10711 NOTIZIE dall’ITALIA e dal MONDO 6 luglio

20130706 09:35:00 guglielmoz

EUROPA. La Lettonia adotterà l’euro da gennaio 2014
VATICANO. Aria nuova in Vaticano
AFRICA & MEDIO ORIENTE. La figlia Makaziwe protesta contro i media.
ASIA&PACIFICO. Pechino / Xinjiang – Riesplode la «questione uighura» Problemi a nordovest. È strage in Xinjiang
AMERICA CENTROMERIDIONALE. Brasilia. Battisti rischia l’estradizione
AMERICA SETTENTRIONALE.Nyc.I colori degli stati uniti

EUROPA
EUROPEI FURIOSI / LE REAZIONI / Le nuove rivelazioni sullo spionaggio statunitense hanno provocato dure reazioni da parte della stampa europea. Il quotidiano viennese DIE PRESSE sottolinea che la Germania sta facendo la figura del "capro espiatorio e allo stesso tempo della vittima". Ora i tedeschi sanno di essere solo "un partner di terza categoria per gli Stati Uniti". Ma il quotidiano tedesco DIE WELT osserva che "spiare gli amici è un gesto antipatico più nella vita privata che in politica. Nel privato può portare al divorzio, mentre in politica sono ammesse solo separazioni passeggere. Presto ci sarà bisogno di riavvicinarsi". Il quotidiano polacco GAZETA WYBORCZA sottolinea la diversa percezione della sorveglianza: "Negli Stati Uniti l’inter-vento dello stato nella privacy è considerato una limitazione utile per la sicurezza, mentre in Europa la privacy è un diritto inalienabile". Lo spagnolo EL PERIODICO DE CATALUNYA scrive che "le relazioni tra gli Stati Uniti e l’Unione europea sono compromesse. Probabilmente i negoziati sul libero scambio saranno la prima vittima dell’ennesimo abuso di potere da parte di Washington". Ma secondo la FRANKFURTER ALLGEMEINE ZEITUNG "le rivelazioni non devono servire come strumento di pressione, perché renderebbero più complicate le trattative sul libero scambio. Più si aprono i mercati e migliore è la situazione per tutti. Il libero scambio promuove la trasparenza e la democrazia". Il NEW YORK TIMES, infine, considera "ingenuo pensare che i servizi segreti di paesi alleati non si scambino informazioni. Per questo le reazioni dei politici europei sono esagerate, così come le loro minacce di sospendere i negoziati sul trattato di libero scambio tra le due sponde dell’Atlantico".
Oltre al GUARDIAN, il 1 luglio anche DER SPIEGEL ha pubblicato un’inchiesta sullo spionaggio statunitense ai danni dell’Unione europea e di alcuni suoi stati. "I documenti dimostrano che la Germania è stata un obiettivo importante in questo attacco", scrive il settimanale tedesco. "Ogni mese i servizi segreti della Casa Bianca archiviano i dati relativi a mezzo miliardo di comunicazioni in Germania". Anche se in misura minore, è successo lo stesso :a altri paesi, come la Francia e – Italia. In Polonia, inoltre, sono stati spiati tra i due e quattro milioni di numeri telefonici nelle prime tre settimanne del dicembre 2012. Lo spionaggio del Nsa prevede delle eccezioni “ Ne è esente un piccolo gruppo di paesi denominato ‘2nd party’, che comprende il Regno Unito, l’Australia, il Canada e la Nuova Zelanda". Era invece sotto sorveglianza un gruppo di trenta nazioni chiamato "3rd party partner", cioè paesi alleati ma comunque sorvegliati. Dai documenti di Der Spiegel, inoltre, emerge un’estesa collaborazione tra i servizi segreti occidentali. "Le agenzie si sono scambiate informazioni. Questo non è successo solo tra statunitensi e britannici. Anche i servizi tedeschi hanno aiutato l’Nsa".

LETTONIA – La Lettonia adotterà l’euro da gennaio 2014 / AVANTI UN ALTRO Il Consiglio europeo ha dato il via libera all’ingresso della Lettonia (nell’Ue dal 2004) nell’euro dal primo gennaio 2014. Mentre altri governi bussano alla porta per entrare. Dell’area balcanica i candidati ufficiali a far parte dell’Unione europea sono Macedonia, Montenegro e Serbia. Albania e Bosnia-Erzegovina seguono a ruota. La Turchia ha ottenuto pochi giorni fa il riavvio della pratica. Ieri il vertice di Bruxelles ha fissato la data certa per l’inizio dei negoziati d’adesione di Belgrado, al più tardi nel gennaio 2014, mentre per il Kosovo si è deciso di avviare i negoziati per un accordo di associazione e stabilizzazione. In controtendenza l’Islanda, dove soffia vento di euroscetticismo, che ha sospeso i negoziati in attesa del referendum nazionale per decidere in merito.

RUSSIA
MOSCA / WASHINGTON/ EQUADOR – Datagate / LUNEDÌ UN VERTICE SUL CASO DELLA «TALPA» La sorte di Snowden si decide a Mosca – di Geraldina Colotti / La questione di Edward Snowden – sempre bloccato all’aeroporto moscovita di Sheremetievo -, verrà discussa lunedì 1° luglio dalle rappresentanze diplomatiche di Russia, Cuba, Venezuela e Ecuador. A margine del Forum dei paesi esportatori di gas, che si svolgerà a Mosca in quella data, i diplomatici parteciperanno a una tavola rotonda con attivisti per i diritti umani per discutere sui «risvolti sociali» della vicenda.
Snowden ha chiesto asilo all’Ecuador, come aveva fatto in precedenza Julian Assange, fondatore del sito Wikileaks. Anche stavolta Quito ha manifestato disponibilità, provocando le ire di Washington e quelle dell’opposizione interna. Gli Usa hanno minacciato di interrompere gli accordi commerciali a prezzo di favore erogati come compensazione per la lotta alla droga, in scadenza a fine luglio: l’equivalente di 23 milioni di dollari all’anno. Il presidente ecuadoregno Rafael Correa, che il Pentagono considera «il nuovo Chávez, il presidente più demagogico dell’emisfero», ha dichiarato di voler rinunciare unilateralmente ai soldi: «Li devolviamo come aiuto economico agli Usa perché li investano nella difesa dei diritti umani e contro le esecuzioni extragiudiziarie», ha detto polemicamente, rivendicando la sovranità decisionale di Quito. Gli Usa hanno fatto notare di essere il principale partner commerciale dell’Ecuador, con un volume di scambi di circa 10.000 milioni di dollari, ovvero il 35% del commercio complessivo. E che inoltre per rinunciare ai contratti occorre una decisione parlamentare. Correa ha risposto che sta pensando a compensazioni per gli esportatori e gli imprenditori (che hanno protestato per la decisione).
Correa ha ricevuto il plauso del suo omologo venezuelano Nicolas Maduro, che si è detto pronto «a proteggere il giovane Snowden» qualora si rivolgesse al suo paese.
Ieri ha parlato anche il padre dell’ex consulente Cia: «Forse ha tradito il suo governo, ma non il suo popolo», ha detto Lonnie Snowden, e ha sostenuto che il figlio potrebbe anche ritornare negli Usa se gli venissero fornite adeguate garanzie. In Russia si registrano invece le prime perplessità sull’opportunità di concedere asilo politico a Snowden. Secondo Vladimir Lukin, ombudsman russo per i diritti umani, la sua è una figura che non andrebbe «sostenuta o compatita per la sola ragione che non piace agli americani»
MOSCA – Roman Abramovich lascia la politica / L’oligarca russo Roman Abramovich, uno degli uomini più ricchi di Russia, si ritira dalla politica perché una nuova legge del suo Paese non consente più ai deputati di avere conti bancari all’estero. Una nuova legge approvata a maggio dalla Duma e sollecitata dal presidente Vladimir Putin dopo una serie di scandali di corruzione. Il proprietario del Chelsea Football Club si è dunque dimesso da presidente del Parlamento della Regione Autonoma della Chukotka, nella Russia orientale. Il magnate 46enne, il cui patrimonio si aggira intorno ai 10.200 milioni di dollari, secondo la rivista Forbes, aveva investito molto proprio nello sviluppo di questa regione economicamente arretrata.

CROAZIA
ZAGABRIA – UE Il 1 luglio il Paese diventa il 28mo stato membro Croazia, un’altra stella già cadente
IL PIL È CROLLATO, LA DISOCCUPAZIONE È OLTRE IL 20% E IL DEBITO È ALTISSIMO, LA PROSPETTIVA COMUNITARIA NON SCUOTE GLI ENTUSIASMI / L’entusiasmo con cui i croati accolgono l’ingresso in Europa, il primo luglio, si può misurare tra le altre cose con un numero: 20,74. È la percentuale di affluenza al voto dello scorso 14 aprile, con cui in vista dell’adesione all’Ue sono stati eletti i primi dodici europarlamentari del paese. La diserzione di massa degli elettori – solo la Slovacchia è riuscita a fare peggio in una tornata europea (16,96% nel 2004) – dà la cifra di quanto la prospettiva comunitaria non scuota gli entusiasmi. Da una parte incide la fisiologica paura del nuovo. Anche nel 2004, a Est, l’ingresso in Europa fu percepito con freddezza, salvo poi assistere a una costante crescita dei sentimenti europeisti, soprattutto in Polonia, Slovacchia e nei paesi baltici. Allora pesò il lungo processo negoziale, denso di tecnicismi e paletti. Basterà pensare alle limitazioni alla libera circolazione dei lavoratori, mediaticamente sintetizzate nella vicenda, celebre ma priva di fondamenti reali, dell’idraulico polacco. Oggi a Zagabria la situazione è grosso modo la stessa. La stella polare europea s’è offuscata in virtù di una fase negoziale lunga, che ha peraltro richiesto ristrutturazioni e privatizzazioni – è il caso dei cantieri navali – non sempre facili da digerire. Diversi paesi europei, da qui ai prossimi sette anni, hanno inoltre deciso di chiudere i rispettivi mercati del lavoro ai croati. A fronte di queste similitudini con i precedenti allargamenti, c’è da tenere conto di una differenza sostanziale. Il punto è che la Croazia entra nell’Ue nel pieno di una gravissima crisi economica. Negli ultimi cinque anni il quadro complessivo è tremendamente peggiorato. Il Pil è crollato, la disoccupazione ha sfondato il tetto del 20%, il debito è prossimo a toccare quota sessanta e gli investimenti diretti dall’estero si sono contratti. Queste variazioni negative dipendono dalla situazione nell’Ue, a cui la Croazia è economicamente legata. Ma ci sono anche cause più propriamente domestiche, a partire dalla bolla immobiliare e dalla speculazione edilizia, non certo irrilevanti. Un’altra nota dolente è la scarsa competitività delle aziende, che spesso, più che a vendere i loro prodotti o servizi sui mercati, puntano alla commessa pubblica.
Logico che, date queste abitudini, l’ingresso in Europa spaventi qualche imprenditore. I giornali ipotizzano delocalizzazioni nella vicina Bosnia-Erzegovina, nella cui porzione meridionale, trasformata in stato fantoccio al tempo della guerra, Zagabria continua a esercitare una influenza tramite la leva demografica e la leva del voto, quest’ultima determinata dal regime di doppia cittadinanza di cui godono molti croati-bosniaci. Un’altra ragione che spiega l’indifferenza nei confronti dell’Ue è legata alle soluzioni austere finora seguite dal governo a trazione socialdemocratica di Zoran Milanovic, in carica dal dicembre 2011. Diverse le manifestazioni di protesta nei confronti dei tagli varati dall’esecutivo. Quella che ha fatto più notizia è stata lo sciopero dei dipendenti della compagnia di bandiera, Croatia Airlines, in seria difficoltà e sulla via della privatizzazione (anche se mancano gli investitori): a maggio sono rimasti fermi per otto giorni consecutivi. Lo scenario, fragile, potrebbe trarre giovamento dalla pioggia di fondi strutturali – 11-12 miliardi di euro nel periodo 2014-2020 – che cadrà su Zagabria, a patto che vengano spesi bene. Ma i benefici non si valuteranno di certo nel breve periodo. Intanto, i socialdemocratici (Sdp) perdono colpi, piegati dalla crisi e dall’umore della gente. Dalle elezioni per l’Europarlamento, comunque sia viziate dalla scarsissima affluenza, sono usciti malconci. Hanno tenuto botta, invece, alle recenti amministrative, difendendo alcune roccaforti e arginando l’assalto dell’Hdz, il principale partito dell’area conservatrice.
Sorprendentemente, l’Hdz è in netto recupero, malgrado gli scandali clamorosi che l’hanno colpito nella scorsa legislatura, su tutti quello che ha portato alla condanna in primo grado dell’ex primo ministro Ivo Sanader a novembre. I giudici hanno ritenuto fondato il reato di corruzione formulato dall’accusa, affibbiandogli dieci anni di carcere

BULGARIA
SOFÌA, torna a manifestare / Dal 17 giugno a Sofia ogni sera migliaia di persone manifestano contro il governo. Dopo che l’esecutivo di centrodestra di Bojko Borisov si era dimesso a febbraio in seguito a un’ondata di proteste di piazza, le elezioni luglio 2013 anticipate di maggio hanno portato alla nascita di un governo di minoranza a guida socialista. Ma la nomina del nuovo capo dei servizi segreti, accusato di avere legami con la criminalità organizzata, ha riacceso il malcontento dei cittadini, scesi in piazza per chiedere le dimissioni del governo. Secondo il sito LeftEast, le proteste attuali, concentrate a Sofia, sono molto diverse da quelle di febbraio: "Allora la causa era la povertà, legata alla crisi economica. Oggi, invece, il problema è la crisi profonda della rappresentanza politica. E se il bersaglio sono sempre gli oligarchi, nelle manifestazioni di febbraio c’erano rivendicazioni dai toni anticapitalisti, mentre oggi i dimostranti si limitano a chiedere generiche libertà democratiche

FRANCIA
PARIGI – UN CLUB SEMPRE PIU’ GRANDE / Il 1 luglio, più di dieci anni dopo la fine delle guerre dei Balcani, la Croazia è entrata nell’Unione europea come 28° membro. Per l’Europa è senza dubbio un elemento positivo in un clima di forte euroscetticismo. Malgrado la crisi e l’affermazione dei nazionalismi, il suo potere di attrazione rimane intatto. Inoltre questa adesione, dopo quella della Slovenia, è anche un modo per far dimenticare la sua incapacità di metter fine ai massacri nell’ex Jugoslavia senza l’intervento decisivo degli Stati Uniti. Ma che succederà dopo Probabilmente questo allargamento non sarà l’ultimo. La Serbia spera di aprire i negoziati di adesione . in gennaio e il Kosovo vorrebbe un accordo di stabilizzazione e di associazione, prima tappa verso l’adesione. Ma anche Macedonia, Bosnia Erzegovina, Montenegro e Albania si muovono in questo senso. L’Islanda ha avviato negoziati di adesione e Georgia, Ucraina e Armenia sognano di entrare nell’Ue. Per non parlare della Turchia. Ma per l’Unione europea questi allargamenti rischiano di diventare delle trappole. Già a 27 l’Europa è ingovernabile. Tutte le decisioni, come dimostrano quella sul bilancio dell’Ue o sul mandato del commissario europeo per negoziare l’accordo di libero scambio con gli Stati Uniti, causano trattative infinite tra gli stati membri. L’Unione europea non ha saputo adottare una posizione comune sulla guerra in Siria. Come sarà possibile, un giorno, arrivare in più di trenta a una posizione comune rispetto a Stati Uniti, Cina, Russia o India? E poi resta il problema dell’enorme divario di condizioni di vita tra questi paesi e il resto dell’Ue. Non solo: per molti nuovi membri e candidati l’adesione all’Unione è considerata innanzitutto come un prolungamento del loro impegno nell’Alleanza atlantica e non come il riconoscimento di una identità europea. Stiamo quindi andando sempre di più verso un’Europa a geometria variabile, con dei paesi che possono essere considerati integrati come i 17 della zona euro (anche se con grandi difficoltà), i 22 dello spazio Schengen (che non funziona bene) e gli altri. L’Unione europea dovrà prima o poi decidersi a circoscrivere le sue frontiere e a ridefinire la sua ragion d’essere. Anche se oggi con l’arrivo della Croazia può vantarsi di aver raggiunto di nuovo l’obiettivo dei suoi padri fondatori: "Far regnare la pace in Europa".
(Jacques Hubert-Rodier, Les Echos, Francia )

PORTOGALLO
LISBONA – Il governo al capolinea. Diario de Noticias, Portogallo / Prima le dimissioni del ministro delle finanze, Vi’tor Gaspar, il 1 luglio; 24 ore dopo, quelle del titolare degli esteri, Paulo Portas, respinte dal primo ministro Pedro Passos Coelho. Il Portogallo sta attraversando una grave crisi politica, proprio mentre monta l’insofferenza popolare contro le politiche di rigore. Secondo Diàrio de Noticias, con la disgregazione della coalizione di centrodestra, "il paese perde l’unica maggioranza in grado di assicurare la stabilità e la risolutezza politiche necessarie per applicare misure molto dure come l’aumento delle tasse, la privatizzazione di alcune imprese pubbliche e una difficile riforma dello stato". "Più che tragica", scrive Publico, "la crisi attuale è grottesca. Il governo è imploso per le sue contraddizioni e per l’incompetenza del premier. Quello a cui abbiamo assistito è l’harakiri di una coalizione". Secondo il quotidiano, "la situazione portoghese avrà ripercussioni sul dibattito europeo sui piani di salvataggio, rafforzando la posizione di chi vuole lasciare i paesi periferici al loro destino. E l’irresponsabilità di Passos Coelho e del ministro Portas aggraverà la crisi europea

ITALIA
NAPOLI – IL PAESE DELLE BANANE / DE GREGORIO a briglia sciolta chiede il patteggiamento / di Adriana Pollice /Al tribunale di Napoli l’ex esponente dell’Idv ripete di essere stato pagato dal Cavaliere per passare a destra e far cadere Prodi. Altre accuse in un libro Udienza preliminare del processo che vede imputato Berlusconi
SERGIO DE GREGORIO chiede il patteggiamento e inguaia Berlusconi. Presso il tribunale di Napoli ieri si è tenuta l’udienza preliminare del processo che vede imputati il Cavaliere, l’ex direttore dell’Avanti! Valter Lavitola e l’ex senatore Idv e leader del Movimento Italiani nel mondo, accusati di corruzione per la presunta compravendita di senatori organizzata per far cadere l’ultimo governo Prodi, nome in codice Operazione libertà. Per Silvio c’erano gli avvocati Cerabona e Ghedini, che hanno presentato due eccezioni al gup Amelia Primavera: la prima chiede che sia Roma a decidere su un reato di corruzione di onorevoli; la seconda riguarda l’insindacabilità del voto dei parlamentari, art. 68 della Costituzione, per cui gli atti riguardanti De Gregorio andrebbero trasmessi alla giunta del senato. Si sono costituiti parte civile Idv e Codacons.
La corte si pronuncerà il 19 luglio, quando deciderà anche in merito alla richiesta di patteggiamento avanzata da De Gregorio, un anno e otto mesi con pena sospesa, per ammettere di avere avuto la presidenza della Commissione difesa e tre milioni di euro (uno nelle casse di Italiani nel mondo, due in nero a rate attraverso Lavitola) per passare dall’Idv a Forza Italia. Altri milioni sarebbero stati promessi a colleghi dell’Idv e del Pd avvicinarti da De Gregorio e Valterino.
A Napoli va in scena lo show down del sistema di potere disegnato dal Cavaliere, compreso tra i due campioni opposti. Da un lato l’abbottonatissimo Lavitola, che non parla, anche se ha dovuto dividere la cella «con un uomo che aveva ucciso una persona con quarantotto coltellate», si lamentava ieri con chi gli era accanto. Non parla però ha scritto una lettera all’ex premier (agli atti) in cui ha elencato i presunti favori fatti: 500mila euro per distruggere Fini, l’impegno per comprare senatori del centrosinistra a partire dal 2006, la distruzione di foto dell’ex premier con alcuni camorristi. Una lettera lunga 20 pagine datata 2011, con cui ricattare Silvio per milioni di euro. Dall’altro De Gregorio che non smette più di parlare. Risponde alle domande degli inquirenti e della stampa, fa pubblica ammenda con tanto di lettera di scuse a Romano Prodi. Tutto a favore di telecamere per fare un po’ di pubblicità al suo libro di memorie di prossima uscita, titolo Operazione libertà.
«Non devo inguaiare nessuno», dice De Gregorio. La confessione? Gliel’ha chiesta in sogno il padre defunto «altrimenti sarei stato inseguito tutta la vita come Al Capone. Lavitola avete visto cosa sta passando…». Si lascia andare ai sentimenti: passare al centrodestra è stato un tradimento degli elettori ma «avevo un rapporto con Berlusconi, l’uomo che avevo emulato e che è stato per me una delusione. Ho accettato un patto scellerato. Dal leader del mio primo amore, Forza Italia, sono stato accolto con affettuosità strumentale». Il Pdl attribuisce l’accanimento di De Gregorio alla mancata candidatura alle politiche, lui sostiene che Verdini lo voleva in lista «ma ho detto no. Non credo alla possibilità di sfuggire alla giustizia rifugiandosi in parlamento». Parola di boyscout.
Nel mezzo ci sono i testimoni arrivati in procura per raccontare, ad esempio, che Berlusconi voleva Lavitola alle scorse europee perché «si era prodigato» per l’Operazione libertà, dice Italo Bocchino. L’imprenditore Bernardo Martano, detenuto per bancarotta, riferisce quello che avrebbe detto De Gregorio sul Cavaliere: «E’ la persona più ricattabile d’Italia, lo considero la mia assicurazione, in senso che se le cose mi dovessero andare male, lui non mi può mai dire di no».
Sull’Espresso in edicola oggi ci sono poi anticipazioni del libro Operazione libertà, oggetto Berlusconi e la Cina, episodio raccontato anche ai magistrati di Napoli: Silvio avrebbe bloccato la rogatoria a Hong Kong dei pm milanesi sui fondi neri nella compravendita dei diritti tv da parte di Mediaset. In qualità di presidente della commissione Difesa, De Gregorio sostiene di aver avvertito Berlusconi, aiutandolo a impedire che gli atti potessero diventare la prova regina nel processo. Pressioni sull’ambasciatore di Pechino a Roma, contatti in Cina, fino a creare l’Associazione parlamentare di amicizia Italia-Hong Kong: «La parola d’ordine era accontentare la politica di Hong Kong per ricevere un pronunciamento positivo dell’Alta corte di giustizia contro l’iniziativa della procura di Milano». Vera o meno la storia, la rogatoria dei pm venne bloccata e ci fu persino un’istruttoria sull’attività dei magistrati milanesi.
ROMA – RIVELAZIONI / Il racconto di un artificiere intervenuto sulla R4: Cossiga vide il cadavere e una lettera sparì «In via Caetani era ancora mattina» di Andrea Colombo / Secondo la nuova testimonianza il corpo di Aldo Moro sarebbe stato trovato prima della rivendicazione Br. Ma i protagonisti ora sono tutti morti . A prenderla per buona la notizia è effettivamente clamorosa: il corpo di Aldo Moro sarebbe stato ritrovato, il 9 maggio 1978 in via Caetani, con circa un’ora di anticipo sulla telefonata con cui Valerio Morucci, alle 12,13, avvisò il professor Franco Tritto dell’avvenuta esecuzione. L’allora artificiere Vito Antonio Raso sostiene ora di essere arrivato in via macchina forse esplosiva, e di aver scoperto prima delle 12 il cadavere del presidente della Dc. Non solo: l’allora ministro degli interni Francesco Cossiga sarebbe arrivato molto prima dell’orario ufficiale, intorno alle 14, addirittura prima della scoperta del corpo, insieme al capo della Digos romana Spinella e al colonnello dei carabinieri Cornacchia, braccio destra del generale Dalla Chiesa. La testimonianza è allo stesso tempo confermata e smentita dal superiore diretto di Raso, maresciallo capo Giovanni Circhetta. Anche lui sostiene che il corpo del leader democristiano fu ritrovato in realtà tra le 11 e le 12. Le due versioni però differiscono in alcuni elementi centrali. Circhetta esclude che la segnalazione dell’auto sospetta sia partita da una telefonata anonima. Cita anche lui un colonnello dei carabinieri che poteva essere Cornacchia ma non nomina Cossiga. Afferma inoltre di essersi recato in via Caetani, poco dopo le 11, perché messo al corrente del rinvenimento del corpo di Moro. Raso invece sostiene di aver iniziato a perlustrare l’abitacolo della Renault quanto Cossiga e Cornacchia si erano già allontanati, e di aver trovato la salma nel bagagliaio molto più tardi. Non sono particolari secondari. Se la doppia testimonianza fosse in qualche modo confermata, significherebbe che Cossiga se ne tornò tranquillamente in ufficio pur sapendo che il corpo di Moro giaceva in via Caetani, senza avvertire nessuno, aspettando la rivendicazione ufficiale. In questo caso sarebbe inevitabile chiedersi perché il ministro decise di prendere tempo. Circhetta parla anche di una busta, forse contenente una lettera, che si trovava sul sedile anteriore della Renault e della quale non si è mai più saputo niente. Ma anche se così fosse, nulla impediva a Cossiga e di far sparire la lettera e comunicare lo stesso ai familiari di Moro e al paese intero la notizia. Se poi si desse credito alla versione di Raso, le domande si moltiplicherebbero: non ci capisce infatti cosa stavano a fare Cossiga e il braccio destro di Dalla Chiesa in via Caetani addirittura prima che il cadavere fosse rinvenuto. Raso sostiene che Cossiga non sembrava stupito. Ma, anche a prescindere dal valore delle sensazioni personali dell’artificiere, resterebbe inspiegabile la presenza di Cossiga prima e non dopo il ritrovamento del cadavere. «A caldo – sostiene lo storico Marco Clementi, uno dei pochi che si sia occupato seriamente e non dietrologicamente della vicenda – la mia impressione è che Circhetta racconti davvero come è andato il ritrovamento, ma giocando o equivocando sugli orari. Insomma che stia parlando di quel che successe dopo e non prima la telefonata di Morucci. Anche perché, nella stessa intervista, dice di non aver segnato nel verbale l’orario del ritrovamento della salma perché era "un dato di dominio pubblico"». C’è una ragione in più per prendere con le pinze la versione dei due artificieri: il fatto cioè che abbiano scelto di raccontare una verità così clamorosa solo dopo la morte di tutti i protagonisti della vicenda, Cornacchia, Cossiga e infine Giulio Andreotti, allora presidente del Consiglio. Raso aveva già fatto qualche accenno in un suo libro peraltro anch’esso recente, L’uomo bomba , ma in termini molto più vaghi ed ellittici. Se da un interrogatorio molto più approfondito di quanto non si possa richiedere ai giornalisti dell’ Ansa e del sito web www.vuotoaperdere.org che ieri hanno raccolto le due interviste, la versione fosse confermata significherebbe che, almeno sul fronte dello stato se non su quello brigatista, buona parte di quella storia è ancora nascosta. In caso contrario, si tratterebbe dell’ennesima bufala spacciata per rivelazione deflagrante. Non che ce ne siano state poche.
L’etica in banca

FIRENZE – The Economist, Regno Unito / Un’altra Italia si è messa in mostra dal 25 al 27 maggio nella Fortezza da Basso di Firenze, un edificio del sedicesimo secolo sede del vertice annuale della Banca Etica. All’esterno c’erano stand che vendevano cibi biologici. All’interno, azionisti vestiti in modo informale discutevano di responsabilità sociale e crisi economica. Fino a pochi mesi fa la Banca Etica era nota solo agli addetti ai lavori. Poi i parlamentari del Movimento 5 stelle hanno aperto dei conti correnti presso la banca. La notizia si è diffusa e ora la gente è incuriosita. L’attività bancaria etica non è un concetto nuovo, ma la Banca Etica prende sul serio il suo nome. Nel suo rapporto annuale invoca una rivolta dei cittadini contro la finanza del gioco d’azzardo, l’uso di paradisi fiscali e la speculazione sulle materie prime. Lo stipendio dei dirigenti della banca non può superare di sei volte quello dei dipendenti di livello più basso. E l’istituto rifiuta di farsi coinvolgere in qualsiasi attività abbia a che fare con pornografia, petrolio e armi. Una regola che si applica anche agli azionisti.
Queste idee potrebbero essere alla base delle dimensioni ridotte della Banca Etica: ha solo 17 filiali, circa 230 dipendenti, prestiti per meno di un miliardo di euro e nel 2012 ha registrato ricavi per 1,6 milioni di euro. La banca eroga prevalentemente credito al settore non profit e alle imprese "verdi". È stata la prima banca italiana a prestare soldi alle cooperative di giovani che volevano coltivare i terreni confiscati alla mafia. Gli azionisti sono 38.400:5.900 dei quali aziende, tra cui 83 istituti finanziari. È tra le banche meglio gestite del paese: solo lo 0,4 per cento dei prestiti è inesigibile, e solo il 4,9 per cento è classificato come "problematico". La Banca Etica ha la possibilità di espandersi al di fuori della sua nicchia? Dipende soprattutto dal sistema bancario italiano. Se ci saranno altri scandali come quello che ha coinvolto il Monte dei Paschi di Siena, la Banca Etica potrebbe attirare più clienti di quanti è in grado di gestire.

VATICANO
ROMA – Aria nuova in Vaticano / La Vanguardia, Spagna . IL 26 giugno papa Francesco ha deciso di sottoporre lo Ior, l’Istituto per le opere religiose, conosciuto anche come banca vaticana, al controllo di una commissione espressamente nominata dal pontefice", scrive La Vanguardia, "il nuovo organismo sarà presieduto dal cardinale salesiano Raffaele Farina, 80 anni. Il suo compito sarà controllare i conti dell’istituto, fare un’analisi completa della sua situazione e proporre una serie di riforme. Negli ambienti vaticani da qualche tempo circolano voci sulla possibile decisione del papa di smantellare lo Ior e affidare l’amministrazione dei fondi della Santa Sede a un’entità esterna, con garanzie di trasparenza totale sulla provenienza e l’uso delle risorse. Comunque vadano le cose, sembra arrivato il momento di un cambio radicale in uno dei settori più delicati del Vaticano". Due giorni dopo l’annuncio del papa, il 28 giugno, è stato arrestato monsignor Nunzio Scarano (nella foto), ex responsabile dell’amministrazione del patrimonio della sede apostolica, accusato di corruzione. Il 2 luglio, invece, si sono dimessi il direttore generale dello Ior, Paolo Cipriani, e il suo vice, Massimo Tulli.

AFRICA & MEDIO ORIENTE
TURCHIA
La paura del complotto / Dopo aver puntato il dito contro un non meglio precisato complotto di potenze straniere, il governo turco cerca di addossare la responsabilità delle proteste delle ultime settimane a un altro soggetto esterno al paese: gli ebrei turchi che vivono all’estero. Questa volta, racconta Hiir-riyet, le accuse sono arrivate dal vicepremier Be§ir Atalay, che poi ha fatto marcia indietro, affermando che non era sua intenzione accusare la diaspora ebraica. Atalay aveva parlato di gruppi di potere "gelosi della crescita turca e schierati a fianco della diaspora ebraica". Intanto, il 2 luglio, il tribunale di Istanbul ha respinto il ricorso del ministero della cultura, stabilendo che il parco Gezi non può essere demolito. Una vittoria i
TURCHIA – Gazi park, i lavori restano sospesi / La Corte amministrativa di Istanbul ha respinto un ricorso presentato dalle autorità turche contro la sospensione provvisoria dei lavori a Gezi Park decisa a fine maggio dai magistrati. Così riferisce il quotidiano Hurriyet nella sua versione online. La corte si è limitata a non accogliere la richiesta di revoca della sospensiva. Entro due mesi deciderà sul merito della distruzione di Gezi Park.

MEDIO ORIENTE
GLI SFORZI DIKERRY / Il segretario di stato statunitense John Kerry ha incontrato i leader israeliani e palestinesi per rilanciare il processo di pace in Medio Oriente, fermo dal 2010. Nonostante l’ottimismo del presidente palestinese Abu Mazen, un sondaggio condotto tra israeliani e palestinesi mostra che gli sforzi di Kerry sono accolti con sfiducia, scrive Ha’aretz. Alle ultime elezioni interne del Likud, il partito del premier israeliano Netanyahu, i posti chiave sono stati conquistati da figure dell’estrema destra, meno propensa a fare concessioni.

PALESTINA
Da Ramallah Amira Hass / Indifferenza palestinese / Sono le tre del pomeriggio, e il mio caffè preferito a Ramallah è vuoto. Il ragazzo che ho appena intervistato se n’è andato dopo una lunga chiacchierata sulla ripresa dei negoziati tra israeliani e palestinesi. La tendenza tra i giovani è di rifiutarsi di parlarne, perché tanto per loro è tutta una farsa. Per fortuna alcuni accettano di parlare con me a condizione di mantenere l’anonimato. Il caffè è vuoto a causa della crisi economica? Le sue bibite alcoliche e analcoliche sono più care rispetto ai bar israeliani, ma le insalate e le zuppe costano meno. In ogni caso le tariffe sono inaccessibili per un lavoratore palestinese. I clienti sono membri delle ong (che guadagnano bene), stranieri e giovani che sorseggiano lentamente una birra per passare il tempo. Ogni mattina viene anche un vecchio funzionario dell’Olp, che osserva per ore il mondo esterno. Avevo chiesto al mio ospite come mai i giovani non manifestano contro la ripresa dei negoziati. "Abbiamo altre priorità", mi ha risposto. "Sappiamo che in ogni caso non porteranno a niente, quindi perché perdere tempo?". Ho chiesto ad alcuni analisti e osservatori più anziani se si aspettano una nuova intifada. Mi hanno risposto di no, perché i ragazzi sono consapevoli di quello che succede negli stati arabi vicini (Siria, Giordania, Egitto) e considerano la loro situazione migliore. "Almeno non rischiamo di morire ogni giorno e siamo meno poveri degli egiziani", mi ha spiegato un’amica, implorandomi di non citare il suo nome.

SIRIA
II 2 luglio il segretario di stato americano John Kerry ha annunciato che Stati Uniti e Russia non hanno rinunciato a organizzare una conferenza di pace sulla Siria, che potrebbe svolgersi a settembre.

IRAQ
Almeno 47 persone sono morte il 2 luglio in una serie di attentati in varie zone del paese.

ARABIA SAUDITA
II 30 giugno Human rights watch ha annunciato che sette ciberattivisti sono stati condannati a pene fino a dieci anni di prigione.

EMIRATI ARABI
Uniti II 2 luglio 69 persone vicine ai Fratelli musulmani sono state condannate a pene fino a 15 anni di prigione per "complotto contro lo stato".

MALI
È entrata in carica il 1 luglio la nuova missione dell’Onu per la stabilizzazione del Mali (Minusma), che aiuterà l’esercito maliano a riprendere il controllo del nord del paese.

SOMALIA II 30 giugno lo sceicco Hassan Dahir Aweys, leader del gruppo jihadista Al Shabaab, è stato arrestato all’aeroporto di Mogadiscio. Alcune divisioni nel fronte ribelle lo avevano spinto a negoziare il suo ritorno nella capitale.

TAZANNIA
Dar es Salaam, UNA VÌSITA SOTTOTONO / Si è concluso il 2 luglio, con un omaggio alle vittime dell’attentato del 1998 all’ambasciata statunitense a Dar es Salaam, il viaggio del presidente Barack Obama in Africa, che ha toccato Senegal, Sudafrica e Tanzania. È stata una visita sottotono, commenta il Mail & Guardian, e non ha suscitato entusiasmo tra gli africani: "È difficile mandare giù lo slogan ‘Yes, we can’ di fronte agli omicidi mirati compiuti con i droni 0 a casi come quello di Edward Snowden". In Sudafrica Obama è stato contestato da gruppi di manifestanti a Johannesburg e a Pretoria.

SENEGAL
DAKAR – Hissène Habré in arresto / GIUSTIZIA INTERNAZIONALE / Il 30 giugno la polizia senegalese ha arrestato l’ex presidente ciadiano Hissène Habré (nella foto), che vive in esilio a Dakar da 22 anni. Habré è accusato di aver ucciso e torturato migliaia di oppositori durante la sua presidenza (1982-1990) e sarà processato in un tribunale ad hoc, le Camere africane straordinarie. Da quando è entrato in carica il presidente senegalese Macky Sali, scrive il quotidiano Le Pays, "Habré non ha più potuto dormire sonni tranquilli, come faceva quando al potere c’erano Abdou Diouf e Abdoulaye Wa de", che hanno sempre cercato di rallentare il corso della giustizia internazionale.

SUDAFRICA
PRETORIA – I parenti litigano sulle tombe, interviene il giudice Sembra avviarsi a una soluzione la faida che per giorni ha diviso i familiari di Nelson Mandela sul luogo della sepoltura, con alcuni familiari dell’ex presidente che hanno sporto denuncia contro un nipote di Madiba accusandolo del coinvolgimento nell’esumazione – senza consenso – dei corpi di tre figli di Mandela spostati da una tomba di famiglia due anni fa. Un tribunale sudafricano ieri ha ordinato che le bare tornino a essere seppellite a Qunu. Una vicenda giudiziaria che mette la parola fine a diatribe fra i membri del clan Mandela, mentre il Premio Nobel per la Pace lotta in queste ore tra la vita e la morte in un letto di un ospedale a Pretoria.
CAPE TOWN – La figlia Makaziwe protesta contro i media. Oggi arriva il presidente Usa Obama
«Basta avvoltoi su Mandela» di Rita Plantera / Sembra resistere la tempra del combattente. Il quadro clinico pareva precipitare, poi nella notte sarebbe migliorato, pur restando «critico ma stabile» La tempra da combattente di Nelson Mandela resiste anche durante quella che ha tutta l’aria di essere la sua battaglia finale la quale, quest’ultima, dopotutto, umanizzando l’aura di leggenda che lo sovrasta, ci ricorda che esiste oltre al mito l’uomo Mandela e la sua mortalità. L’ultimo comunicato del portavoce di Zuma, Mac Maharaj, sullo stato di salute di Madiba è stato diffuso nel tardo pomeriggio di ieri facendo tirare un cauto e fragile sospiro di sollievo dopo che mercoledì sera, a seguito della visita di Zuma al Mediclinic Heart Hospital di Pretoria per un aggravamento ulteriore delle sue condizioni, erano state diramate dalla Presidenza poche terribili e laconiche righe che lasciavano intravedere ormai come prossimo l’annuncio della morte dell’amato leader. Il quadro clinico di Mandela pare fosse talmente precipitato da far cancellare la visita del presidente Zuma in Mozambico fissato per ieri a Maputo dove avrebbe dovuto prendere parte a un summit.
Durante la notte poi Mandela sarebbe però migliorato pur restando in condizioni «critiche ma stabili», hanno confermato i medici dell’equipe di Pretoria al presidente Zuma il quale ieri verso il tramonto si è nuovamente recato a visitare l’ex compagno di lotta al regime bianco dell’apartheid. Restano ore di attesa e di ansia, per la gente di Mandela, per il mondo che segue a distanza e soprattutto per la famiglia di Madiba. La quale fatica a preservarsi uno spazio privato lontano dalle telecamere nonostante i continui appelli al rispetto della privacy diffusi anche dalla stessa amministrazione Zuma. E proprio la figlia maggiore di Mandela, Makaziwe, ieri non ha esitato a scagliarsi contro certa stampa internazionale definendola razzista per essersi spinta oltre ogni limite rispettabile violando la privacy del padre e la sacralità di momenti considerati tali da certe culture. «C’e una parte di lui che deve essere rispettata» ha aggiunto dopo aver ribadito che Mandela è ancora vivo e nonostante si sia aggravato, interagisce rispondendo se qualcuno gli parla e cercando di aprire gli occhi. In questa incertezza generale che sta cadenzando l’agenda politica e quella della gente comune, è atteso per oggi l’arrivo dal Senegal del presidente americano Barack Obama in visita ufficiale nel Paese per colloqui bilaterali con il presidente Zuma che si terranno sabato all’Union Buildings di Pretoria. La Presidenza sudafricana ha già annunciato una accoglienza calorosa ricordando che gli Stati Uniti rappresentano un importante partner commerciale del SudAfrica che ospita 600 aziende americane le quali danno lavoro a 150,000 persone del posto e che la visita di Obama sarà un’occasione significativa per migliorare la cooperazione tra gli Stati Uniti e il continente africano in generale. Toni assolutamente contraddetti dalla campagna contro le politiche governative statunitensi – definite di sfruttamento neoliberista, colonialismo razzista e di sfruttamento dei lavoratori e dell’ambiente – e contro la visita di Obama lanciata il 19 giugno scorso dal South African Communist Party (Sacp) e da associazioni tra cui il South African Students Congress (Sasco), il Muslim Students Association(Msa), il Congress of South African Trade Unions (Cosatu), il Friend of Cuba Society (Focus) e il Boycott, Divestment and Sanctionsagainst Israel in South Africa (BDS South African). Anche in questo caso, però, tutto resta all’ombra di Tata Madiba. In comune hanno il fatto di vantare un primato: l’uno, Nelson Mandela, quello di essere il primo Presidente nero del Sudafrica eletto durante le prime elezioni libere e democratiche nel 1994, l’altro, Barack Obama, quello di essere il primo presidente afro-americano degli Sati Uniti. I due si sono incontrati una sola volta durante la visita dell’ex presidente sudafricano a Washington quando Obama era stato appena eletto senatore.
Il viaggio di Obama in Africa sarebbe stata l’occasione, probabilmente da tanto ambita, per Obama, di incontrare il vecchio leader da lui definito ieri «eroe del mondo». Sfortunatamente, le gravissime condizioni di salute di Nelson Mandela oltre a schermare secondo alcuni il viaggio del presedente americano – o secondo altri a oscurare invece i buchi neri dell’amministrazione Obama nel non aver saputo onorare le aspettative suscitate dalla sua elezione del 2008 nelle amministrazioni e nella gente degli stati africani – rendono ancora incerta e vedono sempre più sfumare l’eventualità di un incontro tra i due. Tra le dichiarazioni della Casa Bianca secondo cui Obama si rimetterà alle decisioni della famiglia di Mandela e quelle del ministro degli esteri sudafricano, Maite Nkoana-Mashabane, la quale ha già escluso durante una conferenza stampa l’eventualità di una visita a Madiba in ospedale per il Presidente degli Stati Uniti.

ASIA & PACIFICO
AUSTRALIA
Con Rudd nessuna svolta progressista Peter Boyle, Green Left, Australia / Quali che fossero le loro idee sui meriti (eventuali) di Julia Gillard e Kevin Rudd, molte persone dentro e fuori il Partito laburista (Alp) hanno tirato un sospiro di sollievo quando Rudd ha sostituito Gillard come leader del partito e primo ministro. Il motivo è semplice: Rudd lascia spazio a qualche speranza che Tony Abbott e la sua Liberal national coalition non ottengano una vittoria schiacciante alle elezioni di settembre, come previsto da tutti i sondaggi, e che, anche se Abbott dovesse vincere, con Rudd come avversario non riesca a controllare entrambe le camere. Rudd ha ammesso che è questo il motivo per cui è di nuovo premier, aggiungendo che "decine di migliaia di australiani" gli chiedono da tempo di ri-prendere le redini dell’Alp per offrire una reale alternativa alle elezioni. A questo punto qualcuno spera che Rudd annunci una svolta progressista per distinguere chiaramente l’Alp dall’opposizione. Il nuovo pri¬mo ministro potrebbe (e dovrebbe) seguire questo percorso, ma difficilmente lo farà. La mossa progressista più facile per Rudd è portare l’Australia nel ventunesimo secolo riconoscendo il diritto al matrimonio per lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersex. Anche se Rudd sostiene questo diritto fondamentale, non lo ha ancora trasformato in una promessa elettorale. Ma i cambiamenti principali in vista prefigurano una svolta a destra. Sia Rudd sia il ministro degli esteri Bob Carr hanno parlato di un approccio "più duro" alle richieste di asilo politico, ed entrambi hanno insinuato che la maggioranza dei richiedenti che arrivano via mare sono solo "migranti economici". Un’affermazione smentita dai fatti. Il dipartimento dell’immigrazione ha infatti stabilito che più del 90 per cento dei richiedenti asilo sbarcati nel primo trimestre del 2013 sono veri rifugiati, e la percentuale è costante da decenni. Per quanto riguarda l’economia, invece, secondo fonti "vicine a Rudd", il governo pensa di anticipare la sostituzione della carbon tax con uno schema di commercio delle emissioni che comporterà un’immediata riduzione delle tasse per le industrie più inquinanti

HONG KONG
IN MARCIA PER LA DEMOCRAZIA / Il 1 luglio almeno 43omila abitanti di Hong Kong hanno partecipato alla tradizionale marcia per la democrazia in occasione del 16° anniversario del ritorno dell’ex colonia britannica alla Cina. Nonostante la pioggia e il vento, la manifestazione è stata una delle più affollate dal 2003, quando per strada scese mezzo milione di persone. I manifestanti del 1 luglio chiedevano il suffragio universale – oggi il chief executive è eletto da un comitato di 1.200 delegati, per metà legati a gruppi economici e di potere -, i sussidi per la casa, la standardizzazione degli orari di lavoro e la riforma dell’istruzione. Oltre a essere già stato segnato da diversi scandali, il governo di Hong Kong, in carica da un anno, si è dimostrato incapace di risolvere le questioni della casa, della lotta contro la povertà e le disuguaglianze, e della riforma del sistema politico, scrive l’Orientai Daily. La città è precipitata nella "tristezza" e il malcontento ha raggiunto "proporzioni intollerabili", commenta il quotidiano

KAZAKISTAN
STRANGOLATI DAL CAROVITA / Dall’inizio del 2013 i prezzi dei servizi pubblici in molte regioni del paese sono saliti alle stelle. Il costo del riscaldamento è aumentato del 48 per cento nella regione di Atyrau e quello dell’acqua corrente è aumentato del 90 per cento in varie zone. Il carovita ha colpito anche i generi alimentari e, dato che i salari non sono aumentati, i cittadini spendono metà dello stipendio per mangiare, scrive Open Dia- log. Con l’inflazione al 2,2 per cento la situazione rischia di far salire la tensione sociale.

CAMBOGIA
Bavaglio alle radio / In Cambogia si è aperta la campagna per le elezioni che si ter-ranno il 28 luglio. Il 28 giugno il governo ha imposto alle radio straniere che trasmettono in lingua khmer di interrompere le trasmissioni. Lo stop, che doveva "garantire la neutralità delle notizie" nel periodo preelettorale, ha suscitato molte critiche ed è stato annullato. La radio è il principale mezzo d’informazione dei cambogiani, spiega il Cambodia Daily.

MONGOLIA
II 26 giugno il capo di stato uscente Tsakhia Elbegdorj, leader del Partito democratico, è stato confermato per un secondo mandato con il 50,23 per cento dei voti.

THAILANDIA
II 29 giugno otto soldati sono morti nell’esplosione di una bomba nella provincia a maggioranza musulmana di Yala, nel sud del paese

CINA
PECHINO – Internet /IN TILT IL SITO GOVERNATIVO / Reclami on line, 43 milioni di petizioni in un solo giorno / Per i petizionisti non è quasi mai un buongiorno: di solito rischiano botte e altre angherie, le stesse che nove volte su dieci li spinge a sobbarcarsi viaggi infiniti per trovare giustizia. Ora in teoria avrebbero un sito internet grazie al quale risparmiare tempo e fatica, ma al primo giorno di esordio è crollato per i troppi accessi. Si tratta di un’abitudine imperiale che dura ancora oggi in Cina: si chiamano petizionisti (shangfangzhe), persone che arrivano a Pechino da ogni provincia del Paese per portare le proprie rimostranze; incidenti sul lavoro non pagati, soprusi di funzionari corrotti, arbitrarie decisioni delle autorità. Spesso appena scesi dal treno a Pechino vengono presi in consegna da solerti poliziotti e finiscono nelle black jail, luoghi sospesi tra centro di reclusione e di smistamento, per essere poi rimandati nelle proprie case, nella periferia dell’Impero. Si tratta di un’usanza che da ieri è possibile mettere in pratica anche on line. Lo State Bureau of Letters and Calls ha infatti comunicato alla stampa ufficiale cinese di aver approntato un sito internet grazie al quale «si potranno presentare i propri reclami su diritti ignorati e abuso di potere da parte di autorità, aziende o istituzioni pubbliche»; il problema è che nel giorno d’esordio il sito è crollato, sotto i colpi dei troppi accessi (pare 43 milioni, il che dà l’idea di quante persone in Cina si considerino in torto rispetto ad eventi che hanno subito). «Problemi tecnici» hanno subito dichiarato gli zelanti funzionari addetti al sito, che nella giornata di ieri è ritornato in funzione nel pomeriggio, ma perfino il Quotidiano del Popolo si è domandato se tutta l’operazione non sia in realtà una scusa utilizzata dai funzionari locali, per evitare la fuga dei petizionisti dai luoghi di origine.
PECHINO / Xinjiang – Riesplode la «questione uighura» Problemi a nordovest È strage in Xinjiang
Durante uno scontro tra uighuri e polizia cinese nei pressi della località di Turpan, in Xinjiang, sarebbero morte 35 persone secondo fonti cinesi, 46 secondo Radio Free Asia. Ancora violenza e scontro etnico nella regione nord occidentale della Cina, da sempre considerata uno dei «problemi interni» di Pechino (l’altro è il Tibet). L’evento è avvenuto in prossimità del 9 e 10 luglio, anniversari di una sanguinosa rivolta etnica che nel 2009 causò 200 morti, molti feriti e tanti arresti (cui seguirono condanne capitali). Il Xinjiang, regione nella quale vivono 9 milioni di uighuri, minoranza etnica musulmana, sta attraversando da anni una forte trasformazione: per placare il pericolo indipendentista Pechino oltre a scegliere spesso la linea dura attraverso una militarizzazione del territorio, ha provato con le altre carte a propria disposizione. Ha favorito l’emigrazione dei cinesi han – quelli che comunemente definiamo cinesi – i quali attraverso attività commerciali e turistiche hanno proceduto a modificare paesaggi e città. Alcuni tra i centri considerati culle della civiltà islamica – come Kashgar – stanno ormai divenendo delle sorti di Disneyland, con l’aumento della tensione dovuto alla percezione, da parte degli uighuri, di sentirsi defraudati delle proprie origini e tradizioni culturali. Il governo inoltre, nell’ambito di una campagna di urbanizzazione che sta cambiando tutto il paese, ha lanciato da tempo l’iniziativa «go west» che premia gli investimenti cinesi ed esteri nelle zone occidentali del paese. Quando nel 2009 scoppiarono i violenti scontri in tante parti della regione, come era avvenuto in Tibet nel 2008, Pechino comprese che l’armonia nazionale era ancora distante e intensificò i controlli e la repressione. Per questo la Cina ha spesso posto «la questione uighura» anche al centro di trattative internazionali, come nel caso della Siria: Pechino avrebbe fatto intendere di poter cambiare la propria politica circa le sanzioni alla Siria, nel caso di un riconoscimento internazionale del «terrorismo uighuro», con la possibilità successiva di procedere a tenere a freno le mire indipendentiste di una regione strategica per risorse e tratte commerciali. Il Xinjiang confina con otto stati ed è una caratteristica cinese avere zone fondamentali, di confine, sotto lo scacco di potenziali rivolte etniche: Xinjiang a nord ovest, Tibet a sud ovest e Mongolia interna a nord. Rispetto agli eventi di Turpan dei giorni scorsi si hanno solo le informazioni provenienti dall’agenzia Xinhua, l’organo di stampa ufficiale: è ormai consuetudine che nelle zone dove avvengono proteste il governo decida di «chiudere» ogni canale di comunicazione, sia internet sia telefonico, rendendo pressoché impossibile la reperibilità di informazioni proveniente da altre fonti che non siano quelle ufficiali. La causa degli scontri e dell’assalto di Turpan sarebbe da far risalire a un attacco precedente nei confronti di un negozio, effettuato dalla polizia cinese, che avrebbe scatenato la reazione di massa uighura. Tra i morti due poliziotti, alcuni civili e molti dei rivoltosi. Ci sarebbero anche feriti, mentre alcuni degli uighuri sarebbero stati arrestati. Negli ultimi mesi si erano registrati altri due episodi di scontri tra uighuri e polizia, aventi come miccia controlli della polizia cinese in abitazioni di supposti terroristi. Episodi sporadici, che però confermano come i problemi interni della Cina siano ancora distanti da una soluzione pacifica o armoniosa, come piace dire ai funzionlari del Partito comunista cinese. ( di S Pieranni – Il Manifesto 29 06 2013))

AFGHANISTAN
KABUL – Attacco a Kabul, undici morti /È di almeno undici morti il bilancio dell’attacco sferrato dai Talebani contro un’azienda di trasporti britannica che rifornisce la Nato in una zona orientale di Kabul. Lo riferiscono fonti della polizia locale, spiegando che tra le vittime si contano due autisti civili, quattro guardie nepalesi, una guardia afghana e quattro militanti. L’attacco, rivendicato dai turbanti neri, è avvenuto in una zona industriale a Pul-e-Charkhi, nei pressi della strada principale che collega Kabul a Bagram dove si trova la principale base americana e dove opera la società di logistica «No Lemon», una filiale della britannica Automotive Management Service (Ams) che ha 1.700 dipendenti di 23 nazionalità ed il quartier generale a Dubai e si occupa degli interventi di riparazione e ricostruzione di ogni tipo di veicolo, da quelli leggeri ai più complessi e blindati. Ufficialmente «No Lemon» Kabul interviene per conto della Nato nella riparazione degli automezzi utilizzati dalle forze di sicurezza afghane dipendenti dai ministeri dell’Interno e della Difesa.

AMERICA CENTROMERIDIONALE
COLOMBIA
Guerriglie unite / Il i luglio le due maggiori guerriglie della Colombia, le Farc e Eln, hanno annunciato in un comunicato la possibilità di unirsi per raggiungere la pace.
Questo significa", scrive El L’niversal, "che l’Eln vuole partecipare ai negoziati in corso a Cuba tra il governo e le Farc", recondo El Tiempo, "l’alleanti tra le due guerriglie, che storicamente hanno avuto aspri disaccordi, è una mossa politica. L’obiettivo è la convocazione di un’assemblea costituente per ottenere le trasformazioni volute da tutti e due i gruppi".

BRASILE
BRASILIA – Battisti rischia l’estradizione / Cesare Battisti rischia di essere espulso dal Brasile, il Paese che gli ha riconosciuto l’asilo politico. Il Supremo tribunale di giustizia brasiliano ha infatti respinto il ricorso presentato dell’ex terrorista dei Pac per la revisione di una condanna per uso di falsi timbri sul passaporto. Fatto questo che, secondo la stampa brasiliana, ora farebbe rischiare a Battisti l’espulsione. 59 anni, Battisti è stato condannato all’ergastolo in contumacia in Italia nel 1993 per quattro omicidi compiuti alla fine degli anni ’70. Dopo esser fuggito dalla Francia nel timore di una possibile estradizione, era riparato in Brasile dove però era stato arrestato nel 2007. Trascorsi 4 anni e 4 mesi in carcere a Brasilia, era stato liberato il 9 giugno 2011, poche ore dopo che la Corte Suprema aveva bocciato la richiesta di estradizione in Italia, accordandogli poi lo status di rifugiato politico. La vicenda in cui è coinvolto ora riguarda una condanna per l’uso di falsi timbri dell’immigrazione brasiliana sul passaporto usato da Battisti per entrare nel paese dopo essere fuggito dalla Francia. Per questo tipo di reati la legislazione brasiliana prevede l’espulsione. Il caso passa ora nelle mani del ministro della Giustizia, Josè Eduardo Cardozo. Il Supremo tribunale di giustizia non ha dubbi che Battisti abbia falsificato i timbri, in quanto reo confesso.
BRASILIA – Dilma invia Parlamento proposta Referendum / La presidente brasiliana Dilma Rousseff ha inviato al Parlamento la sua proposta di referendum popolare per riformare il sistema politico, come chiesto a gran voce dal movimento di protesta che da quasi un mese sta infiammando le piazze del Paese. Il documento è stato portato personalmente al Congresso Nacional dal vice presidente Michel Temer e dal ministro della Giustizia, José Eduardo Cardoso. Il testo prevede cinque quesiti: sul finanziamento dei partiti, sul sistema elettorale, sulla riforma del Senato, sulle alleanze elettorali e sull’abolizione del voto segreto. Il presidente del Senato, Renan Calheiros, ha detto di sostenere la proposta referendaria e ha promesso di «impegnarsi» affinché le nuove regole siano in vigore già alle presidenziali del 2014.
CUBA
CUBA II 2 luglio il presidente Raùl Castro ha effettuato un rimpasto nel comitato centrale del Partito comunista. Tra i dirigenti sostituiti c’è l’ex ministro degli esteri Ricardo Alarcón .
L’AVANA – Dissidenti a confronto dopo il tour della «superbloguera» / Tutti a casa di Yoani Sánchez Anticastristi in cerca di sponsor esteri- Roberto Livi / Un mese dopo il suo ritorno in patria da un tour all’estero – Italia compresa – Yoani Sánchez rivendica il ruolo di portabandiera dell’opposizione al regime cubano La superbloguera ha infatti convocato venerdì sera nella sua casa dell’Avana un gruppo di attivisti, oppositori, autori di blog, giornalisti indipendenti per fare il punto sulla nuova legge migratoria (entrata in vigore a Cuba il 14 gennaio) e le nuove possibilità che essa apre per l’attività di dissidenza e opposizione al governo di Raúl Castro. «Sarà l’occasione per scambiarci i punti di vista sugli spazi internazionali che si aprono, ma anche di riflettere sui nuovi scenari che si presentano alla società civile cubana», ha scritto in Twitter.
Nei mesi scorsi un un gruppo di dissidenti e oppositori -almeno quelli che hanno ricevuto i finanziamenti per farlo, spesso attraverso ong legate ai servizi nordamericani- si è recato all’estero con l’intento di informare sulla realtà cubana e soprattutto di rafforzare l’appoggio e la solidarietà di politici e organizzazioni dell’emigrazione anticastristi. Oltre la Sánchez hanno viaggiato all’estero Antonio Rodiles, direttore di Estado de Sats, un forum di intellettuali indipendenti coordinato soprattutto con Miami allo scopo di favorire una transizione democratica a Cuba, la portavoce delle Damas de Blanco, Berta Soler, il direttore della Commissione cubana per i diritti umani e la riconciliazione, Elizardo Sánchez, Guillermo Fariñas e Rosa Maria Payá, figlia dello scomparso leader democristiano Oswaldo. Alla riunione convocata dalla bloguera erano attesi anche l’attivista Miriam Celaya e il socialdemocratico Manuel Cuesta Morúa.
Molti di loro all’estero – come la Soler a Roma, ma su questo punto la Sánchez ha mantenuto posizioni molto prudenti – hanno pubblicamente chiesto al presidente Obama di mantenere l’embargo contro Cuba, ritenendolo una forma di pressione economica indispensabile per abbattere il governo dei Castro. Questo atteggiamento è stato duramente criticato dalla rivista cattolica Espacio laical, giudicandolo farisaico. Infatti i medesimi personaggi a Cuba evitano di dare pubblico appoggio al più che cinquantennale bloqueo, inviso e condannato dalla grande maggioranza dei loro concittadini, mentre una volta fuori dai confini nazionali danno fiato alle trombe in favore di una misura che divide la società cubana. Nell’editoriale, che si intitola «Sentieri che si dividono», la rivista della Chiesa cattolica cubana prende le distanze da questa linea che danneggia fondamentalmente il popolo cubano, visto che, come si legge in documenti ufficiali di Washington scritti negli anni ’60 del secolo scorso, la strategia dell’embargo è privare Cuba di fonti finanziarie in modo da provocare la riduzione dei salari, provocare fame e disperazione e causare l’abbattimento del governo.
La rivista è punto di riferimento di intellettuali cattolici e laici che chiedono profonde riforme, anche in politica, ma facendo riferimento alla linea martiana e patriottica – fortemente presente nel pensiero politico di Fidel – e dunque si battono perché i protagonisti di tali cambiamenti non siano i centri di potere di alcuni paesi forti e influenti. Al contrario di questa linea, la Sánchez e i suoi ospiti hanno gli occhi puntati all’estero, ritenendo che l’appoggio – non solo economico, pur notevole visto che gli Usa stanziano 20 milioni di dollari a favore delle attività anticastriste – e le pressioni dell’emigrazione cubana e delle forze politiche che chiedono la fine del socialismo cubano siano fondamentali per indurre un cambio politico nell’isola. La capacità non solo di mobilitazione ma anche di penetrazione della società civile cubana di tali attività è assai scarsa – anche perché l’accesso a internet nell’isola è fortemente limitato – inversamente proporzionale all’ascolto che hanno all’estero. Tra i nuovi scenari esaminati dal gruppo di oppositori vi è probabilmente proprio l’allargamento dell’accesso dei cubani a internet in vigore dall’inizio di giugno

CILE
SANTIAGO – IL RITORNO DI BACHEKET /Alle primarie del 30 giugno per scegliere i candidati delle presidenziali del prossimo novembre l’ex presidente cilena Michelle Bachelet, del gruppo d’opposizione Nueva Mayoria, ha ottenuto una vittoria schiacciante: più del 73 per cento dei voti. Tra i candidati governativi ha vinto Pablo Longueira, dell’Union demócrata independiente. Secondo El Mostrador, più che il ritorno di Bachelet queste primarie "hanno decretato la fine della Concertación", la coalizione di centrosinistra nata nel 1988 contro Pinochet. "Ma per ora Nueva Mayoria è un conglomerato politico senza un programma preciso
CILE II 27 giugno centinaia di studenti si sono scontrati con la polizia durante una manifestazione a Santiago per chiedere una riforma dell’istruzione

AMERICA SETTENTRIONALE
USA – II 27 giugno è stata eseguita in Texas la cinquecentesima condanna a morte da quando, nel 1976, è stata ripristinata la pena capitale.
USA – Ancora contro l’aborto / Il 1 luglio il parlamento del Texas si è riunito ad Austin in una sessione speciale convocata dal governatore repubblicano Rick Perry per votare una discussa legge sull’aborto, mentre migliaia di persone protestavano davanti alla sede del governo. Il 26 giugno l’approvazione della legge era stata impedita dall’ostruzionismo della senatrice democratica Wendy Davis, che aveva parlato per undici ore di seguito, in piedi, per prolungare la seduta oltre la scadenza della legislatura. La legge vieta l’interruzione di gravidanza dopo la ventesima settimana e impone una serie di restrizioni ai medici e agli ospedali che renderebbero quasi impossibile abortire entro i confini dello stato, spiega Politico.
USA – Il futuro della riforma / Il 27 giugno il senato degli Stati Uniti ha approvato la più ambiziosa riforma del sistema dell’immigrazione degli ultimi decenni. Hanno votato a favore 68 senatori: oltre ai 52 democratici, anche 2 indipendenti e 14 repubblicani. Il provvedimento apre le porte alla regolarizzazione di più di 11 milioni di immigrati negli Stati Uniti. I repubblicani hanno ottenuto un investimento da 40 milioni di dollari per rafforzare i controlli al confine con il Messico con 500 chilometri di nuove recinzioni e lo schieramento di quasi 18mila soldati in più rispetto ai ventimila di oggi . La riforma sostenuta da una maggioranza bipartisan, quindi dovrebbe essere approvata dalla camera e arrivare rapidamente sul tavolo del presidente Barack Obama", scrive il NewYork Times. Ma il presidente della camera John Boehner ha detto che la camera, dove i repubblicani hanno la maggioranza, voterà una sua riforma che non prevede la possibilità di ottenere la cittadinanza per gli immigrati irregolari.
USA – Disoccupati arrabbiati / "Tutto è cominciato ad aprile con 17 arresti. Alla fine di giugno le persone arrestate erano già 600, e centinaia di manifestanti continuano a radunarsi davanti alla sede del parlamento del North Carolina. Gridano slogan contro i tagli all’istruzione, la mancata espansione dei pro¬grammi di assistenza ai poveri, una proposta di legge che limita il diritto di voto e i tagli ai sussidi per i disoccupati". Il 1 luglio 7omila lavoratori hanno perso l’indennità di disoccupazione. "A provocare questa situazione è il primo governo repubblicano nella storia del North Carolina da oltre un secolo", scrive Bloomberg Businessweek.
NYC – I COLORI DEGLI STATI UNITI / Quando mia figlia Jessica ha cominciato a cercare un’università a cui iscriversi mia moglie l’ha portata a visitare una decina di college in vari stati per farsi un’idea. Le abbiamo pagato le lezioni per superare i test d’ammissione, l’abbiamo aiutata a preparare i colloqui e sostenuta come potevamo. ]ess ha un’amica afroamericana, chiamiamola Michelle, la cui strada verso il college è stata un po’ più complicata. Vive in una casa popolare senza mamma e con un papà spesso disoccupato, quindi, pur andando a scuola, deve lavorare part- time. A maggio nostra figlia è stata accettata da una prestigiosa università privata che le ha anche concesso una borsa di studio per meriti scolastici, e ha rifiutato offerte simili da altri atenei. Michelle, che non ha neanche preso in considerazione i college d’élite, frequenterà un’università statale, e beneficerà di un sussidio per il basso reddito della sua famiglia. Il colore della pelle non c’entra? Tutto basato sul merito? Michelle potrebbe aspirare a un futuro migliore se le fosse permesso di frequentare un’università privata più impegnativa, o sarebbe "fuori luogo" in quel posto?
Le opinioni su questi temi sono condizionate dalla nostra storia personale. A certi uomini di successo, come i giudici della corte suprema, piace pensare di essere arrivati ai vertici senza aiuto. Quindi perché non dovrebbe poterci arrivare chiunque? Per quanto riguarda le università, e molti altri settori, la maggioranza dei giudici di quella corte, sostenendo che la discriminazione razziale negli Stati Uniti è un problema superato, ha dichiarato che il paese dovrebbe sforzarsi di non far caso al colore della pelle. Ma anche se gli Stati Uniti hanno fatto grandi progressi, non sono ancora diventati daltonici, cioè indifferenti ai co¬lori. La chef e star tv Paula Deen ha appena sollevato un putiferio ammettendo di aver usato insulti razzisti, e George Zimmerman è sotto processo per aver sparato a un adolescente nero, Trayvon Martin, scambiato per un rapinatore. Il verdetto provocherà di sicuro una nuova ondata di risentimento e odio tra le comunità. Non sarebbe bello essere tutti daltonici? ( William Falk, The Week, Stati Uniti)
(Articoli da : Les Echos, Francia, , Le Monde, The Diplomat, The Observer, Los Angeles Time, NYC Time, Clarin, NuovoPaese, TheZimbabwe, a The Lancet , Arthritis Care & Research, Nature Biotechnology, Le Pays, Guardian, Orientai Daily, Hong Kong , The Economist, Regno Unito Il Manifesto, Internazionale )

 

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