10869 NOTIZIE dall’ITALIA e dal MONDO 05 ottobre 2013

20131004 22:46:00 guglielmoz

ITALIA – LAVORO, 400MILA LAUREATI IN FUGA DALL’ITALIA / E’ sempre più fuga dei cervelli: la mancanza di lavoro ha spinto 400mila laureati fuori dai nostri confini.
VATICANO – Intervista di Bergoglio alla rivista dei gesuiti «Civiltà cattolica» Il papa disarma le crociate
EUROPA – Spagna / Madrid – Indignados / assedio al palazzo promosso da Piattaforma 25s «Reali illegittimi, subito un processo costituente»
AFRICA & MEDIO ORIENTE – SIRIA. Dopo che il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha approvato una risoluzione sul disarmo siriano
ASIA & PACIFICO – Giappone . Nemici delle donne
AMERICA CENTROMERIDIONALE – Cile Suicida Ex Capo Polizia Pinochet
AMERICA SETTENTRIONALE – USA / Storico colloquio tra i due presidenti. E’ l’inizio di un nuovo corso? Telefonata Obama-Rohani, la diplomazia corre sul filo

ITALIA
CNEL: +1 MLN DISOCCUPATI 2008-2012, 2 MLN IN DIFFICOLTÀ NUMERI CHE FANNO RABBRICIDIRE. Tra il 2008 e il 2012 i disoccupati ufficiali sono aumentati di oltre un milione di unità ma "l’area della difficoltà occupazionale" registra un aumento di circa 2 milioni di persone. Ripetiamo mettendo i numeri: 1.000.000 di disoccupati in più e 2.000.000 in difficoltà occupazione. E’ questa la drammatica fotografia che emerge dal Rapporto del Cnel sul mercato del lavoro che parla di fenomeno con "conseguenze sociali allarmanti". L’aumento è concentrato nel Sud.
La sovrapposizione di un forte rialzo dell’offerta di lavoro accompagnato da una contrazione del numero di occupati – spiega il Cnel – ha determinato un incremento significativo della disoccupazione che ha superato il 12%. "L’evoluzione del mercato del lavoro italiano suggerisce che parte dell’aumento del tasso di disoccupazione sia di carattere strutturale. Vi è il rischio che molti di coloro che sono stati espulsi dal mercato, o non sono neanche riusciti ad entrarvi, restino a lungo fuori dal processo produttivo. Il deterioramento del capitale umano legato alla persistenza ai margini del mercato determina una grave perdita per il lavoratore e per la società nel complesso". La partecipazione è aumentata in modo non omogeneo anche dal punto di vista territoriale, con una crescita più marcata nel Mezzogiorno, dove nella maggior parte dei casi si è tradotta in un passaggio dallo stato di inattività alla disoccupazione. Quindi, è aumentato ulteriormente il divario tra Nord e Sud del Paese. "Affiancando ai disoccupati anche gli inattivi disponibili a lavorare e coloro che ricercano non attivamente – sottolinea il Cnel – si ottiene una misura più ampia dei lavoratori che potrebbero essere inseriti nel circuito produttivo. L’offerta di lavoro "potenziale" così calcolata aumenta fra il 2008 e il 2012 di ben 900.000 persone, invece delle 550.000 della definizione standard delle forze di lavoro". Se nella definizione ufficiale l’aumento del numero dei disoccupati è di oltre un milione in quattro anni, l’area della difficoltà occupazionale in senso lato "registra un allargamento ben più consistente, giungendo ad aumentare di circa due milioni di persone. Si tratta di uno spreco di risorse ingente, oltre che di un fenomeno le cui conseguenze sociali sono allarmanti".

LAVORO, 400MILA LAUREATI IN FUGA DALL’ITALIA / E’ sempre più fuga dei cervelli: la mancanza di lavoro ha spinto 400mila laureati fuori dai nostri confini. "La disoccupazione record ha spinto oltre 400mila italiani laureati, titolari di diplomi universitari e dottorati di ricerca, a lasciare l’Italia e a vivere attualmente all’estero". E’ quanto emerge da un’analisi della Coldiretti sui dati dell’Ocse, in occasione della diffusione dei dati Istat sull’occupazione ad agosto . Lo riferisce l’Adncronos.
"Il 7,9 per cento dei ‘cervelli’ italiani – sottolinea la Coldiretti – è già stato costretto ad emigrare all’estero anche per trovare migliori opportunità di lavoro che l’Italia non sembra essere in grado di offrire. La situazione – continua – potrebbe peggiorare a breve con ben il 59 per cento dei giovani studenti che si è dichiarato pronto ad espatriare perché non vede nel futuro prospettive occupazionali in Italia", secondo l’analisi Coldiretti/Swg. "Con la fuga dei giovani cervelli all’estero viene a meno il necessario ricambio generazionale e si mette a rischio la ripresa dell’Italia che – sottolinea la Coldiretti – è nelle mani di una classe dirigente impegnata nella politica, nell’economia e nella pubblica amministrazione che ha una eta’ media di 58 anni, la piu’ alta tra tutti i Paesi europei

ROMA – Il Cavaliere brucia i ponti – di Andrea Colombo Il premier: «Il Pdl non rivolti la frittata. La crisi è un gesto folle finalizzato a coprire i problemi del loro capo»
Ancora una volta, Silvio Berlusconi ha colto alla sprovvista i suoi prima di tutti gli altri. A metà pomeriggio, il capo dei deputati Brunetta, dichiarava serafico: «Sono un ottimista, una soluzione si rtroverà». In quel momento era già pronto il comunicato di fuoco con cui il capo «suggeriva» ai ministri di alzare i tacchi per non rendersi «complici di un’ulteriore odiosa vessazione».
Non ne sapevano niente i capigruppo e neppure i diretti interessati. La telefonata con cui il portaordini Angelino Alfano li ha informati delle loro imminenti dimissioni se la aspettavano tanto poco che tre su quattro (Lupi, Quagliariello e Lorenzin) hanno accennato unconato di resistenza. Il primo ha puntato i piedi il più possibile, il secondo, ancor meno convinto, promette di dire oggi «quel che pensa». Persino la Di Girolamo ha fatto passare qualche minuto prima dell’immancabile «Obbedisco». Nel Pdl, però, il solo ad accennare una protesta aperta è Fabrizio Cicchitto: «Una decisione così rilevante avrebbe dovuto essere presa dall’Ufficio di presidenza del Pdl e dai gruppi parlamentari». Come avrà fatto a passare anni nel partito di Silvio senza accorgersi di chi e prendeva le decisioni lì resta tuttavia misterioso.
I riflessi della scarsa convinzione che anima i dimissionari campeggiano in quel ridicolo passaggio del loro comunicato nel quale motivano il gesto estremo con l’obiettivo di «consentire un più schietto confronto». Un gesto distensivo, o giù di lì. Ancora ieri sera non mancava chi, passeggiando tra le rovine, dissertava sull’ultimissima chance, rappresentata da un congelamento in extremis dello scatto Iva. Come se fosse quello il problema. Ovvio, l’aumento ha offerto a Berlusconi un’occasione insperata per fingere di rompere sul suo cavallo di battaglia preferito, le tasse. Ma non è certo su quel fronte che si era sviluppato tra la notte e la mattina l’ultimo disperato tentativo di tirare il governo fuori dal vicolo cieco.
La manovra riguardava naturalmente la giustizia, faceva perno sul discorso di Napolitano a Poggioreale e probabilmente era destinata comunque a fallire. Per ore, tuttavia, le colombe avevano spiegato a Berlusconi che se Letta, in Parlamento, avesse inserito nella sua agenda il capitolo giustizia si sarebbe potuto poi far leva sul messaggio a favore dell’amnistia di Napolitano per delineare una possibile via d’uscita dal cul-de-sac giudiziario dal quale il Cavaliere non può più uscire.
Dagli spalti del governo e del Pd, però, non arrivava nessun segnale pur minimamente confortante. A mettere tra le priorità della sua agenda la responsabilità civile dei magistrati Enrico Letta non ci pensava affatto. Il Pd aveva già deciso che, nel dibattito sulla fiducia, avrebbe chiarito senza margini di dubbio che, fiducia o non fiducia, venerdì in Giunta avrebbe votato per la decadenza del senatore Berlusconi. Restava dunque solo il messaggio alle camere promesso da Napolitano, ma all’ora di pranzo, ad Arcore, Ghedini, Verdini e Marina Berlusconi hanno avuto gioco facile nel convincere il decadente che si sarebbe trattato di una scatola vuota. Quando, al momento del dessert, è arrivata la Santanchè, più Erinni che mai, ha trovato i giochi già fatti senza nemmeno doverci mettere qualcosa di suo per spingere il condottiero da dare battaglia. Il capo aveva le conclusioni già pronte: «Bisogna andare all’opposizione comunque, anche se faranno un governo tecnico. E poi che arrestino pure il capo dell’opposizione!»
Del resto, anche se agli intimi il flagellato di Arcore ha confessato di aver passato l’ennesima notte più difficile della sua vita, la sua scelta l’aveva già fatta subito dopo il discorso di Enrico Letta a New York, considerato un tradimento imperdonabile dal momento che si schierava senza se e senza ma con l’arcinemico Napolitano, invece di restare neutrale. Le ultime resistenze erano dovute tutte e solo alle insistenze martellanti delle eterne colombe, Confalonieri e Letta (Gianni).
I giochi però non sono ancora finiti. Letta (Enrico) non ha alcuna intenzione di permettere a Berlusconi di usare l’Iva come alibi. «Non cerchi di rivoltare la frittata», ha dichiarato a caldo. Poi ha rincarato: «Berlusconi cerca di giustificare un gesto folle e irresponsabile, finalizzato esclusivamente a coprire le sue vicende personali». Solo a questo servirà il dibattito parlamentare di martedì: a cercare di addossarsi reciprocamente le colpe del disastro a uso esclusivo degli elettori vicinissimi all’essere richiamati alle urne. Ci sarà molto di drammatico, e moltissimo di grottesco.
Poi si passerà ai tentativi di dar vita a un nuovo governo, sia pur solo per qualche mese. Ma non con Letta, che ha già dato. Meglio un tecnico, come Fabrizio Saccomanni.

ROMA / PARIGI – CHE FINE HANNO FATTO I PATRIOTI? L’ACQUISTO – I francesi e Klm salirebbero al 50% per abbattere i debiti e ALITALIA decolla verso AIR FRANCE: fallito il «salvataggio» berlusconiano Già pronti i tagli: saranno restituiti diversi aerei. Si temono 2mila licenziamenti La politica è tutta concentrata sull’«italianità» sì o no di Alitalia e Telecom (per la prima, il concetto si è già dimostrato piuttosto fallimentare grazie alle passate decisioni del governo Berlusconi), ma intanto il mercato si muove e pare proprio che domani potrebbe ufficializzarsi il passaggio della compagnia italiana di bandiera ad Air France. Si aspetta il cda di Alitalia, ma già il board del gruppo francese sembra essere deciso a salire al 50% di azioni (rispetto all’attuale 25%), stando attento però a non superare questa soglia per non consolidare (ovvero accollare tutto su di sé) il debito.
Intanto, sempre domani (e a conferma che il gioco si fa serio), il ministro delle Infrastrutture e Trasporti, Maurizio Lupi, volerà a Parigi per incontrare il suo collega francese, Frederic Cuvillier, proprio per affrontare, tra le altre questioni, il caso Alitalia-Air France. La compagnia francese, in ogni caso, sembra più determinata, e dovrà convincere la compagna di cordata, l’olandese Klm, che invece sul dossier Alitalia appare ancora scettica. «Nonostante le reticenze iniziali – scriveva ieri il quotidiano economico parigino Les Echos – il presidente e direttore generale di Air France-Klm, Alexandre de Juniac, sembra risoluto a prendere il controllo di Alitalia». Anzi, spiegano al giornale fonti del gruppo, «le necessità finanziarie di Alitalia non sono così colossali e sono alla portata di Air France-Klm anche se non è il miglior momento».
Air France-Klm, che dal 2008 detiene il 25% del capitale sociale dell’ex compagnia di bandiera italiana, potrebbe quindi salire fino al 50%. Per limitare i rischi, però, «sarebbe pronto a partecipare alla ricapitalizzazione di Alitalia e a raccogliere l’eventuale inoptato ma senza superare la soglia del 50%, in modo da non dover farsi carico del debito. La proposta sarebbe accompagnata da condizioni precise circa la ristrutturazione del debito».
L’obiettivo, spiega una fonte vicino al dossier, «non è di cancellare il debito di 1,1 miliardi di euro come nel 2008 ma di renderlo più sopportabile»: lo si potrebbe fare ad esempio ottenendo migliori condizioni per l’acquisto di aerei (voce che costituisce i due terzi del debito) grazie alle economie di scala garantite dall’integrazione. Il tutto a scapito degli attuali aerei presi in leasing, ritenuti troppo costosi dal colosso franco-olandese: per Les Echos, «senza dubbio andranno rivisti gli accordi conclusi nel 2008 con la società AP Fleet di Carlo Toto, basata in Irlanda, diventata la principale fornitrici degli aerei di Alitalia». In questo scenario, l’ipotesi che circola sarebbe quella di restituire tra i 18 e i 22 aerei di medio raggio e bloccare l’arrivo di 6 aerei widebody di lungo raggio.
In ogni caso, l’acquisto rappresenta una mossa delicata, che comunque cambierà gli equilibri della compagnia, facendo uscire definitivamente i «capitani coraggiosi» di investitura berlusconiana, che non appena scaduti gli obblighi relativi alle cessioni delle azioni, hanno subito cercato, come è evidente, di disfarsene e monetizzare: alla faccia della tanto decantata «italianità».
Su tutto si agita lo spettro di possibili esuberi: il sindacato italiano, in particolare l’Avia, teme infatti che l’acquisto pilotato dai francesi porti con sé ben 2 mila licenziamenti tra piloti, assistenti di volo e personale di terra.
Il governo per ora, almeno nelle dichiarazioni ufficiali, si mostra cauto: secondo il ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato, «al momento non esiste nulla di concreto, sono tutte cose raccontate dai giornali».
Per Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl, «i politici invece che predisporsi a fare polemiche, farebbero bene a usare la loro influenza su banche e imprese italiane, affinché si riuniscano intorno all’Alitalia che può fare ancora reddito anche in un’alleanza internazionale: dalle prossime scelte dipende il futuro, essere un sotto-hub di Parigi o stare in un sistema stellare di hub».
Sembra definitivamente tramontata la possibilità di acquisto da parte di Etihad, compagnia di Abu Dhabi, che avrebbe potuto proiettare Alitalia verso il Medio Oriente: il presidente James Hogan, che pure ha fatto shopping in diversi paesi, non ha confermato un interesse per l’Italia.

ROMA – DISOCCUPAZIONE GIOVANILE AL 40,1% E’ RECORD STORICO, MAI COSÌ DAL ’77 LAVORO DISOCCUPATI OPERAI
La disoccupazione giovanile sfonda quota 40% tocca il massimo storico. È quanto emerge dai dati provvisori Istat, che segnala che ad agosto il tasso dei 15-24enni, ovvero l’incidenza dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, è pari al 40,1%, in aumento di 0,4 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 5,5 punti su base annua. Si raggiunge così il livello più alto dall’inizio sia delle serie mensili (2004) sia di quelle trimestrali (1977).
Tra i giovani le persone in cerca di lavoro sono 667 mila e rappresentano l’11,1% della popolazione nella fascia d’età under 25. Ad agosto 2013 gli occupati «sono 22 milioni 498 mila, sostanzialmente invariati rispetto al mese precedente e in diminuzione dell’1,5% su base annua (-347 mila)». Il tasso di occupazione, pari al 55,8%, «rimane invariato in termini congiunturali e diminuisce di 0,8 punti percentuali rispetto a dodici mesi prima».
Il numero di disoccupati, pari a 3 milioni 127 mila, «aumenta dell’1,4% rispetto al mese precedente (+42 mila) e del 14,5% su base annua (+395 mila). Il tasso di disoccupazione si attesta al 12,2%, in aumento di 0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 1,5 punti nei dodici mesi. Tra i 15-24enni le persone in cerca di lavoro sono 667 mila e rappresentano l’11,1% della popolazione in questa fascia d’età. Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni, ovvero l’incidenza dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, è pari al 40,1%, in aumento di 0,4 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 5,5 punti nel confronto tendenziale». Il numero di individui inattivi tra i 15 e i 64 anni «diminuisce dello 0,3% rispetto al mese precedente (-42 mila unità) e dello 0,8% rispetto a dodici mesi prima (-113 mila). Il tasso di inattività si attesta al 36,3%, in diminuzione di 0,1 punti percentuali in termini congiunturali e di 0,2 punti su base annua».

ROMA – SIAMO IL PAESE DEI PICCOLI SCHIAVI / UN TRISTE RECORD PER L’ITALIA IN UE / RAGAZZA SCHIAVA SFRUTTAMENTO PROSTITUZIONE MINORI LA PRESSE 480
L’Italia è il Paese europeo che registra il maggior numero di vittime di tratta e sfruttamento: quasi 2.400 nel 2010, con un calo rispetto alle 2.421 del 2009 ma un notevole aumento sulle 1.624 del 2008. Tra i minori le vittime sono per lo più ragazze, sfruttate principalmente nella prostituzione e provenienti da Est Europa e Nigeria, ma cominciano ad affiorare evidenze di sfruttamento nel lavoro di ragazzi (egiziani, cinesi), mentre fenomeni di tratta e grave sfruttamento riguardano anche minori provenienti per lo più dalla Romania e in particolare d’origine Rom, coinvolti in prostituzione, accattonaggio e attività illegali. Sono alcuni dei principali dati del dossier ‘I piccoli schiavi invisibili, diffuso da Save the Children, alla vigilia della Giornata in ricordo della Schiavitù e della sua Abolizione.
A rischio di sfruttamento e tratta, rivela il focus dell’organizzazione, sono poi i numerosi i minori stranieri non accompagnati «in transito» in Italia, come gli afghani. «Non possiamo chiudere gli occhi davanti al fatto che a tutt’oggi centinaia di migliaia di esseri umani sono costretti a vivere in uno stato di sfruttamento estremo», ha ammonito Raffaela Milano, direttore Programmi Italia-Europa Save the Children, «si tratta di adulti ma anche di moltissimi adolescenti e bambini. Piccoli schiavi invisibili in situazioni di forte emarginazione sociale, talvolta appesantiti dai debiti contratti dalle famiglie, che non vedono alternative e vie di fuga dalla loro condizione e che con la loro sofferenza alimentano un mercato fiorente in mano ai circuiti criminali e alle mafie».
L’Italia, ha aggiunto, «non è immune da questo terribile fenomeno, anzi risulta essere prima in Europa per numero di vittime, tra cui molti minori. Questo deve spingerci a rafforzare le reti di protezione e le azioni di contrasto, occorre intensificare gli interventi delle istituzioni e allo stesso tempo fare crescere la consapevolezza civica su questa realtà». Per tutelare le vittime, ha concluso, «è necessario lavorare almeno su tre ambiti: emersione del fenomeno, immediata presa in carico e assistenza. È indispensabile un forte coordinamento tra forze dell’ordine, servizi sociali e reti delle organizzazioni non profit». E una particolare attenzione va dedicata alla prevenzione, anche attraverso accordi con i paesi di origine per contrastare le reti criminali che gestiscono i traffici..

VATICANO
INTERVISTA DI BERGOGLIO ALLA RIVISTA DEI GESUITI «Civiltà cattolica» Il papa disarma le crociate – di Luca Kocci «NON POSSIAMO INSISTERE SOLO SU ABORTO, GAY E CONTRACCEZIONE». Segnali di modernità, ma per le riforme ci vuole tempo / Mettere da parte i toni da crociata sulle questioni etiche come aborto, contraccezione e coppie omosessuali, senza però stravolgere i fondamenti della dottrina cattolica. Modificare le strutture di governo della Chiesa verso una maggiore collegialità, tenendo presente che per fare le riforme ci vuole tempo.
Sono questi i nodi centrali affrontati da papa Bergoglio in una lunghissima intervista pubblicata ieri dalla Civiltà cattolica, frutto di 3 incontri estivi con il direttore del quindicinale dei gesuiti, padre Antonio Spadaro. La sede scelta è significativa: Civiltà cattolica – fondata nel 1850 con l’appoggio di Pio IX per difendere la «civiltà cattolica» dalle nuove idee liberali – è la rivista «ufficiosa» della Santa sede, tanto che le bozze, prima di essere date alle stampe, vengono lette, e corrette, dalla Segreteria di stato vaticana. E anche i tempi: dieci giorni prima che la commissione degli otto cardinali nominati dal papa si incontri (1-3 ottobre) per avviare la riforma della Curia romana. Quella di Bergoglio è allora una sorta di intervista programmatica, per dare la linea.
Tanti i temi affrontati, sia personali che «politici», a cominciare dai «principi non negoziabili» – vita dal concepimento alla morte naturale, famiglia fondata sul matrimonio fra uomo e donna – codificati a suo tempo da papa Ratzinger. «Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi», dice Bergoglio, che ammette di non aver «parlato molto di queste cose e questo mi è stato rimproverato» (dai settori più conservatori). Ma aggiunge subito: «Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce». Cita in particolare i gay, ricordando quello che già aveva detto sull’aereo di ritorno dalla Giornata mondiale della gioventù, a fine luglio: «Se una persona omosessuale è di buona volontà ed è in cerca di Dio, io non sono nessuno per giudicarla». E del resto, precisa, «dicendo questo io ho detto quel che dice il Catechismo».
I toni sono più morbidi di quelli usati dai suoi predecessori («chi cerca sempre soluzioni disciplinari, chi tende in maniera esagerata alla "sicurezza" dottrinale, chi cerca ostinatamente di recuperare il passato perduto, ha una visione statica e involutiva», dice Bergoglio) e aprono qualche piccolo spiraglio, anche nei confronti di altre persone come i divorziati («Bisogna sempre considerare la persona», «nella vita Dio accompagna le persone, e noi dobbiamo accompagnarle a partire dalla loro condizione»). Ma, dall’altra parte, c’è la riconferma che il pensiero della Chiesa resta lo stesso, perché anche quando Bergoglio afferma che «è errata la visione della dottrina come un monolite da difendere senza sfumature», precisa che a essere modificati possono essere «norme e precetti secondari».
Sulla riforma della Curia e delle istituzioni ecclesiastiche, le aperture di Bergoglio sembrano più decise. I dicasteri romani «corrono il rischio di diventare organismi di censura» mentre molte questioni dovrebbero essere affrontate dai vescovi locali. «Voglio consultazioni reali, non formali» con i concistori (la riunione dei cardinali) e dei sinodi (la riunione dei vescovi), dice il papa, che parla di «collegialità episcopale» e afferma che «sinodalità (la Chiesa non usa la parola democrazia, che non è prevista, ndr) va vissuta a vari livelli». Ma avverte che le riforme non possono realizzarsi «in breve tempo», anche se «a volte il discernimento invece sprona a fare subito quel che invece inizialmente si pensa di fare dopo».
C’è anche un passaggio sulle donne, molto ambiguo. Perché da un lato Bergoglio esalta, come già Wojtyla e Ratzinger, la donna («la donna per la Chiesa è imprescindibile», «Maria, una donna, è più importante dei vescovi») e ipotizza nuovi ruoli («il genio femminile è necessario nei luoghi in cui si prendono le decisioni importanti»); ma dall’altro precisa di fare attenzione a «non confondere la funzione con la dignità» e di temere «la soluzione del "machismo in gonnella", perché in realtà la donna ha una struttura differente dall’uomo». Una chiusura quindi a ogni ipotesi di donne prete nella Chiesa cattolica, come del resto aveva già fatto sullo stesso volo da Rio: «La Chiesa ha parlato e ha detto no con una formulazione definitiva, quella porta è chiusa».
Insomma il solito mix di aperture e chiusure – come Bergoglio ha più volte fatto in questi sei mesi di pontificato – che lasciano intravedere riforme ma che fino a ora restano confinate nelle affermazioni. Nelle prossime settimane però dovranno tradursi in atti effettivi di governo. Oppure restare parole.

EUROPA
GRAN BRETAGNA
Sempre più bambini ricoverati per droga e alcol / Lo scorso anno in Gran Bretagna sono stati 293 i bambini sotto gli 11 anni portati al pronto soccorso in stato di ebbrezza, un terzo in piu’ rispetto al 2011. Sempre rispetto all’anno scorso, sono aumentati anche i bambini ricoverati in ospedale per l’assunzione di droghe. Il record negativo spetta alla Scozia e al Galles meridionale: sono cifre diffuse dalla Bbc, ottenute appellandosi alla legge sulla libertà di informazione. Sono stati diffusi anche i dati sugli adolescenti: lo scorso anno oltre 6500 ragazzi con meno di diciotto anni sono stati ricoverati al pronto soccorso per un consumo eccessivo di alcol. Secondo la Bbc, ”ogni anno 20 mila bambini si rivolgono al servizio sanitario nazionale per affrontare problemi di dipendenza da sostanze, un terzo dei quali ha seri problemi con l’alcool”. Un consulente di medicina di emergenza al Cross House Hospital di Kilmarnock ha detto alla radio della Bbc: ”Il tipico paziente lo si trova in un campo. Spesso i ragazzi si nascondono agli occhi degli adulti e bisogna andarli a prendere con l’ambulanza”. Negli ultimi cinque anni, gli ospedali della Gran Bretagna hanno dovuto trattare ”48 mila incidenti in cui erano protagonisti bambini che avevano fatto uso di droga oppure di alcol”. Secondo la Bbc, i bambini e i ragazzi in stato di ebbrezza rappresentano ”un grave allarme sociale” e sono un segnale evidente del ”deficit educativo di molte famiglie”

REGNO UNITO
DURHAM – Capo polizia choc, "depenalizzare uso droghe pesanti" / Mike Barton, capo della polizia di Durham, ha causato un vero e proprio terremoto nel Regno Unito con il suo articolo pubblicato dall’Obeserver, in cui scirve che è "giunta l’ora di porre fine alla guerra alla droga". E ne spiega anche i motivi. Innanzitutto perchè si è rivelata una politica inefficace, che contribuisce solo ad arricchire i criminali, come il proibizionismo fece con l’alcool nell’America degli anni ’20. Per questo ne va depenalizzato l’uso e va chiesto al servizio sanitario nazionale (Nhs) di fornire sostanze alternative legali e a basso costo, come la ‘diamorfina’ (eroina derivata dalla morfina) in modo che le persone che hanno sviluppato una dipendenza dalle droghe pesanti non siano piu’ spinte a commettere reati per procurarsi la loro dose quotidiana e ad arricchire i gestori dello spaccio

LONDRA – A cinquant’anni da The Making of the English Working Class, di Edward P. Thompson (1963-2013) LAVORO – INTERNAZIONALE | Fonte: storiamestre.it | Autore: Piero Brunello
Nel 1963 uscì in Inghilterra il libro di Edward P. Thompson, The Making of the English Working Class. Quando l’autore morì, nel 1993, Eric Hobsbawm scrisse che si trattava con ogni probabilità del libro di storia più influente pubblicato in inglese dopo la seconda guerra mondiale1 . Dovendo presentare il libro, vengono in mente molte questioni: i modi di scrivere la storia e di trattare le fonti d’archivio, i rapporti tra storiografia e scienze sociali, il contesto appropriato all’analisi dei materiali folclorici, l’utilità della categoria di “economia morale” e così via. Prenderò in esame pochi aspetti che mi auguro possano essere utili in una sessione che si presenta come «Storici al lavoro. Omaggio a Eric Hobsbawm» in un convegno dal titolo «Ascoltare il lavoro». Per cominciare, riassumo i principali argomenti del libro, soffermandomi su alcuni dei suoi obiettivi polemici storiografici e politici, legati al giudizio sulla rivoluzione industriale. Dopo aver portato qualche esempio sul modo con cui Thompson fa ricerca storica e invita a discutere le categorie utilizzate, approfondirò l’uso del termine “classe”, nel senso di “classe operaia”. Ripercorro quindi la biografia politica e storiografica di E.P. Thompson, in particolare in rapporto con il marxismo. Nelle conclusioni, tra tutti i numerosi temi storiografici aperti dal libro, ne indicherò uno, legato a una prospettiva transnazionale. Vent’anni fa Edoardo Grendi scrisse che studiare il rapporto di Edward P. Thompson con la tradizione marxista, occupandosi quasi esclusivamente di The Making of the English Working Class, rifletteva un’impostazione “ormai parrocchiale” e “un po’ uggiosa”2 . Spero di dimostrare che non è così.

GERMANIA
La tedesca Siemens taglia 15mila posti di lavoro / Il gruppo industriale tedesco Siemens ha annunciato 15.000 tagli alla propria forza lavoro entro il 2014, pari al 4% della forza lavoro complessiva (370mila), di cui 5.000 in Germania. Le decisioni sulle singole uscite non verranno prese a livello di top management, ma lasciate alle singole divisioni a seconda del carico di lavoro e dell’offerta dei relativi prodotti. Il piano di licenziamenti rientra nel programma di ristrutturazione da 6 miliardi di euro, l’azienda ha raggiunto un accordo con i sindacati su metà degli esuberi a cui ne seguirà un altro sulla restante metà. In Germania circa 2mila posti saranno tagliati nell’unità industriale e altre 2.800 nelle divisioni energia e infrastrutture. Infine, saranno tagliati anche 200 amministrativi

SPAGNA
MADRID – Indignados / ASSEDIO – di Giuseppe Grosso – Dall’assedio al Parlamento allo «scacco al re». Ad un anno dall’ultimo accerchiamento alla Camera al grido di «non ci rappresentano», la Platform 25S – composta da circa un centinaio di collettivi di Indignados – cambia bersaglio ma punta sempre agli organi vitali dello stato spagnolo. Nel mirino, questa volta, la monarchia, attaccata strategicamente proprio all’apice della parabola discendente che le vicissitudini del re Juan Carlos I e gli scandali di corruzione hanno tracciato senza apparente possibilità di redenzione. Ci vorrà tempo per valutare gli effetti di questa offensiva, ma, intanto, i colpi piovono precisi e minacciosi: «È giunto il momento di abolire la monarchia e di aprire un processo costituente». Non usa eufemismi Aitor (il cognome non vuole dirlo), membro della piattaforma 25S e uno degli organizzatori della più importante manifestazione antimonarchica dell’epoca democratica. Una manifestazione (accompagnata da proteste parallele in una decina di città spagnole) che ieri, a Madrid, è arrivata fin sotto le finestre del palazzo reale, blindato con transenne già dalla mattinata e presidiato da 1.400 poliziotti. La partita è lunga e lo scacco matto che farebbe decadere «un’istituzione anacronistica e classista» è ancora lontano. Ma, opposti ai Borboni, siedono allo scacchiere sempre più caldo della politica spagnola anche i partiti di sinistra radicale (tra gli altri, Izquierda unida, il partito indipendentista catalano Cup, Sortu e il sindacato Ugt hanno) e buona parte cittadinanza. Secondo un’indagine del Cis, il centro statale di ricerche sociologiche, gli spagnoli, su una scala da 1 a 10, hanno affibbiato alla corona una valutazione di 3,68.
CI SONO POSSIBILITÀ CONCRETE DI ARCHIVIARE LA MONARCHIA SPAGNOLA?
Le condizioni non sono mai state così propizie. La crisi sta aprendo gli occhi a molte persone, che sono diventate più critiche, più esigenti nei confronti del potere. La famiglia reale ci mette del suo, inanellando uno scandalo dopo l’altro e, per la prima volta, i mezzi di comunicazione ne parlano apertamente. Noi siamo convinti che sia davvero possibile chiudere con la monarchia. Certo, non succederà oggi (ieri, ndr ), ma questa manifestazione è l’inizio di un cammino oggi più che mai percorribile, che dovrebbe portare fino alla rottura totale con uno stato e delle istituzioni – monarchia compresa – che non ci rappresentano.
UN’EVENTUALE ABDICAZIONE DI JUAN CARLOS A FAVORE DEL PRINCIPE FELIPE (CHE FAREBBE CONTENTI MOLTI SETTORI ISTITUZIONALI E SOCIALI) SAREBBE PER VOI UN RISULTATO?
Il re ha ribadito che non intende abbandonare il trono. In ogni caso, noi non contestiamo il monarca ma la monarchia, che è un’istituzione illegittima e antidemocratica, dato che non è stata scelta dagli spagnoli. Eppure gli storici attribuiscono all’attuale re un ruolo fondamentale nella transizione dal franchismo alla democrazia… Questa è la vulgata comune, mai smontata anche a causa del timore reverenziale manifestato finora dai mezzi di comunicazione. Mi sembra piuttosto che la monarchia abbia reso possibile una continuità, impensabile in altri paesi, di istituzioni e poteri nel passaggio dal franchismo all’epoca democratica.
PERCHÉ SIETE PASSATI DAGLI ASSEDI AL PARLAMENTO A QUELLI AL PALAZZO REALE?
Non sarebbe più urgente concentrare le proteste contro governo? Monarchia ed esecutivo sono due facce della stessa medaglia. Entrambi detengono e amministrano un potere che obbedisce ai mercati e si disinteressa dei cittadini. Sono battaglie complementari, entrambe necessarie, soprattutto alla luce degli scandali di corruzione che hanno compromesso la legittimità il ruolo di rappresentanza della famiglia reale. Presto, comunque, torneremo alle porte del parlamento.
LA STRADA MAESTRA PORTA DUNQUE VERSO UNA TERZA REPUBBLICA?
Il cammino corretto passa per l’abolizione della monarchia, ma dove porta dovrebbe deciderlo il popolo. Bisognerebbe aprire un processo costituente, sciogliere le camere e poi chissà. Noi con queste manifestazioni cerchiamo di richiamare l’attenzione della cittadinanza su ciò che secondo noi non va in questo paese. Le soluzioni, però, non sono nelle nostre mani.

AFRICA & MEDIO ORIENTE
LAVORO
IL CONTINENTE NERO IN SORPASSO SU CINA E INDIA / Il Pil africano è cresciuto del 5,2% nel 2000-2010, in linea con il 6,7% dei Bric (in Europa: +1,8%). Tra il 2005 e il 2010, sette Paesi africani sono entrati tra le 10 economie in più rapida espansione al mondo. È boom del settore Ict (7% del Pil), e nel mobile l’Africa è il 2˚ mercato in più rapida espansione al mondo. Entro il 2040, i giovani in Africa diventeranno la più grande forza lavoro al mondo, sorpassando la Cina entro il 2030 e l’India entro il 2040. Le donne sono il 63% della forza lavoro contro il 50% in Europa. La percentuale di donne nei Cda in Sud Africa è del 28% contro il 20% negli Usa, il 21% in Gb e il 23% in Australia.
TURCHIA,
ERDOGAN "APRE AI CURDI": ABOLISCE INNO NELLE SCUOLE / "Reintroduzione della libertà di velo negli uffici pubblici, aperture verso la minoranza curda e eliminazione dell’obbligo di inno nelle scuole". Sono questi i passaggi principe delle riforme che sono state annunciate dal premier turco Recep Tayyip Erdogan.
“E’ un passo importante e un momento storico”, ha poi dichiarato Erdogan. Dichiara importante la reintroduzione della libertà di velo per le dipendenti di uffici pubblici – ma non riguarderà né militari né magistrati –, mette fine al bando severo voluto da una sentenza della corte costituzionale del 1989.
Elimina poi la formula “Sono turco, giusto, e lavoro bene”, che era obbligatoria per i bambini delle scuole, eppure le novità più importanti sono quelle che riguardano la minoranza curda.
Riguardo una serie di impegni che sono stati presi nel processo di pace con il partito Pkk, la parte oltranzista e quella guerrigliera della minoranza curda, che tramite Apo Ocalan ha assicurato l’inizio del disarmo nei mesi scorsi, Erdogan ha dichiarato che “le scuole private turche offriranno un’istruzione in lingua curda, a lungo vietata”.
E’ previsto anche il ripristino dei nomi curdi di località del Kurdistan turco e la revoca del bando delle lettere Q, X e W, che sono state usate dai curdi ma vietate anche nell’alfabeto turco. Ultima iniziativa importante, richiesta peraltro da molti dell’opposizioni, è l’abbassare lo sbarramento per entrare in Parlamento dalla soglia del 10% al 5%.
Accederanno ai finanziamenti pubblici i partiti che supereranno la soglia del 3%. Per anni questa soglia di sbarramento al 10% ha permesso a Erdogan di governare con larghe maggioranze il Paese

SIRIA
VERSO IL DISARMO – Dopo che il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha approvato una risoluzione sul disarmo siriano, il I ottobre sono arrivati in Siria venti ispettori dell’Organizzazione per la proibizione delle ar-mi chimiche incaricati di individuare, smantellare e distruggere le armi chimiche di Bashar al Assad. La missione sarà molto difficile, commenta Al Mustaqbal, perché molti siti dove si presume che siano stoccate le armi si trovano nelle zone di conflitto e perché la collaborazione del governo siriano è ancora debole. Le iniziative diplomatiche non hanno comunque rallentato i combattimenti. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, il bilancio delle vittime è salito a 115mila morti. II 9 settembre le forze governa-tive hanno bombardato una scuola a Raqqa, nel nord, uccidendo dodici studenti. Il 2 ottobre l’opposizione in esilio ha denunciato che a Muadamiyat al Sham, vicino a Damasco, si rischia la catastrofe umanitaria.

TUNISIA
II 28 settembre il go-verno di Ennahda ha accettato di negoziare con l’opposizione la formazione di
un esecutivo più rappresentativo, che dovrà por-tare il paese alle elezioni.

GUINEA
PREOCCUPAZIONI PER LO SCRUTINIO – Il 2 ottobre, nel giorno dell’indi-pendenza, la commissione elettorale di Conakry ha cominciato a pubblicare i risultati delle legislative del 28 settembre, le pri-me dopo il golpe militare del 2008. Il voto si è svolto in modo pacifico, fa notare Guinee Conakry Info: "Una piacevole sorpresa, visto che lo scrutinio aveva suscitato tante preoccupazioni". Ma la tensione resta alta. Alla vigilia delle elezioni gli scontri tra i sostenitori del governo e quelli dell’opposizione avevano causato almeno un morto. I primi risultati danno in testa il Raggruppamento del popolo guineano (Rpg), il partito del presidente Alpha Condé.

MALI
NÉ GUERRA NÉ PACE. " Il nord del Mali è in una situa-zione che non è né di pace né di guerra", scrive il giornale maliano Notre Printemps, accusando i tuareg del Movimento nazionale di liberazione (Mnla) di non rispettare l’accordo di pace di Ouagadougou. Il 29 e 30 settembre a Kidal ci sono stati scontri tra i soldati maliani e i combattenti dell’Mn-la, violenze che rendono più fragile la tregua tra ribelli e governo. Il 28 settembre a Timbuctù due civili sono morti in un attentato suicida rivendicato da Al Qaeda nel Maghreb islamico.

KENYA
COMINCIANO LE INDAGINI / Sono partiti il 1 ottobre i lavori della commissione parlamentare che indaga sull’attentato al centro commerciale Westgate di Nairobi, che ha causato 67 morti (questo è il bilancio ufficiale al 2 ottobre). Secondo la Croce rossa, 39 persone sono ancora disperse. Dodici gli arre-stati in relazione all’attacco, tre dei quali sono stati liberati. L’in-chiesta dovrà stabilire se l’intelligence keniana ha sottovalutato le minacce del gruppo estremista islamico Al Shabaab. Secondo un documento ottenuto da Al Jazeera un anno fa le agenzie di sicurezza keniane avevano ricevuto notizie su un possibile attacco contro il centro commerciale o una chiesa di Nairobi. A fine agosto l’amba-sciata israeliana a Nairobi ha comunicato alle autorità keniane che temeva attacchi contro obiettivi israeliani (i proprietari del Westgate sono israeliani) e che miliziani di Al Shabaab era-no entrati in Kenya come rifugiati. La commissione dovrà va-lutare anche il comportamento degli agenti impegnati nell’assedio, visto che i commercianti del centro hanno denunciato saccheggi nei loro negozi. In ricordo delle vittime si è svolta il 1 ottobre a Nairobi una cerimonia di preghiera, a cui hanno partecipato i leader delle varie comunità religiose keniane.

LIBERIA
II 26 settembre il Tribunale speciale per la Sierra Leone ha confermato la condanna dell’ex presidente liberiano Charles Taylor (nella foto) a cinquant’anni di carcere.

ASIA & PACIFICO
GIAPPONE
NEMICI DELLE DONNE / Una giapponese su tre vuole fare la casalinga a tempo pieno. È quanto emerge da un recente sondaggio del ministero del lavoro che ha intervistato un campione di donne tra i 15 e i 39 anni. In parte, scrive il settimanale Aera, la colpa è dei mezzi d’informazione che insistono sul ruolo della donna in famiglia, soprattutto dopo la nascita di un figlio. Una volta rientrate dal congedo di maternità, le donne sono discriminate perché costrette a limitare gli impegni lavorativi per accudire i figli. Secondo Naoki Atsumi, del centro di ricerca Torai, le madri che lavorano sono circondate da nemici, anche tra le donne della loro generazione. Secondo un sondaggio di Aera, il 30 per cento delle donne senza figli tra i 30 e i 40 anni considera le madri lavoratrici un peso. Tra le altre cose gli impegni familiari impediscono alle lavoratrici di partecipare ai nomikai, le uscite serali con i colleghi considerate parte del lavoro. Questi dati sono in contrasto con le recenti dichiarazioni del primo ministro Shinzò Abe che si è impegnato ad aumentare la partecipazione femminile alla crescita economica e all’attività politica del paese

COREA DEL SUD
Alleati a oltranza / Durante la prima visita in Corea del Sud del segretario alla difesa statunitense Chuck Seoul e Washington hanno siglato un nuovo accordo militare. Il documento stabilisce una nuova "cornice strategica per la gestione della minaccia nucleare nordcoreana", come si legge nella dichiarazione congiunta citata dall’agenzia Yonhap. Dal 1994 la Corea del Sud controlla le operazioni militari in tempo di pace ma, secondo i patti, in caso di guerra le forze statunitensi dovrebbero prendere il co-mando. Nel 2015 è previsto il trasferimento del comando an-che delle eventuali operazioni belliche, ma Seoul ha chiesto di posticiparlo.

INDIA
MUMBAI – Crolla un palazzo sotto le macerie decine di persone Almeno due morti, 80 dispersi sotto le macerie e 4 persone ricoverate. La tragedia nella capitale finanziaria dell’India. Nell’edificio crollato vivevano circa 22 famiglie.
Almeno due persone sono morte e altre 80 sarebbero rimaste intrappolate sotto le macerie, dopo il crollo di un edificio di cinque piani a Mumbai, capitale finanziaria dell’India. La tragedia – come riporta la tv Ndtv (Nuova Delhi tv) sarebbe avvenuta alle 6.25 del mattino nel palazzo di proprietà dell’amministrazione locale che ospitava circa 22 famiglie. Quattro ambulanze e 12 mezzi dei vigili del fuoco sono sul posto e sono impegnati nelle operazioni di soccorso. Finora dodici persone sono state tratte in salvo, quattro delle quali ricoverate. Capannelli di persone si sono formati attorno all’area del palazzo completamente distrutto e di proprietà dell’organismo amministrativo della città, la Municipal Corporation of Greater Mumbai, nell’est della città. «Mio figlio è dentro. Sto aspettando che lo tirino fuori», ha dichiarato una pensionata 62enne, Mithi Solakani, mentre i soccorritori sono al lavoro per smuovere tonnellate di macerie. Agli operai è stato chiesto di spostare alcune grosse lastre di cemento, per permettere alle squadre di soccorso di iniziare a estrarre i corpi e cercare i dispersi. Una persona è stata estratta viva e portata via in barella. Secondo l’amministratore locale, Bhai Jagtap, 22 famiglie vivevano nell’edificio crollato e tra le sette e otto persone sono state tirate fuori vive. «Il resto della gente è sotto le macerie e chiama le persone fuori. I soccorritori stanno facendo del loro meglio per salvarli», ha aggiunto. Anche secondo l’Ente nazionale per la gestione dei disastri erano 22 le famiglie che risiedevano nell’edificio: «Riteniamo che fino a 70 persone siano intrappolate» sotto le macerie, ha dichiarato il responsabile Alok Avasthy. Secondo il Municipal Corporation of Greater Mumbai, l’edificio era destinato ai dipendenti della amministrazione locale e alle loro famiglie, alle quali era stato chiesto di lasciare l’immobile, vecchio di circa 30 anni, all’inizio di quest’anno

INDIA
IL BUSINESS DEI SANTONI / L’arresto, il 1 settembre, del guru Asaram Bapu (nella foto), accusato di aver stuprato una minorenne che gli era stata affidata per un esorcismo, ha riportato l’attenzione “sull’industria della superstizione", come la definisce il settimanale Frontline, che al tema dedica la copertina. La cronaca indiana è piena di casi di guru che abusano dei loro seguaci, ma l’arresto di Asaram mette in luce un altro aspetto. "Le centinaia di santoni e guaritori che irretiscono milioni di persone costruiscono i loro imperi economici grazie ai legami con la politica. Anche se adesso gli esponenti politici prendono le distanze da lui, non è un segreto che Asaram, che ha 29 milioni di seguaci e più di 400 ashram e scuole in 12 paesi, abbia goduto dei favori dei governi di qualsiasi colore. I guru di successo, infatti, possono creare giri d’affari enormi che attirano gli investitori privati interessati al mercato in espansione dell’istruzione e del turismo", scrive Frontilne.

BANGLADESH
I CONTI CON IL PASSATO – II 1 ottobre Salahuddin Quader Chowdhury, deputato del Parti-to nazionale del Bangladesh, all’opposizione, è stato condannato a morte per i crimini commessi durante la guerra d’indipendenza dal Pakistan nel 1971. La sentenza del tribunale speciale, creato nel 2010 per giudicare chi combatté a fianco del Pakistan contro l’indipendenza, ha provocato violente manifestazioni di protesta a Dhaka e a Chittagong, il distretto dove Choudhury, che si appellerà alla corte suprema, è stato eletto sei volte. A settembre simili reazioni erano seguite alla condanna a morte di uno dei nove leader del partito Jamaat-e-islami sotto processo insieme a due esponenti dell’opposizione, scrive il Daily Star.

AFGHANISTAN
UN CANDIDATO DIPESO / Il leader della Coalizione nazionale dell’Afghanistan Abdullah Abdullah, ex ministro degli esteri, si candiderà alle elezioni presidenziali previste per l’aprile del 2014. "È il primo candidato di rilievo che si presenta al¬le elezioni", commenta Tolo News. Abdullah si era già candidato nel 2009 da indipendente, ma aveva ottenuto solo il 30 per cento dei voti contro Hamid Karzai che sta per terminare il suo secondo mandato e non potrà ripresentarsi.

BIRMANIA
II 1 ottobre una musulmana è stata uccisa e 18 case sono state incendiate nello stato di Rakhine durante una visita del presidente Thein Sein. Altri cinque musulmani sono stati uccisi dagli estremisti buddisti il giorno dopo.

FILIPPINE
L’esercito ha annunciato il 28 settembre la liberazione di tutti gli ostaggi a Zamboanga. L’attacco dei ribelli islamici del Mnlf era cominciato il 9 settembre.
VIETNAM
II 2 ottobre il blogger dissidente Le Quoc Quan è stato condannato a due anni e mezzo di prigione. IA & PACIFICO

AMERICA CENTROMERIDIONALE
CILE
SUICIDA EX CAPO POLIZIA PINOCHET / L’ex capo della polizia segreta del dittatore cileno Augusto Il generale a riposo Odlaner Mena Salinas, 87 anni, ex capo della Centrale nazionale di informazioni (Cni) tra il 1977 e il 1990 e ritenuto responsabile di decine di omicidi, sequestri e torture, si è sparato un colpo di pistola al cuore, secondo i primi accertamenti della polizia.

COLOMBIA
Le mani dell’Usaid sul processo di pace / In caso di un accordo di pace tra governo colombiano e guerriglia, gli Stati uniti contano di controllare a suon di dollari che il paese non propenda per il campo progressista dell’America latina, organizzato nell’Alleanza bolivariana per i popoli della nostra America (Alba), ideata da Cuba e Venezuela. Questa la lettura fornita da diversi analisti dopo l’intervista concessa da Peter Natiello – direttore dell’Agenzia per la cooperazione internazionale Usa (Usaid) in Colombia a radio Caracol. Per il 2012, la Usaid ha destinato alla Colombia 180 milioni di dollari, la somma più elevata che Washington ha riservato a un paese dell’America latina, e per il futuro conta di aumentare ancora. Su una possibile soluzione politica al conflitto armato, il presidente colombiano Manuel Santos potrebbe giocarsi un’eventuale ricandidatura alle elezioni dell’anno prossimo. Entro il 14 novembre deciderà se ripresentarsi o meno, e per quella data conta di concludere la trattativa in corso da un anno all’Avana con la guerriglia marxista delle Forze armate rivoluzionarie (Farc). In base a un’inchiesta realizzata dall’istituto statistico Ipsos, il 77% dei colombiani è contrario a una sua eventuale rielezione, mentre in agosto i contrari erano il 60%. Intanto, incombe sempre la presenza dell’ex presidente Alvaro Uribe, amico dei paramilitare e deciso ad avversare la via del dialogo e del negoziato. Da Cuba, Le Farc hanno annunciato un prossimo documento in cui spiegano come intendono procedere in queste fasi del negoziato. Intanto, circa 7.000 contadini – che protestano contro le misure neoliberiste imposte dal governo – hanno di nuovo bloccato le strade che portano alla capitale esigendo risposte chiare da Santos.

COLOMBIA
NEGOZIATI A RÌSCHIO – "Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che a un anno di di-stanza dall’annuncio del processo di pace con le Forze armate ‘ rivoluzionarie della Colombia, il presidente Juan Manuel Santos I sarebbe stato politicamente a pezzi", scrive Semana alla vigilia della ripresa dei negoziati all’Avana il 3 ottobre. Il processo di pace si è arenato. All’assemblea generale dell’Onu, il 23 settembre, il presidente colombiano ha difeso il diritto del suo paese a cercare la pace e ha intimato alle Fare: "È arrivato il momento delle decisioni". Due giorni dopo il leader delle Fare Timoleón Jiménez, noto come Timochenko {nella foto), ha scritto una lettera di risposta in cui ha criticato le "imposizioni unilaterali del governo" e ha minacciato d’informare i colombiani sull’andamento del dialogo all’Avana. "Secondo il capo negoziatore del governo Humberto de la Calle", scrive Semana, "in questo modo le Fare violerebbero il patto di riservatezza che circonda i negoziati".

ECUADOR
II 1 ottobre la procura generale ha rinviato a giudizio per crimini contro l’umanità sei generali e quattro colonnelli in pensione. Sono accusati di aver rapito e torturato tre guerriglieri di sinistra nel 1985.

VENEZUELA
Mozione del parlamento contro «cospirazioni» Usa / Una sessione speciale del parlamento venezuelano si è pronunciata contro «i tentativi di destabilizzazione» compiuti dagli Stati uniti contro il governo bolivariano e «la cospirazione diretta e finanziata dagli Usa contro il presidente Nicolas Maduro». Maduro ha disertato la tribuna dell’Assemblea Onu, dichiarando di aver rilevato rischi per la propria incolumità. E ha preferito riunirsi a Caracas con il suo omologo boliviano, Evo Morales, fautore come gli altri capi di stato socialisti di «un tribunale dei popoli» per giudicare i «crimini di lesa umanità» compiuti dagli Usa. Il tema della sovranità nazionale e di una società sempre più lontana dal «cortile di casa» degli Stati uniti è oggetto di campagna elettorale nello scenario delle prossime elezioni comunali: un test importante per il successore di Hugo Chávez (scomparso il 5 marzo). Il suo più diretto avversario – l’ex candidato alla presidenza e attuale governatore del potente stato di Miranda – non ha riconosciuto la sconfitta (di misura) subita il 14 aprile. Uno dei suoi argomenti è ora quello della nazionalità del presidente, a suo parere nato in Colombia e non in Venezuela, e quindi non idoneo a governare in base alla costituzione. Ieri, Capriles ha nuovamente sfidato Maduro a «mostrare il proprio certificato di nascita» sul suo portale, Capriles.tv. Il deputato Walter Márquez aveva sollevato la questione in parlamento, sostenendo che il certificato di nascita non risulta al registro civile. Maduro ha risposto salutando la «straordinaria manifestazione contro la destra degli operai del metro».
CARACAS – Tensione tra Venezuela e Usa. Maduro espelle tre diplomatici americani accusati di sabotaggio / Torna ad essere alta la tensione diplomatica tra Caracas e Washington. Ed è Nicola Maduro, ol presidente del Venezuela a disporre, nella giornata di ieiri, l’espulsione di tre diplomatici dell’ambasciata degli Stati Uniti a Caracas, che sono stati accusati di sabotaggio economico nonché di contatti con l’opposizione.
"Ho ordinato al ministro degli Affari Esteri, Elias Jaua, di procedere alla loro espulsione. Hanno 48 ore di tempo per lasciare il paese (…) Yankees go home ! – ha dichiarato Maduro in un discorso pubblico. Ma non ha precisato le funzioni dei diplomatici cacciati. di certo il presidente però li ha accusati di essersi riuniti "con l’estrema destra venezuelana" per "finanziarla e condurre azioni di sabotaggio elettrico ed economico". I primi di settembre il Venezuela ha subito un’enorme panne elettrica. Le autorità hanno attribuito il fatto a un "sabotaggio". Stati Uniti e Venezuela, ricoridamo, non hanno ambasciatori nei paesi rispettivi e dal 2010.

AMERICA SETTENTRIONALE
USA / IRAN – Storico colloquio tra i due presidenti. E’ l’inizio di un nuovo corso? Telefonata Obama-Rohani, la diplomazia corre sul filo – di Giuseppe Acconcia
Quindici minuti per cancellare 34 anni di silenzi ufficiali. Nucleare, Siria e cooperazione al centro del discorso L’atteso «incontro» tra il presidente dell’Iran, il mullah Hassan Rohani, e Barack Obama c’è stato. È bastata una telefonata del presidente degli Stati Uniti per cancellare 34 anni di silenzi ufficiali tra i due paesi, che nascondevano però continui contatti diplomatici attraverso le ambasciate europee a Tehran per discutere delle principali crisi regionali. Rohani ha forse evitato un incontro diretto a New York con Obama per schivare le polemiche con conservatori e ultra-conservatori all’interno del suo paese. Contestazioni che non sono mancate perché alcuni sostenitori dell’ex presidente Mahmud Ahmadinejad hanno lanciato in segno di protesta scarpe contro la vettura di Rohani, festeggiato dai suoi sostenitori, mentre rientrava dall’aeroporto a Teheran. La stampa locale rappresenta un Rohani sorpreso dalla telefonata di Obama. In realtà, la distensione tra Stati Uniti e Iran è stata preceduta dalla possibile riapertura della sede diplomatica inglese a Tehran, chiusa dopo l’assalto del 2011 in seguito all’inasprimento delle sanzioni sul programma nucleare. In aggiunta, a facilitare un nuovo corso tra i due paesi c’è stato un riferimento importante, per molti passato inosservato, nel discorso all’Assemblea generale dello scorso martedì da parte di Obama che ha riconosciuto la responsabilità dei Servizi segreti degli Stati Uniti nel colpo di stato che ha rovesciato l’ex premier iraniano Mohammed Mossadeq nel 1953. Le cronache parlano di una conversazione cordiale tra i due leader, avvenuta con traduttori, ma con saluti nelle reciproche lingue. Nel corso della telefonata si è parlato di «cooperazione». Nel colloquio si è fatto riferimento alla crisi siriana, al nucleare e a tre cittadini americani, detenuti in Iran, di cui non si hanno più notizie. Obama avrebbe anche promesso un alleggerimento delle sanzioni internazionali che affamano la popolazione iraniana in caso di «azioni significative, verificabili e trasparenti» in merito al programma nucleare. Anche la stampa iraniana ha salutato con favore il discorso di Obama all’Assemblea generale dopo il riconoscimento degli «errori passati». Il quotidiano moderato Donya-e Eqtesad ha sottolineato i toni conciliatori di Obama, mentre il riformista Sharq ha parlato di fine di un «tabù» in riferimento al colloquio tra Obama e Rohani. Il quotidiano ultraconservatore Kayhan ha invece espresso preoccupazione per le affermazioni di Rohani sul programma nucleare a scopo pacifico, come un segno di debolezza dell’Iran. Ma anche da alcuni esponenti dell’élite militare e giudiziaria sono venute aperture alla posizione di Rohani per costruire un nuovo contesto di fiducia verso Teheran. Forse però il sostegno più incoraggiante è arrivato dall’ex presidente riformista Mohammad Khatami, che aveva salutato la rielezione di Rohani attendendo i suoi primi atti. «Per la prima volta esiste la possibilità di includere l’Iran come un partner regionale per mettere all’angolo gli estremisti», ha scritto Khatami in un articolo pubblicato dal quotidiano inglese Guardian . Khatami, eletto la prima volta nel 1997, seppe rompere l’isolamento forzato di Teheran promuovendo quello che lui stesso chiamava «dialogo tra le civiltà». La reazione del governo israeliano ai contatti tra Washington e Teheran non sono stati altrettanto positivi. Da una parte, il premier Benjamin Netanyahu, in un’intervista alla Cnn , ha giudicato «insufficiente» la condanna dell’Olocausto lo scorso martedì da parte di Rohani, avvertendo di diffidare delle aperture iraniane. Gli effetti immediati della distensione tra Stati Uniti e Iran potranno avere conseguenze positive sul negoziato per il programma nucleare e nella crisi siriana. Ma il filo diretto tra Washington e Teheran potrebbe nascondere anche un nuovo corso nella politica estera della Repubblica islamica, in continuità con la presidenza riformista. Se le divisioni con gli Stati Uniti non vanno esagerate, e neppure i recenti colloqui tra Obama e Rohani, di sicuro questa svolta segna una rottura del gelo che si era instaurato tra Obama e l’ex pasdaran Ahmadinejad, aprendo la strada alla revisione delle sanzioni internazionali contro l’Iran. Tuttavia, una manovra in questo senso potrebbe trovare non poche opposizioni tra i Repubblicani nel Congresso degli Stati Uniti e a Gerusalemme. A non enfatizzare i cambiamenti nelle relazioni bilaterali sono prima di tutto gli iraniani. Infine, lo storico colloquio tra Obama e Rohani fa il gioco dell’opposizione interna (ora al governo a Tehran), vicina ai tecnocrati, che ha grande seguito nei circoli politici di Washington e spinge da anni per una distensione con la leadership iraniana per mantenere in vita la Repubblica islamica. Quest’opposizione parallela è vista con grande scetticismo dalla diaspora iraniana negli Stati Uniti e in Europa che resta fortemente anti-regime e, come è avvenuto nel 2009, continua a spingere per la fine del governo degli ayatollah
USA
WASHINGTON – "chiude" lo Stato federale A casa 800mila statali / Il Congresso Usa non ha trovato l’accordo sul bilancio e alla mezzanotte di ieri, le 6 di stamane in Italia, è scattato lo shudown del governo, il blocco parziale delle attività. È la prima volta che accade da 17 anni. La Camera non ha approvato la legge passata in precedenza al Senato, quindi pochi minuti prima della scadenza la Casa Bianca ha dichiarato lo shutdown.
I repubblicani sono rimasti fermi sulla loro richiesta di rinvio della riforma sanitaria, cosiddetta Obamacare, come condizione per finanziare il governo. Il punto è stato nettamente respinto dal presidente Barack Obama e dai democratici. Il Senato, ore prima della mezzanotte, ha respinto infatti la proposta di legge di bilancio provvisoria avanzata dalla Camera repubblicana, che prevedeva il rinvio di un anno dell’Obamacare. I Gop hanno tuttavia insistito sulla proposta, chiedendo negoziazioni con il Senato per un compromesso. Il leader della maggioranza democratica al Senato, Harry Reid, ha risposto con un secco no: «Quello chiude il governo. Vogliono che il governo chiuda». Lo speaker della Camera, il repubblicano John Boehner, ha risposto poco dopo: «Il popolo americano non vuole lo shutdown, così come non lo voglio io». Tuttavia, ha aggiunto che la legge di riforma sanitaria di Obama «avrà un impatto devastante: qualcosa deve essere fatto». Ma pochi minuti prima di mezzanotte la direttrice del Budget Sylvia Burwell ha emesso la direttiva alle agenzie federali: «Eseguire i piani per un ordinato shutdown».

OBAMA: CONGRESSO NON HA TENUTO FEDE A PROPRIE RESPONSABILITÀ
«Sfortunatamente, il Congresso non ha tenuto fede alle sue responsabilità. Non ha approvato il budget e, come risultato, gran parte del nostro governo ora deve restare chiusa finché il Congresso non troverà di nuovo i fondi». Così il presidente degli Stati Uniti Barack Obama sullo shutdown del governo federale Usa, scattato alla mezzanotte di Washington (le 6 in Italia) a causa del mancato accordo fra democratici e repubblicani in Campidoglio.

NYC – Nsa, la rivelazione del Nyt: «Spiava anche i social network» / La National security agency (Nsa) spiava anche gli utenti dei social network, al punto da creare grafici contenenti i collegamenti social dei cittadini americani. Stando a quanto riportato oggi dal New York Times, dal 2010 la Nsa ha infatti usato la sua sterminata banca dati per creare grafici di alcuni social network americani attraverso i quali identificare gli utenti, la loro posizione e i loro spostamenti, ma anche informazioni sui compagni di viaggio degli iscritti e altre informazioni personali. Le rivelazioni arrivano ancora dai documenti messi a disposizione dall’ex informatico Edward Snowden, che nei mesi scorsi ha fatto scoppiare lo scandalo Datagate.
L’agenzia di spionaggio proprio nel novembre del 2010 aveva abbandonato l’analisi del traffico telefonico e delle email per raccogliere dati degli utenti social, dopo le restrizioni alle prime due pratiche. Il controllo dei social network serviva a «scoprire e registrare» le connessioni tra obiettivi dell’intelligence e gli abitanti degli Stati Uniti, rispetto a quanto scritto in un memorandum del 2011 della stessa Nsa. Come sottolinea il Nyt, le nuove rivelazioni mettono in luce come l’agenzia di intelligence prendesse di mira non solo i cittadini stranieri, ma anche quelli americani, violando costantemente la loro privacy.
WASHINGTON si ferma / Il 1 ottobre le attività dell’amministrazione federale statunitense sono state in parte bloccate perché il congresso non è riuscito a trovare un accordo sulla legge finanziaria che avrebbe dovuto stanziare le risorse necessarie per il loro funzionamento. I repubblicani, che hanno la maggioranza alla camera, hanno condizionato l’accordo sul bilancio al taglio dei finanziamenti alla riforma sanitaria, una condizione che il senato, a maggioranza democratica, ha respinto. "Dalla mezzanotte del 30 settembre più di 8oomila impiegati pubblici in tutto il paese resteranno a casa", scrive il Washington Post. Chiuderanno i parchi nazionali, i musei, i monumenti e molti uffici federali, per esempio quelli addetti a rilasciare i passaporti. I soldati continueranno a ricevere lo stipendio grazie a un provvedimento approvato dal congresso. Divisi sui tagli alla spesa federale, dal 2008 repubblicani e democratici non sono mai riusciti ad approvare una finanziaria che si estendesse per più di pochi mesi, e spesso lo hanno fatto all’ultimo minuto per evitare la paralisi del governo. Il cosiddetto shutdown, la paralisi in corso, non avveniva da 17 anni e "costerà allo stato 300 milioni di dollari al giorno", scrive l’Huffìngton Post. Obama, che ha rinviato il suo viaggio in Malesia, ha invitato i repubblicani a far "riaprire il governo" con un nuovo voto alla camera.
WSHINGTON /DIFENDERE LA RIFORMA – The New Yorker, Stati Uniti / Il 1 ottobre è entrata in vigore negli Stati Uniti "la parte più importante della riforma sanitaria voluta da Barack Obama, quella che darà una copertura sanitaria a milioni di persone che finora non potevano permettersela", scrive il medico e giornalista Atul Gawande sul New Yorker. "I repubblicani l’hanno sempre descritta in termini apocalittici", e pur di fermarla si sono rifiutati di approvare la legge finanziaria. Ora gli stati guidati dai repubblicani faranno ostruzionismo in tre modi: rifiutando i fondi federali per includere nel programma sanitario le persone a basso reddito; ostacolando la creazione degli exchange, i mercati delle polizze sanitarie; convincendo i giovani che l’assicurazione sanitaria è inutile. "Eppure", continua Gawande, "si sta facendo strada l’idea che tutti possono avere una copertura di base". La destra spera di distruggere il sistema che è stato messo in piedi per garantirla. "Ma non succederà. Ci sono persone coinvolte e interessi in gioco sufficienti per farlo funzionare. E i cittadini hanno uno strumento diretto per contrastare l’ostruzionismo: fare domanda per un’assicurazione, e aiutare altri a farlo".
NYC – Gli occhi dell’Nsa "Dal 2010 la National security agency ha usato la sua gigantesca raccolta di dati per tracciare delle accurate mappe dei rap-porti sociali di alcuni cittadini statunitensi", scrive il New York Times. Sulla base di nuove informazioni fornite da Edward Snowden, l’ex consulente della Nsa che ha dato origine al Datagate, il quotidiano racconta che nel 2010 l’agenzia ha cominciato a esaminare le telefonate e gli scambi di email di cittadini statunitensi per scoprire eventuali connessioni con obiettivi d’intelligence stranieri. L’Nsa ha usato informazioni raccolte dai registri elettorali, dalle polizze assicurative, dalle denunce dei redditi, dai profili Facebook, dai conti correnti bancari e dalle localizzazioni satellitari.
LOUSIANA – II 1 ottobre un tribunale della Louisiana ha ordinato la scarcerazione di Herman I Wallace {nella foto), un ex mili-tante delle Pantere nere in prigione da 42 anni per omicidio. Wallace è gravemente malato.
NYC – Il 25 settembre gli Stati Uniti hanno firmato all’Onu il primo trattato che regola il commercio delle armi convenzionali.
( articoli da : Obeserver, Le Monde, The NYC Time, Time, Guardian, Clarin, Aera Giappone, Nuovo Paese, Il Manifesto, l’Unità e AGVNoveColonne)

 

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