10853 NOTIZIE dall’ITALIA e dal MONDO 28 settembre 2013

20130928 11:57:00 guglielmoz

NOTIZIE dall’ITALIA e dal MONDO 31 09 2013

ITALIA – ROMA – LA VIA MAESTRA / Una ruota per rifondare la politica
VATICANO – IL Vaticano e la Convenzione Onu sulla disabilità: “E’ tempo di firmarla?”
EUROPA – Lugano. Il Canton Ticino dice no al Burqa.
AFRICA & MEDIO ORIENTE – IRAN. Toni più concilianti
ASIA & PACIFICO – PAKISTAN . PESHAWAR – Pace impossibile dopo l’attentato di Peshawar
AMERICA CENTROMERIDIONALE – BRASILE Invettiva all’ONU la presidente brasiliana Dilma Rousseff ha criticato l’attività di spionaggio della(Nsa ai danni del suo paese.
AMERICA SETTENTRIONALE – USA Obama e il mondo di domani

ITALIA
ROMA – intervista al professor Ferrara(*) POTERI ABNORMI AL PREMIER…
Critico il costituzionalista Gianni Ferrara: «Si vuole rovesciare il rapporto tra esecutivo e Aula, trasformandola in strumento del capo»
Imporre i tempi per deliberare sui disegni di legge soffoca il dibattito in Parlamento
PROFESSOR FERRARA, COSA PENSA DELLA RELAZIONE DEI SAGGI?
Da una prima lettura, già emergono preoccupazioni e dissensi. Il superamento del bicameralismo è risolto in ordine al rapporto di fiducia col governo ma non lo è affatto per quanto attiene alla composizione del Senato, perché restano in piedi due o tre opzioni sul modello da scegliere.

LA RELAZIONE SI È DATA IL COMPITO DI METTERE NERO SU BIANCO LE ALTERNATIVE. NON FA SCELTE, CHE SPETTANO AL PARLAMENTO. E SODDISFATTO DELLA MEDIAZIONE SULLA FORMA DI GOVERNO?
Sembra che sia recessiva la sciagurata opzione per il semipresidenzialismo, ma non è detto che la soluzione prevalente riguardante il «governo parlamentare del primo ministro» possa soddisfare, perché si vuole configurare il premier in modo da realizzare il massimo della personalizzazione del potere. Si vuole infatti costituzionalizzare l’indicazione del candidato premier nelle liste per le elezioni della Camera dei deputati.

I SAGGI SOSTENGONO CHE QUESTA BOZZA RAFFOR-ZEREBBE ANCHE IL PARLAMENTO: LE RISULTA?
No, è un falso. Oltre alla personalizzazione, il potere che assume il primo ministro è abnorme perché mira a dirigere sostanzialmente l’attività della Camera dei deputati.
C’È CHI DICE CHE LA LEGGE "A DATA CERTA" RISOLVERÀ IL PROBLEMA DEL DISORDINE LEGISLATIVO E RIDURRÀ IL RICORSO AI DECRETI. È D’ACCORDO?
La commissione propone di costituzionalizzare i divieti ai decreti previsti dalla legge 100 del 1990. E questo è un bene. Ma il potere che si attribuisce al premier è francamente inaccettabile, perché i meccanismi volti ad accelerare il processo legislativo sono già presenti nel sistema parlamentare e appartengono alla maggioranza . Attribuirli invece al premier significa non soltanto comprimere il Parlamento ma mortificare la maggioranza. La verità è che si mira a rovesciare il rapporto tra Parlamento e governo: si vuole fare in modo, cioè, che il governo non sia più l’esecutivo delle leggi approvate dalla rappresentanza parlamentare, ma che il Parlamento diventi strumento della legislazione a disposizione del primo ministro.
COSA PENSA DELLA SFIDUCIA COSTRUTTIVA?
Questa è una salvaguardia del Parlamento. Non vedo come la si possa conciliare con la candidatura a premier decisa in sede elettorale.
IL SUO GIUDIZIO SUL DOCUMENTO È CRITICO, QUINDI?
È critico per quanto riguarda la non soluzione della questione del bicameralismo e per quanto riguarda la forma di governo: pur essendo prevalsa la forma parlamentare, la bozza attribuisce poteri eccessivi al primo ministro. Tanto più se il primo ministro dovesse essere quello risultante dalla designazione del partito che ottenga la maggioranza, dato che nessun sistema elettorale può determinare l’obiettivo di una maggioranza politica predeterminata rispetto al voto.
PER QUESTO I SAGGI SUGGERISCONO IL BALLOTTAGGIO DI COALIZIONE. COSA PENSA DI QUESTO MECCANISMO?
Mi domando: in caso di tre schieramenti elettorali di comparabile consistenza, come si può
pensare di eliminare il terzo appena meno forte del secondo? Così facendo si escluderebbe Gianni Ferrara,
dalla decisione sul premio di maggioranza una parte notevolissima del corpo elettorale. Da Left di Sofia Basso.
(*) Gianni Ferrara, costituzionalista, già professore emerito all’Università la Sapienza di Roma

VAL DI SUSA – Sotto lo sguardo vigile di 415 militari, oltre a polizia, carabinieri e fiamme gialle
La talpa Gea entra in azione – di Mauro Ravarino / Sbandierato in pompa magna, l’avvio dei lavori della talpa Gea, la tunnel boring machine che avrà il compito di proseguire lo scavo della galleria di servizio di Chiomonte, si è consumato con il posizionamento della grande fresa ai margini della tunnel. Entrerà in funzione a metà ottobre: per raggiungere il fronte d’attacco, a 220 metri, impiegherà circa tre settimane. Larga 6 metri e 30 centimetri di diametro, scaverà in due anni i 7 chilometri e mezzo del cosiddetto cunicolo esplorativo della Maddalena. Non si tratta, per la precisione, della galleria transfrontaliera di 57 chilometri al confine tra Italia e Francia lungo la Torino-Lione, ma rappresenta – secondo il progetto – la quarta delle opere che permetterebbero di raggiungere il futuro tunnel di base, insieme alle tre discenderie francesi già realizzate nella valle della Maurienne. La Francia si è poi fermata e, anche dopo la bocciatura della Corte dei conti, ha congelato fino al 2030 tutte le opere secondarie, come le vie d’accesso, alla futura galleria di base da Susa a St. Jean de Maurienne. Atti che testimoniano i dubbi parigini nei confronti dell’opera.
Molto soddisfatto dell’ingresso della talpa nel tunnel, invece, Marco Rettighieri, direttore generale di Ltf, società incaricata della realizzazione della tratta internazionale: «È una pietra miliare», una tappa «da ricordare». Ottimista Mario Virano, commissario di governo e presidente della commissione intergovernativa, che ha dichiarato: «Si fa un altro passo avanti verso la percezione dell’irreversibilità dell’opera. Ora mi aspetto più ragionevolezza, ma resto consapevole che la protesta non finirà e ci sarà battage nella campagna politica per le Europee e le Amministrative del 2014».
«Gli oppositori – ha aggiunto Virano – prima hanno detto che era un falso cantiere, poi che si scavava con il cucchiaino, infine che la talpa non sarebbe mai arrivata. Ma tra 20 giorni la fresa comincerà a grattare la roccia e in due anni completerà la sua opera». Un raggio laser di colore rosso indicherà alla sala di comando il tracciato da seguire e le eventuali correzioni. Del complesso macchinario fanno parte anche i nastri che trasporteranno all’esterno il materiale di scavo, il cosiddetto smarino, che preoccupa gli attivisti.
I lavori proseguiranno sotto lo sguardo vigile di 415 militari (un numero rilevante rispetto ai 971 abitanti di Chiomonte, registrati nel marzo 2013) e centinaia di agenti di polizia, guardia di finanza e carabinieri. Il clima rimane teso. Ieri, il movimento ha denunciato la comparsa, a Susa, di un volantino di insulti e minacce nei confronti dei No Tav. «Agiremo – si legge – nella stessa maniera in cui agite voi: da vigliacchi. Vi daremo filo da torcere. Colpiremo le menti di questa organizzazione terroristica». Il volantino è firmato da sedicenti «Disoccupati Val di Susa». Il documento si rivolge ai sindaci, accusati di essere «complici di questi delinquenti». Ritiene che le proteste stiano «distruggendo la valle» con aziende chiuse e turismo in crisi. E critica Erri De Luca, che aveva difeso la pratica dei sabotaggi: «Appoggeremo le forze dell’ordine. Il popolo della Valle è con voi e siamo pronti a combattere al vostro fianco». Intanto, Stefano Rodotà ha deciso di querelare il ministro Alfano e i quotidiani Libero e Il Giornale: «Le mie parole sono state deliberatamente falsificate».

ROMA – LA VIA MAESTRA / Una ruota per rifondare la politica. Urge una discussione a sinistra sui criteri plausibili per dare forma organizzata all’azione pubblica
Al dà delle turbolenze stagionali, indizi consistenti inducono a pensare che la normalizzazione procede rapidamente, sotto la guida sagace di Enrico Letta; abile anche nel risiko tattico: se Berlusconi minaccia di far cadere il governo (attribuendone colpa al Pd) l’altro replica con la controminaccia del ritorno dell’Imu (con relativa responsabilità del Pdl); quando Renzi accusa di immobilismo la compagine governativa si sente rispondere con il minimalismo di chi ripara guasti concreti (la gag del cacciavite) a fronte di un critico che sciorina generiche promesse trionfalistiche. Nel gioco degli illusionismi contrapposti vince chi riesce a dare loro una parvenza di realtà.
Sicché i competitori che esternano a getto continuo vengono macinati dalla mola silenziosa del giovane neodemocristiano, che tende a espellere dai criteri stessi della politica le ripartizioni tra un lato destro e uno sinistro; per riscoprire ataviche vocazioni alla centralità, da cui governare le negoziazioni e su cui far convergere consensi divergenti: logica con cui la Dc esercitò per quasi mezzo secolo la sua rendita posizionale di all catch party. E con questi sono serviti gli apprendisti stregoni alla Grillo. Simmetricamente, l’operazione anestetica in corso anacronizza i protagonismi delle star da talk show: la crisi sociale ed economica o la si affronta (improbabile con questo ceto politico) o la si annega in una miscela comunicativa da lotofagi; il «dico-disdico» dei Berlusconi e dei Renzi presto si tradurrà in rigetto. Intanto il tempo lavora per "l’operazione Oblio" del premier, per cui la spossatezza generale scivolerà nel deliquio: lo stato psicologico ideale per una corporazione del potere intenzionata a restare ben in sella sul groppone del Paese. Disegno irresistibile, se non si assisterà all’entrata di nuove soggettività che lo contrastino in breccia. Il 12 ottobre, ossia la grande mobilitazione per la difesa dei principi della nostra Costituzione dalle sovversioni con cui si pretenderebbe di avviare la Terza Repubblica postdemocratica, può essere il momento fondativo di tale soggetto, di cui da tempo voci nel deserto ne vorrebbero gridare il nome ineffabile? Insomma, la manifestazione per una nuova Repubblica democratica può essere l’inizio di un vero progetto rifondativi della politica? Il quintetto che ci chiama a raccolta (Carlassare, Ciotti, Landini, Rodotà, Zagrebelsky) ha tutte le credenziali per testimoniare in chiave propulsiva valori alti, dal pluralismo deliberativo a una ritrovata socialità solidale, dall’idea di un modello di sviluppo come costruzione collettiva (politica industriale partecipata) a una rappresentanza emendata dalle perversioni della corporazione trasversale del potere. Impensabile che questi benemeriti personaggi diventino gli assemblatori di una qualsivoglia struttura tradizionale. Da ciò deriva l’urgenza di una discussione a sinistra sui criteri plausibili per dare forma organizzata all’azione pubblica; assicurarne la continuità e la fattività.
Quello che non si ha da fare sembra sufficientemente chiaro: il ritorno al modernariato del paradigma di partito stanziale novecentesco (associazione gerarchica e verticista che dà la linea e costruisce organigrammi), tanto meno prestare attenzione alle sirene che starnazzano (con successo pop e pratiche di segno opposto) di "potenza della Rete" in quanto delega salvifica all’internetcentrismo; il feticismo dell’Itc come magia che orienta nella complessità. Resta fermo che le nuove tecnologie si rivelano preziose per la mobilitazione e il raccordo (effetto rendez vou sing); ma la potenza della Rete sta altrove, nella qualità relazionale, ad oggi inutilizzata. Si pensi alle miriadi di energie che si segnalano sul territorio e che finiscono per isterilirsi nell’episodicità. Forse si può azzardare una risposta strutturale proprio partendo da queste straordinarie potenzialità, che richiedono l’approccio soft che oggi si afferma nei paradigmi della nuova centralità economica: la logistica. A conferma che la modellistica organizzativa degli ultimi due secoli ha il proprio laboratorio nel lavoro (le ferrovie e poi la fabbrica integrata fordista format dell’amministrazione pubblica e del partito di massa), come prima lo era l’esercito. E il nuovo modello si chiama hub and spoke, mozzo da cui si diparte una raggiera. Secondo metafora, possono fungere da mozzo (garanti di coerenza) proprio i firmatari del documento per il 12 ottobre (Via Maestra), offrendo connessioni interpersonali a filiere che partano dal volontarismo su base territoriale.
Dunque, un’ipotesi di lavoro o – magari – una provocazione per il lavoro trascurato dal pensiero che insegue la balena bianca della trasformazione. Nell’accelerazione imposta dalla crisi che sta implodendo in degrado civile irreversibile, mentre i tranquilli e benevoli reazionari che ci governano operano abilmente per ritornare a un passato avvolto nel cellofan lucido/ingannevole del "non ci sono alternative".

VATICANO
IL Vaticano e la Convenzione Onu sulla disabilità: “E’ tempo di firmarla?” / La nuova “stagione” nata con l’elezione di papa Francesco porterà con sé anche la ratifica, da parte del Vaticano, della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità? A chiederlo, nel blog “ La terza nazione del mondo ”, ospitato dal portale dell’Inail dedicato alla disabilità SuperAbile.it, è lo scrittore e saggista Matteo Schianchi. “In questa fase di fervore mediatico che circonda la sua figura e dati alcuni passaggi non solo di immagine di Papa Francesco, anche ad una persona laica come me verrebbe in mente di chiedere se, in questo nuovo clima, non fosse possibile la ratifica da parte del Vaticano della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità”.

EUROPA
SVIZZERA
22 settembre UNA PESSIMA DOMENICA ELETTORALE ELVETICA che fa detestare la democrazia diretta (divieto del Burka in Canton Ticino, no al diritto di voto agli/alle immigrati/e a Zurigo, no all’abolizione dell’obbligo di leva, Si alla liberalizzazione delle vendite, ecc.), brilla come unica eccezione la saggia decisione degli elettori grigionesi di proibire alla loro azienda elettrica di partecipare all’assurdo progetto di costruzione di una centrale a carbone a Saline Ioniche. Alla faccia degli speculatori con il pelo sullo stomaco .
CANTON TICINO / LUGANO – Stop al burqa in pubblico / Il Canton Ticino in Svizzera dice no al Burqa. I risultati preliminari del referendum in 131 comuni ticinesi diffusi dalla radio televisione elvetica infatti mostrano un’adesione del 65% dei votanti al bando del velo islamico in pubblico. Se i risultati saranno confermati il Ticino sarà il primo cantone svizzero ad abolire il velo religioso. «Nessuno può dissimulare o nascondere il proprio viso nelle vie pubbliche e nei luoghi aperti al pubblico (ad eccezione dei luoghi di culto) o destinati ad offrire un servizio pubblico», si legge nel testo del quesito, «Nessuno può obbligare una persona a dissimulare il viso in ragione del suo sesso». Organizzazioni islamiche svizzere e Amnesty International hanno preso posizione contro questo progetto. Ma gli svizzeri hanno votato anche per un altro referendum. Promosso dal movimento antimilitarista Gsse, chiedeva l’abolizione del sevizio militare di leva ed è stata bocciato con il 73% dei No. Si prepara infine anche uno stop all’invio di Rambo svizzeri in giro per il mondo. Una Legge sulle prestazioni di sicurezza private sta infatti per essere votata dalla Camera dei Cantoni e vieta alle società private di fornire servizi di mercenari all’estero. L’interdizione riguarda il reclutamento, l’addestramento e la messa a disposizione di personale.

FRANCIA
PARIGI – Debito record per il 2014 / A pochi giorni dalla presentazione della finanziaria per il 2014, Le Figaro rivela che "l’anno prossimo il debito pubblico francese raggiungerà il 95,1 per cento del pil, cioè 1.950 miliardi di euro"( circa trentamila euro per ogni francese). Una percentuale molto superiore al 94,3 per cento che Parigi aveva annunciato alla commissione europea la scorsa primavera. La somma "include anche i contributi ai piani di salvataggio dell’eurozona", che peseranno per 68,7 miliardi di euro nel 2014.1 bilanci nazionali saranno esaminati dai ministri delle finanze della zona euro il 22 novembre prossimo.

GERMANIA
BERLINO / SPD – Dietro la sconfitta il non voto dei Lander poveri / Quarant’anni fa, nella Repubblica federale 9 cittadini su 10 si recavano alle urne. Domenica scorsa a farlo sono stati soltanto in 7 su 10. Precisamente: il 71,5% degli aventi diritto, appena lo 0,7% in più della volta precedente. Un problema di partecipazione c’è anche nella molto funzionante democrazia tedesca. Senza voler risalire alle cifre-record dei tempi di Willy Brandt, nel 1998 a votare era stato più dell’80%: l’alta affluenza spinse la Spd e i Verdi alla vittoria dopo sedici anni di dominio del cancelliere democristiano Helmut Kohl.
Qualche relazione fra sconfitta dei socialdemocratici e astensione, evidentemente, c’è. A restare a casa sono soprattutto i cittadini dei Länder più poveri, quelli della Germania est. Il poco invidiabile record dell’astensione lo detiene la Sassonia-Anhalt, la regione di Magdeburgo: a votare sono stati il 62,5% degli aventi diritto. Nel ricco Baden-Württemberg, invece, la percentuale è sopra la media nazionale: 74,3%.
Proprio la vasta regione sud-occidentale è quella nella quale la Cdu della cancelliera Merkel miete i maggiori consensi: i democristiani raggiungono addirittura il 51,1%. Interessante è il magro 10,9% dei Verdi, che, in questo Land, guidano il governo regionale in coalizione con la Spd: alle elezioni locali di due anni fa che portarono al loro storico trionfo, gli ecologisti raccolsero più del doppio dei consensi attuali. Meglio della regione di Stoccarda ha fatto, per i conservatori, solo la Baviera, dove la Csu ha conquistato il 53,9%. Per la Spd si conferma un territorio amico quello della Ruhr, compreso nel Land Nordreno-Westfalia: in città come Bochum e Dortmund i socialdemocratici riescono ancora ad avvicinarsi al 40%. Bene anche nelle tradizionali roccaforti di Brema e Amburgo, e un po’ meglio della tornata precedente anche a Berlino, dove hanno recuperato terreno rispetto ai Verdi.
La Linke si conferma un partito a due facce: molto più votato all’est (22,7%) che all’ovest (5,6%). Il risultato della Germania occidentale, tuttavia, non è negativo, perché comunque superiore allo sbarramento. E più in alto di quello dei liberali della Fdp, che all’ovest raccolgono il 5,2% ma all’est crollano al 2,7%. Interessante anche il dato dei populisti di Alternative für Deutschland: all’est ottengono il 5,8%, all’ovest il 4,4%. Segno del fatto che l’elettorato di destra, sensibile alle sirene neonaziste, stavolta ha trovato il proprio punto di riferimento nel nuovo partito euroscettico.

GRECIA
L’università senza risorse / Il piano di mobilità varato dai governo per otto atenei del pae¬se, nell’ambito del programma di austerità concordato con la troika, sta portando l’università greca al collasso. I tagli, che prevedono il trasferimento di oltre 1.300 impiegati amministrativi ad altri uffici pubblici, ha praticamente lasciato le università senza personale, scrive To Vi-ma. E i senati accademici di alcuni atenei – tra cui Salonicco, l’Università Kapodistrias e il Politecnico di Atene – hanno già annunciato la sospensione delle attività didattiche.
ATENE – la mobilitazione popolare spinge il governo ad indagare. Spuntano alcune testimonianze…
Continuano le proteste e le manifestazioni anti-fasciste in tutta la Grecia dopo l’assassinio la scorsa settimana del rapper antifascista Pavlos Fyssas. Migliaia di persone sono scese in piazza ieri ad Atene, a Salonicco e in altre città della Grecia per protestare contro "il mostro del fascismo" incarnato dal partito Alba Dorata. Per la prima volta dopo l’ingresso di Alba dorata in Parlamento, nel giugno 2012, i partiti di sinistra e i sindacati hanno partecipato a una manifestazione congiunta. L’ondata di proteste ed indignazione ha mosso anche il governo a fare qualcosa. Perquisizioni e interrogatori per tentare di capire le ramificazioni e le complicità di Alba dorata sono in corso in tutta la Grecia.
Stanno spuntando anche alcune testimonianze dirette sulle azioni e l’organizzazione di Alba dorata, da cui emergono connessioni con la polizia e una struttura piramidale che ai vari livelli coinvolgeva personaggi politici della destra. Le autorità greche stanno indagando sulle notizie in base alle quali uno psichiatra del principale ospedale psichiatrico di Atene avrebbe garantito a membri del partito di estrema destra Alba dorata certificati per ottenere il porto d’armi senza avere effettuato i test richiesti. Il ministro della Salute della Grecia, Adonis Georgiadis, ha aggiunto che secondo le stesse notizie lo psichiatra avrebbe invitato l’esercito a imbracciare le armi contro il governo. Il governo ha ordinato un’indagine sulle attività di Alba dorata e la Corte che si occupa del caso ha sentito le testimonianze delle vittime di aggressioni e dei giornalisti che hanno intervistato attuali o ex membri del partito, oltre che di rappresentanti delle comunità di immigrati. Inoltre sono cominciate una serie di perquisizioni nelle sedi del gruppo e negli uffici dei sostenitori sospettati di essere coinvolti in aggressioni. Nell’ambito di questi controlli la polizia fa sapere di avere arrestato a Creta un 34enne, dopo che in una perquisizione nella sua casa sono stati scoperti una pistola finta, un coltello militare e un manganello di metallo flessibile. Il giovane aveva anche tesserini di Alba dorata e altre attrezzature con il logo del partito. Alcuni alti funzionari di Alba dorata in passato hanno espresso ammirazione per Adolf Hitler; il partito ha ottenuto circa il 5% dei voti nelle elezioni dell’anno scorso e secondo gli ultimi sondaggi prima dell’omicidio aveva un consenso che si aggirava intorno al 12%. Un nuovo sondaggio pubblicato l’altro ieri mostra invece un calo di popolarità al 6,8% dal 10,8% di giugno, anche se il movimento resta comunque il terzo partito del Paese. Nei mesi scorsi gli esponenti di Alba dorata sono stati accusati diverse volte di attacchi violenti in diverse città della Grecia, perlopiù contro gli immigrati. I deputati del movimento hanno inoltre lanciato spesso insulti contro parlamentari di origine musulmana in Parlamento, definendoli agenti turchi. Spesso ci sono stati anche scontri e combattimenti fra sospetti membri del partito e attivisti antifascisti o sostenitori di gruppi di sinistra. Finora, tuttavia, erano stati registrati solo feriti.
Secondo la polizia, la manifestazione ha richiamato 10.000 persone ad Atene, che hanno sfilato in due cortei distinti, prima di riunirsi davanti al Parlamento. Settemila di loro si sono poi diretti verso la sede del partito neonazista, pochi chilometri più a nord. "Pavlos vive, distruggete i nazisti!", si leggeva sullo striscione esposto dall’associazion Keerfa, pilastro della lotta antirazzista e a lungo rimasta sola nelle sue denunce delle violenze xenofobe commesse dai simpatizzanti di Alba dorata. La rete di associazioni che combattono il razzismo, Diktyo, ha riferito in un comunicato di 300 casi di aggressioni a sfondo razzista registrati nel paese dall’ottobre 2011.

SPAGNA
MADRID – Eusebio Val, La Vanguardia, Spagna / L’aumento della quota di partecipazione di Telefònica in Telecom Italia è stato preso piuttosto male a Rom- a, molto gelosa del suo patrimonio industriale e imprenditoriale. I leader sia di centrodestra sia di centrosinistra e i dirigenti sindacali hanno messo in guardia sulle conseguenze negative che potrebbe avere questa operazione. La considerano un sintomo della crisi del "sistema Italia", già messa in evidenza dalla vendita di alcuni marchi di lusso che ne costituivano l’emblema e da altre possibili operazioni come, per esempio, l’assunzione del controllo di Alitalia da parte di Air France, e quella di alcune controllate di Finmeccanica da parte di concorrenti coreani, statunitensi e giapponesi. A Roma è scattato l’allarme. Lo sbarco degli spagnoli in Telecom co-stringerà il governo a dare spiegazioni al parla-mento e a trovare il sistema per fermare l’opera-zione o correggerla in qualche modo.
Nel Partito democratico (Pd), la principale forza della coalizione di governo guidata da Enrico Letta, l’indignazione è particolarmente accesa. Il senatore Massimo Mucchetti, presidente della commissione industria, commercio e turismo del senato, ha accusato Telefònica di non aver fatto una vera e propria offerta per l’acquisto e di voler ottenere il controllo dell’azienda italiana con un investimento minimo, per comprare la quota di partecipazione dei suoi partner italiani nella holding Telco. Secondo Mucchetti, Telefònica intende vendere le fiorenti attività di Telecom in America Latina, che sono il gioiello della compagnia, ed eliminare un concorrente scomodo in quella zona del mondo. I sindacati hanno anche messo in guardia sulla possibilità che, con il controllo di Telefònica, siano messi a rischio i6mila posti di lavoro in Telecom Italia.
Gli italiani sono preoccupati anche per il background finanziario dell’operazione, perché se Telecom Italia è indebitata, Telefònica lo è ancora di più. Senza contare le riserve di tipo nazionalista e strategico. Non è chiaro cosa ne sarà della rete telefonica fissa italiana e delle prerogative nazionali per quanto riguarda il controllo dei dati e delle comunicazioni personali. Mucchetti ha detto molto chiaramente che "la partita non è finita, anzi, deve ancora essere giocata": un esplicito avvertimento che scatenerà una battaglia politica, perché si tratta di una questione di stato.

RUSSIA
II 24 settembre Mosca ha annunciato l’apertura di un’inchiesta per pirateria nei confronti degli attivisti di Greenpeace che hanno scalato una piattaforma petrolifera della Gazprom nel mare Artico. La loro nave, la Arctic Sunrise, è sotto sequestro a Murmansk.
MOSCA – La protesta della Pussyriot / Nadezda Tolokonnikova una delle tre Pussyriot condannate per la preghiera punk nella cattedrale di Mosca, è riuscita a far filtrare dal carcere una lettera in cui annuncia uno sciopero della fame e denuncia le condizioni disumane della sua prigionia, simili a quelle dei gulag sovietici, scrive Novoe Vremja: giornate di lavoro di 17 ore, da mangiare solo pane e per dormire camerate gelide. Il settimanale osserva che "la storia del nostro paese ci insegna che tacere di fronte ai propri torturatori non giova. Solo una chiara denuncia può aiutare le vittime dei soprusi di un sistema che vive ancora di oppressione".

REGNO UNITO
LONDRA – I DUBBI SULL’EMIGRAZIONE "Dobbiamo lasciarli entrare?". È il titolo di copertina scelto da Prospect them come? per parlare di immigrazione. Il tema è tornato di grande attualità nel Regno Unito, in particolare dopo che l’Ukip, il partito nazionalista ed euroscettico, ha lanciato l’allarme sul rischio dell’arrivo di "un’ondata di criminalità romena" nel 2014, quando salteranno le restrizioni alla libera circolazione dei lavoratori romeni e bulgari nell’Ue. In effetti, nel Regno Unito l’ostilità contro gli immigrati sta prendendo piede: secondo un sondaggio, il 77 % dei britannici ritiene che l’economia funzionerebbe meglio "se il governo desse un giro di vite sull’immigrazione". "La nostra politica sull’immigrazione ha bisogno di una riforma", scrive l’economista Paul Collier, secondo il quale "per combattere xenofobi e razzisti, finora i sociologi hanno fatto ogni sforzo per dimostrare che l’immigrazione è una cosa buona per tutti. Ma la domanda giusta non è ‘l’immigrazione è un bene o no?’ Dovremmo chiederci quanta immigrazione possiamo assorbire. E ammettere che ci sono buoni motivi per pensare che al di là di una certa soglia possono esserci problemi".

AUSTRIA
ELEZIONI – Un test per il governo / Il 29 settembre più di sei milioni di austriaci voteranno per il rinnovo del parlamento. Secondo i sondaggi, gli elettori dovrebbero punire la grande coalizione tra i conservatori dell’Òvp e i socialdemocratici dell’Spò, al go-verno dal 2008. Ma nonostante i voti perduti, spiega Der Standard, i due partiti dovrebbero avere i seggi sufficienti per proseguire la loro alleanza anche nella nuova legislatura. Dovrebbero guadagnare voti, invece, i nazionalisti dell’Fpò e i Verdi. C’è attesa per l’esordio del Team Stronach, il partito euroscettico fondato dal miliardario Frank Stronach, che dovrebbe ottenere almeno il 6 per cento dei voti. Potrebbero invece restare fuori dal parlamento i populisti della Bzò.

PAESI BASSI
Welfare addìo / Nel suo primo discorso in occasione dell’apertura dei lavori del parlamento, il nuovo re olandese, Willem Alexander, ha dichiarato che "lo stato assistenziale classico è destinato a sparire". Il sovrano, che leggeva un testo preparato dal premier Mark Rutte, ha spiegato che il paese "chiederà a tutti coloro che possono farlo di prendersi la responsabilità della propria vita e di quella delle persone che li circonda-no". Come spiega De Volkskrant, insomma, il governo chiede ai cittadini "tempo, pazienza e collaborazione" in un momento di grande difficoltà: il potere d’acquisto è in calo (-0,25 percento nel 2014), la disoccupazione è al 9 per cento e il debito pubblico ha superato il 71 per cento del pil. L’economia, inoltre, è in recessione per il quarto trimestre di fila. Il risultato è la finanziaria di rigore presentata dal ministro delle finanze Jeroen Dijsselbloem, che prevede sei miliardi di euro di nuovi tagli, concentrati nella sanità e nel welfare.

SVEZIA
II 23 settembre il quotidiano Dagens Nyheter ha rivelato che la polizia ha schedato più di quattromila rom. La ministra della giustizia Beatrice Ask ha annunciato un’inchiesta, ribadendo che è vietato raccogliere informazioni sulle persone in base alla loro origine etnica.

AFRICA & MEDIO ORIENTE
EGITTO
II 23 settembre un tribunale del Cairo ha vietato le attività dei Fratelli musulmani e ha ordinato la confisca dei loro beni.

GUINEA
II bilancio delle violenze preelettorali scoppiate a Conakry tra il 22 e il 23 settembre è di un morto e 70 feriti. Le elezioni legislative, più volte rimandate, si svolgeranno il 28 settembre.

IRAQ
II 21 settembre 57 persone sono morte in un attentato durante un funerale nel quartiere sciita di Sadr City, a Baghdad.

LIBIA
II 19 settembre è cominciato a Zintan il processo a Seif al Islam Gheddafi, figlio dell’ex leader libico, accusato di attacco alla sicurezza nazionale. Lo stesso giorno alcuni alti funzionari dell’ex regime si sono dichiarati non colpevoli davanti a un tribunale di Tripoli.

NIGERIA II bilancio di un attacco lanciato il 17 settembre dalla milizia Boko haram nello stato di Borno è salito a 142 vittime.

PALESTINA
Un soldato israeliano è stato ucciso il 23 settembre a Hebron, in Cisgiordania. L’esercito israeliano è alla ricerca del responsabile

IRAN
Toni più concilianti / Armane Iran All’ultima assemblea generale dell’Orni il 24 settembre a New York non c’è stata la tanto attesa stretta di mano tra il presidente statunitense Barack Obama e quello iraniano Hassan Rohani. Ma i toni usati dai due leader sono cambiati rispetto al passato. Rohani ha dichiarato che "la pace è a portata di mano" e che Washington non deve dare ascolto ai guerrafondai. Ha criticato, però, le sanzioni contro l’Iran, che sarebbero "una forma di violenza". Infine ha ribadito che il suo paese non vuole sviluppare armi nucleari, ma ha il diritto di arricchire l’uranio per scopi commerciali. Il nuovo corso della diplomazia di Teheran è stato accolto con ottimismo dai quotidiani riformisti come Arman, che alla vigilia dell’assemblea generale ha pubblicato il fotomontaggio di una stretta di mano tra il segretario di stato americano John Kerry e il ministro degli esteri iraniano Javad Zarif. Il nuovo governo Rohani, scrive Armane, "ha ridato slancio alla diplomazia, costringendo gli Stati Uniti ad annunciare la loro disponibilità a riprendere il dialogo sul nucleare". I giornali conservatori iraniani restano invece molto scettici riguardo al riavvicinamento tra i due paesi

TURKIA
Segnali preoccupanti / Nel secondo trimestre del 2013 il pil della Turchia è cresciuto del 4,4 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Ma altri dati indicano che l’economia turca non attraversa un momento felice. Da maggio, per esempio, la moneta nazionale, la lira, ha perso il 10 per cento del suo valore. In questo momento, spiega il Financial Times, molti in Turchia si chiedono se il paese possa continuare a crescere, come ha fatto negli ultimi anni, puntando sull’edilizia e sui consumi interni, mentre gli investimenti privati diminuiscono e le importazioni superano ormai le esportazioni. Il governo guidato da Recep Tayyip Erdogan non sembra intenzionato a cambiare strada: "Anche se Istanbul ha appena perso la gara per ospitare le Olimpiadi del 2020, i 19,2 miliardi di investimenti in infrastrutture programmati per l’evento non saranno ritirati". Ma intanto il paese dipende sempre più dai mercati finanziari: il deficit della bilancia commerciale richiede ogni mese finanziamenti stranieri per cinque miliardi di dollari, che in gran parte arrivano in forma di prestiti a breve termine. Inoltre, "le banche e le imprese avvertono che sempre più turchi stanno spostando i loro risparmi su conti all’estero, mentre la crescita dei crediti concessi dalle banche serve per lo più a finanziare i consumi, le importazioni e i progetti edilizi".

YEMEN
La vendetta contro i soldati / Un colonnello dell’aviazione yemenita è stato ucciso nel centro di Sana’a il 24 settembre, scrive il sito yemenita Al Tagheer. È il secondo omicidio del genere in due giorni. Gli attentati arrivano dopo una settimana di violenze, che nel sud del paese hanno causato più di 56 morti, soprattutto tra le forze di sicurezza. Secondo gli esperti militari, queste azioni portano la firma di Al Qaeda – l’organizzazione è molto influente nelle regioni del sud- che vuole vendicarsi degli attacchi subiti con i droni statunitensi..

KENYA
NAIROBI – Esclusi poveri e «colletti bianchi» /IL WESTGATE, énclosure per la minoranza ricca
TAGLIO MEDIO – Luciano Del Sette / Centro commerciale di lusso. Con questa definizione i media hanno liquidato nelle cronache il Westgate, teatro della strage di Nairobi. Troppo sbrigativamente, perché i centomila metri quadri, gli ottanta negozi, i bar, i ristoranti, che ogni giorno spalancano le porte ai clienti, rappresentano ben di più. IL WESTGATE è la perfetta metafora dell’enorme e incolmabile distanza tra il popolo degli slum e i ricchi politici e imprenditori kenyani; è un mondo invalicabile anche per chi, ad esempio i colletti bianchi, può contare su uno stipendio.
RICCHEZZA PER POCHI / Una volta superato il controllo delle guardie armate di pistola e metal detector, si materializza davanti agli occhi una dimensione scintillante di luci e materiali pregiati, avvolta da un’ininterrotta colonna musicale, disegnata da giardini tropicali immersi nell’acqua delle fontane. Le scale mobili fanno la spola tra le vetrine degli antiquari, dei marchi globalizzati, delle griffe «made in», dei gioiellieri e della bigiotteria etnica. Cerchi un cd? Lo store che li vende è gigantesco. Cerchi una camicia in stile safari? Venticinque dollari. Fuori da qui, appena duecento metri, sotto le tende di un mercato di strada, venticinque dollari sono un’enormità. Si parla a bassa voce, nel Westgate. Non si spingono carrelli come succede dentro i centri commerciali dell’Occidente. Le signore e i signori di varie età e di medesima condizione privilegiata, escono da un negozio impugnando una borsa di cartone patinato.
SOTTO ACCUSA L’ARTCAFFÉ / Metafora nella metafora delle distanze sociali ed economiche sono l’Artcaffé, e la sua terrazza, da cui, insieme alle gradinate di accesso, hanno fatto irruzione all’interno dell’edificio i terroristi di Al Shabaab. Il locale appartiene, come gran parte del complesso, a un gruppo di imprenditori israeliani. Sulla terrazza sfilano in passerella i privilegiati di Nairobi e siedono i turisti. Spazi enormi ripartiti in aree (caffetteria, bar, ristorazione, pasticceria), arredati guardando a New York e alle metropoli d’Europa. Un addetto filtra il flusso degli avventori. Dietro i banchi e in mezzo ai tavoli, ragazze e ragazzi bellissimi spendono sorrisi. O meglio sono costretti a farlo. Su internet si incontrano decine e decine di blog che mettono sotto accusa l’Artcaffé.
NESSUN ASSUNTO / Nessun cameriere è assunto, moltissimi lavorano il tempo di un weekend e poi si vedrà, gli stipendi sono da fame; chi viene preso in forza, sempre senza contratto, deve comprarsi la divisa. A ciò si aggiunge un diffuso razzismo nei confronti di coloro che (neri di pelle) non sono ritenuti all’altezza del posto. Leggendo i blog, sembra di stare nel Sudafrica dell’apartheid: un posto rifiutato anche quando c’è, frasi sprezzanti tipo «ma lo sai che qui un caffè costa molto caro?», chiamate facili alla polizia se qualcuno insiste a protestare. Su Trip Advisor svariate recensioni denunciano episodi simili o peggiori. Schiaffo a parte e sonoro, la decisione del management israeliano di non comprare il caffè in Kenya, ma di importarlo da altri Paesi. Che nella scelta terroristica del Westgate e dell’Artcaffé come obiettivi abbia dato il suo contributo tutto questo, appare allora ipotesi non certo affidata a un vuoto esercizio di dietrologia.

SOMALIA
MOGADISCIO – La campagna internazionale degli Shabaab – di Theo Guzma , «Il nostro obiettivo è attaccare quando il nemico non se lo aspetta…un centro commerciale dove arrivano turisti da tutto il mondo, diplomatici…decisori locali…dove ci sono negozi ebrei e americani…quanto ai civili morti deve prima essere chiesto al Kenya perché ha bombardato civili somali innocenti nei campi profughi, a Gedo, Giuba…noi siamo gli unici a lottare contro i nemici della Somalia». Lo dice il portavoce militare degli Shabaab – Abu Abulaziz Muscab – ad Aljazeera dopo l’attentato. Il giornalista dell’emittente araba insiste: «Pensa che l’attacco farà ritirare al Kenya le sue truppe dalla Somalia?». Il portavoce se la cava con una non risposta e una minaccia (…non sta a noi rispondere. Spetta a loro ritirare i soldati o no. Se non si ritirano, questi attacchi diventeranno comuni in Kenya….) ma il punto sembra essere proprio lì: il Kenya.
Una vendetta? Si, forse proprio una vendetta dopo l’operazione Linda Nchi che inizia nell’ottobre del 2011 condotta dall’esercito somalo con l’aiuto proprio del Kenya. Lì comincia la parabola in discesa del movimento nato nel 2006 sulla scia delle Corti islamiche. Già indeboliti dall’intervento dell’Etiopia (tanto che l’Eritrea sarà accusata di sostenerli), per gli islamisti Linda Nchi è il colpo di grazia: nel maggio del 2012 truppe del governo somalo e soldati della missione Amisom riprendono la città di Afgoi, il villaggio di Afmadù, smantellano basi e campi di addestramento, tagliano le comunicazioni. Il primo ottobre cade Chisimaio, che gli Shabaab avevano eletto capitale nel 2008.
Se la lettura è quella della vendetta, allora la strage di Nairobi diventa anche un punto di debolezza che gli osservatori hanno già sottolineato visto che un centro commerciale è un obiettivo facile e simbolicamente debole, foriero più di biasimo che di consenso. Shabaab agisce fuori perché ormai in casa è terra bruciata? Possibile. Il gruppo nel 2012 si affilia ufficialmente ad Al Qaeda e anche questo potrebbe essere un segno di debolezza. Per altro la mossa suscita polemiche e defezioni in un movimento dove divergenze interne, ideologiche, religiose o militari, hanno già creato dissidi e fazioni che si sono affrontate a mano armata. In uno di questi scontri, nel 2013, viene ucciso anche un capo storico, Ibrahim al-Afghani, che tra il 2010 e il 2011 è stato «emiro», cioè capo assoluto del movimento anche se la nomina non era condivisa da tutti. Altra defezione eccellente è quella di Hassan Dahir Aweys, leader spirituale e cofondatore del gruppo. Lascia i suoi e si trasferisce con pochi fedelissimo ad Adado, in una zona controllata dal governo.
Le cose si fanno difficili: sul piano militare, interno e forse dei finanziamenti occulti, a parte quelli che arrivano dalla rete qaedista che punta a fare degli Shabaab una sua «sezione» sotto la guida dei qaedisti del Magreb islamico. Ci sta così anche l’alleanza con gli stragisti nigeriani di Boko Haram. Se la partita in Somalia è quasi chiusa, meglio giocare l’ultima carta con l’internazionale jihadista.

SWAZILAND
Elezioni senza risultato
Nell’ultima monarchia assoluta africana il 20 settembre si sono svolte le elezioni legislative. Alla vigilia del voto, scrive il Mail & Guardian, "gli abitanti erano divisi: non tanto su chi votare, ma piuttosto sul vero significato delle elezioni. Nello Swaziland i partiti sono vietati e i candidati partecipano alle elezioni come indipendenti. E non importa chi occupa i 55 seggi del parlamen-to: è sempre il re Mswati III (sul trono dal 1986) a detenere tutti i poteri". Intervistato dalla Bbc, l’attivista per la democrazia Jan Sithole, appena eletto in parla-mento, ha dichiarato che lotterà per rendere effettivi i diritti garantiti dalla costituzione.

ASIA & PACIFICO
COREA DEL SUD
I GIGANTI DEL MARE – A luglio è stata inaugurata la nave portacontainer più grande del mondo. La Tripla E, che seguirà la rotta tra l’Europa del nord e la Cina, è lunga 400 metri e larga 59, ha una capacità di carico di 18mila teu (twenty-foot equivalent unit, misura standard di volume nel trasporto dei container) e può trasportare fino a novemila container. La Daewoo Shipbuilding & Marine Engineering (Dsme) ne sta costruendo venti esemplari a Okpo, in Corea del Sud, per la danese Maersk, scrive Bloomberg Businessweek. Ogni nave ha due motori, due eliche e due timoni. Per massimizzare la capienza della stiva sono state introdotte alcune modifiche alla struttura della nave e i consumi sono stati ridotti grazie a un sistema di recupero del calore e alla scelta di limitare la velocità di crociera a 16 nodi. Dopo l’approvazione del progetto pilota da parte delle due società nel maggio del 2012, il cantiere si è messo in moto per fabbricare e assemblare le componenti. La costruzione di ogni nave dura un anno e per i prossimi due anni e mezzo una nuova Tripla E entrerà in servizio ogni sei o sette settimane

CINA
PECHINO – Atto di forza di Xi Jinping. Secondo fonti cinesi il «principino rosso» ricorrerà in appello
Bo Xilai condannato all’ergastolo / di Simone Pieranni / Lo scontro di potere sul modello Chongqing dietro mazzette, delitti e fuga del suo braccio destro al consolato Usa / Il «principino rosso» Bo Xilai è stato condannato all’ergastolo dalla corte cinese di Jinan; secondo fonti cinesi Bo Xilai ricorrerà in appello. Pare che alla sentenza abbiano contribuito non poco Xi Jinping, il Presidente e i leader politici nazionali, intenzionati a chiudere nel dimenticatoio storico il modello di sviluppo economico proposto da Bo, contrario alla strada intrapresa da Pechino. È una pena superiore a quanto ci si aspettava e che ha come principale mira quella di fiaccare per sempre l’«agibilità» politica di Bo Xilai. Che avrebbe intascato oltre tre milioni di dollari in mazzette, abusando inoltre della sua posizione per impedire le indagini sull’omicidio di Neil Heywood, l’uomo britannico ucciso – per la giustizia cinese – dalla moglie di Bo, Gu Kailai, condannata alla pena di morte sospesa. Nel dettaglio, Bo è stato condannato all’ergastolo per il reato di corruzione, a quindici anni per appropriazione indebita, e a sette anni per abuso di potere.
La famiglia Bo Xilai finisce la propria epica cavalcata politica con due ergastoli, che pesano come macigni sulle ambizioni di quella fazione «neo maoista» a capo della quale si era stagliata la stella politica di Bo Xilai. L’ergastolo è visto da tutti gli osservatori internazionali come l’estremo tentativo della politica locale di tirare una riga sul cosiddetto «modello Chongqing», foraggiato dallo stato, vicino al popolo, ma anche in grado di eliminare i rivali politici e rasentare una vera e propria sfida ai vertici, che avevano ormai scelto una strada diversa, fatta di future privatizzazioni, diminuzione dei prestiti bancari e smantellamento delle aziende di stato. Rimane da capire quanto l’eredità politica di Bo Xilai accuserà il colpo: subito dopo il suo arresto, altri della sua cricca erano finiti in carcere o tagliati fuori da meccanismi di potere, ma negli ultimi tempi se c’è una fazione viva e agguerrita nel Partito Comunista, sembra proprio essere quella «neo maoista». L’ergastolo a Bo è un segnale di forza di Xi Jinping, che pure sta cercando di tirare dalla propria parte gli orfani dell’ex leader di Chongqing.
Bo Xilai, apparso sui media con le manette, stretto tra due poliziotti, ha raccolto negli anni un seguito popolare enorme; molti cinesi lo ritenevano come l’uomo adatto a guidare la Nuovissima Cina. Un leader capace di entrare nel cuore e nei radar della popolazione, da tempo molto distante dalle questioni politiche nazionali. Per la stampa locale Bo Xilai trascorrerà la propria condanna in un carcere presso Pechino, in un istituto di pena descritto come una sorte di carcere a cinque stelle: la giusta dimora per l’esilio politico di un «principino».
Le accuse contro Bo Xilai, in realtà, contano poco, perché il processo, così come la sentenza, ha principalmente motivazioni politiche. È stato eliminato perché la sua proposta politica andava in senso contrario al modello di sviluppo cinese e alle ricette economiche che la leadership si appresta a varare. Quello cinese – fino a poco tempo fa – era un progetto che spingeva per la crescita del prodotto interno lordo, basato sull’export, ancora prima che sulla capacità della popolazione di consumare; il regno di Bo Xilai a Chongqing, andava in una direzione opposta: dopo la campagna «go west» lanciata a inizio 2000 dal governo centrale, Bo Xilai ha utilizzato i finanziamenti statali e i prestiti delle banche per migliorare la vita dei cittadini di Chongqing; anche a questo si deve la sua popolarità, al di là delle etichette con cui la stampa internazionale ha sempre dipinto Bo. A Chongqing, l’amministrazione dell’ex leader deposto, ha ricostruito le infrastrutture locali, ha sperimentato nel campo dell’edilizia e il prodotto interno della città è cresciuto al ritmo del 15,8 percento, mentre la Cina viaggiava «solo» al 10 percento. Bo Xilai ha spinto sui finanziamenti statali per migliorare la capacità di consumare dei cittadini: anche per questo la «Gotham City cinese» non ha sofferto più di tanto la crisi, perché gran parte della produzione era destinato al mercato interno, anziché a quello estero.
Chongqing inoltre, aveva speso 15 miliardi di dollari per la costruzione di 13 milioni di metri quadrati di edilizia residenziale pubblica per le famiglie povere e prevedeva un piano di altri 40 milioni di metri quadrati capaci di accogliere fino a due milioni di persone. Chongqing sotto Bo Xilai, ha emesso tre milioni di hukou, ovvero i permessi di residenza urbana che ancorano al luogo di residenza quel minimo di welfare garantito dallo stato. Questo ha significato garantire ai lavoratori migranti che giungevano a Chongqing per impegnarsi nell’ambito di progetti finanziati dal settore pubblico, l’accesso alle cure sanitarie, l’istruzione e la sicurezza sociale. Si tratta di pratiche uniche in Cina, molto più importanti per valutare l’impatto della caduta di Bo di quanto non dicano le note ricette populiste, basate sul recupero di alcuni valori maoisti (le campagne dei canti rossi, i milioni di sms con le citazioni di Mao o ancora l’invito ai giovani a trasferirsi in campagna per «imparare dai contadini»). Secondo alcuni osservatori, inoltre, anche la campagna contro le triadi, «picchia il nero», ha sicuramente portato alla fine di molti nemici politici di Bo, ma avrebbe creato una città molto più «sicura». Il modello di Chongqing – ha scritto Kevin Lu su Foreign Policy – «è stato un esperimento audace nell’uso della politica e delle risorse statali per promuovere gli interessi della gente comune, pur mantenendo intatto il ruolo del partito e dello Stato».
Non solo interventi statali, perché Bo Xilai ha saputo strappare molte «commesse» delle multinazionali straniere ai centri nevralgici della vita economica e politica della Cina. Riuscire ad accaparrarsi i brand internazionali, ha significato spesso calpestare piedi di funzionari molto vicini a Pechino: un altro degli elementi che ha contribuito alla sua caduta. Le aziende straniere presenti negli hub industriali di Chongqing, infatti, producevano per il mercato interno. La Hewlett-Packard, ne è un esempio: nel 2008 aveva annunciato la creazione di uno stabilimento per la produzione di computer e nel 2011 aveva annunciato la nascita di un centro d’eccellenza cinese, destinato a produrre per le caratteristiche del mercato interno cinese.
Questa proposta economica, con un massiccio uso dello stato e delle aziende statali nel creare reddito e posti di lavoro, ben presto ha preoccupato la leadership pechinese. I vertici del Partito – ad eccezione dell’allora numero nove Zhou Yongkang, considerato uno stretto alleato di Bo Xilai – visitarono raramente il regno di Bo e di fronte alla sua capacità di presentarsi come leader moderno, occidentale, in grado di gestire i media, hanno colto al balzo l’occasione della fuga di Wang Lijun – ex braccio destro di Bo – al consolato americano di Chengdu, per spingere l’acceleratore sulla sua eliminazione politica.
È questo modello uno dei riferimenti della «nuova sinistra», molto più rilevante nelle motivazioni circa la caduta di Bo, dei tratti neo maoisti propagandati e che hanno fatto breccia su quelle frange di sinistra, ancorate al maoismo più come proposizione retorica e nazionalistica, che come soluzione economica «socialista».

A SHANGHAI come a casa / Il governo cinese permetterà l’accesso libero a internet nella zona di libero scambio di Shanghai. Gli utenti potranno consultare pagine normalmente censurate come quella di Face-book e del New York Times. La zona, approvata a fine agosto, coprirà una parte della città e sarà utile per sperimentare riforme economiche, scrive il South China Morning Post. " Per at-tirare investitori stranieri dobbiamo farli sentire come a casa", ha spiegato una fonte anonima del governo di Pechino.

SIRI LANKA
LA PRIMA VOLTA DEI TAMIL /L’Alleanza nazionale tamil (Tna) ha vinto con il 78 per cento dei voti le prime elezioni amministrative del nord dello Sri Lanka, aggiudicandosi 30 seggi su 38 del primo governo provinciale della zona a maggioranza tamil. A quattro anni dalla fine della guerra tra il governo e i ribelli tamil, la regione è presidiata dai militari che, secondo gli osservatori stranieri, avrebbero minacciato i cittadini durante il voto. I tamil vorrebbero più autonomia ma il consiglio che sta per nascere avrà poteri limitati

MALDIVE
ELEZIONI presidenziali che si sarebbe dovuto tenere il 28 settembre. Al primo turno Mohamed Nasheed ha ottenuto il 45 per cento dei voti e dovrà quindi vedersela con il secondo arrivato, Abdulla Yameen, arrivato al 25 per cento. Ma il terzo candidato, Qasim Ibrahim, ha chiesto l’annullamento del voto per brogli, scrive Minivan News.

CAMBOGIA
II 24 settembre il primo ministro Hun Sen, al potere dal 1985, è entrato in carica per un nuovo mandato di cinque anni. L’opposizione ha annunciato manifestazioni di protesta. Penisola coreana II 21 settembre il governo nordcoreano ha rinviato a data da destinarsi la ripresa degli incontri delle famiglie separate dalla guerra, attribuendo la colpa a Seoul.

PAKISTAN
PACE impossibile dopo l’attentato di Peshawar / The News, Pakistan/ IN Pakistan cresce la rabbia all’indomani dell’attacco a una chiesa cristiana di Peshawar che ha causato la morte di più di 80 persone. In molte città si sono svolte manifestazioni di protesta e in diversi casi alcuni esponenti della maggioranza musulmana si sono uniti ai cristiani, ma in generale la partecipazione delle persone di fedi diverse è stata scarsa. Evidentemente molti non hanno ancora capito che bisogna intervenire in fretta se non si vuole che il Pakistan sia distrutto dall’odio e dal fanatismo. Purtroppo sono in pochi tra le autorità ad avere il coraggio di fare i nomi degli assassini, mentre la maggioranza si limita a parlare di "elementi disumani" e di "animali". È difficile capire come abbiano fatto alcuni politici a dialogare con chi definiscono inumano. Il primo ministro Nawaz Sharif, spinto dalle proteste, ha ammesso che gli attacchi rendono impossibile qualsiasi negoziato con i taliban. Per il momento Sharif non ha alternative, perché non-si può parlare di colloqui di pace quando una delle parti ha un’anima cosi violenta. Come previsto, i taliban pachistani (Ttp) hanno rivendicato l’attentato, anche se ci sono alcuni dubbi sulla loro attendibilità. In ogni caso è innegabile che l’attacco sia opera di gruppi che già in passato hanno compiuto atti di violenza. I Ttp hanno promesso che continueranno a prendere di mira gli stranieri e chi non è musulmano per vendi-carsi degli attacchi dei droni. Per quanto l’uso dei droni sia criminale, la verità è che i taliban lo strumentalizzano per colpire qualsiasi gruppo abbia un credo religioso diverso dal loro. Il fatto che le proteste in tutto il paese siano state pacifiche, nono-stante una comprensibile rabbia, testimonia la natura nonviolenta della comunità cristiana. Il governo provinciale di Khyber Pakhtunkhwa ha invece dato prova di scarsa comprensione ed empatia, concentrandosi più sugli attacchi agli oppositori che sulla condanna della strage. Il governo ha promesso di ricostruire la chiesa, un gesto apprezzabile ma privo di significato se le autorità non dimostrano di saper protegge-re i gruppi più deboli e non agiscono per as-sicurare i carnefici alla giustizia.

INDIA
UTTAR PRADESH – Poliziotto costringe adolescente violentata a spogliarsi. Agente sotto inchiesta
E’ accaduto in India del Nord, a Uttar Pradesh. Un poliziotto sembra abbia costretto una 14enne a spogliarsi e lo ha fatto per dimostrare che la giovane è stata stuprata.
Questa è l’accusa di cui infatti dovrà rispondere l’agente di polizia.
Secondo quanto riportano gli organi di stampa locali, la ragazza sabato scorso ha subito una violenza, dopo si sarebbe recata alla polizia perché voleva denunciare la violenza sessuale subita, ma l’ufficiale avrebbe poi imposto alla giovane di togliersi i vestiti.
"Mi ha portato in una stanza e ha chiuso la porta. Poi mi ha chiesto di spogliarmi", ha riportato l’adolescente.
La 14enne si sarebbe denudata per convincere l’agente "che le accuse di stupro erano veritiere e non inventate". Dopo la denuncia il presunto stupratore è stato comunque fermato e agente invece è finito sotto inchiesta.
La violenza sessuale in India è un vero allarme. Secondo i dati forniti National Crime Records Boreau indiano viene compiuto uno stupro ogni 20 minuti.

AMERICA CENTROMERIDIONALE
GUATEMALA
LA VOCE DELLE DONNE / Las 12, Argentina / In occasione della visita in Argentina di Rigoberta Menchú, premio Nobel per la pace, Las 12 ha dedicato la copertina alle donne indigene guatemalteche. È stato grazie alla loro testimonianza se il Guatemala ha riconosciuto che, tra il 1982 e il 1983, c’è stato un genocidio contro la popolazione di etnia brìi. "Queste donne, considerate da molti solo personale di servizio o venditrici ambulanti, hanno raccontato i fatti: gli indigeni sono stati sterminati e la violenza sessuale è stata sistematica. Il dittatore Efraín Ríos Montt voleva colpire le donne per eliminare un intero popolo". L’11 maggio Montt è stato condannato a ottant’anni di carcere per genocidio e crimini contro l’umanità. Nove giorni dopo la corte costituzionale ha annullato la sentenza, ma del processo resta un dato importante: "Per la prima volta si è parlato pubblicamente del grande massacro nazionale. E per le donne, che hanno testimoniato a volto coperto, la denuncia della violenza subita è stato un modo per poter ricominciare".

BRASILE
Invettiva all’Orni / Il 24 settembre, all’apertura dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, la presidente brasiliana Dilma Rousseff ha criticato l’attività di spionaggio della National security agency (Nsa) ai danni del suo paese. "Il Brasile adotterà delle leggi e una tecnologia adeguata per proteggersi dalle intercettazioni illegali", ha detto. Secondo Folhade Sào Paulo, "è molto probabile che Barack Obama continui a fare finta di niente".

BOLIVIA
II 23 settembre il tribunale supremo elettorale ha annunciato che le elezioni presidenziali si svolgeranno nell’ottobre del 2014. Evo Morales punterà a un terzo mandato.

MESSICO
LA NATURA NON HA NESSUNA COLPA / IL 27 maggio il presidente messicano Enrique Pena Nieto ha istituito il consiglio nazionale per la protezione civile. L’obiettivo, ha spiegato, era "gettare le basi per un Messico meno vulnerabile". Al ministero dell’interno il presidente ha chiesto di concentrarsi su alcuni punti fondamentali: la creazione di un sistema nazionale di allerta per far circolare le informazioni in tempo reale; il lancio di una campagna per diffondere una cultura di prevenzione, concentrandosi sulle zone più a rischio; un programma nazionale di inter-vento in caso di incidenti, emergenze e disastri, per garantire il coordinamento dell’azione di governo. Queste misure dovrebbero rendere la protezione civile una forza di prevenzione con una grande capacità di risposta. Come hanno dimostrato gli uragani Ingrid e Manuel, in alcune regioni (soprattutto le più povere) le piogge lascia-no periodicamente una scia di morte e distruzione. Per questo bisogna mettere fine all’emarginazione sociale ed economica, investire nelle opere di contenimento dei danni e ridurre all’origine le cause del rischio. Per ogni peso investito nella prevenzione se ne risparmiano sette in opere di ri-costruzione. Ma in Messico gli investimenti nella prevenzione dei disastri naturali sono trenta volte inferiori a quelli stanziati per affrontare le emergenze e la ricostruzione. I disastri naturali dipendono soprattutto da errori umani, dalla mancanza di pianificazione e di misure adeguate per protegge-re le persone e le infrastrutture. Per non parlare della corruzione e dei favoritismi politici nella distribuzione delle risorse. Il programma per la protezione civile avviato da Pena Nieto è crollato sotto il peso dell’incompetenza delle istituzioni. I due uragani, che hanno provocato più di cento morti ed enormi perdite all’economia, dimostrano che il paese ignora le vere cause dei disastri naturali: il disboscamento, l’ostruzione dei bacini idrografici, la totale mancanza di una pianificazione urbana e rurale, la povertà, le infrastrutture pubbliche scadenti, la corruzione, la mancanza di coordinamento tra le istituzioni. Non è colpa della natura. E si prevedono più di venti uragani.

AMERICA SETTENTRIONALE
USA
Obama e il mondo di domani Luis Lema, Le Temps, Svizzera / Ormai è diventato quasi un rituale. Prima di ogni discorso di Barack Obama ci aspettiamo che il presidente statunitense scuota il mondo intero. E davanti all’assemblea generale dell’Orni Obama ha pronunciato l’ennesimo grande discorso. Eppure, per la prima volta in modo così chiaro, il presidente ha lasciato trasparire un fatto eviden¬te: oggi il mondo è molto complicato, anche senza l’intervento statunitense. Ovviamente Obama è un protagonista della scena internazionale, ma di fronte ad alcuni avvenimenti rivendica ormai il ruolo di semplice spettatore o al massimo quello di consulente.
Il presidente appare più a suo agio nella veste di diplomatico che in quella di comandante in capo, e così la guerra in Siria (di cui si è comunque discusso a lungo) è passata quasi in secondo piano di fronte alle straordinarie prospettive aperte dal nuovo tono delle autorità iraniane. Il discorso di Obama è stato particolarmente significativo proprio quando ha evocato i possibili sbocchi diplomatici della questione iraniana, un po’ come era accaduto con i suoi discorsi all’inizio della primavera araba. Elogiando la recente scelta politica del popolo iraniano e riconoscendo in questo modo il carattere democratico dell’Iran e la legittimità del nuovo presidente Hassan Rohani, Obama ha spalancato le porte a sviluppi futuri.
Uomo potente e allo stesso tempo umile os-servatore, il presidente cerca costantemente di dare agli Stati Uniti un ruolo nuovo, in un mondo dove tutti cercano di ritagliarsi il proprio spazio. Accompagnare i sussulti del mondo deve essere uno sforzo internazionale comune, basato sulla difesa dei valori e sul rispetto reciproco: è questo il messaggio di Obama, che colpisce per il suo realismo e la sua estrema chiarezza.
Ma sarebbe molto più convincente se, a proposito dell’uso dissennato dei droni, della chiusura di Guantanamo, delle intercettazioni illegali e del sostegno incondizionato al governo israeliano, gli Stati Uniti si mostrassero, se non proprio irreprensibili, almeno più inclini a mettersi in discussione
USA
SULL’ORLO DEL BARATRO / Il 20 settembre, a dieci giorni dal possibile blocco di tutte le attività del governo per mancanza di fondi, la camera degli Stati Uniti a maggioranza repubblicana ha approvato un progetto di legge che rifinanzia le agenzie del governo federale fino al 15 dicembre. "Ma sottrae fondi al gioiello legislativo di Barack Obama: la riforma sanitaria", scrive Politico. "È la prima mossa della crociata repubblicana contro l’Obama care", spiega il Washington Post. Ora il voto passa al senato a maggioranza democratica, che respingerà la parte del provvedi-mento che sottrae fondi alla riforma: la battaglia si combatterà sul terreno del bilancio. Il congresso dovrà trovare un accordo per evitare il cosiddetto shutdown entro il 1 ottobre. Obama ha avvertito che non rinuncerà alla sua riforma e non tratterà con i repubblicani sull’innalzamento del tetto del debito.

BALTIMORA – La spesa di poveri con i soldi dello stato / Al mercato agricolo nel Maryland, un gallone di sidro di mela (3,78 litri) costa sette dollari e con dieci si compra una grossa fetta di formaggio caprino. Sulla bancarella di un agricoltore sono accatastati otto tipi di meloni, cavoli e pomodori, tutti rigorosamente biologici. Sembra quasi il manifesto della prosperità e dell’abbondanza post-crisi dell’America di oggi. Poi, nel giro di poche ore, decine di persone si mettono in fila davanti a un tendone all’entrata del mercato. Stringono in mano una carta di debito color arancio su cui sono caricati i FS, i buoni alimentari per acquistare frutta e verdura fresca. Si chiama Independence card: alcuni dipendenti del comune l’hanno passata 53 volte. Il contrasto tra le due realtà è la spia di quanto gli Stati Uniti siano ancora lontani dal lasciarsi alle spalle la crisi. I dati pubblicati il 17 settembre dal Census bureau lo confermano: l’anno scorso il 13,6 per cento delle famiglie statunitensi ha usufruito delle prestazioni del programma federale di assistenza alimentare Snap, contro il 13 per cento del 2011 e l’8,6 per cento del 2008, all’apice della recessione. Per molti la ripresa non c’ mai stata. A Baltimora, una città portuale che ricevuto nuova linfa dall’afflusso dei lavo-tori del settore tecnologico, la ripresa è sta più generosa in alcuni quartieri che in alt Sulla storica North avenue, a pochi chilometri dal centro, ci sono file di villette schiera disabitate o abbandonate. La sco" primavera, quando Michele Speaks Mar e suo marito Erich March hanno aperto loro negozio di frutta e verdura nella zo~ sapevano che un "numero significativo" clienti avrebbe pagato con buoni alimentari o con altre forme di sussidio. A conti fa nel 90 % dei casi è stato così. Qu do finiscono i crediti Snap, intorno alla metà del mese, i clienti spariscono.
IL BAROMETRO DELL’ECONOMIA
Secondo gli esperti, il boom dei buoni alimentari dipende in parte dal fatto che stati hanno allargato la soglia di accesso prestazioni, ma il picco degli ultimi anni dovuto principalmente alla disoccupazione prolungata. "Ci sono ancora milioni di persone senza lavoro", osserva Stacy Dean Center on budget and policy priority "Oggi negli Stati Uniti la povertà riguarda soprattutto i disoccupati o chi integra il salario con l’assistenza pubblica per sopra vere". Dean è convinta che le richieste buoni alimentari diminuiranno una vo" che la ripresa sarà più robusta. Ma potrebbero volerci degli anni. Secondo il Congrsional budget office bisognerà aspettare almeno fino al 2019 prima che le domanda di iscrizione al programma Snap tornino livelli pre-recessione. "È una specie di barometro dell’economia per gli americani con un reddito basso", osserva Dean, segna brutto tempo". Un indicatore chiave il 48 % delle famiglie con a capo " donna e con almeno un bambino sotto i que anni vive in povertà. Nel 2008 la % era al 45 per cento.
Al mercato di Baltimora molti possessori di carte arancioni scambiano i buoni dei gettoni di legno da un dollaro con possono fare la spesa. Una donna tiene mano una busta di nylon spiegazzata e un bambino aggrappato alla gamba. Dietro lei c’è un uomo con il figlio nel marsupio Jennifer Johnson, 37 anni, fa la tata da vent’anni. È contenta di poter compra frutta, anche se con i buoni: "Ricevere assistenza dallo stato non sig

 

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