli archi e le colonne del Foro romano. Li ai nostri piedi, c’era il posto da cui si dice che Marco Antonio fece la sua arringa dopo l’assassinio di Cesare. E non lontano c’è il tempio di Saturno. È una vista molto suggestiva, ma anche l’amaro ricordo di un passato glorioso, di una grandezza che non esiste più da tempo. Da un’altra finestra dell’ufficio di Marino abbiamo visto dove parcheggia la bicicletta con cui viene al lavoro ogni giorno, anche per incoraggiarne l’uso in una città con troppo traffico e con un sistema di trasporto pubblico insufficiente. Aveva un’aria terribilmente solitaria. I romani preferiscono gli scooter. Ma anche se i tra-sporti e la raccolta dei rifiuti sono tra le sue priorità, al primo posto c’è un problema ancora più grande: garantire un’amministrazione trasparente che raggiunga dei risultati, cioè l’esatto contrario del sistema in vigore oggi in Italia e che secondo Marino, e secondo molti italiani con cui ho parlato, si basa sui rapporti personali, lo scambio di favori e l’anzianità, invece che sul merito.
"Se riusciremo a cambiare questo, i soldi e gli investimenti arriveranno", dice. Racconta inoltre di essere tornato in Italia per candidarsi, al senato, alle elezioni politiche del 200óperché riteneva che fosse ora di smettere di lamentarsi dei mali del paese e cominciare a curarli. Medico, guarisci la tua patria. Gli ho chiesto quali fossero le condizioni del paziente, cioè di Roma. Do-po una lunga pausa di riflessione ha risposto: "È salvabile". Gli ho chiesto anche dell’eredità lasciata da Berlusconi.
"Il danno principale è la cultura che ha creato", ha risposto Marino. "Una cultura in cui la trasparenza e il senso di responsabilità non sono valori". Berlusconi ha trasformato l’Italia in una festa di adolescenti, un’infinita sfida alle regole, in cui quello che realizzi conta meno di quanto riesci a farla franca, e il bottino va al più furbo. Adesso è arrivato il momento del risveglio. Il 14 ottobre, sul quotidiano la Stampa, l’editorialista Luca Ricolfi si è scusato di non aver scritto per un po’ di tempo, spiegando di non aver avuto niente di nuovo da dire. L’Italia non si muove da ventanni. "Tutto è fermo e congelato", ha scritto. Il 21 ottobre, sul Corriere della Sera, un altro editorialista, Ernesto Galli della Loggia, si è rammaricato degli "anni e anni di paralisi" del paese, durante i quali una sorta di gerontocrazia ha impedito che si affermasse il vero merito. Ma si è affrettato ad aggiungere che anche se l’Italia si sta "lentamente disfacendo", non sta ancora "precipitando nell’abisso".
Un buon numero di italiani sembra es-sere ancora abbastanza soddisfatto e resta aggrappato allo status quo e a quello che ha adesso. Ma così non fa che aumentare l’in-certezza su quello che avrà domani. Il futuro si costruisce con la flessibilità e i sacrifici, affrontando i problemi piuttosto che annaspando. Eppure gli italiani continuano ad annaspare. In questo sono in buona compagnia in Europa occidentale e negli Stati Uniti. "È incredibile", dice Paolo Crepet, psichiatra italiano e docente: "Siamo un popolo creativo. Siamo famosi nel mondo per la nostra creatività". Ma quello che riscontra nei suoi pazienti e nelle persone non è il dinamismo, bensì il senso di impotenza. "Aspettano qualcuno che li tiri fuori da questa situazione", ha detto. "Stanno aspettando Godot". Sentendolo parlare, mi si è stretto lo stomaco. Dopo troppi anni di pessimismo è naturale arrivare al fatalismo? È in questa direzione che stanno andando anche gli Stati Uniti?
Per la mancanza di direzione dell’Italia, c’è una metafora fin troppo facile: i cartelli stradali diventati illeggibili perché coperti dai rami degli alberi. Passavo davanti a cose meravigliose, attraversavo un paesaggio splendido. Ma non avevo idea di dove stessi andando.
(*) Frank Bruni è un columnist del New York Times. È stato corrispondente dall’Italia tra il 2002 e il 2004

2 – LE NOTTI INSONNI DI ENRICO LETTA / CATTOLICO PRATICANTE, GIOCATORE DI SUBBUTEO E ENFANT PRODIGE DELLA SINISTRA ITALIANA. IL RITRATTO DI LE MONDE BISOGNA DIFFIDARE DELLE ACQUE CHETE O DI CHI È APPARENTEMENTE TRANQUILLO. È LA NOTTE TRA IL 26 E IL 27 SETTEMBRE E IL TRANQUILLO ENRICO LETTA NON RIESCE A DORMIRE. Philippe Ridet, Le Monde, Francia
Letta ha sempre avuto la reputazione di uomo debole, che passa la vita a cercare compromessi, a costruire ponti con la destra moderata
È stato nominato presidente del consiglio da appena cinque mesi. Nella sua camera d’albergo a New York, dove è arrivato per presentare alla borsa statunitense il piano Destinazione Italia, Letta cerca di calmare i nervi. Solo qualche ora prima era a cena con alcuni imprenditori e operatori di borsa. "Bisogna avere fiducia in noi", tentava di rassicurarli per convincerli a investire in Italia, un paese che sembra rimbalzare da una crisi economica a una politica.
Intanto, a migliaia di chilometri di distanza, Silvio Berlusconi aveva appena scatenato una nuova offensiva costringendo i ministri del suo partito a dimettersi. L’obiettivo del Cavaliere era fare pressione sul governo per trovare una soluzione ai suoi guai giudiziari. L’instabilità, una malattia cronica dell’Italia, tornava ad aleggiare all’orizzonte.
Tre settimane dopo Enrico Letta – appena tornato da un altro viaggio negli Stati Uniti per una visita ufficiale di trentasei ore a Washington – ricorda ancora quella notte insonne. "Soffro il cambiamento di fuso orario", mi racconta nel suo ufficio di palazzo Chigi. "Alle tre del mattino ero ancora in piedi e rimuginavo. Era come se in Italia stessero prendendo in giro il nostro paese. In ballo c’era la mia legittimità. Dovevo dire basta. È stato in quel momento, in piena notte, che ho deciso di costringere il parlamento ad assumersi le sue responsabilità".
Il resto è noto: il presidente del consiglio ha accusato il suo avversario di aver "umiliato l’Italia", poi ha rilanciato, come se stesse giocando a poker, chiedendo al parlamento un voto di fiducia. A quel punto la destra si è spaccata in due: tra chi sosteneva l’azione di governo e chi invece lo voleva far cadere. Il 2 ottobre Berlusconi si è "piegato" e ha concesso il suo appoggio al governo, perdendo ogni credibilità. I ministri hanno ritirato umilmente le loro dimissioni. A 47 anni Ernico Letta si è conquistato i galloni da generale. È lui il "GIUSTIZIERE DI BERLUSCONI".
Da quel momento sono in molti ad aver cambiato opinione su questo eterno enfant prodige della sinistra italiana, diventato ministro per la prima volta a 32 anni nel governo guidato da Massimo D’Alema.
Letta ha sempre avuto la reputazione di uomo debole, che passa la vita a cercare compromessi, a costruire ponti con la destra moderata. Lo ha fatto quando era a capo dei giovani democristiani, e ha cercato di farlo con la fondazione VeDrò, un think tank dove i rappresentanti dell élite italiana s’incontravano in un’atmosfera civile e lontana dall’isteria della guerra tra sostenitori e avversari di Berlusconi, costante spartiacque nell’Italia degli ultimi vent’anni.
Pragmatico, riformista e flessibile, Enrico Letta continua pazientemente a tessere la sua tela. "Essere cresciuto nella politica dell’era post ideologica dà un grande vantaggio", ha ammesso in passato. "Non essendosi mai illusa, la mia generazione non ha mai dovuto affrontare la delusione". Durante la nostra conversazione (in un francese perfetto) Letta lo conferma sorridendo: "È vero, non posso dire di essere un rivoluzionario".
IL NIPOTE DI SUO ZIO
"È uno di quei tipi che scoraggiano i biografi", ammette un deputato del Partito democratico. Enrico Letta è un cattolico praticante e va a messa tutte le domeniche nella chiesa di Santa Maria Liberatrice, la sua parrocchia, che si trova nel quartiere di Testaccio. Quando il 25 aprile il presidente chiamato per affidargli l’incarico di forma-re un nuovo governo, dopo due mesi di cri-si, Letta aveva appena accompagnato i figli a scuola, come tutte le mattine. Da presidente del consiglio ha continuato a vivere nel suo appartamento sulle rive del Tevere, in un palazzo che i romani hanno battezzato "il Cremlino" perché ci hanno abitato molti dirigenti del Partito comunista italiano. Capita di incontrarlo alla pizzeria Nuovo Mondo, a due passi da casa. "Se foste vicini di casa di E. Letta e vi fosse capitato di vedere con che dolcezza accompagna le sue creature all’asilo, votereste la fiducia", ha twittato il 25 aprile Giuliano Ferrara, direttore del quotidiano ultra berlusconiano Il Foglio e vicino di casa del presidente del consiglio. Altre curiosità? Letta ama la musica dei Dire Straits e il Subbuteo, un gioco che premia la pazienza. Avrebbe voluto es¬sere Dylan Dog, "perché è coraggioso e ha successo con le donne". È facile immagi-nare che questi dettagli della sua vita ser-vano per dare un po’ di colore agli articoli su di lui. Eppure il "vero" Letta è altrove, e per trovarlo bisogna andare in Toscana. I suoi antenati, partiti dall’Abruzzo, si sono trasferiti a Pisa, la città della torre pendente e della famosa scuola normale superiore, di cui Letta è stato uno studente.
A Pisa i Letta sono un clan, una dina-stia, un’incubatrice di successi. Suo zio Gianni è il più fidato consigliere di Berlusconi. Definito da molti "il Richelieu del Cavaliere", è discreto e moderato quanto Berlusconi è plateale e imprevedibile, ed è a suo agio tanto nei palazzi della repubblica che in quelli del Vaticano.
"Per anni Enrico Letta è stato semplicemente il nipote di suo zio", ha attaccato Beppe Grillo, leader populista del Movi-mento 5 stelle. "Abbiamo normali rapporti familiari", glissa Enrico per smentire ogni maldicenza sul presunto ruolo di Gianni nella sua ascesa.
La gloria dei Letta, comunque, non si ferma ai due esponenti politici. Nel pan-theon familiare c’è anche Giorgio, padre di Enrico, matematico specialista del calcolo delle probabilità e membro dell’Accade-mia dei Lincei. È a lui, professore a Strasburgo negli anni settanta, che Enrico deve il suo francese, imparato in una scuola pubblica nella prefettura del Basso Reno. "Partivamo da Pisa a settembre con la macchina piena di pasta. Ma la mia madeleine di Proust è la tarte flambée".
Poi c’è il cugino Giampaolo, capo democratico, che l’8 dicembre eleggeranno il nuovo segretario, hanno l’effetto del limone sulle ostriche. Alle tensioni che scuotono la coalizione di governo si aggiunge il dibattito sulla legge di stabilità, criticata sia dai sindacati sia dagli imprenditori. Anche il suo predecessore, il pacato Mario Monti, accusa Letta di inginocchiarsi da-vanti al Popolo della libertà. Tutti motivi che spingono Enrico a sentirsi un "precario della repubblica". "Sono realista. I problemi dell’Italia sono ancora lì. Il partito di Beppe Grillo resta molto quotato nei sondaggi, ed è un segna-le importante". In ogni caso, in questa Ita-lia che definisce "stanca", Enrico Letta crede di poter riportare la fiducia.
SEMPRE CHE NE ABBIA IL TEMPO.
Letta è meno imprevedibile di Silvio Berlusconi e meno arzigogolato di Mario Monti, ma a sei mesi dal suo insediamento molti gli rimproverano di essere monotono, piatto e di aver ottenuto come unico
Medusa, società di distribuzione di film che controlla il 17 per cento del mercato italiano e fa parte dell’impero di Berlusconi. Completano il quadro lo zio Cesare, specialista di storia romana e uno degli ar-cheologi più famosi d’Italia, e la zia Maria Teresa, vicepresidente della Croce Rossa italiana. "Enrico era un predestinato", scrivono i giornalisti Federica Fantozzi e Roberto Brunelli nella biografia che gli hanno dedicato.
FUTURO INCERTO
Da quel fatidico 2 ottobre Enrico Letta è inevitabilmente cambiato. Ha abbandonato un po’ della sua classica prudenza e ha cominciato a prendersi qualche libertà. " E la fine di un ventennio", ha dichiarato a pochi giorni dalla débàcle del Cavaliere usando un’espressione che in Italia indica il periodo in cui Benito Mussolini ha guidato il paese. "Non si intrometta nei nostri affari", hanno risposto i tenori della destra,
sorpresi da tanta audacia. "Non è un’anali-si", ammette Letta, "ma piuttosto una sen-sazione. Può essere che Berlusconi abbia ancora un ruolo per qualche mese, perché resta il capo del suo partito anche dal punto di vista finanziario. Ma il paese non tornerà più indietro. Adesso è il turno delle nuove generazioni, e lo dico senza arroganza".
"Un po’ ovunque, negli Stati Uniti con il Tea party o in Francia con il Front national", prosegue Letta, "la destra è in crisi, divisa tra quelli che rifiutano la globalizza-zione e il sistema politico tradizionale e quelli che cercano un compromesso, una via di mezzo. Oggi, per la prima volta, le forze dei due schieramenti si equivalgono". Per il momento, comunque, le preoccupazioni di Letta sono tutte rivolte all’Italia. In teoria il declino di Berlusconi è un sollievo per il presidente del consiglio e allontana la minaccia di una nuova crisi al-meno fino al 31 dicembre 2014, quando l’Italia assumerà la presidenza dell’Unione europea.
Il futuro, però, resta incerto. A destra emergono nuove ambizioni. A sinistra la campagna per le primarie del Partito de-risultato l’abolizione dell’Imu, l’imposta sulla casa. "Lo so", ha spiegato Letta ai giornalisti della stampa straniera riuniti a Roma, "che tutto ciò che coinvolge Berlusconi per voi è fantastico perché vi consen¬te di scrivere lunghi articoli, mentre le cose pallose che vi racconto io nel merito dei provvedimenti sono molto meno vendibili alla vostra pubblica opinione. Però è il mio io nel merito dei provvedimenti sono molto meno vendibili alla vostra pubblica opinione. Però è il mio A poco a poco, con pazienza, Letta sta cercando di far dimenticare i suoi predecessori e riuscire dove loro si sono arenati. "La stabilità arriverà solo se entro il 2014 saranno realizzati i sei punti del mio programma: il ritorno alla crescita, il calo della disoccupazione, un bilancio sotto controllo, la fine del finanziamento pubblico ai partiti, una nuova legge elettorale e la riforma costituzionale per mettere fine al bicameralismo".
Nient’altro? "No, nient’altro", risponde sorridendo. "Voglio lasciare al mio successore un paese che funzioni". A Roma, ormai, sono in molti a scommettere che il nome del suo successore sarà proprio Enrico Letta.

3 – LA CRISI RILANCIA LE DONNE SUL MERCATO DEL LAVORO. di Giada Zampano, The Wall Street Journal, Stati Uniti / Con la recessione molti uomini hanno perso il posto. E le donne che volevano dedicarsi ai figli ricominciano a lavorare
ANNA DURANTE, 30 anni, ha lasciato il suo posto di lavoro più di dieci anni fa, quando è nata la prima figlia, affidando al marito il compito di mantenere la famiglia. Due anni fa, quando il marito ha perso il lavoro da barbiere, Durante (che nel frattempo ha avuto un’altra bambina) ha rispolverato il suo diploma di assistente sociale e ha cercato un lavoro. La donna è stata assunta nel 2012 da una cooperativa che offre assistenza ai disabili vicino Napoli, mentre il marito è ancora disoccupato.
In Italia, negli Stati Uniti e in altri paesi la recessione seguita alla crisi economica del 2007 e 2008 ha spazzato via molti posti di lavoro tradizionalmente occupati dagli uomini: il fenomeno è stato definito mancession o recessione maschile. In Italia questa evoluzione ha un effetto sorprendente: non solo le donne mantengono più facilmente il posto di lavoro, ma decine di migliaia di donne si stanno riaffacciando sul mercato. Nel lungo periodo il paese, che ha uno dei tassi di occupazione femminile più bassi dell’occidente, potrebbe trarre vantaggio da questa situazione.
"All’inizio ci è crollato il mondo addosso", dice Isabella Esposito, 35 anni e madre di due figli. Quando il marito ha perso il posto da guardia giurata, lei ha ricominciato a fare l’estetista. "Non avevo scelta". Secondo Eurostat solo la metà delle donne itali ne tra i 20 e i 64 anni ha un lavoro, contro una media Ue del 65 per cento. In Svezia tasso di occupazione femminile è del 76I per cento, in Germania del 71,5 per cento. Italia il modello culturale dominante – soprattutto al sud – dipinge le donne con casalinghe e madri. La discriminazione d fusa sul posto di lavoro contribuisce ali carenza di donne in posizioni di responsabilità nelle aziende e in politica. Quasi ili per cento delle madri lavoratrici dice di e sere stata licenziata almeno una volta causa di una gravidanza. Un tempo i dato di lavoro costringevano le neoassunte a fi mare delle lettere di dimissioni che poi f cevano valere in caso di gravidanza. N 2012 la pratica è stata dichiarata illegale.
Le donne italiane ricevono meno aiuto in casa. Ogni giorno svolgono 3,7 ore di lavoro casalingo in più degli uomini, a fronte di una media di 2,3 ore nei 34 paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici (Ocse). In Italia frequentano il nido il 24 per cento dei bambini sotto i tre anni, contro il 33 per cento 1 resto dei paesi Ocse. Ora la crisi economica sta facendo riaffacciare le italiane mercato del lavoro, mentre i mestieri tradizionalmente dominati dagli uomini scompaiono.
Negli ultimi cinque anni l’occupazione nel settore manifatturiero è scesa del 7,5 per cento, mentre nell’edilizia è crollata quasi del 19 per cento. Dal 2009 il tasso di disoccupazione complessivo in Italia è passato dal 7,8 al 12 per cento. Eppure, secondo l’Istat, dal 2011 al 2012 il numero delle donne occupate è cresciuto di 110mila unità. Nel 2012 l’8,4% delle donne è stata la principale fonte di reddito per le coppie sposate con figli. Nel 2008 era il 5 per cento. "La crisi ha scatenato una rivoluzione involontaria nel mercato del lavoro, un cambia-mento che potrebbe modificare le dinamiche della famiglia e il potere negoziale delle donne al suo interno", osserva Magda Bianco, economista specializzata in questioni di genere presso la Banca d’Italia.
OPPORTUNITÀ STRAORDINARIA
L’aumento dell’occupazione si concentra in settori più resistenti alla recessione come il pubblico impiego, l’assistenza sanitaria e i servizi familiari, e in settori a basso livello di specializzazione come le pulizie. Ad ago¬sto, quando Ikea ha pubblicato un annuncio per duecento posti di lavoro nel nuovo negozio di Pisa, due terzi dei 29mila candidati erano donne. Nel 2012 il governo di Mario Monti ha incoraggiato le donne a lavorare introducendo dei voucher che riconoscono alle madri lavoratrici un contributo mensile per l’assistenza ai figli in alternativa al con-gedo parentale. Anche il numero delle lavoratrici con più di 50 anni sta aumentando per l’innalzamento dell’età del pensiona-mento femminile, che entro il 2018 passerà da 62 a 66 anni. Un altro segnale della do-manda di occupazione femminile repressa è l’aumento delle lavoratrici part time che vorrebbero lavorare a tempo pieno. Circa un terzo delle lavoratrici italiane ha un impiego a metà tempo contro una media Ocse del 24 per cento. Con la crisi, tuttavia, la percentuale di donne che preferirebbero un lavoro a tempo pieno è quasi raddoppiata: dal 2007 al 2012 è passata dal 7,7 al 14,1 per cento. Fabrizia Mancini, 39 anni, romana madre di tre figli, era tornata a lavorare part time in un’agenzia pubblicitaria due anni fa, dopo la nascita dell’ultimo figlio. Da giugno ha raddoppiato il suo orario perché l’azienda del marito è in crisi e non paga lo stipendio. Anche le alte sfere del mondo imprenditoriale italiano stanno aprendo le porte alle donne. Nel 2011 la percentuale di donne nei consigli di amministrazione del¬le aziende quotate in borsa era del 6 per cento, meno della metà della media Ue (14 per cento). Nel 2012 il governo ha stabilito che, entro il 2015, nei consigli di amministrazione delle imprese quotate in borsa e delle aziende pubbliche costituite in Italia almeno un terzo dei membri dovrà appartenere "al genere meno rappresentato", dunque alle donne. La legge ha già fatto salire la quota femminile al 17 per cento. Secondo gli economisti un numero maggiore di donne nel mercato del lavoro potrebbe contro-bilanciare gli effetti del calo della popola-zione in età da lavoro, riducendo il peso della spesa per gli ammortizzatori sociali e stimolando la competitività. L’Ocse calcola che, se entro il 2030 il tasso di partecipazione femminile in Italia raggiungesse quello maschile, la forza lavoro aumenterebbe del 7 per cento e il prodotto interno lordo prò capite crescerebbe di un punto percentuale all’anno per i prossimi vent’anni.
"Dobbiamo trasformare una grave debolezza in una straordinaria opportunità, che può contribuire alla crescita economica e civile dell’Italia", ha detto l’anno scorso il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco. Ma gli ostacoli restano. La disoccupazione giovanile è intorno al 40 per cento, e le giovani donne hanno più difficoltà dei loro coetanei maschi a entrare nel mondo del lavoro. Inoltre l’innalzamento dell’età pensionabile potrebbe rendere la vita ancora più difficile alle madri con bambini, che spesso per andare a lavorare affidano i figli ai genitori in pensione.

4 – DUBBI SULL’ORA DI RELIGIONE / Eric J. Lyman,/ The Washington Post,. Stati Uniti
All’inizio di ottobre un’intera classe del liceo Cristoforo Colombo di X Mf- Genova ha chiesto l’esonero dall’ora di religione. Si è così riaperto un annoso dibattito sull’opportunità che quest’insegnamento facoltativo – che in Italia riguarda un’unica fede – sia finanziato dallo stato. Sulla carta l’Italia rimane il paese più cattolico d’Europa. Inoltre, essendo la sede del Vaticano, è anche un punto focale per i cattolici del mondo.
Fino al 1984 l’insegnamento della religione cattolica era materia obbligatoria in tutte le scuole. Oggi la materia, che riguarda soprattutto la storia e le tradizioni della chiesa cattolica, è facoltativa ma è seguita dalla maggioranza dei ragazzi: secondo alcune fonti, addirittura il 91 per cento. I critici si chiedono perché l’ora di religione debba essere finanziata dallo stato. "Per me sarebbe più comprensibile se nell’ora di religione si insegnasse la storia di tutte le fedi del mondo o si facesse un corso di spiritualità e di etica", dice Fabio Milito Pagliara, insegnante e rappresentante dell’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti.
Un valore per tutti
Invece per chi difende l’ora di religione nelle scuole pubbliche, questo insegnamento è utile proprio perché in Italia la chiesa cattolica ha un ruolo importante. "Gli insegnanti di religione non cercano di convertire nessuno e chi vive in Italia non capirà mai il paese se prima non comprende la chiesa cattolica", dichiara Nicola In campo del sito Cultura cattolica. È d’accordo monsignor Gabriele Mangia-rotti, della diocesi di San Marino-Monte-feltro: "L’ora di religione ha un valore per tutti", osserva. "Se voglio capire san Francesco o Dante o Michelangelo, devo capire anche la chiesa. Credo che gli studenti esonerati dalla lezione di religione siano meno preparati degli altri".

5 – Visti dagli altri / Un gesto simbolico a favore dell’integrazione. La città di Treviso era nota per il suo sindaco razzista. Ma la nuova amministrazione di Giovanni Manildo vuole concedere la cittadinanza onoraria ai bambini stranieri Yasmina Nombo ha 7 anni e da quando è nata vive a Treviso, nel nordest dell’Italia. A scuola la sua materia preferita è l’italiano. Recentemente è andata in vacanza in Burkina Faso con i fratelli. Il padre, Abdoulaye Nombo, in Italia da undici anni, racconta: "Dopo un po’ i bambini hanno cominciato a chiedermi: ‘Quando torniamo a casa?’ Volevano dire a Treviso". In Africa Yasmina c’è andata con il passaporto Burkina Faso anche se è nata in Italia da genitori che vi risiedono stabilmente, non può ancora chiedere la cittadinanza italiana. Secondo la severa legislazione in vigore, potrà farlo solo quando avrà compiuto 18 anni.
" I miei figli sono un po’ accettati e un po’ no", dice Abdoulaye, che lavora in un negozio di computer. A lui questa stranezza giuridica sembra una negazione della realtà. "Tutto ciò che hanno i miei figli è di Trevi-so: intendo dire la lingua, gli amici. Se chiedi a loro, ti rispondono che sono italiani".
Da tempo la legislazione italiana in materia di cittadinanza è considerata superata e ingiusta a confronto con quella di altri paesi occidentali, tra cui il Regno Unito, gli Stati Uniti e la Francia, dove l’immigrazione ha una storia più lunga. Di fronte a un parlamento nazionale diviso che non riesce a trovare il consenso, in Italia cresce il nu-mero dei comuni che decidono di agire in proprio, anche se in modo simbolico. Secondo l’Unicef, che ha coordinato a livello nazionale questo programma, oltre due-cento consigli comunali italiani hanno con-cesso la cittadinanza onoraria a bambini e ragazzi nati in Italia da genitori stranieri. Il caso più recente – e più sorprendente – è quello di Treviso.
"Ci è sembrata un’azione positiva, perché quando i bambini sono piccoli le differenze sono trascurabili e se si riesce a far sentire uguali loro e le loro famiglie, l’integrazione funziona meglio", dice Giovanni Manildo, il nuovo sindaco di centrosinistra di Treviso, che spera di far approvare il provvedimento in autunno. "L’idea di una comunità multietnica è reale e inevitabile.
Perciò tutti quanti devono fare qualche cosa per migliorare la situazione. Penso che il passo intrapreso dalla mia amministrazione contribuirà a creare una società migliore e più aperta". Anche se sotto il profilo giuri-dico non cambierà niente, spiega Manildo, la cittadinanza onoraria è un segnale di ri-spetto verso la popolazione immigrata della città e dimostra che a Treviso "non c’è più la paura del diverso".
Le parole del sindaco possono sembrare banali, ma nell’ambiente confortevole del suo spazioso ufficio suonano quasi rivoluzionarie. Prima di lui l’ufficio è stato occupato da Giancarlo Gentilini, un dirigente della Lega nord senza peli sulla lingua. Eletto sindaco per due volte e per due volte vicesindaco, Gentilini ha dominato la politica locale per vent’anni e ancora oggi, a 84 anni, fa sentire la sua voce. Commentando il programma di cittadinanza onoraria di Manildo, sembra che abbia detto: "I matti non stanno soltanto in manicomio". In passato la retorica xenofoba di Gentilini ha fatto di lui un esponente particolarmente reazionario di un partito non noto per le posizioni moderate in tema di immigrazione e integrazione. Una sua frase celebre a proposito di immigrati è questa: "Bisognerebbe vestirli da leprotti per fare pim pim pim col fucile". Un’altra volta, in occasione di un festival, ha dichiarato: "Io gli immigrati li schederei a uno a uno. Purtroppo la legge non lo consente. Errore. Portano ogni tipo di malattia: tbc, aids, scabbia, epatite".
Nel suo ufficio da sindaco Gentilini teneva appesa una copia incorniciata della tessera della gioventù mussoliniana. "Io ho aperto le finestre", è il commento di Manildo, che lo ha battuto a giugno al ballottaggio.
IL VERO CAMBIAMENTO
Treviso ha 82mila abitanti, di cui undicimila sono immigrati. Situata in una delle regioni più prospere e produttive d’Italia, e sede del gigante della moda internazionale Benetton, la città ha numerose attrattive per gli stranieri in cerca di lavoro. Alcuni la chiamano "la piccola Venezia" per i canali e i ponti ad arcate. Qui le strade sono pulite e i necrologi, che in altre città italiane vengo-no affissi sui muri, sono esposti in una teca a vetri accanto alla chiesa. Secondo Abdoulaye Nombo, a Treviso il clima sta cambiando, anche se lentamente. Il razzismo esiste ancora, ma c’è anche una società civile molto vivace che negli anni è riuscita ad accogliere gli immigrati nono-stante il tono ostile dei politici locali. "Capisco che alcuni abbiano paura, ma pian pia-no cominciamo a conoscerci gli uni con gli altri e la gente si rende conto che non ha nulla da temere", dice. "Le cose stanno cambiando e si vede".
L’assessora comunale alle politiche per l’immigrazione e perla scuola, Anna Cate-rina Cabino, responsabile del programma di cittadinanza onoraria, afferma: "La classe politica si è mantenuta al potere così a lungo perché ha giocato sulla paura, sulla xenofobia, sulla difesa di presunti interessi locali, sull’ordine pubblico e sull’individuazione di un nemico. Ma questo non rispecchia la realtà sociale".
Il sindaco Manildo spera che Cécile Kyenge, la nuova ministra per l’integrazio¬ne che sta cercando di cambiare la legge sulla cittadinanza e per questo è stata og¬getto di pesanti insulti personali e politici, parteciperà alla cerimonia per accogliere i nuovi cittadini, anche se non ufficiali. La cittadinanza onoraria di Treviso dovrebbe essere concessa ai bambini dai 6 anni in su. Da quando è entrata in carica Kyenge, la prima nera diventata ministra in Italia, ha ricevuto molti insulti razzisti, gran parte dei quali provenienti dalla Lega nord.
Prima delle elezioni politiche dello scorso febbraio il Partito democratico, di cui fanno parte sia Kyenge sia il presidente del consiglio Enrico Letta, considerava priori-taria la riforma della legge sulla concessione della cittadinanza. Ma la coalizione di larghe intese che ora è al governo è percorsa da tensioni e spinte politiche talmente contraddittorie che ormai sono in pochi ad aspettarsi che la legge sarà modificata.
In attesa che questo succeda, vari comuni continueranno a concedere la cittadinanza onoraria in uno spirito di solidarietà con il prossimo e di frustrazione per una normativa che non riconosce il tessuto sociale multietnico dell’Italia contemporanea. Secondo XiaoJin Xiang, un cinese padre di due bambini nati in Italia, l’iniziativa aiuterà la sua famiglia a "sentirsi più integrata nella società", anche se non è il vero cambiamento giuridico che semplificherebbe la vita ai suoi figli.
Intanto Abdoulaye Nombo è ottimista: " È un grande passo avanti ", dice." Un anno fa non si parlava neanche di cose del genere. La situazione sta cambiando. Presto, spero, i miei figli avranno una vera cittadinanza".

6 – Dossier. Sprechi all’Aquila dopo il sisma. Giulia Segreti, Financial Times, Regno Unito
UN RAPPORTO EUROPEO PRESENTATO IL 4 NOVEMBRE DENUNCIA LE INFILTRAZIONI DELLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA NELLA RICOSTRUZIONE
MOLTE CRITICHE SONO RIVOLTE ALLA COMMISSIONE EUROPEA, ACCUSATA DI NON AVER GARANTITO LA TRASPARENZA E L’USO CORRETTO DEI FONDI.

Una commissione del parlamento europeo ha criticato l’Italia per il coinvolgimento della criminalità organizzata negli appalti per la ricostruzione dell’Aquila dopo il devastante terremoto del 6 aprile 2009 e ha accusato Bruxelles di non aver controllato l’uso fatto dei fondi europei.
Secondo il rapporto presentato il 4 novembre dall’eurodeputato danese Soren Bo Sondergaard, membro della commissione di controllo del bilancio, una parte dei fondi usati per costruire le nuove case "sono stati versati a imprese che avevano rapporti diretti o indiretti con la criminalità organizzata". È stato inoltre appurato che alcune ditte che avevano lavorato in subappalto non possedevano il certificato antimafia richiesto. Sondergaard ha anche dichiarato che in una delle fabbriche sono stati scoperti alcuni "latitanti" e non sono state rispettate le norme che regolano gli appalti pubblici, dando luogo a frodi. Per 1 fare fronte al terremoto che ha provocato più di trecento vittime e ha lasciato senza casa decine di migliaia di persone, l’Unione europea aveva stanziato oltre 490 milioni di euro dal suo Fondo di solidarietà e aveva modificato il programma di sviluppo regionale.
IL RAPPORTO, CHE PER ORA È SOLO UN DOCUMENTO DI LAVORO, SOTTOLINEA LA QUALITÀ SCADENTE DELLE NUOVE CASE- NONOSTANTE I COSTI I SUPERIORI AGLI STANDARD DI COSTRUZIONE DELLE ABITAZIONI -, LE DEFINISCE "PERICOLOSE E MALSANE" E AFFERMA DI AVER RISCONTRATO PROBLEMI DI TIPO ELETTRICO E SANITARIO, OLTRE ALL’USO DI MATERIALE INFIAMMABILE.
I danni diretti del terremoto alla città universitaria e ai paesi circostanti sono stati stimati superiori ai dieci miliardi di euro. Le operazioni di ricostruzione sono state controllate in gran parte dalla protezione civile, alla quale il governo di centrodestra guidato da Silvio Berlusconi aveva attribuito poteri speciali. Berlusconi ha definito la risposta al sisma uno dei principali successi del suo governo.
CITTÀ FANTASMA
La procura italiana ha aperto diverse in-chieste sul cattivo uso dei fondi di emergenza e indagini sui motivi per cui gli edifici di costruzione recente, come la casa dello studente e un ospedale, siano stati così gravemente danneggiati da un terremoto di 5,8 gradi sulla scala Richter. A più di quattro anni dal sisma, gran parte del centro storico medievale è ancora inabitabile e le autorità locali stanno chiedendo aiuto al governo per riportare in vita quella che è ormai diventata una città fantasma. Il sindaco Massimo Cialente ha più volte accusato i vari governi di aver lasciato morire L’Aquila. Molte critiche contenute nel rapporto di Sondergaard sono rivolte alla Commissione europea, accusata di non aver garantito la trasparenza e l’uso corretto dei fondi, e di non aver fornito sufficienti informazioni. La Commissione ha respinto le accuse. Un suo portavoce ha dichiarato che l’uso dei fondi è stato accuratamente monitorato e ha definito il rapporto confuso, perché "mescola osservazioni sull’andamento generale della ricostruzione con aspetti collegati all’uso del Fondo di solidarietà". "In realtà il mancato rispetto delle norme che regolano gli appalti è stato scoperto proprio da noi", ha dichiarato il portavoce. L’ex presidente della provincia dell’Aquila, Stefania Pezzopane, ha invitato il governo italiano a rispondere delle accuse davanti al parlamento, sostenendo che il rapporto compromette il futuro della città. Ma il governo si è rifiutato di commentare.

( articoli da Interazionale nov 2013)

 

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