10614 Notizie 04 Maggio

20130503 15:21:00 guglielmoz

EUROPA
AFRICA & MEDIO ORIENTE
ORIENTE & PACIFICO
AMERICA CENTRO MERIDIONALE
AMERICA SETTENTRIONALE

EUROPA
EU – DISOCCUPAZIONE A LIVELLI RECORD / Ancora un record per la disoccupazione nei 17 Paesi dell’Eurozona: a marzo i senza lavoro erano 19,21 milioni, pari al 12,1% della popolazione attiva, contro il 12% di febbraio. Lo ha reso noto Eurostat. L’Italia, con il suo 38,4% di giovani senza lavoro, è al top in Europa preceduta solo da Grecia e Spagna. Nell’insieme dei 27 Paesi Ue la disoccupazione è invece rimasta stabile al 10,9%. Un anno fa, cioè nel marzo del 2012, segnala Eurostat, il tasso dei senza lavoro era dell’11% nell’Eurozona e del 10,3% nell’Ue a 27. In questi dodici mesi la disoccupazione è cresciuta in 19 Paesi, mentre è diminuita in otto. L’incremento maggiore è stato registrato in Grecia, Cipro e Spagna.

ISLANDA – TORNA IL CENTRO DESTRA. Il 30 aprile il presidente islandese Ólafur Ragnar Grimsson ha incaricato Sigmundur Daviò Gunnlaugsson, leader del Partito del progresso (conservatore), di formare il governo. Nelle elezioni del 27 aprile per il parlamento di Reykjavik, il suo partito ha ottenuto 19 seggi su 63, lo stesso numero del Partito dell’indipendenza (centrodestra) di Bjarni Benediktsson, con cui dovrebbe formare una coalizione. Gunnlaugsson ha chiesto l’incarico per sé perché il suo partito ha più che raddoppiato i voti rispetto al 2009, pur avendo ottenuto il 2,3 per cento in meno della formazione di Benediktsson, spiega Fréttabladid. Il voto ha segnato la fine della parentesi del governo di sinistra, guidato da Jóhanna Siguròardóttir : con il 12,9 per cento dei voti la sua Alleanza socialdemocratica ha ottenuto solo nove seggi. Lo scrutinio è stato invece un successo per il Partito dei pirati: con tre deputati, è la prima formazione del genere a entrare in un parlamento nazionale. Il voto segna anche il ritorno al potere del centrodestra, che era stato al governo negli anni novanta e duemila. Le misure neoliberiste adottate all’epoca furono all’origine della straordinaria crescita economica dell’isola, ma anche della bolla finanziaria esplosa nel 2009. Secondo Morgunbladid, il successo del centrodestra potrebbe rallentare il processo di adesione dell’Islanda all’Unione europea. Ma non dovrebbe bloccarlo, considerato che, stando ai sondaggi, i tre quarti degli islandesi vogliono far parte dell’Unione e il 50 per cento vuole portare avanti i negoziati di adesione.

TURCHIA – La ritirata dei ribelli / Il 25 aprile il partito indipendentista curdo del Pkk ha annunciato che dall’8 maggio i suoi combattenti lasceranno la Turchia per stabilirsi nel nord dell’Iraq. Come spiega Today’s Zaman, l’annuncio arriva un mese dopo l’appello per il cessate il fuoco lanciato dal leader curdo Abdul-lah Òcalan a Diyarbakix e in seguito alla precisazione del premier turco Recep Tayyip Erdogan, secondo cui il processo di pace sarebbe cominciato solo dopo l’inizio del ritiro dei ribelli curdi. I combattenti del Pkk sono circa settemila, divisi tra Turchia e Iraq del nord.

BOSNIA ERZEGOVINA – II 28 aprile la corte di stato ha ordinato l’arresto del presidente della Federazione croato-musulmana Zivko Budimir, accusato di aver accettato denaro in cambio della grazia ad alcuni prigionieri.

PAESI BASSI – Willem Alexander di Orange-Nassau, 46 anni, è diventato re il 30 aprile dopo l’abdicazione di sua madre, la regina Beatrice.

UCRAINA – II 30 aprile la Corte europea dei diritti umani ha condannato Kiev per la detenzione illegale dell’ex premier Julia Timosenko.

RUSSIA – L’opposizione alla sbarra / Il 24 aprile a Kirov sono cominciate le udienze del processo contro Aleksej Navalnij, uno dei più noti leader dell’opposizione. Navalnij è accusato di essersi appropriato di fondi pubblici mentre era funzionario della regione di Kirov, ma le motivazioni del processo appaiono pretestuose. Il leader dell’opposizione si è difeso sul piano giuridico e politico, scrive New Times/ Novoe Vremja, affermando che il processo "è una ritorsione per le sue indagini sulla corruzione nella cerchia di Putin" e uno stratagemma per impedirgli di candidarsi alle prossime presidenziali del 2018.

EX JUGOSLAVIA – Nikolic chiede perdono / "Mi inginocchio e chiedo perdono a nome della Serbia per il crimine che è stato commesso a Srebrenica nel nome del nostro stato e del nostro popolo". Con queste parole, pronunciate alla tv bosniaca, il presidente serbo Tomislav Nikolic si è scusato per l’eccidio di ottomila musulmani bosniaci a Srebrenica nel 1995. Nikolic, però, ha anche aggiunto che "deve essere ancora dimostrato che si sia trattato di un genocidio". L’iniziativa, scrive Danas, permetterà al presidente serbo di migliorare la sua immagine all’estero. Il quotidiano osserva poi che "la politica è per sua natura mutevole ed è scontato che i leader siano soggetti a ‘oscillazioni’, soprattutto quando agiscono nel contesto di una democrazia fragile e di una società impoverita

GERMANIA – «Un piano Marshall per l’Ue». Sindacati contro Merkel – Jacopo Rosatelli
Quasi 24 anni dopo la caduta del Muro di Berlino esistono di nuovo due Germanie. La guerra fredda e la divisione in blocchi est-ovest non c’entrano più niente, per fortuna. A fronteggiarsi oggi sono il Paese in cui «tutto va bene», quello che esiste nella «narrazione» del governo democristiano-liberale guidato da Angela Merkel, e il Paese dove cresce invece la sofferenza sociale.
La «verità ufficiale» dell’esecutivo di Berlino è quella che si propaga, attraverso gli obbedienti funzionari di Bruxelles, nel resto d’Europa: cifre-record dell’occupazione, solo il 7,3% di persone senza lavoro e il livello minore di disoccupazione giovanile di tutta l’Ue. Un «miracolo» reso possibile, ovviamente, dalle «riforme» del mercato del lavoro (risalenti al socialdemocratico Gerhard Schröder), dalla moderazione salariale e dalla «disciplina nella spesa pubblica». Basterebbe che tutti gli stati del continente facessero come la Germania, et voilà la crisi sarebbe risolta: questo è il Merkel-pensiero.
Il Paese che descrivono i sindacati tedeschi, invece, è molto diverso. Il lavoro precario è in aumento, quasi un quarto degli occupati percepisce salari molto bassi (meno di 7 euro l’ora) e si allarga l’area della popolazione a rischio-povertà. Le diseguaglianze sociali stanno crescendo a vista d’occhio: il decimo più ricco dei tedeschi possiede oltre la metà dell’intera ricchezza della Repubblica federale. È questa «verità alternativa» che la confederazione sindacale unitaria Dgb (Deutsche Gewerkschaftsbund) vuole diffondere oggi nelle tradizionali manifestazioni del Primo Maggio – la principale delle quali si svolge a Monaco di Baviera, con il comizio del segretario generale Michael Sommer. Oltre a vedere un’altra Germania, il sindacato tedesco si accorge della sofferenza dell’Europa. Mentre la cancelliera Merkel esalta l’occupazione-record dei giovani in patria, la Dgb punta l’indice contro l’intollerabile cifra dei giovani senza un impiego nel resto dell’Ue (oltre il 50% in Grecia e Spagna, il 38% in Italia). E insiste sulla necessità di cambiare le politiche comunitarie per favorire la nascita di una «Europa sociale». Contro la crisi – afferma la confederazione – non serve l’austerità gradita a Berlino, ma «un Piano Marshall di investimenti per la crescita e la modernizzazione del continente», in una chiave ecologicamente sostenibile. E perché l’Europa esca dalla crisi occorre anche che l’economia della Germania si orienti meno all’export e torni a produrre per il mercato interno, riequilibrando la propria bilancia commerciale. Tradotto: i lavoratori tedeschi devono aumentare il loro potere d’acquisto, dopo anni di salari stagnanti. Se sale la domanda interna della Repubblica federale, a trarne beneficio saranno le economie dell’intera Europa.
Rivestono grande importanza, dunque, le vertenze che vedono impegnate le singole federazioni sindacali tedesche, a partire da quella dei metalmeccanici: per la Ig-Metall oggi è anche il primo giorno di lotta per il rinnovo del contratto nazionale. L’organizzazione padronale offre un aumento del 2,3%: una proposta «assolutamente irricevibile» per il sindacato, che rivendica buste paga più pesanti del 5,5%. Dopo il nulla di fatto della prima fase di trattative (in cui è vietato scioperare), ora è il momento di un ciclo di «scioperi di avvertimento (Warnstreiks)»: operai e impiegati si asterranno dal lavoro, ma senza poterlo fare ancora per l’intera giornata – secondo le rigide disposizioni del diritto sindacale tedesco. La lotta, comunque, è cominciata.

LISBONA – Anche Roma è contro l’austerità / Diàrio de Noticias, Portogallo / La ricetta dell’austerità scelta dall’eurozona e dall’Unione europea non sta dando i risultati sperati. In tutta l’Unione nell’ultimo trimestre del 2012 sono diminuiti i risparmi, i profitti e gli investimenti. Nella recessione generale, il clima imprenditoriale e l’umore dei cittadini hanno continuato a peggiorare anche nei primi quattro mesi del 2013.
Non ce quindi da stupirsi se aumenta l’opposizione alla linea di risanamento a ogni costo imposta da Berlino. A Madrid il governo ha comunicato che nel 2013 il deficit non scenderà al di sotto del 6,3 per cento, quasi due punti in più rispetto all’obiettivo fissato da Bruxelles. Dopo l’annuncio, il capo del governo Mariano Rajoy ha chiesto un anno di più (dunque fino al 2016) per eliminare il deficit in eccesso. A Roma si è insediato un nuovo presidente del consiglio che si è già fissato come obiettivo la lotta alla disoccupazione, sottolineando che l’austerità non è la scelta migliore e promettendo che si dimetterà se la sua politica economica non dovesse dare risultati positivi entro un anno e mezzo. A Parigi un documento preparato dal Partito socialista in vista del prossimo congresso punta il dito contro la cancelliera tede-
sca Angela Merkel e chiede un ritomo alla politica solidale della gestione congiunta del debito in eccesso dell’eurozona.
Enrico Letta è volato subito a Berlino per incontrare Angela Merkel. Non c’è da sorprendersi, perché di questi tempi è a Berlino che si decide la politica europea, soprattutto per quanto riguarda la risposta alla crisi. Il programma di Letta, finora numero due del Partito democratico e ora appoggiato anche dalla destra, si basa sul rilancio della crescita in Italia, che secondo lo stesso Letta è in difficoltà a causa dell’eccessiva austerità.
Due mesi fa le elezioni politiche italiane si sono concluse con una vittoria a metà della sinistra e con la comparsa di una terza forza politica antisistema contraria a ogni alleanza. Oggi l’Italia ha un disperato bisogno di trovare soluzioni per uscire dalla recessione, e qualunque strategia coraggiosa ha bisogno dell’approvazione dell’Unione europea. È per questo che Letta parla di margine di manovra e che, da leader della terza economia dell’eurozona, ha chiesto il sostegno di Angela Merkel. Se l’Italia avrà successo, forse anche il resto dell’Europa del sud deciderà di seguire il suo esempio.

ITALIA
ROMA – GOVERNISSIMO / È tornato il signore della corruzione. Paolo Favilli
PAOLO VOLPONI, NE LE MOSCHE DEL CAPITALE, (1989) osserva un paesaggio italiano ancora «bello e pingue, ma svagato e stracco come se aspettasse una passata di peste e una notte da Medioevo». Il romanzo è ambientato nel 1980 ed è, nella sua lucidità, un premonizione ragionata della barbarie che stava arrivando. I suicidi «per cause economiche», episodi estremi, si manifestano come indicatori, spie dei modi di declinazione della barbarie nei tempi dell’inversione del progetto democratico.
Il progetto democratico, infatti, è del tutto compenetrato dalle logiche di uno svolgimento intrinsecamente opposto a quello della barbarie: un percorso in cui si declinano le forme storicamente possibili dell’uguaglianza, scandite dall’ampliamento progressivo della sfera dei diritti.
La dinamica regressiva dell’ultimo trentennio, le sue cause strutturali, non sono purtroppo elemento essenziale del discorso politico. Non è un caso. Da tempo ormai la politica ha scelto l’irrilevanza. Questo non è un problema per le parti politiche organiche alle classi dominanti. Il pilota automatico (si fa per dire, la scelta politica è implicita) che gestisce economia e società è garanzia di funzionamento adeguato per logiche e interessi cui tali parti politiche sono organiche. Per le parti la cui funzione storica era stata quella dell’emancipazione dei subalterni, si è trattato, invece, della catastrofe. Catastrofe di quella funzione storica, non certo dei destini personali dei molti che, di quella parte, provengono dal ceto politico dirigente. Anzi mai come negli anni dell’inversione del progetto democratico i loro destini sono stati contrassegnati da onori e privilegi.
Si è avverata la profezia di Leonardo Sciascia che ne Il contesto fa dire ad un leader del partito di governo sollecitato ad «aprire» nei confronti del partito di Enrico Berlinguer: «Questo paese non è ancora arrivato a disprezzare il partito del signor Amar quanto disprezza il mio. Nel nostro paese il crisma del potere è il disprezzo». Ora disprezzo e potere si sono alfine pienamente coniugati. Ecco allora che dell’orrore in cui siamo immersi possiamo dare conto solo prendendo le distanze dal luogo della narrazione dei giochi incrociati tra i poteri, per immergersi nel luogo della narrazione delle punte estreme dell’orrore quotidiano, della banalità dell’orrore. D’altra parte sappiamo bene, ormai, come in genere sia proprio l’analisi dei «margini» a darci conoscenza sulla verità del «centro».
La microstoria del triplo suicidio «per povertà», avvenuto recentemente a Civitanova Marche, non è altro che la riduzione di scala di problemi di ben più ampia dimensione. Vanno affrontati con analisi politiche e socio-economiche a quello stesso livello. Una microstoria innervata del senso profondo della storia generale che stiamo vivendo.
Romeo Dionisi e Maria Sopranzi, i due coniugi che si sono impiccati in un garage di Civitanova, avevano interiorizzato la lezione sulla dignità dell’uomo che ha caratterizzato la storia dell’emancipazione dei subalterni, e non hanno retto alla vergogna del suo attuale naufragio.
La vergogna è paralizzante, distrugge le risorse interiori proprio perché è la condizione prodotta dalla perduta dignità. Romeo Dionisi e Maria Sopranzi si trovavano a giudicare degradante una situazione economico-sociale degradata. L’identità va in pezzi. Se gli esiti suicidali rimangono marginali, tuttavia il processo descritto riguarda ormai milioni di persone. La povertà diventa miseria proprio perché la povertà è indotta da un ulteriore ciclo di modernizzazione. Il ciclo dell’invenzione della scarsità, della scarsità socialmente costruita.
La modernizzazione della povertà, la sua riduzione a miseria, è uno dei parametri fondamentali su cui si articola l’analisi del capitalismo nell’età contemporanea. Nei cosiddetti «trenta gloriosi» (fine anni Quaranta, fine anni Settanta), si era avviata un’inversione di tendenza, un ciclo opposto: quello del percorso democratico; poi uno nuovo di modernizzazione. La banalizzazione del moderno, ma insieme la sua riduzione a senso comune dominante, la si può cogliere bene nell’affermazione lapidaria di una delle firme del Corriere della Sera relativamente al merito maggiore della Thatcher: «Ha costretto l’Inghilterra a diventare moderna» (Severgnini, 22/04/’13). La tragedia sociale dei subalterni come indice di modernità.
Alla banalizzazione della modernità si accompagna, in particolare nel caso italiano, la banalizzazione del nesso tra questione politica, questione morale e questione criminale. Il braccio destro (o sinistro) di Berlusconi è stato condannato in via definitiva per corruzione in atti giudiziari. La corruzione è avvenuta con l’utilizzazione di fondi riconducibili al suo datore di lavoro ed a vantaggio dello stesso. Il suo braccio sinistro (o destro) è stato condannato in primo e secondo grado (cioè nel giudizio di sostanza) per concorso in associazione mafiosa. In particolare nel suo ruolo di interfaccia (protettiva o meno) tra tale associazione e il solito datore di lavoro. È necessario ricordare che la lunga fase politica in cui siamo ancora immersi è cominciata proprio con il tridente d’attacco Berlusconi, Previti, Dell’Utri, cioè la triade fattuale di ciò che è stato provato: intreccio di questione politica, questione morale, questione criminale.
Il corpo a cui appartengono il braccio sinistro ed il destro, dopo una breve parentesi, è ritornato ad essere uno dei signori della politica italiana. Si tratta di un fenomeno obbiettivamente mostruoso («che suscita stupore e meraviglia, straordinario» ), ma ancora più mostruoso il fatto che non sia avvertito come tale da chi ancora, qualche volta, evoca Enrico Berlinguer, sia pure in riferimenti del tutto retorici.
Tale mostruosità ha a che vedere con i lineamenti lunghi di una tipicità italiana. Lineamenti che si manifestano in maniera carsica, ma che tendono sempre a ritornare in superficie nei momenti in cui le risposte alle crisi emergono dalla decomposizione di climi caratterizzati da forte tensione etico-politica. Per dirla con il fulminante incipit tolstoiano di Anna Karenina: «Le famiglie felici si rassomigliano tutte. Ogni famiglia infelice, invece, lo è a modo suo». E nella famiglia Italia la crisi fa emergere componenti di lungo periodo che si coniugano agevolmente con la tradizione, anch’essa di lungo periodo, della politica come luogo privilegiato della coltivazione raffinata della pianta cinismo. Il fatto che lo scioglimento del nodo rappresentato dalla suddetta triade, vero e proprio paradigma della politica alta, sia stato sterilizzato, tolto dal campo della politica, dimostra come quella pianta sia divenuta rigogliosa.
«Intese non sono orrore…», ha tuonato Napolitano divenuto il presidente di una Repubblica con una nuova costituzione materiale. L’affermazione è un’ovvietà. Le intese figlie di un cinismo tanto profondo e radicato sono invece proprio l’orrore. Un indicatore preciso di barbarie politica. Solo la presa di coscienza degli aspetti fondamentali di questa barbarie, delle loro radici profonde, della necessità di una discriminante netta, sia etico-politica che analitica, nei confronti del vasto fronte della banalizzazione cinica, può costituire il punto di riferimento unitario di una sinistra divisa e dispersa.

ROMA /LETTA – PRESENTA LA SUA SQUADRA, NAPOLITANO: “L’UNICO GOVERNO POSSIBILE”
Enrico Letta ha sciolto la riserva sabato sera dopo un lungo colloquio con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Ha così presentato la squadra dei 21 ministri che compongono il suo governo. Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio è Filippo Patroni Griffi, questi invece i ministri: all’Economia Fabrizio Saccomanni, all’Interno Angelino Alfano (che è anche vicepremier), agli Esteri Emma Bonino, alla Difesa Mario Mauro, alla Giustizia Anna Maria Cancellieri, alle Riforme istituzionali Gaetano Quagliariello, agli Affari europei Enzo Moavero Milanesi, agli Affari regionali e alle autonomie Graziano Delrio, alle Infrastrutture e Trasporti Maurizio Lupi, al Lavoro e alle politiche sociali Enrico Giovannini, allo Sviluppo economico Flavio Zanonato, alle Politiche agricole Nunzia De Girolamo, all’Istruzione, università e ricerca Maria Chiara Carrozza, alla Salute Beatrice Lorenzin, all’Ambiente Andrea Orlando, ai Beni e alle attività culturali e al turismo Massimo Bray, alla Coesione territoriale Carlo Trigilia, ai Rapporti con il Parlamento e al coordinamento dell’attività di governo Dario Franceschini, alle Pari opportunità, allo sport e alle politiche giovanili Josefa Idem, alla Pubblica amministrazione e alla Semplificazione Giampiero D’Alia, all’Integrazione Cecile Kyenge. “Vorrei aggiungere solo semplicissime parole a commento della presentazione della squadra di governo effettuata dal presidente Letta – ha detto Napolitano – Innanzitutto non c’è bisogno di alcuna formula speciale per definire la natura di questo governo. È un governo politico formato nella cornice istituzionale e secondo la prassi della nostra democrazia parlamentare. È un governo nato dall’intesa delle forze politiche che insieme garantiranno la fiducia nelle due Camere. Era ed è l’unico governo possibile in un momento in cui non si poteva più aspettare oltre per le sorti del nostro Paese”. Prima di annunciare i nomi dei ministri, Letta aveva espresso “profonda gratitudine nei confronti del presidente della Repubblica per questa fiducia”, aggiungendo “parole di sobria soddisfazione per la squadra che siamo riusciti a comporre, per la disponibilità dimostrata, per le competenze che si sono messe al servizio del Paese, per il record di presenza femminile e per il ringiovanimento complessivo della compagine di governo”.

ROMA – INSIEME PER LA CRESCITA, PER EVITARE CHE L’EUROPA VENGA PERCEPITA SOLTANTO COME UN FATTO NEGATIVO. Volato a Berlino da Angela Merkel, Enrico Letta conferma quanto affermato alle Camere prima di incassare la fiducia e si assume davanti alla cancelliera tedesca l’impegno di continuare le politiche di risanamento dei conti pubblici del governo Monti. “Il governo italiano che si forma è un governo politico – esordisce Letta durante la conferenza stampa seguita all’incontro bilaterale – e che vuole usare tutta la forza politica per lavorare soprattutto in due direzioni: ristabilire la fiducia che gli italiani hanno perso nelle politiche e nelle istituzioni e ridare la fiducia a quegli italiani che hanno perso il lavoro”. Da qui l’intenzione di una stretta collaborazione con la Germania, affinché si arrivi a un’unione bancaria, economica, fiscale e politica dell’Europa. “Tutti insieme – afferma il premier – come cittadini europei dobbiamo fare più Europa, perché solo facendo più Europa possiamo dare delle soluzioni. O noi europei facciamo massa critica oppure difficilmente ce la faremo. Non vogliamo un’Europa che consenta di fare debiti a chi li vuole fare, noi vogliamo un’Europa che usi la stessa determinazione che ha nell’evitare i debiti per le politiche della crescita”. Letta ripeterà questa necessità nel prosieguo del suo viaggio che toccherà Parigi, Bruxelles e Madrid sostenendo che le “politiche per la crescita sono assolutamente necessarie perché i nostri cittadini vedano l’Europa non come qualcosa di negativo ma come qualcosa di positivo”. Se l’Europa è vista solo come “foriera di notizie negative”, aggiunge Letta, “cresceranno nelle nostre pubbliche opinioni quei movimenti politici contro l’Europa”. In questo senso “il messaggio che dall’elettorato italiano è arrivato non può essere sottovalutato”, afferma il premier ricordando l’exploit del Movimento 5 stelle. Quanto alle risorse che serviranno a realizzare il suo programma, Letta svicola: “Confermo che manterremo gli impegni che ci siamo presi e ovviamente il tema delle forme e dei modi” attraverso cui questo si farà è un “fatto di casa di nostra” che “non devo spiegare a nessuno”: “Non sono qui – aggiunge – a giustificarmi per le scelte interne che abbiamo intenzione di rispettare”. Alla Merkel tutt’al più, scherza il presidente del Consiglio, “chiederò una consulenza su come si guida una grande coalizione”. Di crescita, dicendosi “molto soddisfatta” del nuovo governo italiano e definendo un “ottimo messaggio” quello che arriva dall’ampia coalizione che lo sostiene, parla anche Angela Merkel tenendo fermo il paletto del consolidamento fiscale. “Le previsioni economiche di medio termine – ha spiegato la cancelliera – hanno reso tema centrale la lotta alla disoccupazione. Dobbiamo investire di più, dobbiamo fare in modo che ci siano più investimenti privati e meno burocrazia. Crediamo che possiamo iniziare una nuova collaborazione. Ciascuno – aggiunge – deve fare delle riforme strutturali nel proprio paese, solo così l’Europa sarà più forte. Il tentativo di consolidamento dei conti e la crescita – conclude – non devono essere contrapposti, anzi” . (Nove Colonne ATG)
ROMA – A febbraio l’occupazione nelle grandi imprese al lordo dei dipendenti in cassa integrazione guadagni (Cig) segna (in termini destagionalizzati) una flessione dello 0,1% rispetto a gennaio. Lo rende noto l’Istat. Al netto dei dipendenti in Cig l’occupazione diminuisce dello 0,3%. Nel confronto con febbraio 2012 l’occupazione nelle grandi imprese diminuisce dell’1,3% al lordo della Cig e dell’1,6% al netto dei dipendenti in Cig. Al netto degli effetti di calendario, il numero di ore lavorate per dipendente (al netto dei dipendenti in Cig) diminuisce, rispetto a febbraio 2012, dello 0,1%. L’incidenza delle ore di cassa integrazione guadagni utilizzate è pari a 33,9 ore ogni mille ore lavorate, in aumento di 2,9 ore ogni mille rispetto a febbraio 2012. A febbraio la retribuzione lorda per ora lavorata (dati destagionalizzati) registra un aumento dell’1,8% rispetto al mese precedente. In termini tendenziali l’indice grezzo cresce del 2,7%. Rispetto a febbraio 2012 la retribuzione lorda per dipendente (al netto dei dipendenti in Cig) diminuisce dello 0,5% e il costo del lavoro per dipendente dello 0,1%. Considerando la sola componente continuativa, la retribuzione lorda per dipendente aumenta, rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, dell’1,8%.(Nove Colonne ATG

AFRICA & MEDIO ORIENTE
SIRIA – Scomparso da 20 giorni Quirico / Nessuna notizia dell’inviato della Stampa Domenico Quirico, 62 anni, entrato in Siria il 6 aprile attraverso il confine libanese e da allora scomparso nel nulla. Dopo giorni di ricerche condotte in tutta segretezza, la Farnesina ha deciso di rendere pubblica la notizia

GERUSALEMME /MEDIORIENTE / USA, contestato Ehud Olmert Kerry, un nuovo fiasco per i palestinesi
Michele Giorgio – Il progetto del Segretario di stato americano di organizzare a giugno un summit per la pace appare velleitario "Penso che noi sulla minaccia iraniana abbiamo esagerato già da molto tempo». Due giorni fa l’ex premier israeliano Ehud Olmert, poco prima di pronunciare queste parole sulla delicatissima questione del programma nucleare iraniano, si era già preso belle bordate di fischi e di «boo».
Aveva osato sostenere, davanti ai circa mille partecipanti alla conferenza annuale del Jerusalem Post a New York, che Israele deve dare via libera alla realizzazione della «soluzione dei due Stati», ossia deve lasciare ai palestinesi il diritto di vivere liberi in un loro Stato indipendente.
«Se (gli altri Paesi, ndr) ci isolano non è perché sono antisemiti, piuttosto non possono più tollerare l’occupazione israeliana dei Territori palestinesi», aveva spiegato. E giù con fischi, urla e molto altro.
Proteste aumentate quando ha toccato l’Iran. «Se il presidente Obama afferma in pubblico ed in maniera inequivocabile che gli Stati uniti non consentiranno all’Iran di dotarsi di armi atomiche, io penso – ha detto Olmert – che dobbiamo prenderlo sul serio».
La platea non ha accettato quella critica netta alla linea di scontro con Tehran portata avanti da anni dal premier israeliano Netanyahu, stanco della diplomazia e deciso a chiudere la questione con un attacco aereo alle centrali atomiche iraniane a costo di innescare un conflitto devastante in Medio Oriente.
Altre polemiche nei confronti di Netanyahu sono giunte dall’ex capo del Mossad, Meir Dagan, che a New York ha confermato di aver impedito nel 2010 (assieme ad altri responsabili della sicurezza) un possibile attacco di Israele all’Iran.
Da Gerusalemme è partita ieri la secca reazione di Netanyahu. «L’Iran non ha ancora varcato la "Linea Rossa" verso la bomba (atomica, ndr)… Tuttavia vi si avvicina in maniera sistematica. Occorre impedire che la oltrepassi», ha avvertito il primo ministro lasciando intendere che Israele è pronto a far decollare i suoi cacciabombardieri.
Tutto o quasi dipenderà dall’atteggiamento che avrà nei prossimi mesi l’Amministrazione Obama. Ieri peraltro è stato «battezzato» a Kiel l’"INS Rahav", il quinto sottomarino di classe "Dolphin", capace di portare missili atomici, che la Germania trasferirà a fine anno alla Marina israeliana.
Netanyahu, sostenuto dalla maggioranza degli ebrei americani, dall’opinione pubblica israeliana e dalle lobby amiche che agiscono in vari Paesi occidentali, sembra non tollerare le critiche. Il suo ufficio ha diffuso un comunicato nel quale si definiscono le dichiarazioni fatte da Olmert e Dagan negli Usa «dannose per gli interessi di Israele».
Come se i due «avversari» fossero rappresentanti della sinistra radicale e non due esponenti della destra israeliana. Olmert prima di spostarsi più al centro aderendo al partito Kadima, era stato un falco del Likud e in qualità di sindaco di Gerusalemme aveva lavorato per annettere a Israele la zona araba della città occupata nel 1967, realizzando progetti concreti sul terreno. Dagan, per anni vicino al falco Ariel Sharon, ha ordinato alcune delle operazioni più letali e vincenti dal servizio segreto israeliano.
Ma il clima è questo, il dissenso interno verso la politica del premier nei confronti dell’Iran e dei palestinesi è tollerato solo in misura minima. E il ministro Naftali Bennett, principale sostenitore dei «settler» in Cisgiordania, sta facendo circolare un progetto di legge che prevede la convocazione di un referendum su qualsiasi accordo di pace che potrebbe essere raggiunto con i palestinesi.
Ma l’occupante non può decidere da solo con un voto se ritirarsi o meno da un territorio che ha preso a un altro popolo, deve arretrare così come, nel caso di Israele, affermano le risoluzioni delle Nazioni unite.
In questo clima appare velleitario il progetto del Segretario di stato Usa John Kerry di organizzare a giugno un summit con israeliani e palestinesi, al quale dovrebbero partecipare anche Turchia ed Egitto, allo scopo di rilanciare il negoziato. Non c’è nulla che possa far credere che Israele rinuncerà alla colonizzazione così come chiedono i palestinesi per tornare al tavolo delle trattative.
Kerry a giugno punterà solo a strappare al presidente palestinese Abu Mazen la rinuncia allo stop alle colonie e il ritorno ai colloqui senza precondizioni, come vuole Netanyahu. Tutto ciò mentre si vive un momento politico delicato tra i palestinesi con Abu Mazen che ha la possibilità, dopo le dimissioni del premier Salam Fayyad, di formare un governo di unità nazionale e di mettere fine alla frattura con Hamas che dura dal 2007. Le due parti però sono ancora lontane da un’intesa sulle elezioni politiche e presidenziali e la riorganizzazione dell’Olp.

IRAQ – Dieci tv oscurate / Dal 23 aprile sono morte più di 240 persone negli scontri tra forze dell’ordine e manifestanti sunniti in varie città, tra cui Ramadi, Falluja e Mosul. I sunniti chiedono le dimissioni del primo ministro sciita Nuri al Maliki e accusano le autorità di prendere di mira la loro comunità. Il 28 aprile l’autorità per le telecomunicazioni ha sospeso le licenze di dieci tv satellitari, tra cui Al Jazeera, accusate di "avere incitato alla violenza settaria" nella copertura delle manifestazioni, scrive Aswat al Iraq. Diciotto persone sono morte il 29 aprile in cinque attentati.

PALESTINA – II 30 aprile un colono israeliano è stato ucciso da un palestinese a sud di Nablus, in Cisgiordania.

PALESTINA/ISRAELE – PAPA FRANCESCO/PERES – «Dica no al muro d’Israele» Papa Francesco si pronunci contro il Muro di Israele nella Cisgiordania occupata, in particolare il tratto della barriera che le autorità di Tel Aviv intendono costruire attraverso la valle di Cremisan, alle porte di Beit Jala, dove è situato uno monastero dei frati salesiani. È questo l’appello che i palestinesi rivolgono alla Santa Sede in occasione della visita di tre giorni di Shimon Peres che arriverà oggi a Roma, durante la quale il presidente israeliano incontrerà con il Pontefice. «L’occupazione militare che ha già iniziato a costruire il Muro per annettere la terra palestinese, sta separando Betlemme e altre regioni da Gerusalemme e dai nostri luoghi sacri», si legge nella lettera aperta indirizzata al Pontefice e firmata dalla comunità cristiana di Beit Jala (Betlemme). «Le chiediamo rispettosamente di approfittare di questo incontro per far passare un messaggio forte per il popolo della Palestina e in particolare per la terra di Cremisan a Beit Jala», scrivono ancora i cristiani palestinesi che verrebbero tagliati fuori dalla costruzione del muro, separandoli da Gerusalemme che si trova a soli cinque chilometri di distanza. La Corte Internazionale di Giustizia ha stabilito nel 2004 che gran parte del Muro costruito da Israele nella Cisgiordania palestinese è illegittimo. Israele non ha tenuto sino ad oggi in alcun conto il parere espresso nove anni fa dai giudici internazionali. Un tribunale israeliano la scorsa settimana si è pronunciato a favore della costruzione del Muro attraverso i 170 ettari della valle di Cremisan, dove molti dei cristiani di Beit Jala lavorano come agricoltori.

MALI. La guerra continua Sesta vittima francese. UCCISO PARÀ / Un paracadutista delle forze speciali ucciso, altri due feriti in modo grave. È il bilancio dell’esplosione che ha investito lunedì sera il mezzo su cui viaggiavano i militari francesi nel nord del Mali. All’origine della deflagrazione un ordigno rudimentale piazzato ai bordi della strada. Il presidente Hollande ha espresso la sua «profonda tristezza» e le sue condoglianze alla famiglia del militare caduto, lodando «la determinazione e il coraggio di cui danno prova le forze francesi impegnate in Mali al fianco delle forze maliane e africane». L’Eliseo esprime inoltre «totale fiducia» per come l’esercito di Parigi saprà «condurre nel migliore dei modi l’ultima fase della missione». Quella di lunedì è la sesta vittima francese dallo scorso gennaio, data d’inizio dell’intervento militare francese nel paese ovest-africano. Nello stesso giorno nuove minacce sono state rivolte al paese dall’esponente salfita egiziano Mohammed al Zawahiri, fratello del presunto leader di al Qaeda, Ayman al Zawahiri: la Francia «gioca col fuoco», ha detto al Zawahiri al settimanale Le Point. «Attaccando il Mali – ha aggiunto – la Francia ha acceso la miccia e ne subirà le conseguenze. La reazione dei combattenti jihadisti rischia di essere forte, che sia in Mali o sul territorio francese. Parigi uccide i nostri figli, dobbiamo rispondere. Non abbiamo né bombe né aerei, ma i nostri mezzi ci consentono di prendere degli ostaggi per difenderci. È una reazione normale e legittima».

LIBIA – Sudan II ribelle ugandese Joseph Kony (nella foto), capo dell’Esercito di resistenza del Signore (Lra), potrebbe nascondersi in Sudan. Lo ha rivelato un’organizzazione statunitense che studia i movimenti dell’Lra. Mali II 25 aprile il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha approvato la creazione di una forza composta da 12.600 caschi blu da inviare nel nord del paese.

Mali – Un pericolo dal Mali . Il 28 aprile a Tripoli decine di miliziani hanno bloccato l’ingresso al ministero degli esteri e, due giorni dopo, anche a quello della giustizia. Manifestavano a favore di una legge che, se approvata, impedirebbe ai funzionari nominati da Gheddafi di mantenere i loro incarichi, spiega il Libya Herald. Oltre all’instabilità politica, nel paese cresce anche la paura dell’estremismo islamico che, come rivelano alcuni diplomatici al Guardian, potrebbe essere alimentata dall’arrivo in Libia di combattenti jihadisti in fuga dal Mali.

COSTA D’AVORIO – Trafficanti di cacao / "Alcuni ex capi ribelli, oggi ufficiali dell’esercito ivoriano, sono coinvolti in un traffico illegale dì cacao e altre risorse naturali, che gli frutta centinaia di milioni di dollari". Jeune Afrique fa il punto dell’ultimo rapporto degli esperti incaricati dal Consiglio di sicurezza dell’Onu di verificare l’applicazione sull’embargo di armi in Costa d’Avorio. Questi comandanti, oggi vicini al presidente Alassane Ouattara, gestiscono una rete "militare-economica" basata sul contrabbando. "La Costa d’Avorio è il primo esportatore di cacao al mondo. Nella stagione 2011-2012, su 1,47 milioni di tonnellate di cacao commerciate legalmente ne sono state contrabbandate i53mila. Gli esperti stimano che la perdita per lo stato sia di 400 milioni di dollari". Questi traffici riguardano anche un terzo della produzione nazionale di anacardi, una coltura di recente introduzione ma redditizia: la perdita stimata è di 130 milioni di dollari.

ORIENTE & PACIFICO
PAKISTAN – II 26 aprile l’ex presidente Pervez Musharraf, già ai domiciliari per l’arresto di alcuni giudici nel 2007, è stato accusato anche della mancata protezione della leader dell’opposizione Benazir Bhutto, uccisa nel 2007.

BANGLADESH – QUANTO VALE LA VITA DÌ UN OPERAIO / di Shayan S. Khan, Dhaka Courier, Bangladesh Una sopravvissuta nel crollo del Rana Plaza, 25 aprile 201 Il Bangladesh e l’abbigliamento non sostenibile Syed Tashfin Chowdhury, Asia Times, Hong Kong / Il crollo dello stabilimento tessile Rana Plaza di Savar è l’ennesima prova della tragica realtà di questo settore industriale in Bangladesh. Il suo peso sproporzionato rispetto al totale delle esportazioni del Bangladesh, i milioni di donne che vanno a lavorare in fabbrica ogni mattina e quelle aziende che hanno lasciato i fornitori in Cina per commissionare i loro prodotti in Bangladesh nascondono verità drammatiche. Il dominio del settore dell’abbigliamento sulle esportazioni è ormai tale che non c’è una forza in grado di fare pressione sui proprietari degli stabilimenti affinché rispettino le regole. Considerando le condizioni disastrose della maggior parte delle strutture, le opearie che ogni giorno vanno in fabbrica potrebbero in realtà essere dirette verso la morte. Ma in fondo cosa sono altre cento vite in confronto a cinque nuovi acquirenti che lasciano la Cina (dove finalmente i cittadini hanno cominciato a dare più valore al loro lavoro) per il Bangladesh, dove possono continuare a sfruttare la manodopera a basso costo e dove il lavoro, e la vita, valgono così poco? Le notizie che arrivano da Savar sono un desolante atto d’accusa , e davvero viene da chiedersi che valore abbia la vita in Bangladesh nel 2013. Le esperienze passate – per trovare un’altra tragedia simile basta pensare all’incendio della Tazreen – ci insegnano che dopo il clamore iniziale non dobbiamo aspettarci nessun cambiamento Presto dimenticheremo gli operai che in quel fatale 24 aprile sono stati mandati a lavorare anche se il giorno prima era comparsa un’inquietante crepa nell’edificio. Prima di accusare i datori di lavoro, dovremmo renderci conto che la loro idea della vita in termini di manodopera a basso costo deriva dal contesto sociale in cui agiscono, dove è fondamentale che il lavoro costi poco. Questa situazione è solo lo specchio di una realtà che abbiamo accettato tutti: i cittadini, il governo, le banche, i proprietari della fabbriche. Perché ormai il nostro unico obiettivo è rispettare le previsioni sulla crescita del pil e della produzione industriale. Il valore della vita umana non deve ostacolarci.

AFGHANISTAN /KABUL -SOLDI SPORCHI ALIMENTANO MERCATO DELLE ARMI E CORRUZIONE / Il malloppo di Hamid Karzai proviene dagli uomini della Cia / di Giuliano Battiston
Pesanti borsoni da viaggio, valigie, perfino buste di plastica piene di fruscianti dollari americani. Decine di milioni, consegnati dal 2003 con regolarità dagli uomini della Cia all’ufficio presidenziale di Hamid Karzai, l’ex "sindaco di Kabul" (nella foto Reuters) la cui famiglia è diventata un nodo fondamentale nell’economia di guerra afghana. Un’economia che è cresciuta al ritmo dell’8% annuo, con un aumento del Pil del 79% in pochi anni ma che – come conferma l’inchiesta del New York Times pubblicata ieri – è fondata sull’opacità e il clientelismo e favorisce i più avidi e corrotti. La storia ripercorsa dal giornale americano comincia con l’intervento militare del 2001 contro il regime talebano. Allora, come ormai tutti ammettono, la Cia sborsava centinaia di migliaia di dollari per assicurarsi la fedeltà e il sostegno di quei signori della guerra – tra cui l’attuale vice-presidente afghano, il "maresciallo" Fahim – che si dichiaravano pronti a combattere gli studenti coranici e a favorire il cambio di governo voluto da Washington. Quei soldi però finivano direttamente nelle loro mani, bypassando il "sindaco di Kabul". Che dalla fine del 2002 prese a farsi insistente con gli americani perché fossero destinati a lui. Fu presto accontentato. Secondo le fonti del NYT – tra cui spicca Khalil Roman, vice-capo dello staff dell’ufficio presidenziale dal 2002 al 2005 -, da gennaio 2003 la Cia ha cominciato a consegnare i soldi nell’ufficio del presidente. Karzai non si è mai sporcato le mani, i dollari venivano affidati agli uomini del Consiglio di sicurezza nazionale, sotto l’occhiuta supervisione del responsabile amministrativo del Consiglio, Mohammed Zia Salehi, già arrestato dagli americani nel 2010 perché coinvolto in un ampio giro di affari sporchi tra traffico d’oppio, finanziamento ai Talebani, riciclo di denaro. All’epoca, Karzai si impegnò personalmente perché Mohammed Zia Salehi fosse rilasciato nel giro di un paio d’ore, e continuò a gestire un costante flusso di denaro proveniente dalla Cia. Denaro usato da Karzai per assicurarsi il controllo in un sistema fortemente centralizzato a livello politico, ma con costanti spinte centrifughe dalle "periferie", in termini militari e di gestione del consenso.
Con il regolare flusso di denaro destinato all’ufficio di Karzai, la Cia sperava di assicurarsi accesso al "circolo interno" del presidente, così da influenzarne le decisioni e gettare le basi per la stabilizzazione del paese. Gli esiti, secondo il NYT, sono stati opposti: quei soldi sono finiti nelle mani di signori della guerra e politici coinvolti nel traffico di droga e, a volte, legati con i gruppi anti-governativi, e hanno finito per consolidare quegli stessi network criminali che le forze Isaf-Nato provano a combattere.
Alla luce delle rivelazioni di ieri, assume una luce nuova anche la reazione degli americani alla notizia, circolata nel 2010, che gli iraniani erano soliti consegnare ingenti somme di denaro a Karzai. Allora, i diplomatici a stelle e strisce criticarono il tentativo degli iraniani di sabotare le relazioni tra Kabul e Washington con metodi scorretti. Dimenticando di aggiungere che facevano lo stesso. E chiudendo gli occhi su un meccanismo destinato a produrre inevitabilmente frutti avvelenati, vero nodo gordiano dell’intervento in Afghanistan: il tentativo di portare pace e stabilità nel paese affidandosi a tutti quei signori della guerra, criminali, trafficanti di droga che alimentano conflitti, instabilità, corruzione. Per dirla con le parole di uno degli anonimi alti funzionari statunitensi interpellati dal NYT, «la principale fonte di corruzione in Afghanistan sono stati gli Stati initi». Detta in altri termini – secondo un messaggio del 2009 proveniente dall’ambasciata statunitense a Kabul e reso noto tempo fa da Wikileaks – ogni tentativo di combattere seriamente la corruzione in Afghanistan presenta «un serio dilemma: coinvolgerebbe alcuni dei più prossimi parenti e alleati di Karzai, e richiederebbe di perseguire gente a cui spesso ci affidiamo per assistenza e/o supporto».
Qui a Kabul la notizia del New York Times viene accolta con il consueto disincanto di chi sa bene come vanno le cose: secondo un rapporto dell’Onu sulla corruzione presentato lo scorso dicembre (Unodc, Corruption in Afghanistan: Patterns and Trends), nel 2012 metà della popolazione afghana ha dovuto consegnare una mazzetta a funzionari pubblici, un giro di corruzione equivalente a 3.9 miliardi di dollari solo nel 2012. La corruzione è ovunque, dicono gli afghani, tanto più ovvio che sia ai piani alti. Qualcuno legge invece la notizia NYT come un tentativo di indebolire Karzai mentre è impegnato con gli americani nel delicato negoziato sull’accordo bilaterale di sicurezza (quante basi, quanti soldati e con quale status resteranno dopo il 2014). Che sia così o meno, un fatto rimane certo: è impossibile vincere una guerra che si contribuisce ad alimentare.

BANGLADESH – DOPO IL CROLLO / Triste capodanno bengalese e ondata d’indignazione / Il «genocidio bianco» aizza lo scontro sociale – di Carola Lorea
Preso il proprietario del palazzo, legato al partito di potere. La firma mancante delle «grandi firme» Il nuovo anno del calendario bengalese ha avuto inizio da una manciata di giorni, nel giorno di festa detto Poyla Boishakh. Siamo nel 1420, un anno inaugurato con la più grande tragedia "bianca" della storia del Bangladesh e con un’ondata di rammarico e indignazione. Il capodanno bengalese di Roma, celebrato con orgoglio e grandeur dalla comunità di immigrati bangladesi, è stato posticipato per rispettare silenziosamente le vittime e i parenti delle vittime a disgrazia che ha portato alla ribalta il Bangladesh sui media di tutto il mondo. Seppure, a giudicare dalle cause e dalle premesse degli eventi, parlare di «disgrazia» sarebbe un’offesa.
Mercoledì 24 aprile, le immagini di un Bangladesh di cui si parla solo in momenti di crisi, catastrofi naturali e incidenti infernali, sono ricomparse sulle pagine dei mediA italiani mostrando la consueta faccia della medaglia. Eppure le grandi firme come Benetton e Piazza Italia hanno optato per l’outsourcing nei dintorni di Dacca già da tempo, attratte dalla manodopera più economica e abbondante del mondo.
Mentre Benetton ha prontamente negato qualsivoglia legame con le fabbriche tessili dell’edificio Rana Plaza – vedi articolo di apertura -, crollato su se stesso come un castello di carte il 24 aprile, i soccorritori hanno aggiornato il numero delle vittime a 371. I superstiti e i feriti salvati dalle incessanti operazioni di soccorso sarebbero al momento 2440, ma potrebbero essere a centinaia gli operai – donne, per la maggior parte – ancora intrappolati fra le macerie. Il Rana Plaza ospitava di fatto un piccolo centro commerciale e cinque fabbriche di abbigliamento, per un totale di 3122 dipendenti.
La fatiscenza del palazzo di otto piani (gli ultimi tre costruiti abusivamente) era stata sottolineata dal rapporto dell’ispezione che, considerata l’estensione delle crepe, dichiarava l’edificio non idoneo all’uso. Mentre alcuni negozi avrebbero colto il monito, i proprietari delle fabbriche di abbigliamento New Wave Buttons e New Wave Style avrebbero costretto gli operai a presentarsi comunque sul posto di lavoro e sono ora in arresto.
Manifestanti e operai del settore tessile si sono riversati per le strade di Dhaka e Chittagong a migliaia. Con un’opinione pubblica già infervorata dagli ultimi mesi di instabilità politica, le proteste sono subito sfociate in violenza: oltre 150 veicoli danneggiati, numerose fabbriche tessili vandalizzate e incendiate, altre fabbriche chiuse e asserragliate per il timore di attacchi.
La polizia ha risposto con pallottole di gomma e lacrimogeni, mentre da parte della politica, per placare l’indignazione e promettere giustizia, il governo ha sollecitato l’immediato arresto di due ingegneri, presumibilmente coinvolti nell’edificazione del Rana Plaza, e dei due titolari delle fabbriche New Wave.
I manifestanti hanno richiesto a gran voce la pena di morte per il proprietario dell’edificio, Mohammad Sohel Rana, catturato ieri dalle forze dell’ordine dopo una vera e propria caccia all’uomo (sua moglie è stata tenuta in fermo dalla polizia già a partire da sabato per calmare le acque e mettere il latitante sotto pressione). Rana si sarebbe di fatto dileguato subito dopo il crollo. Avrebbe tentato di fuggire in India, coadiuvato dai contatti dell’Awami League, il partito di maggioranza del governo bangladese di cui Rana fa parte in qualità di piccolo leader locale.
La casuale associazione del proprietario del Rana Plaza con il partito al governo ha resuscitato violenze e malumori che continuano ad abitare la coscienza politica di un Bangladesh socialmente diviso dai postumi del movimento di piazza Shahbagh, rassegnato alla corruzione e all’inettitudine politica a partire dall’Indipendenza del 1971, impotente e disilluso dinnanzi al solito succedersi di leadership pericolanti, sia da parte della stagnante intellighenzia dell’Awami League, cristallizzata nella retorica nazionalista anti-pakistana, sia dal versante dell’opposizione di centro-destra, capeggiata dal Bangladesh National Party (Bnp) e alleata del partito fondamentalista Jamaat-e-Islami.
La manipolazione politica del genocidio bianco del Rana Plaza ha nuovamente aizzato le fiamme del conflitto delle parti sociali portando alle dichiarazioni più scriteriate. Su blog e quotidiani in lingua bengali, il presidente della Lega Popolare di Contadini e Lavoratori Kader Siddiqui insinuava, fino a pochi giorni fa, che il proprietario dell’edificio fosse stato scortato al di là del confine dai membri del partito al governo, prima che questo ne ordinasse pubblicamente la cattura. Giocando al rimbalzo, il Ministro degli interni ha accusato il Bangladesh National Party di aver manomesso i pilastri portanti dell’edificio causandone intenzionalmente il crollo. Il Bnp ha puntato il dito contro i membri dell’Awami League, che avrebbero premeditato il crollo per impedire lo svolgimento dello sciopero indetto nello stesso giorno da Bnp e Jamaat-e-Islami. I blog più maliziosi hanno pubblicato foto del fuggiasco Sohel Rana in atteggiamenti estremamente intimi con un deputato dell’Awami che negava invece di conoscere il ricercato (shomprotibd.blogspot.in/2013/04/blog-post.html ).
I gruppi politici sono concordi nel condannare la tragedia e ad attribuirne la responsabilità non tanto alle lotte individuali di potere, quanto alla generale negligenza amministrativa, all’indifferenza del capitalismo, all’incapacità di ascoltare le richieste dei sindacati e delle associazioni per i diritti umani, come Clean Cloth Campaign e Labour Behind the Label, che dal 2005 insistono – con scarso successo – perché le grandi firme, da Primark a Benetton, da Walmart a Mango, firmino l’accordo per il rispetto delle norme di sicurezza (laborrights.org/sites/default/files/publications- and resources/Bangladesh%20Fire%20and%20Building%20safety%20MOU-2012-Nov.pdf ).
Dopo la recente strage della fabbrica tessile Tazreen, distrutta da un incendio che costò 117 vittime nel novembre 2012, Solidarity Center informa che «oltre due dozzine» di fabbriche tessili sono state colpite da incendi. Non abbastanza, evidentemente, per trasformare il lutto in agenda del giorno e portare in posizione di pressante priorità il tema della sicurezza e dei diritti degli operai del tessile, un settore la cui portata è raddoppiata in soli cinque anni. L’abbigliamento «made in Bangladesh» rappresenta il 75% delle esportazioni e procura oltre il 17% del suo prodotto interno lordo.
La paga minima degli operai (intorno ai 38 dollari al mese) mantiene il Bangladesh in posizione competitiva rispetto alle crescenti retribuzioni in Cina e Vietnam, secondo la rivista commerciale Sourcing Journal.
È fondamentale che dall’interno del Paese vengano dati segni di riforma e di garanzie minime, prima che le grandi marche ritirino, imbarazzate, i loro capitali, con gravi conseguenze su un’economia già vacillante.

INDIA -Tehelka – Generazione perduta / "L’India ha perso il treno del ventunesimo secolo?". Se lo chiede il settimanale Tehelka, che dedica la copertina a un’inchiesta sul futuro del paese minato dalla sanità infantile in crisi, dal basso livello dell’istruzione e dalla mancanza di posti di lavoro. Entro il 2020 la popolazione indiana avrà un’età media di 29 anni, contro i 37 dei cinesi e degli statunitensi e i 45 degli europei. Secondo il Fondo monetario internazionale l’esplosione demografica indiana potrebbe far crescere il pil di due punti all’anno per i prossimi vent’anni. Ma, scrive Tehelka, la chiave del successo dell’India è una massa in crescita di giovani in gran parte denutriti, poco istruiti e senza una formazione professionale che aspirano a una vita migliore ma non hanno i mezzi per raggiungerla. Il problema comincia alla nascita: più del 40 per cento dei neonati è sottopeso e rachitico e più della metà dei bambini di due anni non è vaccinato. La denutrizione nei primi otto anni di vita può influenzare la capacità di apprendere, comunicare, pensare in modo analitico, socializzare. Il 60 per cento degli scolari di quinta elementare non sa leggere al livello della seconda, e 1’80 per cento lascia gli studi dopo la seconda superiore. La scarsa preparazione degli insegnanti, disincentivati da stipendi bassi, è un altro punto debole del sistema.

CINA – Polveriera Xinjiang / Il 29 aprile la polizia cinese ha arrestato 19 persone nell’ambito delle indagini sulle violenze che una settimana prima avevano fatto almeno 21 morti nella regione autonoma dello Xinjiang, a prevalenza musulmana e turcofona. Gli scontri sono avvenuti per un sopralluogo della polizia in una casa dove si riteneva fossero nascoste armi. Lo Xinjiang è una delle aree calde per il governo centrale. Nella regione è forte la spinta autonomista e per la difesa della cultura uigura minacciata dall’afflusso di cinesi han. Pechino accusa invece i gruppi uiguri di legami con gli islamisti che lottano per l’indipendenza. Ma i dirigenti locali, scrive il South China Morning Post, non sanno gesti

GIAPPONE – Pesca fortunata per Taiwan / La stagione della pesca del tonno rosso è cominciata e Tokyo ha da poco firmato un patto con Taiwan per l’attività ittica nelle acque intorno alle isole Senkaku (Diaoyu), amministrate da Tokyo ma rivendicate da Pechino. Nel 1996 Tokyo aveva creato una zona economica esclusiva intorno alle isole contese, impedendo l’ingresso ai pescherecci taiwanesi. Ora, con l’inasprirsi dei toni tra Tokyo e Pechino, Taiwan ha avuto la rivincita, scrive Asia Sentinel. L’accordo, in cui è chiaro l’obiettivo del Giappone di assicurarsi l’appoggio di Taiwan nella disputa, preoccupa gli ambientalisti che denunciano la mancanza di limiti alla pesca del tonno rosso, a rischio di estinzione.
GIAPPONE – II 29 aprile il primo ministro Shinzò Abe, in visita a Mosca, ha annunciato un negoziato tra i due paesi sulla sovranità delle isole Kurili meridionali, rivendicate da Tokyo.

PENISOLA COREANA – La maggior parte degli impiegati sudcoreani del sito industriale intercoreano di Kaesong è rientrata in patria il 29 aprile.

AMERICA CENTRO MERIDIONALE
VENEZUELA – Escluso il riconteggio / Il 28 aprile il Consejo nacional electoral ha annunciato che a partire dal 6 maggio esaminerà la regolarità delle elezioni presidenziali del 14 aprile, escludendo però un riconteggio dei voti. Il candidato di opposizione Henrique Capriles (nella foto), sconfitto di stretta misura, ha definito il procedimento una farsa e ha accusato il presidente Nicolàs Maduro "di aver rubato l’elezione", scrive ElUniversal. Intanto un cittadino statunitense, Timothy Hallet Tracy, è stato arrestato con l’accusa di essere entrato illegalmente nel paese e di aver alimentato le violenze postelettorali in cui sono morte nove persone.

BRASILE – SÀO PAULO /di Amira Hass STATUINE BIANCHE E NERE / Il mio accompagnatore mi ha chiesto di chiudere il finestrino dell’auto o di lasciare aperto solo uno spiraglio tra il vetro e il pannello di plastica dura installato nella maggior parte delle macchine di Sào Paulo. In questo modo i ladri non possono infilarci una pistola e intimarci di consegnargli i soldi. I ladri professionisti sono pericolosi, ma i dilettanti lo sono ancora di più, perché la paura potrebbe spingerli a sparare a caso. In gran parte sono tossicodipendenti. Li ho visti radunarsi nei parchi. Erano soprattutto neri. Anche tutti i senzatetto che ho visto erano neri. Come i tossici, anche loro discendono dagli schiavi descritti con grande realismo nelle litografie di Jean-Baptiste De-bret in mostra al Museu de arte de Sào Paulo. Le opere del pittore francese dell’ottocento sono state usate in un’installazione dell’artista portoghese Vasco Araujo. Araujo ha posizionato in mezzo a una sala alcuni tavolini di legno con sopra un uovo di legno dipinto aperto a metà e due o più statuine, una
bianca e le altre nere. Le statuine, in una sorta di duetto con le opere di Debret appese alle pareti, raffiguravano atti di violenza e sottomissione. Una volta un mio amico che lavorava con i tossicodipendenti ha chiesto a un nero perché si facesse di crack. "Fa passare la fame", ha risposto l’altro. La schiavitù è incisa per sempre nelle società che l’hanno tollerata. Non solo nella memoria, nella vergogna e nell’oblio, ma anche nella caratterizzazione razziale della povertà e della ricchezza.

BOLIVIA – Ok al terzo mandato per Morales / In Bolivia, il Tribunale costituzionale ha dato il via libera alla possibilità che l’attuale presidente della repubblica, Evo Morales, possa presentarsi per un terzo mandato nelle elezioni del dicembre 2014. Morales, eletto nel 2005 per la prima volta, è stato rieletto nel 2009 e se vincesse anche la terza tornata elettorale potrebbe governare lo stato «plurinazionale» fino al 2020. La Costituzione boliviana limita attualmente a due i mandati consecutivi del presidente, ma Morales ha sempre fatto osservare che il suo primo governo non va considerato perché è precedente la nuova costituzione che ha rifondato il paese e che è entrata in vigore nel 2009. E il Tribunale gli ha dato ragione.

CILE – Caso Neruda: chi è il «Doctor Price»? In Cile, la polizia cerca il misterioso «Dottor Price», il medico che ha assistito il poeta Pablo Neruda nelle sue ultime ore di vita e che potrebbe averlo avvelenato nella clinica Santa Maria di Santiago, il 24 settembre del 1973. L’11, il dittatore Augusto Pinochet ha preso il potere con un colpo di stato contro il presidente socialista Salvador Allende. Neruda, premio Nobel per la letteratura e militante del Partito comunista, è una voce pericolosa per il regime. I militari occupano la casa di Isla Negra dove il poeta, malato di cancro, vive con la moglie e l’autista. Prima di partire in esilio in Messico, Neruda viene ricoverato alla Santa Maria. Da lì telefona alla moglie: qualcuno gli ha fatto un’iniezione alla pancia mentre dormiva. Gli viene la febbre, serve un farmaco particolare. L’autista va a cercarlo, ma viene fermato per diverse ore. Neruda muore. Il registro medico scompare. Quarant’anni dopo, la denuncia dell’autista consente di riesumare i resti, ora esaminati in Cile e negli Usa. E i magistrati vogliono scoprire la vera identità del «Doctor Price»

HONDURAS – II 26 aprile due ufficiali di polizia che indagavano sulla corruzione all’interno delle forze dell’ordine si sono dimessi. Alcuni deputati li avevano accusati di eccessiva lentezza.

MESSICO – Almeno 13 persone sono morte e 87 sono rimaste ferite il 27 aprile negli scontri tra detenuti scoppiati in una prigione dello stato di San Luis Potosi, nel centro del paese.

AMERICA SETTENTRIONALE
STATI UNITI – II 27 aprile un uomo di 41 anni, James Everett Dutschke, è stato arrestato con l’accusa di aver inviato lettere con la ricina al presidente Barack Obama e a un senatore
STATI UNITI – Le tangenti di Novartis / Il 26 aprile il governo statunitense ha avviato un’azione legale contro il gigante farmaceutico svizzero Novartis, accusandolo di aver pagato tangenti e offerto sontuose cene ai medici statunitensi per incoraggiarli a prescrivere alcuni farmaci contro l’ipertensione e altre malattie, scrive il Wall Street Journal. Pochi giorni prima la multinazionale era stata accusata da un tribunale federale di frode contro le assicurazioni sanitarie per aver spinto diverse farmacie statunitensi a favorire la vendita di un suo farmaco.
STATI UNITI – La cura Jerry Brown / Bloomberg Businessweek; "Jerry Brown è felice, ma sorride raramente. Perché sotto l’energia e l’ottimismo del californiano, c’è un vecchio buddista amante della concretezza", scrive Bloomberg Businessweek. Brown, 75 anni, è al terzo mandato non consecutivo da governatore della California. Figlio di un governatore dello stesso stato, ha tentato tre volte la corsa alla Casa Bianca. "Ora ha fatto quello che molti ritenevano impossibile: rimettere in sesto i conti dello stato". Nel 2012, quando ha assunto l’incarico, la California aveva un deficit di 27 miliardi di dollari. Oggi ha un avanzo di bilancio di 850 milioni. In uno stato in cui i cittadini possono proporre nuove leggi tramite referendum e gli aumenti delle tasse devono essere approvati con una maggioranza di due terzi, Brown è passato dalle parole ai fatti: "Ha ridotto a tal punto le spese del governo – tagliando fondi alle scuole, alle università e alla sanità – che anche i ricchi si sono decisi ad approvare gli aumenti delle tasse". Brown non ha il fascino di certi politici, ma ha vinto grazie al pragmatismo e alla
STATI UNITI – Lo sciopero dei 15 dollari / Il 24 aprile centinaia di dipendenti dei negozi e dei fast food di Chicago hanno scioperato contro gli stipendi troppo bassi. Il loro obiettivo, spiega il Chicago Tribune (nella foto la sede), è ottenere un minimo salariale di 15 dollari all’ora, rispetto agli 8,25 di oggi. Il 5 aprile, ricorda il quotidiano, i dipendenti dei fast food avevano scioperato a New York per lo stesso motivo, mentre alla fine del 2012 era toccato ai dipendenti di Walmart: la protesta era stata innescata dalla decisione dell’azienda di aprire i suoi supermercati il giorno del Ringraziamento. "Probabilmente non la spunteranno", commenta The Nation. "Ma questa campagna è un segno di coraggio in un momento cupo per i lavoratori e per i sindacati".
STATI UNITI – La religione del biologico William Falk, The Week, Stati Uniti
CARTA DA FONTI GESTITE IN MANIERA RESPONSABILE / Il cibo è la nuova religione. Non sono certo il primo a fare un’osservazione del genere, ma la sottoscrivo in pieno. I laici più raffinati hanno gettato alle ortiche le tradizionali convinzioni sul peccato e la santità e soddisfano il loro istintivo bisogno di purezza e redenzione con quello che mangiano. Lo vedo quando vado nel negozio di cibo biologico della mia zona a fare la spesa per il weekend. Non posso fare a meno di sorridere davanti a tutta quella purezza biologica locale, anche se ne subisco anch’io il fascino.
Guarda quei cavolfiori biologici grandi come palloni da basket del reparto frutta e verdura, il cartello annuncia che sono stati coltivati in una fattoria a gestione familiare a soli 150 chilometri di distanza! Sul banco della carne, il manzo alle-vatoaerbavantailmassimo punteggio di bene s-sere animale, cinque, assicurandoci che durante la sua vita la mucca è stata così felice che è andata incontro al suo macellatore con un sorriso. Sugli scaffali dei caffè, file profumate di chicchi equi e solidali provenienti da Sumatra e dal Guatemala – ovviamente tostati in loco – promettono momenti di grande illuminazione mattutina. Nel reparto vitamine, possiamo armarci contro la corruzione del mondo con capsule di resveratro-lo, bacche di afai, semi di canapa e probiotici con 40 milioni di batteri benefici a capsula. Non c’è da meravigliarsi, quindi, se tutti i benestanti che spingono i loro carrelli sempre più pieni in giro per il negozio – molti dei quali in tute aderenti che mettono in mostra i loro glutei d’acciaio -hanno un’aria così sicura e soddisfatta.
Certo, spendiamo il doppio di quello che spenderemmo in un normale supermercato. Ma quanto siamo più puri, più liberi dagli ossidanti! Quanto vivremo più a lungo delle masse ignare ! Siamo i Prescelti! Dacci anche oggi il nostro pane quotidiano artigianale senza glutine e il nostro succo di gojì, e liberaci dalla nostra impronta di carbonio. Amen. William Falk è direttore del settimanale statunitense The Week

 

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