10836 IMMIGRAZIONE e noi saremmo il mondo civilizzato?. Storia di una normale follia del terzo millenio

20130924 15:12:00 guglielmoz

NOI E LORO

NELLA MIA piccola città arrivano due bambine peruviane: MICHELLE e NORCA CAMPOS, 7 e 5 anni. Estate 2000. La madre aveva attraversato il mare alla ricerca di una vita normale. Per chi scappa dalla povertà vuol dire tavola apparecchiata, dignità nel lavoro, non importa quale lavoro, e per le figlie la speranza di un destino senza affanni.di Maurizio Chierici

NELLA MIA piccola città arrivano due bambine peruviane: MICHELLE e NORCA CAMPOS, 7 e 5 anni. Estate 2000. La madre aveva attraversato il mare alla ricerca di una vita normale. Per chi scappa dalla povertà vuol dire tavola apparecchiata, dignità nel lavoro, non importa quale lavoro, e per le figlie la speranza di un destino senza affanni.
È una donna minuta dalla volontà di ferro: mette da parte i soldi e finalmente le porta qua. Immagina che Norca e Michelle possano confondersi con le compagne di scuola, ridere, giocare, soprattutto adeguarsi alle abitudini di un paese che deve assolutamente diventare il loro paese. Trasmette ciò che ha appena imparato per non farle sentire diverse. Non è facile. Le vecchie facce brontolano nel silenzio sospettoso che gli umanisti BOSSI-FINI & ASSOCIATI rompono con disprezzo sguaiato. Troppe facce diverse sui banchi e i piccoli ariani cambiano classe. Eppure a poco a poco la madre ce la fa. Per anni paga le tasse e nel 2010 si mette in fila con le carte da bollo: chiede la cittadinanza, lei e le figlie vogliono diventare italiane. La legge annuncia 730 giorni di attesa per controllare fedine penali, contratti di lavoro, eccetera. Guai cambiare casa mentre si aspetta: il giro dell’oca riparte da zero. Un’anticamera lunga due anni nell’evo del computer è il paradosso di una burocrazia da paese del Terzo mondo anche se la pazienza di ogni migrante resta infinita. Ricordo le code di Zurigo davanti agli uffici svizzeri: figli di italiani che mescolavano tedesco e schweitezerdeuch mentre balbettavano la lingua dei padri e non sopportavano la tragedia del tornare in una patria sconosciuta.
In attesa della risposta che non arriva, MICHELLE diventa maggiorenne. Rifà le carte bollate e il silenzio continua e gli anni diventano tre. Non esiste, è solo un fantasma. Nella stagione che apre la vita, l’emarginazione immalinconisce la solitudine della non appartenenza a una società strutturata sull’imperativo “se hai qualcosa sei qualcosa”.
Quando la polizia la ferma per strada non ha nemmeno la carta d’identità. E allora domande e sospetti. BRODSKIJ, poeta laureato dal Nobel, ripeteva nell’esilio che “la lingua è l’ultima patria” e MICHELLE si rifugia nella sua emigrazione latina. L’amore breve con un ragazzo ecuadoriano finisce in tragedia, machismo che non sopporta l’abbandono. La uccide a colpi di martello. E poi nasconde il corpo sotto il letto. Per caso la madre la scopre così. Si intenerisce la città sgomenta, affetto ma un sospiro di sollievo: il mostro è uno dei “l o ro”. Il mostro confessa e la polizia sigilla le due stanze del delitto: non è convinta che abbia fatto tutto da solo. Infila MICHELLE nel gelo dell’obitorio, funerali sospesi fino a che non arriveranno risposte sicure.
QUANTO TEMPO sarà necessario per passare due stanze al microscopio ? Da 60 giorni madre e sorella aspettano accampate da parenti. Finisce l’estate, brividi d’autunno, gli abiti che servono appesi dove è proibito entrare. Di tanto in tanto il corpo di Michelle esce dal frigorifero: possono almeno guardarla. Ogni settimana si rimanda la sepoltura; ogni settimana si allunga la proibizione ad aprire la porta delle due stanze. Dolore sospeso che strazia l’agonia e la madre si lascia andare: è all’ospedale. Malgrado i bei voti e i lavori d’estate per dar respiro alla famiglia, Michelle non è riuscita a diventare italiana. Finirà sotto terra (chissà quando) come EXTRACOMUNITARIA di origine PERUVIANA. Quasi una di passaggio. E le due donne continuano ad aspettare. mchierici2@libero.it  

 

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