10722 NOTIZIE dall’ITALIA e dal Mondo 13 luglio

20130714 18:37:00 guglielmoz

ITALIA . NO MUOS / La rivoluzione parte da Niscemi
VATICANO. IOR – Giustizia vaticana, congelati i fondi di mons Scarano
EUROPA. LONDRA – Cameron privatizza le Poste, pubbliche da ben 497 anni
AFRICA & MEDIO ORIENTE. Gerusalemme / Mossad – C’è un altro «Prigioniero X» in segreto nel carcere di Ayalon
ASIA & PACIFICO. ARROGANZA OCCIDENTALE / The Hindu, India
AMERICA CENTROMERIDIONALE.DATAGATE – Annuncio non confermato dell’asilo politico venezuelano a Snowden
AMERICA SETTENTRIONALE. NYC – EBOOK / Il cartello Apple condannato negli Stati Uniti

ITALIA
NISCEMI – NO MUOS / La rivoluzione parte da Niscemi – di Massimo Zucchetti / Io non sono un politico. Non detengo potere. Ma se fossi fra i "grandi" ai vertici dello Stato, gli avvenimenti di Niscemi e del Muos, culminati ieri con la sentenza del Tar che sanziona l’idea di costruire il Muos a Niscemi come la peggiore mai avuta dagli americani in Italia, mi renderebbero pensoso. Se fossi in loro volgerei lo sguardo in Turchia, a piazza Taksim, dove la satrapia locale – così forte di violenza e polizia – ha vacillato partendo da un Parco cittadino che la popolazione non voleva cementizzato.
Ogni politico, per quanto inciuciato, bildenberg, esperto e scafato per tradizioni familiari e partitiche, dovrebbe essere conscio che "si sta come d’autunno sugli alberi le foglie" e che non si può mai prevedere da che parte arriverà la ventata che ti sbalzerà dalla sella del potere. Certo, sembrava – e sembra – impossibile che la Rivoluzione potesse partire da Niscemi e dal No-Muos. Che improbabile masnada, questi rivoluzionari. C’è Rosario, che fa il presidente di Regione, odiato e amato, che ha imparato a mettersi di traverso per essere visto. Ci sono Mariella e Maria, assessori, che subiscono pressioni irricevibili e vanno comunque avanti, mentre una, ed è l’unico cognome che farò, si chiama Borsellino. Giampiero è l’anima politica del No-Muos, sta all’Assemblea regionale siciliana: è del 5 Stelle, ma ha lavorato fianco a fianco con Giuseppe e Fabrizio, che sono del Pd: un malum signum, così come – nel parlamento nazionale – Erasmo, di Sel, è disponibile a collaborare con Stefano e Marco del 5 Stelle e Corradino e altri del Pd. Francesco fa il sindaco, e si fida dei suoi consulenti, Massimo e Massimo, due professori occhialuti e un po’ estremisti, cosa che lui non è. Scienziati e medici lavorano gratis per contrastare le pseudo affermazioni scientifiche con le quali si cerca di giustificare a posteriori qualcosa di già deciso a priori e ingiustificabile: Angelo detto Gino, Eugenio e Alberto, Cirino detto Rino e Marino, diversi ideologicamente ma che lottano insieme. Brutto segno.
Ma il peggio non è questo: è la nascita di un Movimento spontaneo, che dalle decine è passato alle decine di migliaia, con Antonio che fa il giornalista ed è serio e coraggioso, e con la gente: con Alfonso, Peppe, Astrid, Samanta, Manolo, Concetta, Gisella, Nadia, Filippo, Salvatore, Gaetano, Turi e mille altri. Tutto questo è, in una parola, bellezza. Ma da ieri anche storia, quando leggiamo la sentenza del Tar: «Ritenuta per contro la priorità e l’assoluta prevalenza in subiecta materia del principio di precauzione (art. 3 dlg. 3.4.2006 n. 152) nonché dell’indispensabile presidio del diritto alla salute della Comunità di Niscemi, non assoggettabile a misure anche strumentali che la compromettano seriamente…».
Questo fa nascere due considerazioni: per costruire il Muos, gli americani e i loro manutengoli dovranno trovare un luogo dove non valga il Principio di Precauzione: una notevole spinta, direi, al rilancio dei voli spaziali perché forse la Luna è l’unico posto che rimane loro. Poi, se il Principio vale per il Muos – che è secondo gli americani un forno a microonde da 200 Watt – perché non dovrebbe valere per il petrolchimico di Gela, per l’Ilva di Taranto, per il Tav e per tutti gli ecoassurdi che mettono in pericolo la salute della popolazione?
Un brutto colpo, davvero. Gentili signori al Governo, potete anche provare a costruire il Muos imponendolo con la sopraffazione dello Stato e arrampicandovi sui vetri di una legalità che da ieri non vi appartiene più. Avete perso, dinanzi alla Storia. Da Niscemi: chi l’avrebbe mai detto?
ROMA – ALMALAUREA Più penalizzate le donne istruite / Dal rapporto sulla condizione occupazionale dei laureati italiani, elaborato dal consorzio interuniversitario Almalaurea, emerge che tra la popolazione con un’età compresa tra i 30 e i 34 anni le donne con una laurea sono il 24,2% contro il 15,5% degli uomini. Il divario tra gli stipendi penalizza fortemente le donne. Non solo, le laureate con figli guadagnano meno delle colleghe che non hanno figli. «È il segnale del persistere di un ritardo culturale e civile del paese – commenta Andrea Cammelli, direttore di AlmaLaurea – è una situazione che contribuisce a svalutare gli investimenti nell’istruzione universitaria femminile». Secondo il rapporto le differenze retributive e occupazionali tra uomini e donne emergono già ad un anno dalla laurea: lavora il 55,5% delle donne contro il 65% degli uomini. A un anno dalla laurea, gli uomini possono contare su un lavoro stabile nel 39% dei casi contro il 30% e guadagnano in media 1.220 euro contro 924 eruo mensili netti delle donne. Il lavoro stabile è prerogativa tutta maschile in Italia: l’80% degli occupati può contarci, mentre le donne sono il 66%. Chi poi tra le laureate ha uno o più figli è ancora più penalizzata. A cinque anni dalla laurea lavora l’81% delle laureate senza prole e il 69% di quelle che hanno figli. Queste ultime guadagnano in media 1.090 euro contro i 1.247 di chi non ha figli. Questa discriminazione vale per tutte le categorie sociali. Fra i 24 e i 55 anni le donne lavoratrici con figli sono il 55%.
ROMA – CONFLITTI DI INTERESSI / Pur se ampiamente previste le turbolenze sono forti e la macchina governativa delle larghe intese affronta la prova del vero collaudo con lo scontro finale tra Berlusconi e la magistratura. Dopo la condanna a quattro anni e l’interdizione dai pubblici uffici per cinque, la Cassazione anticipa la data della sentenza per evitare la prescrizione. In un paese normale diremmo che i magistrati fanno il loro dovere. Ma stiamo parlando del processo Mediaset, del bene privato più pubblico e politico dei nostri anni, della radice profonda del conflitto di interessi, difeso da pitonesse, falchi e colombe che minacciano la rivolta contro chi osa giudicare la "colossale" evasione fiscale (ormai accertata senza dubbio dai giudici), del capo supremo. Tremano le stanze di palazzo Chigi. Scosse forti, messe nel conto, tuttavia difficilmente distruttive del blocco di potere (e di salvaguardia del Cavaliere) siglato con il governo Letta.
Non è tuttavia solo il macigno berlusconiano la malattia cronica di cui soffre il sistema. Pur essendo il monopolio tv il cuore malato della soffocante, ventennale monocultura nazionale, quel sopramondo di larghe intese della grande fabbrica del senso comune, oggi è anche il sistema della grande stampa quotidiana a conoscere un rafforzamento del conflitto di interessi.
Siamo al momento culminante del fuoco pirotecnico attorno alla proprietà del Corriere della Sera, conteso da competitori potenti che combattono di fronte a un paese che assiste passivo allo spettacolo, come un telespettatore di fronte a programmi diversi di un palinsesto comune. Mediaset e Berlusconi da una parte, la Fiat con il Corriere dopo la Stampa, la Gazzetta dello sport, i periodici, i libri, i siti, dall’altra.
«RCS PER NOI È STRATEGICA, ALTRIMENTI NON AVREMMO INVESTITO TANTO» ha dichiarato Sergio Marchionne, senza spiegare tuttavia in che senso è strategico il possesso di un gruppo editoriale per chi costruisce automobili. Se non che la Fiat pretende la fetta più grande della torta Rcs. Ma il controllo dell’editoria è un boccone ambito da molti, e in questo caso la famiglia Agnelli deve vedersela con l’imprenditore delle scarpe, Diego Della Valle, che grida allo scandalo e chiama in difesa della libertà d’opinione il Presidente della Repubblica rivolgendogli una lettera aperta pubblicata acquistando intere pagine di giornali. Un colpo andato a buon segno, con la sollecita risposta del capo dello stato. Una nota in cui il Quirinale prende le distanze dai colossali interessi in campo: «Non spetta a me alcun commento su questioni e proposte rimesse alla libera determinazione di soggetti economici e imprenditoriali e al giudizio del mercato». Non sapremo dire quale libero mercato agisca nello scontro tra Fiat e Tod’s, semmai una interpretazione maliziosa potrebbe leggere le larghe intese governative, patrocinate dal Colle, come una contagiosa, virale estensione di quei patti di sindacato capaci di condizionare l’informazione legando gli interessi di gruppi industriali, finanziari, politici.
Al presidente non mancherà occasione per tornare su una questione così bruciante, in un paese dove stampa e televisione mantengono fertile la palude che ha trasformato l’Italia in una democrazia di bassa qualità. di Norma Rangeri
ROMA – F35/SENATO / ORA SEL AVVERTE: NON FATE SLITTARE LA DISCUSSIONE di Daniela Preziosi
Ufficialmente di slittamento non si parla. Sugli F35 la discussione al senato resta prevista per il 10 e l’11 luglio, e la capigruppo che dovrebbe calendarizzarla si riunirà mercoledì. Eppure a Palazzo Madama circola il ‘consiglio’ di rimandare lo spinoso dibattito sui caccia; tanto più dopo la dura presa di posizione del Consiglio supremo di difesa, che lo scorso 3 luglio ha avvertito il parlamento di non esercitare il «diritto di veto su decisioni operative e provvedimenti tecnici che, per loro natura, rientrano tra le responsabilità costituzionali dell’esecutivo». Ovvero le scelte dei sistemi d’arma. Una sconfessione del voto della maggioranza, che piove giù dal Colle più alto – Napolitano presiede il Consiglio – e coinvolge il governo, i cui membri siedono nel Consiglio. Governo che, però, ha dato l’ok alla mozione Pd-Pdl approvata il 26 giugno, che ribadiva la centralità del parlamento in materia.
Loredana De Petris, presidente dei senatori di Sel, mette le mani avanti. «Non accetteremo manovre dilatorie di alcun genere». Gli indizi di queste «manovre» ci sono. La capigruppo convocata mercoledì, anziché il consueto martedì; la necessità di ‘aspettare’ la discussione sul ddl Riforme. Ma rinviare l’ennesima patata bollente in attesa di ‘sminare il campo’ potrebbe essere vitale per il Pd. Perché la dura posizione del Consiglio supremo colto di sorpresa molti, soprattutto quelli che avevano faticato a trovare un testo di mediazione con il Pdl. Come Gian Piero Scanu, capogruppo Pd alla commissione difesa di Montecitorio: «La legge 244 prevede che gli acquisti dei sistemi di difesa di tutte le armi siano di competenza primaria del parlamento, con il governo che svolge una funzione concorrente», spiega. Quello del Csd è «uno scivolone». E sono in molti – ma non tutti – gli esponenti Pd a pensarla così. Persino fra i membri del governo. Come Stefano Fassina, che al manifesto ha definito «sorprendente» il comunicato del Csd, «la legge 244 è chiara: il parlamento è centrale in materia di riordino dei sistemi d’arma». E invece il 5 luglio il ministro della difesa Mauro è tornato all’attacco: le comunicazioni del Csd ricordano «a ognuno cosa siamo chiamati e in che termini». Nell’esecutivo la «larga intesa» sugli F35 si è già ristretta. Per il Pd dunque la matassa si imbroglia. Anche perché al senato le mozioni per la sospensione dell’acquisto degli F35 sono tre: quella di Sel, quella del M5S e quella di 18 dem, primo firmatario Felice Casson. Il cui testo in buona sostanza smentisce quella della maggioranza Pd-Pdl approvata alla camera. «A me di ritirarla non l’ha ancora chiesto nessuno», spiega Casson. «Peraltro non ho alcuna intenzione di farlo». Ma quella di Casson, ha spiegato negli scorsi giorni ai suoi collaboratori la senatrice Roberta Pinotti, sottosegretaria alla Difesa, «non è la mozione del Pd. È la posizione di 18 senatori del Pd». Ma anche di (almeno) mezzo paese. Ieri il leader Fiom Landini ci è tornato su: «Sarebbe stato un atto di intelligenza sospendere i soldi vincolati agli F35» per dirottare «le spese inutili» «per la tutela del reddito e per rilanciare gli investimenti».

VATICANO
IOR – Giustizia vaticana, congelati i fondi di mons Scarano / di Luca Kocci / Sebbene con qualche settimana di ritardo rispetto ai pubblici ministeri italiani, ora anche la magistratura vaticana interviene nei confronti di Nunzio Scarano, «monsignor 500 euro», il prelato salernitano dipendente dell’Apsa (il «ministero del tesoro» di Oltretevere) – prima di essere sospeso dall’incarico – dal 28 giugno agli arresti nel carcere di Regina Coeli perché accusato di aver tentato di far rientrare dalla Svizzera in Italia 20 milioni di euro per conto di una famiglia di imprenditori napoletani in cambio di una ricompensa di due milioni e mezzo di euro. Ieri il portavoce della Sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha comunicato che il Promotore di giustizia del Tribunale del Vaticano già dal 9 luglio «ha disposto il congelamento dei fondi intestati presso lo Ior, a Scarano», titolare di almeno due conti, uno dei quali mascherato da intenzioni caritatevoli e denominato «fondo anziani». E ha aggiunto che «le indagini possono essere estese anche ad altre persone». Non è escluso, quindi, che altri prelati o funzionari vaticani vengano coinvolti nell’inchiesta: si parla dell’esistenza di un archivio segreto in cui Scarano avrebbe appuntato nomi e conti correnti criptati allo Ior. Il provvedimento arriva in contemporanea con la riforma del sistema giudiziario penale vaticano – approvata due giorni fa – che prevede, fra le varie novità, misure più rigorose nei confronti dei reati amministrativi a finanziari, dalla corruzione al riciclaggio, dando ai magistrati la possibilità di intervenire non solo nei confronti dei singoli (come appunto Scarano) ma anche direttamente sugli enti con personalità giuridica, come lo Ior. Ma le nuove norme non hanno nulla a che vedere con il sequestro dei conti di «monsignor 500 euro», anche perché entreranno in vigore solo a settembre. Mentre è assai probabile che siano state le dimissioni, indotte dall’alto, lo scorso 1 luglio, del direttore generale dello Ior, Paolo Cipriani, e del suo vice, Massimo Tulli – ritenuti i garanti della poca trasparenza dello banca vaticana – a consentire ai magistrati di Oltretevere di pigiare il piede sull’acceleratore e disporre il sequestro dei conti di Scarano. Il monsignore, va ricordato, è indagato da due diverse procure italiane: quella di Roma, per il tentativo di far rientrare in Italia i 20 milioni di euro, in concorso con il carabiniere Giovanni Maria Zito (ex funzionario dei servizi segreti dell’Aisi) e il broker finanziario Giovanni Carenzio, entrambi agli arresti; e quella di Salerno, secondo la quale Scarano sarebbe coinvolto in un’operazione di riciclaggio di 560mila euro attraverso un giro di assegni circolari emessi da 56 "donatori". Ed ora i suoi movimenti sono sotto osservazione anche della magistratura vaticana.
Insieme alla notizia del blocco dei conti di Scarano, Lombardi ha fornito qualche aggiornamento su quello che sta succedendo allo Ior: si stanno esaminando «tutte le relazioni con i clienti e le procedure in vigore contro il riciclaggio di denaro» per tentare di identificare le attività «illegali o estranee agli Statuti dell’Istituto, siano esse condotte da laici o da ecclesiastici». Un processo, puntualizza Lombardi «avviato nel maggio 2013» – e questo la dice lunga sul storia anche recente dello Ior – e che «ci si aspetta sia concluso per la fine del 2013». Una scadenza importante questa: entro il 2013, infatti, i tecnici di Moneyval (l’organismo di vigilanza del Consiglio d’Europa) dovranno emettere la sentenza definitiva sull’ammissione – finora negata – del Vaticano nella white list dei Paesi virtuosi in materia di antiriciclaggio. E così si spiega tutto l’attivismo di queste settimane attorno allo Ior, che Bergoglio ha voluto mettere sotto il suo controllo nominando, fra l’altro, una Commissione di indagine che mercoledì scorso ha avviato i lavori.

EUROPA
GRAN BRETAGNA
LONDRA – Cameron privatizza le Poste, pubbliche da ben 497 anni / di Leonardo Clausi
Sorpresa. Il governo di coalizione sta privatizzando le poste. La Royal Mail, mica una cosa qualsiasi. Un’azienda pubblica enorme, vecchia di 497 anni, la più antica del mondo, considerata l’argenteria di famiglia dalla destra e dalla sinistra.
È la più grande privatizzazione in trent’anni, dopo quella dell’energia e delle ferrovie. In discussione da circa venti, la si sta affidando a Goldman Sachs e USB: due pie istituzioni bancarie, l’una definita senza troppi guizzi metaforici «in bancarotta morale» da un suo stesso alto funzionario, l’altra impastoiata nell’affaire Libor. Saranno loro a fornire il disinteressato apporto necessario alla quotazione in borsa, dal prossimo marzo, dell’azienda: un’operazione da 2/3 miliardi di sterline (circa 2/3 miliardi e mezzo di Euro) da cui ricaveranno l’1 per cento (almeno 30 milioni di sterline, 35 milioni e mezzo di Euro). Seguono a ruota – in ruoli più marginali, Barclays e Bank of America Merrill Lynch, Investec, Nomura e la Royal Bank of Canada. Un dieci per cento delle azioni sarà riservato ai lavoratori. Si fa, nonostante gli utili viaggino a quota 403 milioni di sterline (circa 478 milioni di Euro, ben 297 in più dell’anno precedente). Un autentico raddoppio, grazie anche al boom delle vendite e delle spedizioni online, col superamento di quella che solo qualche anno fa pareva una lenta agonia e che aveva portato prima, nel 2004, al dimezzamento delle consegne, poi alla chiusura accelerata di uffici postali nelle zone rurali e l’appalto a privati di parte delle spedizioni. Il governo si è impegnato a mantenere la cosiddetta universal service obligation ovvero l’obbligo di consegnare a prezzo fisso la posta sei giorni a settimana su tutto il territorio. Ma è ovvio che al primo calo dei profitti questo servizio sarà insidiato, come anche i salari. Stranamente, non quello dell’Ad Moya Greene, il cui stipendio di 1.6 milioni di sterline l’anno scorso (circa 1,9 milioni di Euro) è aumentato di 592,000 Euro. I lavoratori sono naturalmente in lotta. Il 96% di loro è contrario. Lunedì hanno protestato davanti alle sedi di Goldman Sachs e UBS; sono in preparazione scioperi e il 31 luglio la Communication Workers Union voterà sullo sciopero. Lo scopo è spaventare potenziali investitori. Nel partito di Miliband, ora impelagato in una logorante disputa con i sindacati, in pochi hanno battuto ciglio, lasciando le proteste ai nazional -xenofobi dello Ukip e a qualche conservatore old school (leggi: pre-Thatcher) che più che la difesa del lavoro ha a cuore quella del prestigio nazionale. Nessuna meraviglia: la decisione conferma la continuità politica sostanziale fra Tories e New Labour, incarnata dalla trimurti liberista Thatcher-Blair-Cameron. Fu infatti lo spigliato Peter Mandelson, architetto fra i principali del New Labour allora nella veste di Business Secretary (ministro dell’industria, famoso per aver detto testualmente che il partito era "del tutto rilassato all’idea che la gente diventasse schifosamente ricca") a dirsi per primo favorevole a una parziale privatizzazione delle poste nazionali. Non se ne fece poi nulla, vuoi per l’opposizione residua nel partito, vuoi soprattutto per la scarsità, all’epoca, di acquirenti. Ovvio, ci sono di mezzo anche i Lib-dem: inizialmente si dissero favorevoli a una quotazione parziale (il 49%), solo per farsi poi travolgere dall’impeto dei conservatori. Ed è stato proprio Vince Cable, Business secretary a riferire mercoledì in parlamento sui termini della quotazione. Insomma, non sono solo Tories, come invece sarebbe naturale aspettarsi. Tanti anni fa.

BULGARIA
SOFIA – La tentazione del voto / A Sofia proseguono le manifestazioni per chiedere le dimissioni del governo a guida socialista, in carica da appena un mese. L’esecutivo rifiuta categoricamente di dimettersi, ma la sua intransigenza è stata messa in discussione da un intervento del presidente Rosen Plevneliev. Come scrive Kapital, il 5 luglio Plevneliev ha detto che "l’unica via d’uscita democratica dalla crisi politica è quella delle elezioni anticipate". Il settimanale, però, osserva che "prima del voto bisogna approvare una nuova legge elettorale che consenta un corretto funzionamento del sistema parlamentare".
RUSSIA
MOSCA – I ragazzi di Mosca / The New Times/Novoe Vremja, Russia / "È facile essere giovani?" era il titolo di un documentario russo della metà degli anni ottanta che raccontava la vita dei giovani dell’Unione sovietica poco prima del crollo del muro di Berlino. Oggi, a quasi trent’anni di distanza, il settimanale Novoe Vremja sceglie lo stesso titolo per tracciare un ritratto delle giovani generazioni nell’era di Putin con una serie di interviste e dati raccolti da analisi demografiche. Dalla ricerca emerge la forte polarizzazione dei giovani russi: alcuni sono schierati senza riserve con il presidente Vladimir Putin, mentre altri sono accesi oppositori. In assoluto, tuttavia, sono molti di più i giovani che approvano l’operato di Putin (41 per cento) rispetto a quelli che lo criticano (14per cento). Dietro il sogno di emigrare, sempre più diffuso tra i ragazzi e le ragazze russi, ci sono soprattutto motivi di ordine economico, come il desiderio di avere un livello di vita più alto o di sfuggire all’instabilità economica del paese. Solo il 18 per cento è spinto dagli abusi delle autorità e appena l’u per cento dalla situazione politica. Motivazioni personali a parte, un dato è particolarmente preoccupante: il numero dei giovani tra i 18 e i 30 anni che intendono emigrare è passato dal 23 per cento del 2007 al 33 per cento del 2012. ♦

GRECIA
ATENE – Nuovi aiuti a caro prezzo / DOPO L’OK DELLA TROIKA (COMMISSIONE EUROPEA, FMI E BCE), IL 9 LUGLIO I MINISTRI DELLE finanze dei paesi dell’euro hanno deciso di concedere ad Atene la nuova tranche del prestito concordato nel 2011. Ad Atene, però, arriveranno in totale 6,8 miliardi di euro e non 8,1 come inizialmente previsto. Gli aiuti, inoltre, non saranno erogati tutti in estate, come si aspettava il governo greco, ma saranno concessi in diverse rate tra luglio e ottobre. E soprattutto – spiega Kathimerini – "saranno vincolati a una serie di condizioni stabilite
dalla troika", che Atene dovrà rispettare entro il 19 luglio, la data di consegna dei primi 2,5 miliardi di euro. Tra le misure richieste ci sono un piano di mobilità per dodicimila dipendenti statali e altre riforme nel settore pubblico. Secondo To Vima, però, la strategia della troika è la "ricetta perfetta per il disastro": "I creditori della Grecia stanno gettando il paese nella disperazione, stanno spingendo l’economia in una recessione sempre più profonda e minano la credibilità del governo, che invece dovrebbero sostenere". Secondo il quotidiano, la troika non capisce che queste politiche "finiranno per far diffondere in tutto il continente una situazione politica e sociale esplosiva".

SPAGNA
RAJOY, IL PP E I FONDI NERI / Lo scandalo dei fondi neri al Partito popolare (conosciuto come caso Bàrcenas, dal cognome dell’ex tesoriere del partito), rischia di travolgere il primo ministro Mariano Rajoy (nella foto). Il 9 luglio El Mundo ha pubblicato una serie di documenti che proverebbero come dal 1997 al 1999 Rajoy, allora ministro del governo di José Maria Aznar, abbia incassato fondi per decine di migliaia di euro. I documenti sono stati consegnati ai giudici dell’Audiencia nacional e – scrive El Mundo – se le accuse saranno confermate "il Pp e Rajoy dovranno affrontare conseguenze politiche molto serie. Il primo ministro, infatti, ha sempre negato l’esistenza di finanziamenti illeciti, assicurando di non aver mai incassato soldi".

PORTOGALLO – Paulo Portas, il ministro degli esteri che si era dimesso il 2 luglio mettendo a rischio la tenuta del governo, è rientrato nell’esecutivo come vicepremier. Per il momento la crisi politica sembra superata.

LETTONIA II 9 luglio i ministri delle finanze dell’Ue hanno dato il via libera all’ingresso di Riga nell’euro dal 1 gennaio 2014.

REP. CECA II 10 luglio si è insediato il nuovo governo, guidato da Jiri Rusnok. Rusnok sostituisce l’ex premier Petr Necas, che si era dimesso a giugno per uno scandalo di corruzione.

AFRICA & MEDIO ORIENTE
LIBANO-SIRIA / Esplosione a Beirut / Decine di persone sono rimaste ferite il 9 luglio nell’esplosione di un’autobomba a Dahiyeh (nella foto), una roccaforte dell’organizzazione sciita Hezbollah nella periferia sud di Beirut. I politici della coalizione 14 marzo (antisiriana), scrive il Daily Star, hanno condannato l’attentato, considerandolo una conseguenza del ruolo sempre più importante svolto da Hezbollah nella guerra in Siria a fianco del regime. "L’opposizione siriana ha perfino minacciato di prendere di mira Beirut e le città di Hermel e Baalbek". Il 6 luglio la Coalizione nazionale siriana delle forze dell’opposizione e della rivoluzione ha eletto un nuovo leader, Ahmad Jarba, per sostituire il dimissionario Moaz al Khatib, scrive Asharq al Awsat: " Jabra ha un lungo passato di militanza tra le file degli oppositori del regime degli Assad. La sua famiglia è anche molto legata ai sauditi. La sua elezione segna quindi un’altra vittoria di Riyadh sul Qatar, che appoggia gli esponenti dei Fratelli musulmani all’interno della coalizione d’opposizione". L’8 luglio il primo ministro dell’opposizione Ghassan Hitto, incaricato di formare un governo per amministrare le zone della Siria sotto il controllo dei ribelli, ha dato le dimissioni. Lo stesso giorno Jarba ha dichiarato che a Homs si rischia un disastro umanitario e che chiederà al presidente Assad una tregua per la città durante il Ramadan

PALESTINA
DA RAMALLAH AMIRA HASS / Brutto concerto / L’esibizione a Ramallah di Mohammed Assaf, il vincitore di Arab idol, è stata un disastro. Sono andata a sentirlo cantare, soprattutto per vedere come sarebbe stato accolto il ragazzo che pochi giorni prima aveva reso felice un popolo intero. Ero con la figlia adolescente dei miei vicini. Non siamo riuscite ad avvicinarci al palco, ma siamo riuscite a entrare nella piazza delle Nazioni superando le transenne e il filo spinato. Una donna ci ha consigliato di non mischiarci con la folla, spiegandoci che alcuni ragazzi stavano cercando di approfittare della confusione. Assaf ha cantato solo tre brani. Abbiamo pensato che fosse previsto così dal suo contratto o che forse era stanco. Alla fine del concerto il pubblico si è allontanato, deluso ma calmo. Qualche giorno fa ho scoperto che alcuni ragazzi sotto al palco avevano molestato le ragazze intorno a loro. La polizia ha provato a fermarli, ma senza riuscirci. Assaf, imbarazzato e incapace di coinvolgere il pubblico, ha deciso di smettere.
La mia vicina mi ha raccontato che le molestie sessuali da parte dei giovani maschi, specialmente nei villaggi, sono sempre più diffuse. La sua famiglia e quella di suo marito vivono in un villaggio, e ogni volta che vengono a visitarla le raccontano di nuove aggressioni. Esagera o la situazione è davvero grave? La società sta "perdendo il controllo"? Ormai la mia vicina è talmente preoccupata che non permette più alla figlia di 22 anni di prendere i mezzi pubblici per andare al lavorare.

ISRAELE
GERUSALEMME / MOSSAD – C’è un altro «Prigioniero X» in segreto nel carcere di Ayalon – di Michele Giorgio . È «MISTER X2», SCRIVONO I GIORNALI ISRAELIANI YEDIOTH AHRONOT E HAARETZ
C’è un altro «Prigioniero X» detenuto in segreto nel carcere israeliano di Ayalon (Ramleh) dove due anni e mezzo fa morì la spia del Mossad di origine australiana Ben Zygier (in apparenza) suicidatosi. Lo hanno scritto ieri i quotidiani Yedioth Ahronot e Haaretz facendo riferimento a una fonte anonima che avrebbe scoperto questo secondo «Prigioniero X» indagando sulla morte di Zygier. Secondo la fonte la persona detenuta in segreto sconta la condanna in una condizione di isolamento analoga a quella in cui fu tenuta la spia israelo-australiana. La notizia è clamorosa perché dopo la rivelazione ad inizio del 2013 del caso Zygier, le autorità di governo israeliane avevano assicurato l’assenza nelle prigioni di altre persone detenute in segreto. Per questo la deputata del Meretz (sinistra sionista) Zehava Gal On ha chiesto un chiarimento immediato al governo Netanyahu (nella foto reuters).
Non è noto il nome né in quali circostanze sia avvenuto l’arresto di quello che in Israele già chiamano «Mister X2», che si troverebbe nell’ala 13 della prigione di Ayalon. Invece Zygier era nella 15. L’avvocato Avigdor Feldman – che da anni segue questi, a quanto pare, non isolati «casi speciali» – ha detto che i reati commessi da «Mister X2», un israeliano, sono «molto più gravi, più sensazionali, più sbalorditivi e affascinanti» di quelli commessi da quello che veniva chiamato «Prigioniero X».
La vicenda di Ben Zygier era stata nascosta per due anni al pubblico israeliano e sarebbe passata sotto silenzio se non ci fosse stata l’inchiesta della rete televisiva australiana Abc trasmessa nel febbraio scorso. Il settimanale tedesco Der Spiegel scrisse che Zygier era stato arrestato e imprigionato per aver rivelato a al movimento sciita Hezbollah i nomi di due libanesi che spiavano per conto del Mossad: Ziad al Homsi e Mustafa Ali Awadeh arrestati nel 2009 nell’ondata di arresti che coinvolse numerosi civili libanesi accusati di spionaggio. Rivelazioni fatte durante viaggi all’estero e in Libano, non per tradimento ma per incapacità professionale. Zygier perciò fu fatto rientrare in Israele dove venne arrestato e condannato a una pesante pena detentiva da scontare in isolamento e, più di tutto, senza che l’opinione pubblica ne fosse informata.

TURCHIA
LACRIMOGENI AL PARCO GEZI / Il parco Gezi, luogo simbolo delle recenti proteste contro il governo turco, è stato nuovamente teatro di scontri tra manifestanti e polizia (nella foto). L’8 luglio – il giorno della riapertura dello spazio verde di piazza Taksim, decisa da una sentenza del tribunale di Istanbul – gli agenti in tenuta antisommossa hanno caricato i giovani che cercavano di radunarsi nel parco nonostante il divieto di manifestazioni deciso dal comune. Come scrive Hurriyet, "la repressione è stata molto dura", ci sono state decine di arresti e un ragazzo è rimasto gravemente ferito.
ISTANBUL / ERDOGAN – La polizia attacca GezyPark, cariche e 80 arresti / di Alberto Tetta
È durata solo due ore e mezza, lunedì, la riapertura del Parco Gezi dopo che il tribunale di Istanbul ha bloccato la scorsa settimana il progetto del comune che ne prevedeva la demolizione. 23 giorni dopo lo sgombero del parco nel pomeriggio il prefetto di Istanbul Avni Mutlu e il sindaco Kadir Topbas hanno annunciato in una conferenza stampa che lo spazio verde «era di nuovo aperto alla cittadinanza», ma anche che «i parchi della città non sono luoghi per organizzare proteste» e che la polizia sarebbe intervenuta per disperdere eventuali «manifestazioni non autorizzate».
Al termine della loro visita le forze dell’ordine hanno di nuovo occupato l’entrata del parco per impedire agli attivisti di Occupy Gezi di entrare, caricando poco dopo le migliaia di persone che avevano risposto all’appello della piattaforma Taksim Solidarietà a recarsi a Taksim per «riprendersi Gezi».
Gli agenti, che hanno attaccato con violenza una manifestazione simile sabato, sono intervenuti ancora prima che il corteo raggiungesse piazza Taksim. Gli scontri su via Istiklal sono proseguiti fino a tarda notte e le forze dell’ordine hanno fatto largo uso di idranti, lacrimogeni e proiettili di gomma in una vera e propria caccia all’uomo per le stradine intorno a via Istiklal che non ha risparmiato negozi, uffici e ristoranti dove gli agenti hanno fatto irruzione per arrestare chiunque fosse sospettatato di aver preso parte alle proteste. Più di 80 le persone arrestate nel corso della notte tra cui molti membri di spicco della piattaforma Taksim Solidarietà come l’architetto Mucella Yapici e il presidente dell’Ordine dei medici di Istanbul Ali Cerkezoglu. In serata presidi per protestare contro la violenza della polizia sono stati organizzati in molte città del paese dove i cittadini solidali con Occupy Gezi continuano da settimane a manifestare contro il governo.
Un movimento che a più di un mese dall’inizio delle proteste non sembra placarsi e sta mettendo in difficoltà il premier Erdogan, già alle prese con il difficile processo di pace con gli autonomisti curdi e ora fortemente preoccupato dall’uscita di scena di un alleato importantissimo per Ankara, l’ex-presidente egiziano Morsi: «In Egitto è stato realizzato un golpe. E un golpe, contro chiunque venga compiuto, è un atto grave e deplorevole», ha dichiarato domenica il premier turco chiedendo, l’immediato rilascio del esponente dei Fratelli musulmani.
Nella mattinata di ieri la polizia ha fatto irruzione nelle case degli attivisti della piattaforma Taksim Solidarietà arrestati lunedì, «perquisizioni illegali» secondo gli avvocati degli attivisti visto che per ora ai loro assistiti sono solo in stato di fermo e non gli è stato contestato alcun reato.
L’Unione dei medici turchi, inoltre, ha denunciato che la polizia ha fatto largo uso di proiettili di gomma e che Mustafa Ali Tombul, un giovane manifestante diciassettenne è rimasto gravemente ferito durante gli scontri. Le forze dell’ordine, tuttavia, lunedì, non hanno attaccato solo i manifestanti prendendo di mira, come già accaduto negli scorsi giorni, i giornalisti.
Sabato più di 10 giornalisti sono stati fermati dalla polizia nonostante avessero mostrato agli agenti il loro tesserino stampa e ieri pomeriggio davanti al liceo di Galatasaray, nel corso delle proteste, Mehmet Kaçmaz fotografo dell’agenzia turca Nar Photos è stato colpito a un occhio da un proiettile di gomma. Buone notizie invece per il fotografo italiano Mattia Cacciatori, fermato dalla polizia turca sabato e liberato ieri.

L’UNIONE AFRICANA – L’Unione africana ha sospeso l’Egitto da tutte le sue attività dopo che la giunta militare ha rovesciato il presidente eletto Mohamed Morsi, esponente di Libertà e giustizia, partito dei Fratelli musulmani. La sospensione dell’Egitto resterà in vigore fino a che non verrà ripristinato l’ordine costituzionale nel paese, ha reso noto Admore Kambudzi, Segretario del Consiglio di pace e sicurezza dell’Ua, che si è riunito ieri ad Addis Abeba. Le autorità egiziane hanno immediatamente chiesto il reintegro del paese all’interno dell’Unione africana. Questa decisione ha provocato non poche polemiche nell’élite militare, che aveva invece incassato il lascia passare internazionale all’azione repressiva

EGITTO
WASHINGTON / IL CAIRO – OBAMA-EGITTO / Nessun taglio ai fondi ai militari / I Fratelli musulmani respingono la road map annunciata da Mansour. Un alto funzionario del gruppo, Essam el-Erian, ha scritto sulla sua pagina Facebook ufficiale che il piano di transizione riporterà il Paese indietro e promette che la Fratellanza non allenterà le pressioni per far tornare in carica il presidente deposto Mohammed Morsi. Intanto restano in prigione 650 persone, in gran parte sostenitori del presidente deposto Mohammed Morsi, fermate per il solo sospetto di avere assaltato la sede della Guardia repubblicana al Cairo, dove ci sono stati scontri e dove lunedì notte sono state uccise 54 persone. I Fratelli musulmani di Morsi negano che sia stato commesso alcun attacco all’edificio, affermando invece che i soldati abbiano aperto il fuoco sul loro sit-in al termine delle preghiere del mattino.
La Casa bianca esprime attraverso un portavoce del Dipartimento di Stato «profonda preoccupazione» per le violenze che scuotono l’Egitto e fa appello all’autorità responsabile della transizione perché nel Paese si evitino rappresaglie, arresti e restrizioni alla libertà dei media. Da Washington anche la richiesta, all’esercito egiziano di «massima moderazione» verso i manifestanti. Per ora, comunque, nessun taglio agli aiuti americani, che ammontano a un miliardo e mezzo di dollari: «Non crediamo sia nell’interesse degli Stati Uniti tagliarli», ha detto Jay Carney, il portavoce del presidente Barack Obama.
Invece il segretario dell’Onu, Ban Ki-moon, è «seriamente preoccupato» per l’escalation di violenza. In una nota, ha precisato di essere «profondamente turbato» dalla notizia dell’uccisione di decine di persone, ha condannato questi omicidi e chiesto che siano svolte indagini approfondite e indipendenti da parte di organismi competenti, per fare sì che i responsabili siano portati davanti alla giustizia. Il numero uno del Palazzo di Vetro ha lanciato un appello a tutti gli egiziani affinché siano consapevoli del momento precario che sta attraversando il loro Paese e facciano tutto il possibile per evitare una ulteriore escalation di violenza.

NIGERIA
La risposta di Jonathan / The Africa Report, Francia / THE AFRICA REPORT / TJigmalrpresident Goodluck Jonathan "Contro il terrorismo non basta usare la forza", spiega il presidente nigeriano Goodluck Jonathan in un’intervista a The Africa Report sulla strategia del suo governo contro il gruppo estremista islamico Boko haram. "Stiamo lavorando con gli abitanti del nord del paese per sconfiggere la povertà e abbiamo creato una commissione per offrire un’amnistia ai militanti della setta". La strategia sembra, almeno in parte, funzionare: secondo il quotidiano Vanguard, l’8 luglio un portavoce di Boko haram ha confermato di voler raggiungere una tregua con il governo federale. Ha inoltre specificato che il suo gruppo non ha niente a che vedere con l’attacco del 6 luglio contro una scuola di Potiskum, nello stato di Yobe, in cui sono stati uccisi una ventina di studenti e un insegnante. Dopo la strage sono state chiuse tutte le scuole della zona, almeno fino a settembre, quando ricomincerà l’anno scolastico. Ma, scrive The Africa Report, Boko haram non è l’unica minaccia: il nordest della Nigeria è diventato "il crocevia di vari gruppi che compiono attacchi a sorpresa contro la popolazione e che hanno stretto legami con i jihadisti attivi in Mali"

MALI.
KIDAL – Situazione critica a Kidal Il 7 luglio è cominciata la campagna per le elezioni presidenziali del 28 luglio. In lizza 28 candidati, tra cui una donna, l’imprenditrice Ai’chata Hai’dara Cissé. Jeune Afrique esprime preoccupazione per la situazione a Kidal, l’ultima roccaforte tuareg recentemente passata sotto il controllo dell’esercito di Bamako. In città negli ultimi tempi si sono moltiplicati gli scontri tra abitanti e soldati.

BAHREIN – Un poliziotto è rimasto ucciso il 7 luglio in un attacco contro un commissariato a Sitra, un villaggio sciita.

IRAQ – Almeno 31 persone sono morte l’8 luglio in una serie di attentati in varie città del paese. Dall’inizio di luglio i morti in questo tipo di attacchi sono stati almeno 190.

MAROCCO – II 9 luglio il partito laico Istiqlal ha ritirato i suoi sei ministri dal governo, mettendo in crisi l’esecutivo islamista

ASIA & PACIFICO
INDIA
ARROGANZA OCCIDENTALE / The Hindu, India / "L’America Latina non vuole essere, né ha alcun motivo per voler essere, una pedina senza una volontà propria", dichiarò lo scrittore e premio Nobel colombiano Gabriel Garci’a Màrquez nel 1982. Fedeli al loro spirito indipendente, i reietti della comunità internazionale hanno preso ancora una volta posizione, questa volta nel caso Snowden. Mentre nazioni più potenti, tra cui l’India, si sono fatte in quattro per compiacere o aiutare gli Stati Uniti nella loro ricerca di Edward Snowden il fuggitivo, tre stati dell’America Latina hanno scelto coraggiosamente di offrire asilo a Edward Snowden l’informatore. Bolivia, Nicaragua e Venezuela, i tre paesi che gli hanno aperto le braccia, sono stati senza dubbio spinti a farlo dal modo vergognoso in cui è stato trattato il presidente boliviano Evo Morales in Europa. Il suo aereo, di ritorno a La Paz da Mosca, è stato costretto ad atterrare in Austria, dopo che Francia, Italia, Portogallo e Spagna gli avevano chiuso lo spazio aereo con il pretesto infondato che a bordo ci fosse Snowden. Morales è rimasto bloccato per ore a Vienna. Le autorità austriache, che dicono di non aver perquisito l’aereo, hanno però appurato che l’ex dipendente della Nsa non era sul volo. L’episodio è stato sia una violazione del diritto di Snowden di chiedere asilo in base
alle norme internazionali sia dell’immunità di cui gode Morales in quanto capo di stato.
I paesi che hanno chiuso il loro spazio aereo al presidente boliviano hanno agito presumibilmente sulla base di "informazioni" – leggi istruzioni – degli Stati Uniti. Se l’intero episodio sa di vigliaccheria e prepotenza da parte degli europei, le offerte di asilo provenienti dall’America Latina ci ricordano che Washington non detta più legge sulla scena mondiale. Quelli che hanno definito con disprezzo i tre paesi "regimi di sinistra" antiamericani dimenticano che altri governi della regione si sono dichiarati solidali con loro e hanno condannato il comportamento europeo nei confronti di Morales.
Non è la prima volta che i diritti sovrani dell’America Latina sono ignorati dalle potenze europee. L’anno scorso il Regno Unito ha minacciato un’incursione nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra per arrestare il fondatore di Wikileaks Julian Assange, che si era rifugiato lì. Ma lungi dal cedere a queste minacce, Quito gli ha concesso asilo. La storia si è ripetuta, con Snowden, e continuerà a ripetersi, fino a quando l’occidente non si renderà conto che non può influenzare la politica internazionale solo facendo sfacciatamente sfoggio del suo potere.

THAILANDIA
Riso clandestino / I commercianti tailandesi comprano in Birmania riso a buon mercato per rivenderlo alle autorità di Bangkok a un prezzo maggiorato, approfittando del programma di sostegno ai contadini. Questo commercio clandestino è cominciato all’inizio del 2013 ed è legato allo schema di sussidi in base al quale il governo s’impegna a comprare il riso dai contadini a 420 dollari alla tonnellata, un prezzo superiore a quello di mercato. Il programma, inaugurato da Thaksin Shinawatra per guadagnarsi i voti dell’elettorato rurale, è stato rispristinato nel 2011 dall’attuale prima ministra, Yingluck Shinawatra. Il governo ha provato a tagliare i sussidi, che hanno riempito i magazzini statali di riso invendibile all’estero perché spesso di scarsa qualità, ma la lobby degli agricoltori finora ha vinto, scrive Asia Sentinel.

PENISOLA COREANA
I delegati nord e sudcoreani si sono incontrati per cercare un accordo sulla riapertura del polo industriale cogestito di Kaesong, a nord del confine tra i due paesi. Gli stabilimenti sono chiusi da metà aprile, quando Pyongyang ha cacciato i lavoratori sudcoreani. I colloqui hanno portato a un nulla di fatto e il prossimo incontro si terrà il 15 luglio, scrive il Korea Herald.

INDIA e PAKISTAN
GUERRA DI CORRISPONDENTI / Open, India / Perché l’India deve affidarsi ai giornali occidentali per avere notizie del Pakistan e viceversa? Se lo chiede su Open Amit Baruah, ex corrispondente del quotidiano indiano The Hindu da Islamabad. A fine giugno, infatti, le autorità pachistane hanno rifiutato l’estensione del visto all’unico giornalista indiano rimasto in Pakistan, lasciandogli solo due settimane per andarsene dopo cinque anni e mezzo trascorsi nella capitale. Dato che i mezzi d’informazione pachistani, per scelta, non hanno corrispondenti in India, per la prima volta nella storia i due paesi sono scoperti dal punto di vista giornalistico. Lo stato dei rispettivi corrispondenti in India e Pakistan riflette le condizioni delle relazioni bilaterali, ridotte ai minimi termini nonostante la retorica usata dai due governi voglia far credere il contrario. "Mentre i diplomatici di entrambi i paesi ottengono visti di lunga durata, i giornalisti devono rinnovarli ogni anno", scrive Baruah. "A quanto pare le autorità di Islamabad hanno deciso di adottare una nuova regola: nessun corrispondente pachistano a New Delhi e nessun indiano in Pakistan".
INDIA
Sicurezza alimentare / Il 5 luglio il presidente indiano Pranab Mukherjee ha firmato la legge che lancia il più ambizioso piano alimentare al mondo. Nell’ambito del programma, due terzi della popolazione, ossia 800 milioni di indiani, riceveranno ogni mese cinque chilogrammi di grano e di riso a prezzi calmierati. Il provvedimento è stato approvato dal governo con un ordine esecutivo ed entro sei mesi dovrà essere ratificato dal parlamento. I partiti della sinistra hanno contestato la decisione di saltare il passaggio parlamentare e di aver scelto la via dell’ordine esecutivo. Sulla stessa linea
l’opposizione nazionalista indù del Bjp, che accusa il Partito del congress, principale forza della coalizione di governo, di sfruttare il provvedimento a fini elettorali in vista del voto del 2014. "La legge è un opportunità per ridurre le disuguaglianze negli indicatori sulla sicurezza alimentare", dice l’economista Jean Dreze. Per alcuni si tratta di una mossa politica che andrà a pesare sulle casse federali e rischia di impantanarsi a causa della corruzione. Il costo dell’intero programma sarà di 1,3 miliardi di rupie, pari a quasi 22 milioni di dollari. Per gli altri partiti politici sarà però difficile opporsi al via libera alla legge durante la sessione parlamentare del periodo dei monsoni, che si aprirà il prossimo mese, scrive The Diplomat.

BIRMANIA
Contro la legge sull’editoria / Il consiglio per la stampa birmano, nato nel 2012 e composto da rappresentanti dell’associazione dei giornalisti, da parlamentari e da esperti legali del paese, ha minacciato di sciogliersi se la proposta di legge sull’editoria approvata dalla camera bassa del parlamento dovesse passare. Il progetto di legge dà al ministro dell’informazione ampi poteri nella concessione e nella revoca delle licenze di pubblicazione. Il consiglio aveva proposto alcune modifiche alla bozza iniziale, che però sono state ignorate. Anche se provvedimenti come l’arresto dei giornalisti in caso di infrazione sono stati rimossi, rimane la minaccia delle multe e della revoca della licenza, scrive Irrawaddy. La situazione della libertà di stampa nel paese è migliorata molto rispetto a un anno fa ma le tensioni tra i mezzi d’informazione privati e il governo stanno crescendo.

AFGHANISTAN – I taliban hanno chiuso l’ufficio aperto un mese fa a Doha, in Qatar (nella foto), per negoziare la pace in Afghanistan con i governi di Kabul e di Washington.

PAKISTAN – II 10 luglio il capo della sicurezza del presidente Ali Asif Zardari è morto in un attentato a Karachi.

CINA – II 6 luglio la polizia ha sparato su dei tibetani che stavano celebrando il compleanno del DEALAI LAMA ferendone alcuni.

AMERICA CENTROMERIDIONALE
DATAGATE – Annuncio non confermato dell’asilo politico venezuelano a Snowden / L’approdo latinoamericano – di Geraldina Colotti Tutti i paesi del continente chiedono agli Usa di scusarsi dopo il dirottamento dell’aereo di EVO MORALES Edward Snowden ha scelto il Venezuela? Ieri sera, un tweet di Alexei Pushkov, presidente della commissione affari costituzionale della Camera russa ha fatto rimbalzare la notizia sui media internazionali, ma poi il messaggio è scomparso e il «toto talpa» è ricominciato. Certo è che NICOLAS MADURO, presidente della Repubblica bolivariana, ha annunciato di aver ricevuto una richiesta ufficiale di asilo politico, e si è detto pronto ad accoglierla. Stessa disponibilità hanno espresso NICARAGUA E BOLIVIA, come già aveva fatto L’ECUADOR. CUBA E URUGUAY hanno sostenuto la decisione. Gli Stati uniti hanno inviato a tutti i paesi una richiesta d’estradizione e di pronta consegna della «talpa» anche ai paesi di transito. L’Irlanda – uno dei paesi a cui Snowden si è rivolto e da cui potrebbe passare se decidesse di andare in Sudamerica – ha respinto la richiesta per un vizio di forma: gli Usa devono riformulare la domanda – ha stabilito l’Alta Corte irlandese. Lunedì, l’ex consulente Cia ha iniziato la sua terza settimana al terminal dell’aeroporto moscovita di Sheremetievo. Le sue rivelazioni sul gigantesco piano di intercettazioni illegali messo a punto dagli Usa stanno complicando le relazioni diplomatiche tra Washington e l’America latina. Un reportage, pubblicata dal giornale brasiliano O Globo, parla di cinque basi segrete in Brasile, Venezuela, Colombia, Panama e Messico che monitoravano in modo costante e con diversi gradi di intensità Argentina, Cile, Nicaragua, Ecuador, Paraguay, Costa Rica..
Secondo i documenti, almeno fino al 2002, nelle basi in questione hanno operato anche squadre di agenti segreti. Le conferme – si legge nel reportage del giornale carioca – si hanno solo per la base di Sabana Seca, a Porto Rico. Mediante il programma Prism l’Agenzia nazionale di sicurezza degli Stati uniti (Nsa) ha carpito informazioni commerciali o militari a tutto il continente. Tra gennaio e marzo scorso, la Nsa ha utilizzato anche altri programmi come il «Boundless Informant», capaci di intercettare chiamate telefoniche e accessi a internet. Un altro programma, X-Keyscore, in grado di identificare la presenza di uno straniero in un determinato paese attraverso la lingua usata nelle mail, è stato usato in Colombia, Ecuador e Venezuela nel 2008. Il 1° marzo di quell’anno avvenne il massacro di Sucumbios, in Ecuador, durante il quale persero la vita una ventina di guerriglieri delle Farc, quattro studenti messicani e un cittadino ecuadoregno: molti dei quali finiti a sangue freddo col calcio del fucile o con spari nella schiena durante un assalto di truppe colombiane effettuato dopo il bombardamento. Le attività di spionaggio in Colombia – riferisce O Globo – si sono intensificate dopo la morte del presidente venezuelano Hugo Chávez, il 5 marzo scorso. Il governo brasiliano – che non intende accogliere Snowden – ha aperto un’inchiesta. Il ministro degli Esteri, Antonio Patriota, si è però sentito «incoraggiato» dalla «disponibilità al dialogo» mostrata dagli Stati uniti che, in ottobre, dovrebbero ricevere la visita della presidente Dilma Rousseff – la prima di un capo di stato brasiliano dal ’95. Ieri, il ministro degli Esteri ecuadoregno, Ricardo Patiño, ha detto che i microfoni scoperti nell’ambasciata del suo paese a Londra, potrebbero far parte dello stesso piano di spionaggio, a cui hanno partecipato anche i servizi segreti britannici. Nella sede diplomatica ecuadoregna è ancora imbottigliato il cofondatore del sito Wikileaks Julian Assange, al quale Quito ha concesso asilo politico, ma che Londra vuole estradare. «Se avessero bloccato l’aereo di Obama sarebbe scoppiata una guerra», ha detto ancora Patiño riferendosi a quanto accaduto al presidente boliviano Evo Morales. Di ritorno da Mosca, il capo di stato aveva dovuto atterrare a Vienna, perché Francia, Portogallo, Spagna e Italia gli avevano impedito di sorvolare il proprio spazio aereo: su indicazione della Cia, convinta che sull’aereo si trovasse Snowden. Un incidente diplomatico che ha suscitato indignazione generale in America latina e richieste di «scuse pubbliche» ai paesi europei. Finora ha risposto la Francia, mentre la Spagna ha parlato di «malinteso».
Ieri è stata convocata una riunione dell’Organizzazione degli stati americani (Osa), dove la Bolivia, con l’appoggio di Venezuela, Nicaragua e Ecuador, ha presentato un progetto di risoluzione per «condannare le palesi violazioni del diritto internazionale» compiute nei confronti di Morales. Del fatto se ne parlerà anche nella riunione del Mercosur del prossimo venerdì, quando il Venezuela assumerà la presidenza temporanea perché il Paraguay che la reclama rimane sospeso. La sollecitazione è arrivata da Argentina, Brasile e Uruguay, che hanno espresso solidarietà a Morales.

CUBA
L’AVANA – Dalla rivista «ESPACIO LAICAL» un ambiguo invito alle Far a guidare le riforme politiche
La Chiesa: «L’esercito protagonista» – di Enrique Lopez Oliva*
tro lato, il vertice cattolico si rivolge direttamente alle Forze armate come interlocutore politico, al quale propone un "CAMBIO DESDE ARRIBA", ovvero riforme dirette dall’alto (alla cinese per intendersi). Altri analisti, più che ambiguità vedono una contraddizione, dato che le Far rappresentano, oggi come oggi, un "superpartito politico" (la maggioranza dei membri del Comitato centrale del Pc sono militari o vicini a Raúl Castro, specie dopo il recente rimpasto dell’Ufficio politico del partito comunista con l’uscita di scena di personalità legate al fratello Fidel) e "un superpotere Iportavoce laici – dunque più liberi di esprimersi politicamente – della Chiesa cattolica di Cuba hanno esortato il vertice delle Forze armate rivoluzionarie (Far) – ritenute l’unica istituzione cubana, a parte la Chiesa, che continuerà «incolume» per «altri duecento anni»- ad assumere un maggior protagonismo nell’attuale processo di riforme, iniziato per volere del presidente Raúl Castro. La tesi è contenuta in due saggi pubblicati dalla rivista Espacio laical a firma del direttore Roberto Veiga González e del vicedirettore Lenier González Mederos. Quest’ultimo, nel suo articolo -"Le Forze armate e il futuro di Cuba" – sostiene senza mezzi termini che «le Far, come la Chiesa cattolica, hanno la responsabilità patriottica e morale di avere un ruolo attivo e facilitare il migliore dei futuri possibili per Cuba». Da parte sua, Veiga afferma che le Forze armate «rappresentano l’istituzione più forte, coesa e professionale dell’attuale sistema» cubano e per questa ragione ritiene «indispensabile» che debbano assumere «un ruolo di protagonista» nell’attuale processo di cambiamenti. Aggiunge che i militari hanno «la responsabilità di appoggiare» le richieste della popolazione cubana «offrendo quella sicurezza che è compito assicurare da parte di chi dispone della forza delle armi». Ma qual è, in concreto, l’invito lanciato al vertice militare cubano? Lo dice chiaramente Lenier (anzi lo definisce «un imperativo storico»): «Smontare il modello di socialismo di Stato di matrice sovietica» e avanzare «nella costruzione di un ordine repubblicano più democratico e inclusivo, che dia spazio alla pluralità politica nazionale». Solo in questo modo sarà possibile «riarticolare il consenso politico nazionale (includendo alcune forze politiche dell’emigrazione di Miami)» e «ricostruire le relazioni con il governo degli Stati Uniti». Da parte sua Veiga si spinge ancora più avanti e indica come priorità la «rimozione delle strutture antidemocratiche dell’attuale sistema politico» in modo che sia possibile « far transitare il Paese verso un regime bipartitico», nel quale «un’opposizione leale potrà negoziare i cambiamenti che preservino le conquiste sociali della Rivoluzione». Infine, i militari dovrebbero facilitare l’inserimento di Cuba nell’economia mondiale capitalista e nel sistema istituzionale interamericano. I due articoli tratteggiano i contorni di un vero e proprio patto politico tra cattolici e Far, viste appunto come l’istituzione governativa «più forte, coesa e professionale». Questo nuovo sforzo dell’episcopato cattolico, guidato dal vescovo dell’Avana, cardinal Jaime Ortega Alamino, di avvicinarsi al vertice delle Forze armate suscita l’inquietudine in diversi settori della società cubana, sia nell’isola che all’esterno. La Chiesa infatti sta giocando un ruolo ambiguo. Da un lato, dialoga con personalità che criticano, da sinistra, le riforme del governo e appoggia le proposte socialdemocratiche del "Laboratorio Casa Cuba". Dall’aleconomico" ( i gangli dell’economia cubana sono sotto controllo diretto di militari o di dirigenti provenienti dalle Far). Di modo che le Forze armate sono viste come il maggior sostegno del governo e un possibile ostacolo a profonde riforme e economiche e politiche. La storia dell’America latina è profondamente segnata dal protagonismo politico delle Forze armate e di leader provenienti dai ranghi militari, progressisti, come il defunto presidente del Venezuela, Hugo Chavez o l’attuale capo di Stato del Perù, Ollanta Humala, o della della destra golpista degli anni ’60 e ’70 del secolo scorso. Quest’ultima, nel quadro internazionale della guerra fredda tra Occidente e Urss, hanno goduto dell’appoggio, oltre che degli Stati Uniti, di settori conservatori del clero cattolico. Uno degli obiettivi degli interventi militari di quell’epoca era proprio di impedire che la rivoluzione cubana si estendesse nel subcontinente latinoamericano. Oggi l’America del Sud vive una stagione di cambiamenti dove prevale la linea progressista o socialdemocratica, e anche la Chiesa, sotto la spinta del nuovo papa, sembra guardare in questa direzione. *(Storico e giornalista)

ECUADOR
L’ultimo numero / Il numero di luglio del settimanale Vanguardia non è uscito in edicola. Il proprietario, Francisco Vivanco, afferma che la rivista ha chiuso per colpa della Ley de medios, approvata dal parlamento a giugno. "Non possiamo accettare in silenzio", ha scritto Vivanco sul sito di Vanguardia, "che il governo si trasformi in un censore e decida quali notizie dobbiamo pubblicare". Santiago Precider, il copy editor della rivista, non è d’accordo: "È vero che la nuova legge ostacola il giornalismo d’inchiesta", ha dichiarato al New York Times, "ma la decisione della proprietà di chiudere il giornale è la risposta sbagliata".

COLOMBIA
Il partito delle Farc Il 9 luglio il consiglio di stato della Colombia ha stabilito che l’Union patriótica, il partito politico nato nel 1985 e legato al gruppo guerrigliero delle Farc, è legale e potrà partecipare alle elezioni del prossimo anno. "Il partito", scrive Juanita Leon sulla Siila Vacia, "era stato bandito nel 2002 perché non aveva presentato candidati al senato. Ma secondo il consiglio di stato i suoi dirigenti, i militanti e i candidati sono stati vittime di persecuzioni e di sterminio da parte degli squadroni della morte, con la complicità dello stato".

MESSICO
TIJUANA – Elezioni poco democratiche / Il 7 luglio in quattordici stati del paese ci sono state le elezioni amministrative per rinnovare i governi locali e i consigli comunali. In Baja California, feudo del Partito d’azione nazionale (Pan, all’opposizione) dal 1989, i
Tijuana, 7 luglio 2013

BRASILE
LA ROCINHA A RIO DE JANEIRO – L’8 luglio il governo ha lanciato il programma Mais médicos, che prevede l’assunzione di diecimila medici per lavorare nelle zone più povere e nelle periferie delle città.

CILE
II caso di una bambina di 11 anni incinta per le violenze subite dal patrigno ha riaperto il dibattito sull’aborto, che nel paese è completamente illegale.

AMERICA SETTENTRIONALE
USA – NYC – EBOOK / Il cartello Apple condannato negli Stati Uniti – BenOld / UNA SENTENZA CHE PUÒ AVERE L’EFFETTO DI UN PICCOLO TSUNAMI NEL MERCATO DEGLI EBOOK STATUNITENSE, DOVE LA LEADERSHIP VEDEVA LA COSTANTE CRESCITA DI APPLE A SCAPITO DI AMAZON E GOOGLE. UN GIUDICE FEDERALE DI NEW YORK HA INFATTI CONDANNATO LA SOCIETÀ DI CUPERTINO PER AVERE COSTITUITO UN CARTELLO ASSIEME A UN GRUPPO DI EDITORI PER TENERE ALTI I PREZZI DEGLI EBOOK.
La denuncia contro Apple non veniva da un suo concorrente, ma dal Dipartimento della giustizia statunitense, che ha accusato la società di Cupertino di violare le regole sulla concorrenza e di aver formato un vero e proprio cartello per contrastare le altre società del settore. Ed è stato proprio del Dipartimento della giustizia il primo commento alla sentenza: «una vittoria per i consumatori».
Il processo contro Apple è stato un susseguirsi di piccoli colpi di scena, che hanno consentito di conoscere meglio un settore – quello dei libri elettronici – che negli Stati Uniti è in forte crescita a differenza di quanto avviene in Europa, dove le vendite sono sì in aumento, ma solo a livelli alquanto modesti (gli ultimi dati parlano di un giro di affari di pochi milioni di euro). Nelle sedute del processo sono stati chiamati a testimoniare dirigenti di Amazon, di Apple, degli editori e di Google. E se per Amazon documentava le pressioni esercitate dagli editori per mantenere il prezzo a 9,90 dollari (poco più di sette euro), Apple ammetteva che lo store per la vendita on line dei libri elettronici era stato deciso in funzione anti-Amazon, rivendicando gli accordi fatti con gli editori, ma negando l’esistenza di un cartello. Imbarazzata la testimonianza di Google, fortemente criticata e accusata dagli editori per la presunta violazione del copyright: un fattore che ha bloccato le pretese di Google di diventare la società leader in questo settore.
Resta da capire come evolverà il settore degli eBook, che oltre al conflitto tra società vede la presenza di diversi standard per la digitalizzazione dei contenuti, che hanno finora rallentato la crescita delle vendite. Quel che è certo è che un primo effetto la sentenza lo avrà: a risentirne sarà il prezzo di vendita, che molto presumibilmente diminuirà.
CHICAGO – nelle piazze The Nation, Stati Uniti / A maggio il sindaco di Chicago Rahm Emanuel ha annunciato la chiusura di 53 scuole, che si aggiungeranno alle cento chiuse dal 2001 a oggi. Nel distretto scolastico di Chicago, il terzo più grande del paese, l’87 per cento degli studenti proviene da famiglie a basso reddito e quasi il 90 per cento degli studenti che frequentavano quelle scuole era nero, anche se i neri rappresentano solo il 40 per cento del totale della popolazione scolastica. Il sindacato degli insegnanti è stato protagonista delle proteste più accese ed efficaci che si siano viste in città negli ultimi anni. Ma non è l’unico: la rinascita di una "cultura della protesta militante" è avvenuta anche grazie alla battaglia contro la candidatura di Chicago a ospitare le Olimpiadi del 2009, alle proteste di Occupy Chicago nel maggio del 2012 contro il vertice della Nato e il G8 (spostato a Camp David) e all’impegno di alcuni comitati locali contro la speculazione edilizia. "È il prodotto di anni di lavoro organizzativo da parte di soggetti diversi", scrive The Nation. "La prossima battaglia nella guerra globale contro l’austerità, le privatizzazioni e la corruzione potrebbe avvenire qui".
STATI UNITI
Un anno in più / Il 2 luglio il governo statunitense ha deciso di ritardare l’entrata in vigore di una norma fondamentale della riforma sanitaria voluta dal presidente Barack Oba-ma, che prevede una multa di almeno duemila dollari a impiegato per le aziende con più di cinquanta lavoratori che non forniscono copertura sanitaria ai dipendenti. Il provvedimento entrerà in vigore nel 2015 anziché il 1 gennaio 2014, quando l’intera riforma, l’Affordable care act, sarà attuata. Secondo il New York Times è una decisione coraggiosa, perché dà alle aziende più tempo per mettersi in regola. Il rovescio della medaglia è che "fornisce ai repubblicani una nuova arma per attaccare la riforma e dipingerla come un fallimento".
messicani hanno votato per eleggere il governatore. Entrambi i candidati, Francisco "Kiko" Vega del Pan e Francisco Castro Trenti del Partito rivoluzionario istituzionale (Pri, al governo), si sono dichiarati vincitori. In un editoriale intitolato "democrazia malata", La Jornada critica le prime elezioni dal ritorno del Pri al governo. "Il bilancio è desolante: astensione alta, irregolarità, episodi violenti, poca disponibilità dei partiti e dei candidati ad accettare i risultati delle urne e incapacità degli organismi elettorali di presentare risultati affidabili". Su Sinem-bargo Sanjuana Martinez parla di elezioni truccate: "Il Pri, che ha governato il Messico per 71 anni, è disposto a tutto per mantenere il potere ed espandere la sua egemonia".
STATI UNITI
II 10 luglio lo stato dell’Illinois ha approvato una legge che permette di portare armi nascoste nei luoghi pubblici. A dicembre una corte federale d’appello aveva giudicato

((Articoli da : El Mundo (Spagna), Les Echos, Francia, , Le Monde, The Diplomat, The Observer, Los Angeles Time, NYC Time, Clarin, NuovoPaese, TheZimbabwe, a The Lancet , Arthritis Care & Research, Nature Biotechnology, Le Pays, Guardian, Orientai Daily, Hong Kong , The Economist, Regno Unito Il Manifesto, Internazionale )

 

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