10818 NOTIZIE dall’ITALIA e dal mondo 14 settembre 2013

20130914 20:53:00 guglielmoz

ITALIA . Palermo, le motivazioni della condanna in appello dell’ex senatore «Un patto tra Berlusconi e i boss, con la mediazione di Dell’Utri a fare soldi Ma vanno aperti ai rifugiati
EUROPA. Norvegia. Oslo – nel primo voto dopo la strage di Utoya, i norvegesi hanno punito i socialdemocratici.
AFRICA & MEDIO ORIENTE. Kenya. Nairobi – i leader del Kenya sul banco degli imputati.
ASIA & PACIFICO. Australia . Canberra. Come sara’ l’Australia di TONY ABBOTT. Con la vittoria della Coalizione liberalnazionale, l’Australia cambierà. Ma sarà il senato, dove Abbottt e gli alleati non hanno la maggioranza, a determinare quanto.
AMERICA CENTROMERIDIONALE. Cile . QUARANT’ANNI FA. L’11 settembre 1973 il presidente eletto Salvador Allende morì durante i bombardamenti sul palazzo della Moneda.
AMERICA SETTENTRIONALE. New York – a cinque anni dalla Lehman

ITALIA
PALERMO/LE MOTIVAZIONI DELLA CONDANNA IN APPELLO DELL’EX SENATORE «Un patto tra Berlusconi e i boss, con la mediazione di Dell’Utri» Federico Scarcella. PER UN VENTENNIO MARCELLO DELL’UTRI ha avuto rapporti con la mafia, praticando una serie di comportamenti «tutt’altro che episodici, profondamente lesivi di interessi di rilevanza costituzionale e agendo in sinergia con l’associazione mafiosa». E’ scritto nero su bianco nelle motivazioni depositate dalla terza sezione della corte d’appello di Palermo, che ha condannato l’ex parlamentare di Forza Italia e del Pdl a 7 anni di reclusione. La stessa pena gli era stata inflitta nel precedente processo di secondo grado, rimandato dalla Cassazione ad altra sezione d’appello affinché approfondisse il periodo tra il 1978 e l’82, quando Dell’Utri aveva formalmente chiuso il rapporto con le aziende di Silvio Berlusconi. Rapporto, spiegano ora i giudici, che non si è mai interrotto. L’ex capo di Publitalia, secondo il collegio presieduto da Raimondo Lo Forti, ha fatto da mediatore tra Berlusconi e la mafia dal 1974 al 1992.
Questo patto tra l’ex premier e Cosa nostra ha una data: maggio 1974, quando Dell’Utri partecipa all’incontro di Berlusconi con i boss Gaetano Cinà, Stefano Bontade e Mimmo Teresi, episodio che «ha costituito la genesi – scrivono i giudici – del rapporto che ha legato l’imprenditore e la mafia, con la mediazione di Dell’Utri». Le frequentazioni del futuro statista, già note da tempo, lasciano di stucco; come le dichiarazioni rese nel ’98 da Filippo Alberto Rapisarda, l’imprenditore che assunse Dell’Utri nella propria azienda, l’Inim, su richiesta di Cinà. Fu proprio Rapisarda a spiegare che nell’80, all’hotel Geroge V di Parigi, l’ex braccio destro di Berlusconi chiese a Bontade e Teresi 20 miliardi di lire per l’acquisto di film per Canale 5. Vicende che questo strano Paese sembra aver dimenticato, concentrato a registrare i versi di pitonesse, falchi e colombe che rivendicano un salvacondotto per lo statista, fresco di condanna per frode fiscale.
Un ripasso del processo Dell’Utri non fa male allo studio della recente storia d’Italia. L’imprenditore che si è fatto da sé e ha incantato il suo elettorato, dall’incontro del ’74 «ha abbandonato qualsiasi proposito (da cui non è parso mai sfiorato) di farsi proteggere da rimedi istituzionali. E’ rientrato sotto l’ombrello di protezione mafiosa, assumendo Vittorio Mangano (il famoso boss stalliere, ndr) ad Arcore e non sottraendosi mai all’obbligo di versare ingenti somme di denaro alla mafia quale corrispettivo della protezione. Assunzione decisa non tanto per la nota passione di Mangano per i cavalli, ma per garantire un presidio mafioso all’interno della villa».
Dell’Utri ha sempre detto che Mangano non era un amico, anzi, ha spiegato di sentirsi intimorito dal boss. Ma i giudici non hanno dubbi sulla qualità dei loro rapporti, «mai interrotti almeno fino al ’92: l’avere pranzato insieme in diverse occasioni esclude che i rapporti possano essere stati determinati da paura. Dell’Utri non ha mai dimostrato di temere i contatti con i boss mafiosi e di concludere accordi con loro».
I giudici ricordano le dichiarazioni rese da Rapisarda nel corso dell’istruzione dibattimentale: l’imprenditore, alla fine del ’78 e i primi dell’89, era passato dall’ufficio di Dell’Utri alla Bresciano di via Chiaravalle e l’aveva notato «insieme a Bontade e Teresi; questi ultimi stavano facendo delle sacche (il corsivo è di Rapisarda) e avevano soldi in contanti sul tavolo, che dovevano essere consegnati a Berlusconi, con il quale Dell’Utri stava parlando al telefono. Dal tenore della conversazione – si legge nelle motivazioni – Rapisarda aveva capito che l’imprenditore milanese si stava lamentando per non aver ancora ricevuto i soldi», forse 10 miliardi di lire.
Nel 2010, nel corso di un’intervista, il co-fondatore di Forza Italia, il parlamentare che di sua iniziativa non ha mai presentato un disegno di legge, ha spiegato di essere «un politico per legittima difesa», forse l’unica dichiarazione assolutamente attendibile resa in questi anni, da quando nel ’94 la procura di Palermo aprì un’inchiesta su di lui e due anni dopo lo indagò per mafia. La condanna di primo grado (9 anni) risale all’11 dicembre 2004, quella in appello (7 anni) al 29 giugno 2010. Il 9 marzo 2012 la Cassazione rinvia il processo a Palermo e la sentenza arriva lo scorso 25 marzo.

ROMA – ISTAT E BANKITALIA / La ripresa è ancora lontana Spread critico / Non sono rosee le previsioni sull’economia italiana da parte del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, a causa soprattutto dell’incertezza del quadro politico. Incertezza che proprio in questi giorni ha fatto risalire lo spread, il differenziale dei nostri titoli di stato con i bund tedeschi, facendoci superare in affidabilità perfino dall’inguaiata Spagna, mentre anche dall’Istat arriva la conferma che la tanto attesa (e annunciata) ripresa per il momento si allontana: l’Italia è sempre in recessione.
Per l’economia italiana, secondo Visco, «ci sono rischi al ribasso aggravati dalle preoccupazioni degli investitori sulla possibile incertezza politica», ma complessivamente il Paese sta mandando «segnali» del fatto che la «recessione sta terminando». «I tempi e la forza della ripresa sono ancora altamente incerti», aggiunge il governatore.
Ma la ripresa, secondo l’Istat, è sempre più lontana. Nonostante i richiami all’ottimismo da parte del governo, nel secondo trimestre del 2013 il Pil è diminuito dello 0,3% rispetto al trimestre precedente e del 2,1% nei confronti del secondo trimestre 2012. L’Istat ha rivisto al ribasso la stima preliminare diffusa il 6 agosto quando era stato rilevato un calo congiunturale dello 0,2% e tendenziale del 2%.
La variazione acquisita del Pil per il 2013 è pari a -1,8%: e la situazione continua a peggiorare. A marzo il dato era all’1,5%, rivisto all’1,6% a giugno, poi all’1,7% a inizio agosto, quando il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, pronosticava la fine della recessione; e, infine, tagliato ancora ieri. Confermato, inoltre, che il secondo trimestre 2013 è stato l’ottavo consecutivo in calo.
E gli altri stati, già lo sappiamo, sono messi meglio di noi: per loro la recessione è già finita, per quanto non godano certo di riprese robustissime. «Nel secondo trimestre – riferisce l’Istat – il Pil è cresciuto in termini congiunturali dello 0,7% in Germania e nel Regno Unito, dello 0,6% in Usa e Giappone e dello 0,5% in Francia. In termini tendenziali, si è registrato un aumento dell’1,6% negli Usa, dell’1,5% nel Regno Unito, dello 0,9% in Giappone, dello 0,5% in Germania e dello 0,3% in Francia. Nel complesso, il Pil dei paesi dell’area euro è aumentato dello 0,3% rispetto al trimestre precedente ed è diminuito dello 0,5% nel confronto con lo stesso trimestre del 2012».
Analisi con molte ombre e poche luci, che trovano conferma nei dati pubblicati ieri dalla Confesercenti: secondo l’associazione di commercianti la recessione è verso la fine, ma la modesta crescita nel 2014 (Pil previsto a +1%) non basterà a creare posti di lavoro (-0,2%). Si tratta di una «ripresina» fragile e incerta: anche nel corso del prossimo anno gli occupati continueranno a scendere (-0,2%), mentre il tasso di disoccupazione toccherà quota 12,8%, ben il 2,1% in più rispetto al 2012.
Dato in apparente contro tendenza, l’apertura di nuove partite Iva: a luglio, secondo il ministero dell’Economia, ne sono state aperte 41.192, cioè +2,9% in più rispetto allo stesso mese dello scorso anno e +4,4% rispetto al mese di giugno. Il problema è che molte di queste partite Iva, come ipotizza il segretario del Nidil Cgil Roberto D’Andrea, possono essere fasulle, ovvero indotte dalla crisi, che porta tanti disoccupati a «fingersi» ditta individuale per farsi assumere low cost da imprese «furbette».
Infine la questione spread, molto infulenzata, come detto, dall’incertezza politica e la condizione traballante del governo guidato da Enrico Letta. Ieri la differenza di rendimento tra btp italiani e bund tedeschi è calata leggermente, a 250 punti, per un rendimento del 4,52%. Ma lo spread della Spagna, che già due giorni fa aveva azzerato il gap dopo un inseguimento lungo 18 mesi, è ora addirittura più basso: 247 punti e cedola al 4,5%. Il mercato già guarda all’emissione di Btp in programma domani, quando magari – la notte forse potrà dire qualcosa – sarà anche più definita la partita politica.
Roma – La recessione è finita, almeno tecnicamente, ma la sua ombra è ancora intorno a noi perché “non dimentichiamo che abbiamo da recuperare 8 punti percentuali di Pil rispetto al 2007 e quindi ci metteremo qualche anno” (Giorgio Squinzi). E’ un cauto ottimismo quello che emerge dagli Scenari economici di settembre del Centro studi Confindustria (Csc), ripreso anche dalle parole del presidente Giorgio Squinzi, che ha evidenziato come “ci sono dei segnali di un cambiamento di trend, perché dopo 8 trimestri di recessione dovremmo vedere nei prossimi trimestri un cambiamento di segno”. Secondo il Csc, infatti, “la variazione nulla stimata per il Pil nel terzo trimestre interrompe la contrazione iniziata due anni prima e durata otto trimestri” mentre “la crescita proseguirà l’anno prossimo a ritmo contenuto (+0,2% medio a trimestre). Rispetto a quanto stimato nel giugno scorso la dinamica del Pil risulta migliore: Confindustria prevede una contrazione dell’1,6% per il 2013 (contro il -1,9% delle previsioni di giugno) e una crescita dello 0,7% per il 2014 (dal precedente +0,5%). “L’export e la ricostruzione delle scorte guidano l’uscita dell’Italia dalla recessione, la seconda della lunga crisi iniziata nel 2007. L’uscita sarà però lenta. Sulla strada della ripresa persistono, infatti, rischi interni, internazionali e ostacoli. Cruciale è la stabilità politica per rinsaldare la fiducia di imprese e consumatori”. E proprio sulla necessità di una politica stabile ha insistito Squinzi sottolineando che per intercettare la ripresa in corso in tutt’Europa “servono tante cose” ma “soprattutto la stabilità di un governo perché la situazione è molto preoccupante”. Secondo Squinzi c’è bisogno “di un governo che sia nella pienezza dei suoi poteri, nella capacità di governare realmente e di mettere in atto quelle misure che sono necessarie per intercettare la ripresa economica”. E una caduta del governo in questo momento “sicuramente creerebbe dei ritardi e delle situazioni che è difficile prevedere quale impatto potrebbero avere”. Anche perché, ha incalzato il presidente di Confindustria, “servono dei segnali immediati e il segnale immediato non può essere altro che sul costo del lavoro”, da dare già nella prossima Legge di stabilità in preparazione al governo. Dopo il patto di Genova messo in campo insieme con le parti sociali, ha ribadito Squinzi, “è chiaro che ora bisogna passare alla messa in pratica di una visione precisa – aggiunge – e per far questo è necessario mettere sul piatto un minimo di investimenti, servono almeno 4-5 miliardi subito”. E il numero uno di viale dell’Astronomia ha indicato anche dove andare a prendere nuova linfa per l’economia: “Una pubblica amministrazione che spende oltre 800 miliardi l’anno – ha spiegato Squinzi – con un minimo di spending review, può puntare a fare dei risparmi del 2-3-4%, e ciò credo che non sia una cosa impossibile. E questo può liberare 20-30 miliardi di risorse per fare investimenti veri che ci permettano di intercettare la ripresa”. Insomma, “il governo dal nostro punto di vista ha fatto tutti i passi nella giusta direzione” ma “certo questi passi sono un po’ timidi e vanno accelerati e ampliati”. “Non basta più fare politiche con il bilancino – sentenzia Squinzi – serve una scossa potente a cominciare da un taglio drastico del cuneo fiscale”. Al cauto ottimismo di Confindustria fa da eco quello del ministro dell’Economia e delle finanze Fabrizio Saccomanni, che nel suo intervento ha ricordato come nel rapporto del Csc ci sia “qualche segnale di ottimismo che è stato faticoso cercare di sottolineare nei mesi scorsi”. “Mi sono sentito un po’ come il gregario che tenta la fuga sullo Stelvio e il gruppo rimane indietro – ha detto Saccomanni – Oggi mi sembra che alcuni del gruppo, o comunque i più importanti, mi stanno raggiungendo. E questo è un fatto positivo”. Secondo il ministro “l’intervento congiunturale che doveva essere fatto è stato fatto, è stato forte e continuerà” ma certo in questo momento “l’Italia paga il costo dell’incertezza politica che si riflette sui nostri spread”. “Anche rispetto alle vicissitudini di questi giorni e al superamento della Spagna – ha aggiunto Saccomanni – gli investitori pur valutando gli importanti progressi dell’Italia vedono un diverso quadro di rischiosità politica nei due scenari”. E a proposito di incertezza, il ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato ha aggiunto un’altra puntata alla telenovela “Iva di ottobre”: “Penso che sia molto probabile che non aumenterà. Stiamo lavorando per non farla aumentare”. Per l’happy end bisognerà aspettare però le prossime puntate.

VATICANO
CITTÀ del VATICANO – Solidarietà/DOPO LA GUERRA IL PAPA APRE UN ALTRO FRONTE «I conventi non servono a fare soldi Ma vanno aperti ai rifugiati» – di Riccardo Chiari «I conventi vuoti non servono ad aprire alberghi e fare soldi: sono per la carne di Cristo, sono per i rifugiati». Le parole giuste nel posto più adatto. Papa Bergoglio conosce i meccanismi della comunicazione, la sua visita al Centro Astalli romano per i rifugiati e richiedenti asilo in Italia è diventata anche l’occasione per lanciare un sasso nello stagno delle gerarchie cattoliche. E delle stesse istituzioni laiche italiane ed europee, che non brillano certo per dinamismo di fronte all’ormai quotidiana emergenza dei profughi in arrivo dai teatri di guerra nel sud del mondo.
Le stesse modalità della visita pomeridiana di Francesco I alla struttura, corrispondente italiano del «Jesuit Refugee Service» della Compagnia di Gesù, hanno indicato la volontà di Bergoglio di non voler «appesantire» l’appuntamento con i simboli esteriori del papato. Dunque niente seguito, e nessuna scorta ad accompagnare il pontefice, che per arrivare al centro Astalli ha usato l’auto che utilizza abitualmente, guidata del capo della Gendarmeria vaticana Giani. Oltre ai suoi confratelli gesuiti, ad accoglierlo c’erano solo il cardinale vicario Vallini e il vescovo ausiliare Zuppi, mentre poco prima di lui al centro erano arrivati il sindaco Marino e il presidente regionale Zingaretti. La visita era annunciata, quindi lungo le transenne che delimitano l’area già nel primo pomeriggio si erano assiepate alcune centinaia di persone, alcune delle quali all’arrivo del papa hanno avuto una velocissima, informale udienza. Ma è stato all’interno del Centro Astalli che il pontefice si è dato da fare, salutando personalmente più di 500 persone fra immigrati e volontari che in quel momento si occupavano della distribuzione dei pasti. Dalla donna incinta che ha ricevuto la benedizione papale ai profughi egiziani, sudanesi, siriani e di altri paesi africani devastati dalla guerra, Jorge Bergoglio ha avuto una parola per tutti: «Molti di voi sono musulmani – ha osservato – e di altre religioni. Venite da vari paesi, da situazioni diverse. Non dobbiamo avere paura delle differenze. La fraternità ci fa scoprire che sono una ricchezza, un dono per tutti». Poi è entrato nella Chiesa del Gesù, luogo simbolico e significativo per il centro dove si trova la tomba di padre Arrupe, fondatore del servizio dei i rifugiati. Proprio in chiesa, dopo il saluto che gli hanno rivolto il presidente del Centro Astalli, Giovanni La Manna, e due profughi, papa Francesco è entrato in argomento, chiamando la gerarchia cattolica a un intervento ben più deciso a sostegno degli ultimi del pianeta: «Solidarietà è una parola che fa paura per il mondo più sviluppato. Cercano di non dirla. È quasi una parolaccia per loro. Ma solidarietà è la nostra parola. Servire significa riconoscere e accogliere le domande di giustizia, di speranza, e cercare insieme delle strade, dei percorsi concreti di liberazione. Non basta dare un panino, ma bisogna accompagnare queste persone».
Infine l’affondo: «I conventi vuoti non servono alla Chiesa per trasformarli in alberghi e guadagnare i soldi: i conventi vuoti non sono nostri ma sono della carne di Cristo, che sono i rifugiati. Certo non è semplice, ci vogliono criterio e responsabilità. Ma ci vuole anche coraggio. Noi facciamo tanto ma forse siamo chiamati a fare di più, accogliendo e condividendo ciò che la provvidenza ci ha donato per servire. Perché abbiamo bisogno di comunità solidali, che vivano l’amore in modo concreto».

EUROPA
NORVEGIA
OSLO – NEL PRIMO VOTO DOPO LA STRAGE DI UTOYA, I NORVEGESI HANNO PUNITO I SOCIALDEMOCRATICI, INCAPACI DI PROPORRE UN PROGETTO CONVINCENTE PER IL PAESE / IL governo rosso-verde guidato dal premier Jens Stoltenberg è uscito sconfitto dal voto del 9 settembre. La domanda da farsi è la seguente: perché, nonostante un’economia in salute, la diffusa convinzione che sia giusto pagare tasse elevate e la volontà condivisa di non modificare i tratti essenziali dello stato sociale, la sinistra ha affrontato una campagna elettorale in salita? I fattori che hanno giocato contro la coalizione rosso-verde sono due. Il primo è la mancanza di un progetto per il futuro del paese, il secondo è legato alle conseguenze della strage di Ut0ya. Partiamo dal primo punto. In ogni società ci sono molte cose che non vanno come dovrebbero: dalle buche nell’asfalto all’immondizia per strada fino ai treni in ritardo. O, fatto ben più grave, la mancanza di cure adeguate per gli anziani. Il malcontento generato da questi problemi è inevitabilmente presente in ogni società, qualunque sia il governo in carica. Ma a esserne più colpiti sono senz’altro i governi che si presentano come amministratori ideali di società spacciate come pressoché perfette. In casi simili l’opposizione ha buon gioco ad addossare la colpa di quello che non funziona all’esecutivo. Quando un governo punta tutto sull’ordinaria amministrazione, è molto vulnerabile se poi salta fuori qualcosa che non funziona. E in Norvegia, come ha scritto Aftenposten, "in politica si discute solo di chi è più bravo come amministratore". Se invece un governo propone con forza progetto convincente – per esempio, uguaglianza sociale e piena occupazione -probabilmente in netta contrapposizione rispetto agli avversari, allora gli elettori poto anche accettare che non tutto è per: perché sanno che la società ha un obiettivo Certo, il governo di Stoltenberg ha aspirazioni simili, ma non ne ha fatto il punto di forza della sua strategia.
TROPPA BUROCRAZIA
L’altro aspetto su cui il governo rosso-ve e in particolare il Partito laburista, non s stati in grado di lanciare un’offensiva ci bile è legato alle conseguenze degli atta terroristici del 22 luglio 2011. L’ostilità v la burocrazia è sempre stata una caratteristica della società norvegese. Ma negli mi anni l’insoddisfazione per il modo è gestita la cosa pubblica è aumentata, solo tra i simpatizzanti del populista Partito del progresso, ma anche tra professionisti, insegnanti, poliziotti, medici, inferma altri dipendenti pubblici. Questa frustra ne è legata anche al new public managem un modello che prende il peggio dal merca to e dalla burocrazia, mettendo insieme gestione liberista dei servizi pubblici con un groviglio di obiettivi prestabiliti, control da un’amministrazione in costante crescita Con questo sistema si è diffusa la sensazione che non sono gli obiettivi concreti a definire le priorità, ma gli schemi di gestione della burocrazia.
Questa insoddisfazione ha però pr una netta piega politica dopo la strage Ut0ya. Il rapporto della commissione Gjorv istituita per far luce sul modo in cui la pi zia aveva reagito all’attacco, ha fatto a pe l’operato dei poteri pubblici. La responsabilità di non aver saputo rispondere adeguatamente all’attacco è ricaduta sulle spa del governo, e in particolar modo di Stoltenberg e del Partito laburista. E il fatto c anche i partiti di centrodestra avessero sostenuto entusiasticamente il new public management non ha cambiato le cose. Anzi Partito conservatore, guidato dalla futi premier Erna Solberg, e il Partito del progresso, suo probabile partner nel prossimo governo, hanno sfruttato la situazione altrro vantaggio. Così, anche se in campagna elettorale non è stato affrontato a dovere tema di una pubblica amministrazione inefficace e inadeguata è stato comunque il motivo fondamentale che ha spinto gli elette a votare contro i socialdemocratici.

IRLANDA
Qualche soldo in più /Alla fine del 2013 scadrà il prestito di 67,5 miliardi di dollari concesso dalla Commissione europea, dalla Banca centrale europea e dal Fondo monetario internazionale – la cosiddetta troika – per salvare l’Irlanda dall’insolvenza. Ora, scrive l’Irish Independent, il governo di Dublino ha intenzione di chiedere alla troika un ulteriore prestito di dieci miliardi. Il ministro delle finanze Michael Noonan ha precisato che la somma sarà usata solo se le spese dello stato dovessero andare fuori controllo a causa di un aumento dei tassi sui titoli di stato dovuto a crisi internazionali.

GRECIA
ATENE – testa a testa Syriza e ND / Al terzo posto il neo-nazista Alba Dorata – Prosegue il testa a testa nei sondaggi tra i due maggiori partiti greci, Nea Dimokratia (ND, centro-destra) guidato dal premier Antonis Samaras e Syriza (sinistra radicale) guidato da Alexis Tsipras. In base ad un nuovo sondaggio condotto dalla società Public Issue per conto della Tv privata Skai,
SYRIZA ottiene il 29% delle preferenze contro il 28% di NEA DIMOKRATIA.
Al terzo posto, con il 13%, c’è il partito filo-nazista CHRYSI AVGHÌ (Alba Dorata), seguito dal PASOK (socialista) con il 7%.
ATENE – Circa novant’anni fa l’architetto ebreo Eli Modiano realizzò a Salonicco un grande palazzo adibito a mercato che ancora oggi porta il suo nome. La struttura è uno dei simboli della città greca, tanto che è sotto la tutela dell’Unesco. Modiano è un immobile di 120 locali, di cui solo quaranta funzionano come negozi. Alla fine di settembre, scrive Kathimerini, sarà deciso il suo futuro. La crisi è cominciata nel 1998, quando la Hellenic Real Estate Corporation (Hrec), una società del ministero dello sviluppo, rilevò il 43 per cento di Modiano. Il resto è diviso tra sessanta imprenditori. In questi anni lo stato è sempre rimasto inerte, al punto da riscuotere gli affitti solo raramente, mentre i privati erano sempre in disaccordo. Alla fine, l’antico mercato è diventato una "torre dei fantasmi". Ora, continua il quotidiano, la Hrec vuole fare cassa vendendo i locali, ma rilevarne uno costa duecentomila euro, una cifra che non è alla portata dei piccoli commercianti. La camera di commercio di Salonicco ha chiesto alla Hrec di affidarle la gestione del mercato. In cambio s’impegna a ristrutturare gli edifici.

UE
STRASBURGO – via a Unione bancaria / Plenaria Strasburgo approva dopo accordo Parlamento-Bc / Sorge il primo pilastro dell’Unione bancaria. Definito due giorni fa l’accordo tra Parlamento e Bce per la vigilanza parlamentare, la plenaria di Strasburgo ha approvato oggi a larga maggioranza il pacchetto legislativo che istituisce la supervisione bancaria europea Bce.

SPAGNA
CATALOGNA – referendum più vicino verrà fissata entro la fine di quest’anno la data dell’atteso referendum indipendentista in Catalogna, che dovrebbe tenersi nel 2014: lo ha detto oggi il portavoce del governo catalano, Francesc Homs. Il portavoce ha indicato, come "calendario ragionevole" per il governo catalano – guidato da Artur Mas (CiU) con gli alleati di Esquerra Republicana de Catalunya – che entro il 2013 verrà definito il quesito referendario da sottoporre ai catalani e verrà stabilita la data della consultazione.

KOSOVO
PRISTINA – Il Kosovo si unisce alle celebrazioni in corso da inizio anno in diversi Paesi europei e dei Balcani per i 1.700 anni dell’Editto di Milano, l’importante documento sulla tolleranza religiosa emanato nel 313 d.C. dall’imperatore romano Costantino. Tre giorni (dal 3 al 5 settembre) organizzati grazie all’intervento di diverse istituzioni tra ministero degli Esteri, Chiesa cattolica del Kosovo, atenei e istituti mobilitatesi per rendere omaggio al grande imperatore, come spiega all’ANSA don Lush Gjergji, vicario generale dell’Amministrazione apostolica di Prizren con sede a Pristina. Costantino, fa notare il vescovo, ”era di origine illirica, della Dardania antica, attualmente, Kosovo. Noi, come albanesi discendiamo dagli Illiri”. L’Editto di Milano, prosegue, ”segna una svolta epocale verso la vera libertà religiosa, come presupposto per qualsiasi libertà e democrazia autentica, sia della persona, come anche del diritto alla proprietà”. Per il Kosovo, ”nuovo Stato libero e democratico, nel pluralismo etnico e religioso, Costantino rappresenta il Maestro dell’unità nella diversità, compito questo che vogliamo e dobbiamo costruire, se vogliamo far crescere e maturare la libertà, la democrazia, la convivenza etnica e religiosa”. I rapporti interetnici e interreligiosi stanno migliorando, afferma poi il vicario generale. ”Noi come Chiesa cattolica ormai da due anni abbiamo proposto e attuato l’incontro regolare dei responsabili delle tre comunità religiose: musulmani, ortodossi e cattolici. Ultimamente abbiamo creato anche Commissioni miste che si incontrano regolarmente ogni tre mesi per discutere insieme le questioni più importanti”. Anche la Chiesa Ortodossa Serba, nella figura di mons. Teodosije, precisa il vescovo cattolico, partecipa regolarmente a queste riunioni”. I festeggiamenti in onore dell’Editto iniziano la sera del 3 settembre all’Università di Pristina con l’inaugurazione di una mostra cartografica in cui sono esposte 12 mappe antiche (per lo piu’ del XII e XIII secolo). Tra queste, racconta don Lush, vi è esposta anche la preziosa Tabula Militaris Itineraria, la cosiddetta Peutingeriana. La mappa, originariamente realizzata nel IV secolo e raffigurante l’itinerario di viaggio di tutto l’impero romano, rappresenta un documento di grande valore e importanza. ”La prima edizione a stampa – ricorda il vescovo – fu realizzata nel 1598 da Marcus Wesler, mentre in Italia venne stampata nel 1793, a Jesi, per volontà dell’arcivescovo di Loreto, mons. Bellinio. Oggi l’opera, che si compone di 11 segmenti stampati è di proprietà della fondazione Gianni Brandozzi di Ascoli Piceno”. Il 4 settembre intera giornata di studio dedicata, alla figura di Costantino e al contesto storico, politico, giuridico in cui emanò l’Editto, così come all’importante lascito archeologico della sua presenza. Al convegno, intervengono fra gli altri, diversi docenti provenienti dalle Università Cattolica e Statale di Milano, dagli atenei di Zagabria e Lione e dall’Istituto di Archeologia di Tirana. Il 5 settembre alle 11.00, poi, in occasione dei dieci anni dalla beatificazione di Madre Teresa – figura molto cara ai kosovari – messa inaugurale nella Chiesa Cattedrale e il Santuario di Pristina a lei dedicato. Il motto di questi tre giorni, sottolinea il vescovo, è proprio ”da Costantino a Madre Teresa”, due personaggi molto diversi fra loro, provenienti dallo stesso retroterra, che hanno segnato la storia non soltanto nel tempo e nello spazio in cui sono vissuti, ma molto oltre”. (di Cristiana Missori)

POLONIA e SLOVACCHIA
CERNOBBIO – Ambrosetti, in Polonia e Slovacchia Pil cresciuto più di Usa / Bene anche Ungheria per lavoro. L’Italia si è piazzata a metà, all’undicesimo posto.
Negli anni della crisi tre Paesi europei hanno visto crescere il Pil più degli Stati Uniti: si tratta della Polonia, della Slovacchia e la Svezia. L’Italia invece è in coda e ha fatto meglio solo della Grecia e del Portogallo. E’ quanto emerge da una ricerca sul tema ‘Challenges and Priorities for Europe’ realizzata da Ambrosetti per la seconda giornata dei lavori del Forum di Cernobbio. Lo studio, che considera gli indicatori economici degli ultimi dieci anni dei 20 Paesi Ue che fanno parte anche dell’Ocse, si concentra sul periodo della crisi (2008-2012). Sul fronte del lavoro, in questo lasso di tempo solo la Germania, la Polonia, l’Ungheria e l’Austria hanno registrato tassi di occupazione positivi.

TURCHIA
ANCARA – II 9 settembre un ragazzo di 22 anni è rimasto ucciso negli scontri con la polizia in una manifestazione ad Antakya. Il giorno dopo migliaia di persone hanno protestato a Istanbul
ANCARA – Sospeso il ritiro dei curdi Il 9 settembre i miliziani del partito curdo Pkk (nella foto) hanno sospeso il ritiro dalla Turchia verso l’Iraq cominciato a maggio. I ribelli curdi hanno assicurato che intendono comunque rispettare il cessate il fuoco proclamato a marzo, e hanno spiegato la loro decisione accusando il governo turco di Recep Tayyip Erdogan di non rispettare gli impegni presi nell’ambito del processo di pace avviato in Kurdistan. Secondo Hiirriyet, "la mossa del Pkk mette a rischio la soluzione politica del conflitto".

PAESI BASSI
Responsabili per Srebrenica/ La corte suprema dell’Aja ha confermato, il 6 settembre, che lo stato olandese è responsabile della morte di tre bosniaci nella strage di Srebrenica del 1995.1 caschi blu olandesi sono stati giudicati colpevoli di non aver protetto i cittadini sotto la loro tutela. Secondo Nrc Handelsblad, "il verdetto è una sconfitta per l’Aja", e nega "la teoria secondo cui i Paesi Bassi non possono essere ritenuti responsabili per ciò che è successo in Bosnia sotto l’egida dell’Orni".

ROMANIA
CHI PAGA PER L’ORO / Il premier Victor Ponta ha ritirato il suo sostegno al progetto di rilanciare lo sfruttamento della miniera d’oro e d’argento di Roia Montana, nella Romania dell’ovest. La decisione è stata presa dopo una settimana di proteste, culminate l’8 settembre con la mobilitazione di 100Mila persone in diverse città romene. I dimostranti denunciavano l’uso del cianuro per l’estrazione dei metalli preziosi e contestavano la legge che delega alla società canadese Gabriel Resources, titolare dei diritti di sfruttamento, il diritto di espropriare i terreni intorno alla miniera, spiega Hot News. La Gabriel Resources, però, non si è data per vinta e ha annunciato una serie di ricorsi, scrive Revista 22. Secondo il settimanale, la vicenda rivela "l’opacità di un sistema che nasconde ai cittadini, classificandoli come segreto di stato, degli elementi importanti per loro e per il futuro del paese". In Romania, conclude Revista 22, "è inevitabile farsi delle domande sul rispetto delle garanzie date ai cittadini", perché "qui le leggi sono carenti, imprecise e ambigue".

RUSSIA
MOSCA – ”Gli amanti della Casa Bianca”: sono stati già ribattezzati così da alcuni siti internet l’uomo e la donna immortalati in scene ose’ in un ufficio illuminato della sede del governo russo ( Bieli Dom, ossia Casa Bianca), con un video amatoriale che sta diventando virale nella blogosfera russa. ”Sesso alla Casa Bianca”, ”Fate l’amore, non la guerra”, ”Finalmente buone notizie dal governo ” sono i commenti degli internauti alle immagini su YouTube visitate da oltre 70 mila utenti
MOSCA – Gazeta . L’opposizione e il voto di Mosca / LE elezioni locali dell’8 settembre, e soprattutto il voto per il sindaco di Mosca, non hanno risolto né i dubbi del potere né quelli dell’opposizione. Il futuro politico della Russia dipende da una combinazione di fattori: la linea politica del Cremlino, le scelte dell’opposizione e la situazione economica, in chiaro peggioramento. Dal voto non sono usciti né vinti né vincitori. Il potere del presidente Putin e del partito Russia unita (Ru) non si è rafforzato. A Mosca Sergej Sobjanin, eletto al primo turno con il 5i,4per cento dei voti, si era candidato come indipendente, mentre a Ekaterinburg l’uomo di Ru ha perso. Neanche l’opposizione, però, ha vinto. Aleksej Navalnij, che si è fermato al 27,2 per cento, difficilmente riuscirà a ottenere il riconteggio dei voti. Il vero banco di prova per il regime saranno le prossime elezioni parlamentari e presidenziali, per le quali bisognerà però aspettare quattro e cinque anni. Cosa possono fare nel frattempo il potere e l’opposizione? Il Cremlino ha due strade: la prima è inasprire il conflitto, allontanare Navalnij dalla politica con la forza e continuare sulla strada della repressione intrapresa dopo le manifestazioni del 2011. La seconda sta nel creare uno spazio circoscritto per la competizione politica, lasciando un certo margine ai mezzi di comunicazione indipendenti ed evitando di perseguitare Navalnij. È difficile attendersi una vera liberalizzazione della vita politica da questo governo. Compiti altrettanto difficili spettano all’opposizione. In attesa di nuove elezioni, può continuare con le proteste, sfruttare il peggioramento della situazione economica per mobilitare i cittadini, sperare in qualche lotta di potere fratricida o perfino abbandonare tutto ed emigrare, come hanno fatto alcuni leader dello scorso decennio. In ogni modo l’opposizione è disgregata, non ha un capo riconosciuto (Navalnij lo è al massimo per i cittadini di Mosca e San Pietroburgo) né una struttura solida. L’idea di formare un unico partito di opposizione può essere giusta, ma è prematura. L’unica certezza uscita dal voto è che l’assetto politico dovrà cambiare, sia rispetto ai primi due mandati di Putin sia agli anni della convivenza con Dmitrij Medvedev presidente. Serve un nuovo modello di potere.

AFRICA & MEDIO ORIENTE
EGITTO
IL CAIRO – Offensiva nel Sinai / Il 7 settembre II Cairo ha lanciato un’offensiva contro i gruppi estremisti islamici del Sinai. Da luglio, dopo la caduta del presidente Mohamed Morsi, nella penisola si sono moltiplicate le violenze. Una quarantina di militanti sono stati arrestati o uccisi. Sei poliziotti sono rimasti uccisi in un duplice attentato a Rafah l’n settembre. Pochi giorni prima un gruppo jihadista aveva rivendicato l’attentato al Cairo contro il ministro dell’interno Mohamed Ibrahim, rimasto illeso. Nel comunicato, scrive Al Masry al Youm, l’attentato è descritto come il primo di una lunga lista contro obiettivi dell’apparato di sicurezza. Nella capitale si sono riuniti i cinquanta componenti della commissione incaricata di emendare la costituzione. È presieduta dall’ex candidato alla presidenza Amr Moussa ed è composta in gran parte da laici e liberali. Sono assenti i Fratelli musulmani, mentre i salatiti di Al Nour hanno accettato di partecipare ai lavori.

LIBIA
BENGASI – L’11 settembre l’esplosione di un’autobomba ha danneggiato il ministero degli esteri a Bengasi. L’attentato è avvenuto nel primo anniversario dell’attacco al consolato statunitense.

IRAQ
BAGHDAD – Altri quattro uccisi in violenze in altre regioni – Almeno 3 persone sono morte oggi vicino a Kirkuk, nel nord dell’Iraq, quando un attentatore suicida si è fatto saltare in aria alla guida di un’autobomba all’esterno di una base di reclute dell’esercito. Lo hanno reso noto fonti della sicurezza, aggiungendo che altre 4 persone sono state uccise in diverse regioni del Paese in atti di violenza. Gli attentati di oggi fanno seguito ad un attacco suicida avvenuto ieri sera contro una moschea sciita a Baghdad che ha provocato almeno 30 vittime

TUNISIA
TUNISI – I 9 settembre due jiha-disti di Ansar al sharia sono stati uccisi e altri due arrestati in un raid
a Tunisi.

PALESTINA
RAMALLAH/GAZA – AUTOCENSURA / Nella stessa giornata ho ascoltato due amici, uno di Ramallah e l’altro di Gaza, pronunciare frasi simili. Il primo, già in pensione, fa parte di un gruppo palestinese di sinistra. Il secondo, nato in un campo profughi, è un attivista dei diritti umani. Entrambi scrivono post e articoli critici nei confronti di Hamas e Al Fatah. Il 10 settembre – uno in un caffè di Ramallah, l’altro al telefono – hanno espresso un concetto simile: "Non posso parlar male della Giordania", ha ammesso il primo. "Non posso parlar male dell’Egitto", mi ha confidato il secondo.
Se lo facessero rischierebbero di perdere l’unico accesso al mondo esterno. Il relativo aumento della mobilità di cui hanno beneficiato i gazani negli ultimi due anni, dopo la rivoluzione egiziana, ha avuto un enorme impatto sul loro umore. La sensazione di trovarsi in gabbia era diminuita, anche se percorrere gli 800 chilometri per arrivare al Cairo è rimasto un privilegio per pochi. Dopo la caduta di Morsi, però, l’esercito egiziano ha accusato Hamas di sostenere i ribelli islamici e ha rafforzato i controlli al valico di Rafah. L’unica via d’uscita a disposizione del mio amico di Ramallah è invece il ponte Al-lenby, al confine giordano-israelo-palestinese. Per migliaia di palestinesi questo rimane l’unico accesso al mondo esterno. Ma le autorità giordane hanno la memoria lunga (anche perché sono assistite dai servizi israeliani) e torchiano a lungo chi osa criticare la monarchia. L’unica soluzione è l’autocensura.

KENYA
NAIROBI – I LEADER DEL KENYA SUL BANCO DEGLI IMPUTATI / Mail & Guardian, Sudafrica / La Corte penale internazionale ha dato il via al primo di due processi per le violenze postelettorali del 2007. A novembre dovrà comparire in aula anche il presidente in carica. / IL vicepresidente keniano William Rufo è comparso il 10 settembre 2013 davanti alla Corte penale internazionale (Cpi) e il presidente Uhuru Kenyatta farà lo stesso a novembre. I processi riguardano le violenze postelettorali del 2007-2008, in cui sono morte più di mille persone e che i due leader sono accusati di aver orchestrato. I gruppi etnici kikuyu e kalenjin (a cui appartengono rispettivamente Kenyatta e Ruto) temono che il corso della giustizia possa riaprire vecchie ferite. La vittoria alle elezioni di marzo, a cui Kenyatta e Ruto si sono presentati da alleati sotto le insegne della Jubilee alliance, non è bastata a sanare le fratture tra i clan. Questa situazione tiene sulle spine la prima economia dell’Africa orientale, dove le lealtà tribali hanno per lungo tempo determinato la vita politica. Anche l’occidente è preoccupato per la stabilità di un paese chiave per la sicurezza regionale e per la lotta contro l’estremismo islamico nella regione. Per la Corte penale internazionale, invece, si tratta del primo processo contro un presidente in carica. È un difficile banco di prova: in Africa il tribunale è sempre più criticato perché finora ha incriminato solo degli africani.
IL VOTO IN PARLAMENTO
"L’alleanza politica tra Kenyatta e Ruto ci ha permesso di guadagnare tempo", osserva Regina Muthoni, 34 anni, che vive vicino a Eldoret, nell’ovest del Kenya. Sua madre e altri trenta kikuyu sono morti cinque anni fa nell’incendio di una chiesa, data alle fiamme da un gruppo di kalenjin. "Non sappiamo se il loro accordo sopravvivrà al processo". La situazione è complicata anche dal fatto che il 5 settembre il parlamento keniano ha votato una mozione per chiedere il ritiro del Kenya dalla Corte penale internazionale. Kenyatta e Ruto hanno comunque ribadito di voler collaborare con la giustizia internazionale. "Kenyatta e Ruto pensano di vincere il processo", spiega Macharia Munene, docente universitario a Nairobi. "Finora la corte ha emesso poche condanne". L’unica è stata quella contro il signore della guerra congolese Thomas Lubanga. I keniani che danno un giudizio positivo sulla Cpi sono sempre meno. Secondo un sondaggio Ipsos/Synovate condotto a luglio, solo il 39 per cento dei keniani vuole che i processi vadano avanti. Ad aprile del 2012, la percentuale era del 55 per cento. II voto del 5 settembre in parlamento, che è dominato dalla Jubilee alliance di Ruto e Kenyatta, è un ulteriore segnale del rapporto sempre più difficile del Kenya con il tribunale internazionale, di cui ha ratificato lo statuto nel 2005. L’opposizione keniane teme che il paese diventi un paria sulla scena interazionale. Tuttavia, sono pochi ; pensare che il governo di Nairobi, destinatario di ingenti aiuti da parte degli Stati Uni ti e di altri paesi, e accesso commercial all’Africa orientale, possa davvero sceglier di ritirarsi dalla corte. Eppure i processi potrebbero complici re le relazioni del Kenya con il resto d< mondo. Nelle capitali occidentali si registra un certo livello di frustrazione per la scarsa cooperazione di Nairobi con la Cpi. Il pr curatore capo, la gambiana Fatou Benso da, ha dichiarato che i testimoni dei d' processi sono stati costretti al silenzio con le minacce e che molti si sono ritirati. In tre, alcune persone sono state corrotti minacciate perché rivelassero dove si trovavano i testimoni del processo. Per mancanza di prove, sono state fatte cadere accuse contro il politico keniano Frar Muthaura, che era stato accusato insieme Kenyatta. Ruto, invece, è sotto processo insieme al giornalista radiofonico Jos Arap Sang. L'Unione europea e gli Stati Uniti hanno già ridotto "all'essenziale" i confatti con Kenyatta, a causa delle gravi a se contro di lui. "I rapporti con l'occidente potrebbero diventare ancora più difficile dopo l'inizio dei processi", spiega lana politico keniano David Makali. Tuttavia, nonostante i timori che lesioni comunitarie possano riesplodere molti continuano a sostenere le attività della Cpi. "I processi devono andare avanti sostiene Yusila Cheron, una kalenjin di 43 anni che ha subito uno stupro collettivo durante le violenze postelettorali a Naivasha. A causa del drammatico incontro con la che presumibilmente era una mili kuyu, Yusila zoppica ancora. "Nessuno deve restare impunito”. REP. CENTRAFRICANA Villaggi devastati / L'8 e il 9 settembre nell'area di Bossangoa, nella Repubblica Centrafricana, sono morte un centinaio di persone negli scontri tra le forze del nuovo regime e gruppi armati. Secondo le autorità di Bangui, che hanno preso il potere a fine marzo con un golpe, gli scontri sarebbero stati provocati dai sostenitori dell'ex presidente Francis Bozizé, originario della zona. Pochi giorni prima, gli inviati dell'Alto commissariato dell'Onu per i rifugiati avevano denunciato "la mancanza di sicurezza" nel nord del paese, dove vari villaggi erano stati distrutti. SOMALIA MOGADISCIO - Le promesse del presidente / Il governo somalo ha lanciato una campagna per portare a scuola un milione di bambini L'iniziativa, sostenuta dall'Unicef, costerà 117 milioni di dollari e si svolgerà nell'arco di tre anni. Tuttavia, a un anno dall'elezione, il presidente Hassan Sheikh Mohamud ha realizzato poco di quello che aveva promesso, scrive Ips, perché deve fare i conti con risorse finanziarie limitate, corruzione, mancanza di servizi, attentati alla sua vita e a quelli dei funzionari. L'ultimo attentato di Al Shabaab, il 7 settembre in un ristorante di Mogadiscio, ha causato la morte di diciotto persone. MALI BAMAKO- II 5 settembre il nuovo presidente Ibrahim Boubacar Keita ha nominato premier l'economista Oumar Tatam Ly. NIGERIA LAGOS - II presidente Goodluck Jonathan ha destituito l'n settembre nove ministri dopo una spaccatura nel partito Pdp. Sudafrica L'8 settembre, ottantamila lavoratori delle miniere d'oro hanno terminato uno sciopero dopo aver ottenuto aumenti salariali. ASIA & PACIFICO AUSTRALIA CAMBERRA – COME SARA’ L’AUSTRALIA DI TONY ABBOTT / Con la vittoria della Coalizione liberalnazionale, l'Australia cambierà. Ma sarà il senato, dove Abbottt e gli alleati non hanno la maggioranza, a determinare quanto. Tra i commentatori impegnati a riflettere su come sarà il governo di Tony Abbott sembra esserci la certezza che, nonostante i toni aspri della campagna elettorale, non cambierà nulla. Non ne sono convinto. I cambi di governo non sono frequenti in Australia - dopo la seconda guerra mondiale solo sette - e un cambiamento di stile e sostanza è sempre stato un'inevitabile conseguenza. La decisione di tagliare gli aiuti allo sviluppo annunciata due giorni prima del voto è il chiaro segnale di un allontanamento di Canberra dalla priorità di migliorare il proprio status internazionale, legata al tentativo di ottenere un seggio nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. La Coalizione liberalnazionale è sempre stata poco entusiasta per gli accordi multilaterali, quindi c'è da aspettarsi un approccio che indebolisca il processo di integrazione regionale, già fragile. Tony Abbott ha annunciato che il suo primo viaggio all'estero sarà a Jakarta e non a Washington. Sarà un test interessante: la sua politica nei confronti dei richiedenti asilo ha portato tensione con l'Indonesia ed è necessario ricucire i rapporti. Negli ultimi anni la Coalizione ha anche mostrato una certa impazienza nei confronti della Cina, il principale partner economico dell'Australia. Vedremo come Abbott gestirà le relazioni con Pechino e con l'alleato numero uno in materia di sicurezza, gli Stati Uniti. In primo piano ci sarà comunque la politica interna. Dato che sia la Coalizione sia i laburisti hanno cominciato a realizzare presto che il ciclo politico, a livello nazionale e statale, dura due legislature, ci sarà una spinta a realizzare le riforme annunciate, in particolare le più discusse. Una vera sfida per il nuovo premier sarà gestire le diverse - e potenzialmente in conflitto - spinte ideologiche interne alla sua stessa coalizione. Abbott non è un ideologo del libero mercato, ma per evitare problemi dovrà placare gli alleati che vengono da questa cultura politica. La distribuzione dei ministeri sarà un segnale della sua libertà di movimento. Il settore pubblico, visto da alcuni politici della Coalizione come un bacino di sostenitori dei laburisti, sarà ridotto e riorganizzato. Ma Abbott è abbastanza realista da sapere quanto dovrà fare affidamento su consigli solidi e competenti. Le relazioni sindacali, che furono lo scoglio sul quale si infranse la Coalizione nel 2007, saranno un test ravvicinato per il governo e per il sue probabile intransigente ministro del lavoro, Eric Abetz. Le organizzazioni dei datori di lavoro e delle imprese che hanno sostenute la Coalizione faranno pesanti pressioni. Alcune questioni che faranno scalpore come la privatizzazione della Sbs (la radiotelevisione pubblica australiana) e una radicale ristrutturazione della rete tv Abc saranno tra le prime a essere affrontate Così come una riorganizzazione delle università e del consiglio delle ricerche. In teoria si tratterà di una privatizzazione delle prime e di un ridimensionamento del ruolo del secondo. La possibile spinta a privatizzare il sistema di prestiti per gli student avrà pesanti conseguenze sull'accesso all'università negli anni a venire. IL MANDATO SBANDIERATO Ma per quanto il nuovo governo si mostra determinato, resta da vedere quanto questi lista di priorità riuscirà a diventare realtà politica. Cruciale, da questo punto di vista è la questione del senato. Come ogni prime ministro entrante, Tony Abbott ha agitate la vecchia bandiera del mandato, intendendo che il senato, indipendentemente dalli sua composizione, dovrebbe assoggettarsi alla volontà della maggioranza nella carnera bassa, una lettura in malafede del sistema democratico e della costituzione. La verità è che la Coalizione non ha pre so la maggioranza dei voti, che è l'unici base reale per poter sostenere di avere un mandato. La maggioranza degli elettori h; dato la sua prima preferenza a un candidati esterno alla Coalizione. E molto probabilmente anche chi ha dato la prima preferenza alla Coalizione, ha poi scelto qualche altro partito al senato come strumento d salvaguardia. Ad Abbottt rimane un problema che al tri prima di lui hanno dovuto affrontare come gestire un senato ostile. L'attuale se nato a maggioranza laburista-verde scadrà metà del 2014, quando quello appena eletto - in cui la Coalizione comunque no ha la maggioranza - comincerà il suo mar dato. È probabile che Abbottt dovrà aggregare o neutralizzare GIAPPONE TOKYO - PROMOZIONE CON RISERVA / Tokyo è stata scelta come sede delle Olimpiadi del 2020, ma la strada che porterà al successo dei giochi sarà in salita finché non si fermerà l'emergenza alla centrale nucleare di Fukushima. Secondo un sondaggio, l'8o per cento degli intervistati è favorevole a ospitare le Olimpiadi. L'assegnazione ha creato molte aspettative. Si calcola che le entrate saranno intorno ai tremila miliardi di yen (22 miliardi di euro) e che saranno creati più di 150Mila posti di lavoro. Gli atleti faranno sognare un paese afflitto dalla concorrenza spietata, dalla povertà, dalla mancanza di lavoro e dall'invecchiamento della popolazione. Ma molti non hanno festeggiato. Le perdite radioattive dalla centrale di Fukushima, su cui è concentrata l'attenzione dei mezzi d'informazione stranieri, rimangono il più grande motivo di preoccupazione, anche se in Giappone l'argomento è passato in secondo piano. Il primo ministro Shinzò Abe ripete che la situazione è sotto controllo e che Tokyo non subirà conseguenze, ma non è convincente. Non basta che Tokyo sia sicura. Mostrare un nordest del paese di nuovo in piedi sarebbe la miglior forma di ospitalità. CINA "La lotta contro le tigri comincia dall'industria petrolifera", scrive Caixin. Nella campagna contro la corruzione lanciata da poco dal governo cinese, la tigre rappresenta gli alti funzionari che hanno abusato del loro ruolo. Accanto a loro ci sono "le mosche", i quadri locali e di livello più basso. L'inchiesta per "gravi violazioni disciplinari" contro Jiang Jiemin, a capo della commissione di controllo delle aziende pubbliche ed ex presidente della China National Petroleum Company (Cnpc), la più grande azienda energetica cinese, è considerata un successo nella lotta contro la corruzione. Quando a fine agosto è uscita la notizia delle indagini su quattro alti dirigenti dell'industria petrolifera, negli stessi giorni in cui si chiudeva il processo contro l'ex esponente del politburo del Partito comunista, Bo Xilai, i cittadini non si chiedevano l'ammontare delle tangenti, ma se fossero coinvolti personaggi di spicco. Lo scandalo ha messo in risalto il legame tra monopoli gestiti dai politici e malaffare. La lotta contro la corruzione e le riforme devono essere complementari, conclude il settimanale. FILIPPINE STALLO A MINDANAO / Il 9 settembre a Zamboanga, sull'isola di Mindanao, l'esercito filippino e i militanti armati di una fazione del Fronte di liberazione nazionale moro (Mnlf) hanno cominciato uno scontro a fuoco. I ribelli hanno occupato diverse zone dell'area metropolitana mettendo in fuga migliaia di persone che hanno cercato rifugio nello stadio, nelle scuole e nelle chiese. Almeno nove persone sono morte e un centinaio è rimasto ostaggio dell'Mnlf. Il gruppo ribelle, fondato nel 1971 con lo scopo di creare uno stato islamico indipendente, ha firmato un accordo di pace con il governo di Manila nel 1996. Recentemente, però, è stato escluso dai negoziati per un trattato di pace tra il governo e un altro gruppo ribelle, il Fronte islamico di liberazione moro (Milf). Questa sarebbe la causa del blitz dei ribelli che, usando i civili come scudi umani, sono entrati in città cercando di issare la loro bandiera sul tetto del municipio, scrive il Philippine Daily Inquirer. BANGLADESH Muhammad Yunus, Nobel per pace nel 2006 e fondatore della Grameen Bank, pioniere del micro-credito, è indagato per frode fiscale. Le accuse si riferiscono al periodo in cui Yunus guidava la Grameen. INDIA TORNA L'INCUBO DI AYODHYA / Almeno 38 persone sono morte negli scontri tra musulmani e indù scoppiati il 7 settembre a Muzaffarnagar, nell'Uttar Pradesh. All'origine delle violenze c'è l'uccisione di tre ragazzi indù il 27 agosto. Si tratta del primo caso di violenze interreligiose degli ultimi ventanni nello stato, dove nel 1992 gli estremisti indù demolirono la moschea di Babri Masjid ad Ayodhya e duemila persone morirono nei disordini scoppiati nel paese, scrive Tehelka. Il chiefminister dell'Uttar Pradesh, Akhilesh-Yadav, è stato criticato per la cattiva gestione delle tensioni inter-comunitarie. L'arrivo dell'esercito ha fermato gli scontri. INDIA II 10 settembre quattro uomini sono stati riconosciuti colpevoli dello stupro di una studentessa di 23 anni a New Delhi nel dicembre del 2012. La ragazza era morta per le ferite riportate. La pena sarà annunciata il 13 settembre. PENISOLA COREANA L'11 settembre i governi della Corea del Nord e di quella del Sud hanno annunciato la riapertura lunedì prossimo del complesso industriale inter-coreano di Kaesong. MALDIVE Mohamed Nasheed, il primo presidente eletto del paese, destituito nel febbraio del 2012, è in testa dopo il primo turno delle presidenziali del 7 settembre. Con il 45,45 per cento dei voti ha preceduto Abulia Yameen. AMERICA CENTROMERIDIONALE GUATEMALA CITTA DEL GUATEMALA - Un incidente evitabile / Il 9 settembre quarantasei persone sono morte in un incidente di autobus a San Martin Jilote-peque. L'autobus, che potrebbe aver avuto problemi ai freni, è precipitato in un fosso profondo duecento metri. "Nella zona nordoccidentale del paese", scrive El Faro, "il tasso di povertà supera il 75 per cento". Il giornale salvadoregno ricorda che in Guatemala ogni centomila abitanti venti muoiono per un incidente stradale. Nell'editoriale, Prensa Libre sottolinea che "l'autobus viaggiava sovraccarico. Le autorità devono far rispettare le leggi sui limiti di velocità e il numero di passeggeri". Il giorno prima un gruppo armato ha ucciso undici persone in un negozio di liquori a San José Nacahuil. VENEZUELA CARACAS - NO ALLA GIUSTÌZIA INTERAMERICANA - Il 10 settembre il Venezuela è uscito dalla Convenzione americana per i diritti umani, in vigore dal 1978. "Questo significa", scrive Maye Primera su El Pais, "che la Corte interamericana de derechos humanos, un organo incaricato di far rispettare la Convenzione e altri trattati sui diritti umani, perderà la giurisdizione su Caracas e le vittime venezuelane perderanno la possibilità di avere giustizia nei tribunali internazionali". "Le incomprensioni", ricorda El Nacional. "sono cominciate tre anni fa con la pubblicazione di un rapporto della Corte sulla democrazia in Venezuela e poi formalizzate da Hugo Chàvez nel settembre del 2012". CILE SANTIAGO – QUARANT’ANNI FA…L'11 settembre 1973 il presidente eletto Salvador Allende morì durante i bombardamenti sul palazzo della Moneda mentre l'esercito del generale Augusto Pinochet prendeva il potere. Quarant’anni dopo la società cilena è ancora divisa, come dimostrano le celebrazioni separate organizzate dal governo e dall'opposizione. "Non è difficile capire perché nel 1973 un settore del paese appoggiò il golpe militare. Ma è più faticoso accettare che la destra, dopo quindici anni di dittatura, abbia consacrato Pinochet come suo leader naturale", scrive il direttore di The Clinic Patricio Fernàndez. Nel 1998 Pinochet fu arrestato a Londra ed Evelyn Matthei, l'attuale candidata della destra alla presidenza, lo difese. "Evidentemente", continua Fernàndez, "i crimini commessi dal generale non devono apparirle troppo atroci". Secondo la destra cilena Pinochet ha esagerato, ma ha fatto quello che doveva. "Speriamo che un giorno l'11 settembre non sia una data di festa né di lutto, ma solo di insegnamento. BRASILE IN BRASILE LA PROTESTA NON SI FERMA PIÙ / II 10 settembre una commissione parlamentare che indaga sullo spionaggio statunitense ai danni della presidente Dilma Rousseff ha chiamato a testimoniare il giornalista del Guardian, Glenn Greenwald. Juan Arias, El Pais, Spagna Il 7 settembre, giorno dell'indipendenza, migliaia di brasiliani hanno manifestato nelle città blindate dalle forze dell'ordine. Nessuno ha più paura di protestare 17 settembre, il giorno dell'indipendenza del Brasile, si è definitivamente infranto un tabù: i brasiliani non hanno più paura di protestare. Il tabù si era già incrinato a giugno, con le prime grandi manifestazioni che hanno sorpreso il mondo politico. Ed è stato rotto qualche giorno fa, anche se le manifestazioni non hanno avuto una partecipazione enorme per paura della violenza della polizia e dei gruppi estremisti. A giugno gli slogan dei brasiliani lasciavano intuire quello che sarebbe successo: "Un popolo muto non cambia". Fino a quel momento, e almeno per i dodici anni precedenti, i brasiliani erano rimasti in silenzio, cullati dagli inattesi progressi sociali. Il paese si è sentito ammirato e invidiato dal mondo intero: ha ottenuto i Mondiali del 2014 e le Olimpiadi del 2016. Trenta milioni di persone hanno abbandonato la miseria per sentirsi cittadini con una dignità. E il gigante si è addormentato. "Eravamo infelici e non lo sapevamo", si leggeva su uno striscione. I brasiliani si sentivano più felici di quanto non fossero davvero, perché non concepivano di poter stare ancora meglio. Il 7 settembre il Brasile festeggia l'indipendenza. È una giornata in cui la gente, soprattutto la più semplice, è sempre stata pronta ad applaudire le forze militari. Ma quest'anno per la prima volta le parate tradizionali sono sembrate sottotono. Alcune sono state cancellate per paura delle manifestazioni annunciate in tutto il paese e le altre sono state meno partecipate. Molti politici non si sono fatti vedere nelle tribune, anche in città chiave come Rio de Janeiro, dove i manifestanti hanno rotto il cordone della polizia e hanno invaso la parata militare. L'appuntamento di Brasilia è stato blindato da migliaia di militari che hanno tenuto a debita distanza i manifestanti. Per la prima volta in alcune parate sono comparsi dei cartelli di protesta e di rivendicazione sociale, un gesto che fino a poco tempo fa sarebbe stato inconcepibile. Né il presidente del congresso né quello del senato hanno partecipato alle parate. PRIMI RISULTATI I brasiliani non hanno più paura di manifestare non solo le loro insoddisfazioni, ma anche il loro desiderio di migliorare. È possibile che in futuro le manifestazioni saranno meno numerose, perché l'assedio della polizia sarà sempre più duro. Il 7 settembre nessuno ha gridato slogan contro lo stato o la presidente Dilma Rousseff. I brasiliani chiedono politici meno corrotti, che siano al servizio dello stato prima ancora che del loro partito. Vogliono una qualità della vita migliore e un paese che si lasci alle spalle le disuguaglianze sociali e la vecchia politica patrimonialista. Chiedono anche servizi pubblici moderni, visto che la presidente stessa ha ammesso che "abbiamo ancora dei servizi di bassa qualità". La scomparsa della paura di protestare sta cominciando a dare i primi risultati. Perfino Dilma Rousseff ha chiesto spiegazioni al presidente statunitense Barack Obama per essere stata spiata dalla National security agency. La presidente ha proposto un referendum sulla riforma politica, ha investito miliardi nei trasporti pubblici e ha varato il programma Mais médi-cos per portare dei professionisti nelle zone del paese dove sono carenti. Alcuni la considerano una manovra elettorale, ma il dato certo è che Rousseff ha reagito. Il 26 giugno la camera dei deputati ha respinto la proposta di legge Pec37, che riduceva il potere d'indagine dei pubblici ministeri ampliando invece quello della polizia. E il 4 settembre la camera dei deputati ha approvato all'unanimità l'abolizione del voto segreto dei parlamentari. Inoltre, i venticinque politici condannati per lo scandalo di corruzione del mensalào stanno per finire in prigione. Nonostante alcune azioni violente e le provocazioni di alcuni gruppi di estremisti, 1*88 per cento della popolazione appoggia le richieste dei manifestanti. Da tutto questo non potrà che nascere un Brasile migliore. COLOMBIA L'8 settembre i contadini in protesta hanno accettato di mettere fine ai blocchi stradali in cambio di un dialogo con il governo sull'agricoltura AMERICA SETTENTRIONALE STATI UNITI SAN FRANCISCO - LA FORESTA BRUCIA ANCORA - "Il 7 settembre, mentre le foreste intorno al parco nazionale di Yosemite continuavano a bruciare, un gruppo di scienziati della squadra federale statunitense per le emergenze nelle zone colpite dagli incendi si è arrampicato sulla Sierra Nevada per valutare i danni del terzo incendio più grande nella storia della California", scrive il San Francisco Chronicle. Le fiamme divampate il 17 agosto nella Stanislaus national forest hanno bruciato finora più di mille chilometri quadrati di boschi e prati popolati da animali selvatici. Le ceneri minacciano di contaminare i fiumi e i bacini che forniscono acqua ed energia a San Francisco. Per arginare le fiamme sono stati spesi 89 milioni di dollari, e altri serviranno per salvare le zone colpite. "Le autorità hanno identificato il cacciatore che avrebbe dato origine all'incendio, ma il suo nome non è stato reso noto". NEW YORK - Il voto di New York / Il 10 settembre si sono svolte le elezioni primarie dei democratici e dei repubblicani per scegliere il candidato a sindaco di New York. Tra i democratici, il favorito Bill De Biasio è in netto vantaggio: con il 97 per cento dei voti scrutinati, ha ottenuto il 40,2 per cento dei voti. Tra i repubblicani ha vinto Joseph Lhota, l'ex presidente dell'azienda di trasporti della città. Le elezioni si terranno il 5 novembre. ARIZZONA II 6 settembre Debra Milke, accusata di aver ucciso suo figlio nel 1989, è stata rilasciata dal braccio della morte dell'Arizona per insufficienza di prove. NEW YORK - A CINQUE ANNI DALLA LEHMAN / Il 15 settembre 2008 la banca d'affari statunitense Lehman Brothers annunciava il suo fallimento, mandando in tilt il sistema finanziario globale. La Casa Bianca fu costretta a intervenire per salvare altri istituti finanziari e a questo scopo stabilì alcune misure d'emergenza, tra cui il programma di salvataggio da 700 miliardi di dollari chiamato Tarp (Troubled asset relief program). Oggi, dopo cinque anni di crisi, è arrivato il momento di fare un bilancio, scrive il Wall Street Journal. Sotto certi aspetti gli Stati Uniti possono cantare vittoria: l'economia è tornata a crescere, la disoccupazione è in calo, la borsa si è ripresa e le banche hanno restituito quasi tutti i 245 miliardi di aiuti ricevuti dallo stato. Ma allo stesso tempo, aggiunge il quotidiano, molti cittadini statunitensi potrebbero chiedersi come mai, nonostante questi dati positivi, le cose vadano ancora male. È vero che la disoccupazione è calata, ma comunque ci sono sempre 11,3 milioni di persone senza lavoro, quasi due milioni in più rispetto al 2008.1 prezzi delle case hanno ripreso a crescere, ma un sesto dei mutui ipotecari ha ancora un valore superiore a quello dell'immobile ipotecato. Inoltre, il reddito medio delle famiglie è più basso del 5 per cento rispetto al 2008. "A questo punto i cittadini potrebbero convincersi che in questi anni è stata salvata Wall Street, non il paese reale". ( articoli da : Le Monde, Aftenposten, El Pais, NYC Time, Time, Guardian, Gazeta Russia, Al Masry al Youm. Mail & Guardian, Sudafrica, Clarin, Revista 22, Philippine Daily Inquirer, Nuovo Paese, Internazionale, Il Manifesto e AGVNoveColonne)  

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