10623 Istituito il Comitato per le questioni degli italiani all’estero al Senato

20130514 18:26:00 redazione-IT

Il Senatore Claudio Micheloni esprime viva soddisfazione per l’approvazione, oggi, in Aula, durante la 21° Seduta Pubblica, della mozione n. 20 che istituisce il Comitato per le questioni degli italiani all’estero, con il compito di approfondire il tema della condizione, dei problemi e delle aspettative delle collettività italiane residenti all’estero.
La mozione, depositata al Senato il 16 aprile a prima firma del senatore Claudio Micheloni, e sottoscritta da Massimo Bitonci, Aldo Di Biagio, Giuseppe Esposito, Marco Filippi, Francesco Giacobbe, Fausto Guilherme Longo, Giorgio Tonini, Carlo Pegorer, Giancarlo Sangalli, Renato Guerino Turano, Luigi Zanda, Claudio Zin e Raffaela Bellot, è stata approvata in Aula con 191 voti favorevoli, 55 contrari e 8 astenuti.

"Mi auguro che il Comitato per le questioni degli italiani all’estero sia rapidamente insediato in modo tale da affrontare il prima possibile tutti i temi cari ai nostri connazionali all’estero". E’ quanto afferma il senatore Claudio Micheloni, specificando che le questioni da prendere subito in considerazione sono il rinnovo dei CGIE e dei Comites, la riforma costituzionale che includa anche i parlamentari della circoscrizione estera, la riforma della legge sul voto all’estero, il riassetto della rete consolare, la diffusione della lingua e cultura italiana nel mondo, il tema dell’attribuzione della cittadinanza, l’informazione e lo spinoso problema dell’IMU, tassa che deve considerare gli immobili degli italiani all’estero prima casa.

Su questo argomento il senatore Micheloni è stato molto chiaro durante il suo intervento in Aula: "Oggi l’IMU sulle case costruite dai lavoratori italiani emigrati è ingiustamente tassata come seconda casa, una casa per altro che i nostri lavoratori occupano un mese all’anno, realizzata con i loro sacrifici in altri Paesi. Avevamo già evidenziato l’inaccettabilità di tale situazione. Mi auguro che il decreto corregga questa volgare ingiustizia. Gli italiani all’estero vogliono pagare le tasse ma chiedono che una casa vuota, non affittata, sia trattata come prima casa".

A chi non era favorevole alla mozione, adducendo ragioni di costi, il senatore ha replicato: "Mi permetto di ricordare che con le loro rimesse i nostri emigranti hanno riequilibrato i bilanci del nostro Paese. Se l’Italia, pur con tutte le sue difficoltà, ha avuto un notevole sviluppo economico nel secondo dopoguerra è dovuto anche grazie al lavoro degli italiani all’estero". Su quanto gli italiani all’estero siano una risorsa per il nostro paese, il senatore ha specificato che "solo se consideriamo le pensioni estere dei nostri ex-emigranti tornati a vivere in Italia entrano nelle casse dello Stato oltre 5 miliardi di euro l’anno".

Gli italiani all’estero sono uno strumento unico di promozione politica, culturale ed economica dell’Italia nel mondo, quindi l’istituzione al Senato di un Comitato che li rappresenta è d’obbligo, tanto più che i componenti dell’Ufficio di Presidenza del Comitato non percepiranno alcuna indennità di ufficio. Il senatore Micheloni, come primo firmatario, vuol per questo ringraziare tutti i colleghi che l’hanno sostenuto in questa scelta.

Di seguito l’intervento illustrativo integrale del sen. Claudio Micheloni

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MICHELONI (PD). Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, oggi vi proponiamo di approvare la mozione sull’istituzione del Comitato per le questioni degli italiani all’estero.

È la quarta volta che al Senato si chiede di istituire tale Comitato; tuttavia dalle discussioni degli ultimi giorni con diversi colleghi è emerso un punto che mi induce a rinunciare all’intervento che avevo previsto di svolgere sulla mozione n. 20 (testo 2) per rispondere solo ad una preoccupazione emersa – ripeto – in vari contatti. Sembra che il problema legato all’istituzione di questo Comitato sia rappresentato solo dai costi di funzionamento qui, in Senato. Ritengo che questo punto sia perlomeno inaccettabile e anche offensivo per le nostre comunità italiane all’estero.

Desidero ricordare alcuni elementi, più che svolgere un intervento, e spiegare la necessità di istituire il Comitato per le questioni degli italiani all’estero.

Ripeto che tale Comitato è stato insediato per la prima volta nella XIV legislatura; è stato poi confermato nelle XV e XVI legislature; nell’ultima legislatura ha svolto 27 audizioni per portare avanti un’indagine conoscitiva sulle politiche relative ai cittadini italiani residenti all’estero.

Dunque, sarebbe opportuno concludere questo lavoro ed arrivare ad una presa di posizione, ad un progetto di politiche per gli italiani all’estero.

Tutte queste discussioni mi portano a ricordare alcune questioni. La preoccupazione è che questo Comitato possa costare. Se qualcuno è interessato alle cifre, perché poi non potrò neanche replicare, gradirei che si ascoltassero almeno questi dati.

Negli ultimi anni questo Comitato è costato pochissime decine di migliaia di euro per il suo funzionamento, a fronte di politiche che riguardano milioni di italiani che vivono all’estero; un milione di questi italiani d’altronde ha espresso un voto per questa legislatura.

Sembra che ogni volta che si affronta la questione degli italiani all’estero si parli di costi: noi costiamo, gli italiani all’estero costano.

Gli italiani all’estero, mi permetto di ricordare a chi non ha ancora i capelli bianchi, per decenni hanno riequilibrato i bilanci del nostro Paese nel dopoguerra. Se l’Italia oggi, con tutte le sue difficoltà, ha avuto lo sviluppo economico che si è registrato, questo è dovuto in gran parte al lavoro degli italiani all’estero.

Avevo già consegnato in quest’Aula, il 23 aprile 2009, alcuni dati che mi permetto di ricordare oggi. Solo se consideriamo le pensioni estere dei nostri ex-emigranti tornati a vivere in Italia entrano nelle casse dello Stato oltre 5 miliardi di euro l’anno. E prendo in considerazione solo cinque Stati.

Inoltre ci viene detto che noi non paghiamo le tasse: a proposito di tasse, vorrei approfittare della presenza del vice ministro Archi dal momento che si annuncia un decreto sull’IMU per venerdì.

Caro Vice ministro, noi avevamo già sollevato questo problema: l’IMU sulle case costruite dai lavoratori italiani emigrati soprattutto in Europa la paghiamo con l’aliquota seconda casa, cioè una casa che i nostri lavoratori occupano un mese all’anno, quando va bene, realizzata con i loro sacrifici in altri Paesi, investendo in Italia (sbagliando, perché se avessero investito nei Paesi di residenza forse oggi si sarebbero trovati meglio), è tassata come se fosse una seconda casa.

Avevamo già evidenziato l’ingiustizia e l’inaccettabilità di tale situazione; mi auguro che questo decreto corregga questa – passatemi la parola – volgare ingiustizia.

Gli italiani all’estero chiedono di pagare le tasse ma la casa vuota, non affittata, dev’essere considerata come prima casa. Ci vivono un mese all’anno in queste case e pagano anche le spese per i rifiuti per tutto l’anno.

Si pensa che all’estero siamo tutti ricchi. Io incontro regolarmente pensionati della Volkswagen, per esempio, che vivono in Germania con una pensione di 800-900 euro (in Germania non sono tutti milionari) e hanno ricevuto cartelle IMU dell’ordine di 1.200 euro.

Mi hanno detto che se pagano l’IMU non hanno più i soldi per tornare neanche quel mese in Italia. Credo che ci possiamo aspettare legittimamente che nel decreto di venerdì queste misure siano corrette e introdotte in modo accettabile.

Inoltre, abbiamo smesso di diffondere la lingua e la cultura italiana nel mondo; questa è considerata una spesa. Gli altri Paesi, anche loro in crisi e in difficoltà, in questi anni hanno aumentato l’investimento per promuovere la loro lingua e cultura. Noi stiamo azzerando queste nostre politiche.

Abbiamo il problema di discutere della riforma globale della rappresentanza degli italiani all’estero e questa è un’altra delle nostre contraddizioni.

L’Italia è stata uno dei primi Paesi a riconoscere la necessità della presenza di rappresentanza delle proprie comunità all’estero nel Parlamento. Per una volta i francesi ci hanno copiato; questo è un fatto storico.

Alle ultime elezioni politiche i francesi hanno eletto undici deputati che rappresentano le comunità francesi all’estero, e gli emigrati francesi sono meno della metà di noi.

Da noi c’è all’ordine del giorno la soppressione della circoscrizione Estero.

Ma perché gli altri Paesi stanno analizzando questa nostra esperienza e la stanno riprendendo? Perché loro hanno capito che una presenza dei rappresentanti delle comunità all’estero in Parlamento è importante per il Paese e non per noi all’estero.

Mi auguro ci sia una presa di coscienza del problema e che ciò porti ad un valido ragionare anche nell’ambito delle riforme istituzionali, sperando che un giorno arriveranno parlamentari di una migliore qualità dei Micheloni, capaci di trasmettere questa importanza.

Noi siamo strumenti di promozione politica ed economica dell’Italia nel mondo. Sta sotto gli occhi di tutti che se si parla del made in Italy in tutto il mondo non è perché siamo bravi a fare marketing internazionale: se ne parla perché i mercati del mondo sono stati aperti ai prodotti italiani dagli italiani che vivono nel mondo e che oggi danno un apporto e un’importanza straordinaria all’economia italiana.

Mi avvio a concludere, signor Presidente. Nel testo 2 della mozione è riportata la seguente frase: «I componenti dell’Ufficio di Presidenza del Comitato non dovranno percepire alcuna indennità di ufficio».

Ne ho dato lettura per chiarire la necessità dell’istituzione di questo Comitato.

Se qualcuno può pensare – mi permetto di parlare a nome dei miei sei colleghi della circoscrizione Estero presenti in quest’Aula – che per noi era questo il senso del Comitato, siamo veramente fuori strada e dobbiamo preoccuparci.

Mi auguro di ascoltare, per una volta, un dibattito sensato sulle comunità italiane all’estero e desidero chiudere richiamando un aspetto che si sente troppo spesso quando incontriamo le nostre comunità.

Alla fine di assemblee pubbliche si alza sempre più spesso una voce: ma perché noi italiani all’estero dobbiamo continuare a batterci, ad impegnarci e a lavorare per mantenere i contatti con il nostro Paese quando il nostro Paese non vuole questa cosa?

Allora rimandiamo i passaporti. Questa cosa è negativa e brutta per l’Italia e non per gli italiani all’estero.

In conclusione, spero accoglierete la mozione in esame.

(Applausi dai Gruppi PD e SCpI).

 

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