10489 Notizie 09 feb

20130208 12:46:00 guglielmoz

MEDIO ORIENTE & AFRICA
AMERICHE
ASIA & PACIFICO
EUROPA

MEDIO ORIENTE & AFRICA
EGITTO – VIOLENZE DELLA POLIZIA, VIDEO-CHOC INFIAMMA IL CAIRO Il video della vergogna trasmesso in diretta dalla tv di stato è benzina sul fuoco del Cairo. Si vede un uomo denudato, percosso e trascinato per terra da agenti della sicurezza centrale nei disordini esplosi venerdì davanti al palazzo presidenziale costati la vita a un ragazzo di 23 anni. Immagini choc che hanno portato alle stelle la tensione già altissima. Attivisti e opposizione laica invocano giustizia. Il Fronte di salvezza nazionale chiede che il presidente Morsi, il suo ministro dell’Interno e chiunque altro sia coinvolto «negli assassinii, torture e detenzioni illegali» siano sottoposti a processo. Dopo aver inizialmente negato l’evidenza Morsi è stato costretto a toni più cauti: «Nessun errore verrà passato sotto silenzio» ha detto, mentre il ministro dell’Interno Mohamed Ibrahim ha fatto capire che potrebbe lasciare l’incarico «se questo desse soddisfazione al popolo egiziano». Piazza Tahrir ancora ieri sera è tornata a incendiarsi.
EGITTO- Si dimette IL Ministro della cultura / Il ministro della Cultura egiziano Mohamed Saber Arab si è dimesso per protestare contro le violenze della polizia sui manifestanti nell’assalto al palazzo presidenziale di Heliopolis dello scorso venerdì. In particolare Arab ha sottolineato la sua disapprovazione per il video che mostra le violenze su un manifestante, denudato e colpito dalle forze della Sicurezza centrale. Secondo le ricostruzioni degli inquirenti l’uomo era in possesso di bottiglie molotov. Tuttavia, per la brutalità nell’arresto, i movimenti di opposizione avevano chiesto le dimissioni del ministro dell’Interno, Mohammed Ibrahim. ll presidente del Consiglio Hisham Qandil sta tentando di mediare per convincere il ministro della Cultura a ritirare le sue dimissioni. Tafferugli hanno avuto luogo anche ieri al Cairo durante il funerale di due giovani attivisti, fra i quali Mohamed Nabil el-Guendi, morto, secondo la denuncia delle opposizioni in seguito a torture.
EGITTO . Indifesa delle donne / Dal 6 febbraio le donne viaggeranno in carrozze riservate su alcuni treni, scrive Al Masry al Youm. In Egitto sono sempre più numerose le denunce di violenze sessuali da parte di donne che hanno partecipato alle recenti manifestazioni contro il governo. Anche gli uomini lamentano gravi abusi. Gli egiziani sono rimasti sconvolti da un video trasmesso alla tv in cui la polizia, ai margini di una protesta, picchia un uomo nudo (nella foto) e dal caso di Mohamed el Guindy, 28 anni, morto in ospedale a causa, dicono i suoi avvocati, delle torture della polizia. Il 5 febbraio il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha compiuto una storica visita al Cairo, la prima dal 1979. Ahmadinejad è stato però criticato da un leader religioso sunnita.

TURCHIA – ANKARA, RIVENDICATO L’ATTENTATO ALL’AMBASCIATA USA Il Dhkp-C, un gruppo armato della estrema sinistra turca ha rivendicato sul suo sito internet l’attentato suicida commesso venerdì contro l’ambasciata degli Stati uniti ad Ankara. Una foto del kamikaze – secondo le autorità turche, Ecevit Alisan Sanli, 40 anni – con una cintura esplosiva e una mitraglietta, davanti alla bandiera della sua organizzazione è stata pubblicata sul sito Halkin Sesi (La voce del popolo). Il comunicato accusa gli Stati uniti di essere i «boia dei popoli», denuncia i massacri commessi dagli Usa – alleati della Turchia nella Nato, in Iraq, Afghanistan, Libia, Siria ed Egitto -, e ridicolizza la tanto decantata «sicurezza» delle loro rappresentanze diplomatiche. Il Dhkp-C mette anche in guardia gli Usa dal proseguire con nuove missioni sul territorio turco, li esorta a lasciare «la Turchia che ci appartiene» e accusa Ankara e il suo governo di essere complice delle azioni americane che mirano a rimodellare il Medioriente. Ma, come scrive Hurriyet Daily News, ci sono ancora molti dubbi: "È possibile che dietro il Dhkp/c ci sia un gruppo terrorista più grande o un paese straniero? L’Iran? E se il vero bersaglio era Israele, e quindi gli USA perché colpire la Turchia?

CISGIORDANIA – RETATA DELL’ESERCITO ISRAELIANO CONTRO HAMAS Truppe speciali dell’esercito israeliano hanno effettuato tra domenica e ieri una retata in varie aree della Cisgiordania contro attivisti veri e presunti del movimento islamico Hamas. Tra i 25 arrestati figurano tre deputati: Hatem Kafisha, Mohamed al Tal, entrambi arrestati nella zona di Hebron, e Ahmed Atoun fermato nei pressi di Ramallah. Gli ultimi arresti portano a 12 il numero dei parlamentari del Consiglio legislativo palestinese detenuti in Israele. Tra di essi c’è anche il leader di Fatah, Marwan Barghouti, condannato all’ergastolo. Intanto ieri un centinaio di attivisti hanno tenuto un raduno davanti al carcere israeliano di Ramle per chiedere la liberazione di Samer Issawi, in sciopero della fame da molte settimane per protestare contro il suo arresto. Le condizioni di Issawi sarebbero critiche.
CISGIORDANIA – Sgomberato a forza il villaggio di tende degli attivisti palestinesi – michele giorgio
L’esercito israeliano non ha esitato ieri ad usare la forza per sgomberare al Manatir, vicino Burin (Nablus), il quarto villaggio di tende eretto dai palestinesi in quest’ultimo mese in aree della Cisgiordania dove il governo Netanyahu ha autorizzato confische di terre ed espansioni delle colonie israeliane. I soldati hanno sparato gas lacrimogeni e granate stordenti per disperdere 200 attivisti dei Comitati Popolari che avevano montato alcune tende mentre una quindicina di coloni israeliani li bersagliavano con lanci di pietre. I palestinesi sostengono che i coloni avrebbero aperto il fuoco, ferendo ad una gamba un ragazzo di 17 anni, Zakariya Al-Najjar, e tagliato un centinaio di alberi di Burin. Subito dopo l’esercito ha proclamato la zona «area militare chiusa». A gennaio poliziotti e soldati avevano sgomberato altri tre accampamenti: Bab al Shams, Karamah e Al Asra. Ieri inoltre a Ramallah, un giovane ambulante ha tentato di darsi fuoco per protestare contro la decisione delle autorità di sgomberare gli «abusivi» dal centro della città dove ha sede l’Anp del presidente Abu Mazen. Il giovane è stato salvato da alcuni passanti.
CISGIORDANIA – IL RAPPORTO DEL CONSIGLIO DEI DIRITTI UMANI DELL’ONU / Cisgiordania, colonizzare i territori va considerato crimine di guerra di mi. gio. Per Israele, il documento «MINA GLI SFORZI DI PACE», mentre per i palestinesi offre un contributo «minimo alla verità» Israele deve fermare ogni attività di colonizzazione dei Territori palestinesi di Cisgiordania e Gerusalemme est e riportare nei suoi confini riconosciuti centinaia di migliaia di coloni. È scritto nel rapporto che il Consiglio dei Diritti Umani dell’Onu ha pubblicato ieri sulle condizioni di vita dei palestinesi, sottolineando che anche il persistente trasferimento di popolazione in un territorio occupato può essere visto come crimine di guerra. Il documento si aggiunge alla preoccupazione espressa mercoledì dall’Onu e dell’Unione europea per le morti di palestinesi colpiti da armi che Israele definisce «non letali» come proiettili di gomma e candelotti di gas lacrimogeno. Commissionato un anno fa, il rapporto del Consiglio dei Diritti Umani porta la firma di tre esperti indipendenti: il giudice francese Christine Chanet, la pachistana Asma Jahangir e Unity Dow del Botswana. Israele ne ha boicottato i lavori e si è rifiutato di rispondere alle domande di chiarimento. Ma non è riuscito a fermare l’iter che si concluderà il 18 marzo, quando il testo sarà sottoposto ai 47 stati membri del Consiglio. «Le colonie – si legge nel rapporto – sono istituite e sviluppate a beneficio esclusivo degli israeliani ebrei e vengono mantenute attraverso un sistema di segregazione totale tra i coloni e la popolazione (palestinese) che abita nei Territori occupati». Evidenziando il divieto per l’occupante di insediare la propria popolazione nelle aree occupate, il testo denuncia «la distruzione di case, gli arresti di minorenni e il loro trasferimento in Israele». Quindi rivolge un appello ai Paesi membri dell’Onu affinché si assumano le proprie responsabilità nelle relazioni con Israele «che viola norme perentorie del diritto internazionale». Secondo gli autori del documento esisterebbero le condizioni per un intervento della Corte penale internazionale. Non solo contro Israele ma anche verso le società, imprese e compagnie, locali e internazionali, che hanno operato e operano per lo sviluppo della colonizzazione.
Immediata la reazione di Israele. Il Consiglio non sarebbe credibile perché in passato si sarebbe mostrato «unilaterale e prevenuto», ha fatto sapere il governo Netanyahu. Le conseguenze di quel documento rischiano di «minare gli sforzi di pace», ha spiegato un portavoce del ministero degli esteri, aggiungendo che «l’unico modo per risolvere i nodi sospesi fra israeliani e palestinesi, incluso quello degli insediamenti, è la ripresa di negoziati diretti senza precondizioni». Per i palestinesi il rapporto del Consiglio dei Diritti Umani dell’Onu darebbe solo un contributo «minimo» alla verità, dopo anni di denunce.

PALESTINA – UN GRANDE BOTTO / DA RAMALLAH / Amira Hass. Sono ancora nel nord di Israele, quasi in incognito. Con me ci sono cittadini israeliani, che nella migliore delle ipotesi vivono negando la realtà e nella peggiore sostengono le politiche israeliane sulla questione palestinese. A cena sono seduta vicino a un giovane con il codino. "Che lavoro fai?", mi chiede. "Sono una giornalista", rispondo a bassa voce. Il ragazzo è curioso: "E dove?". Rispondo. Sul suo viso appare un’espressione rispettosa. Chiaramente non legge Ha’aretz, ma almeno sa che esiste. "Scrivo dell’occupazione", proseguo. Mi sorride: "Ah, quindi non sei molto amata qui". Scoppiamo a ridere, poi dice: "Ma non preoccuparti, un giorno l’occupazione finirà. Non si può andare avanti così per sempre". Mi chiede quanti anni ho. Dato che l’età non è una colpa, gli rispondo: 56. La sua reazione mi sorprende: "Allora conoscerai Matzpen". Era un gruppo marxista nato a metà degli anni sessanta che denunciava la colonizzazione. Evidentemente il ragazzo è più politicamente consapevole di quanto pensassi. Scopro che è nato in un insediamento sulle alture del Golan, ma non vive più lì. Intanto continua il suo interrogatorio: "Vivi a Tel Aviv?". "No, a Ramallah". Spalanca gli occhi, sbigottito. È commosso: "Che posto splendido". Immagino che l’abbia visitata da soldato. Lo conferma, e mi racconta di quando ha aperto gli occhi la-sciando l’esercito. "Questa occupazione finirà", conclude. "Con un grande botto, ma finirà".

TUNISIA – OMICIDIO ECCELLENTE / Il 6 febbraio Chokri Belaid, leader del movimento dei patrioti democratici è stato ucciso di fronte alla sua abitazione. Figura di spicco dell’opposizione tunisina, Belaid era critico nei confronti del governo guidato dal partito Ennahda, che accusava di non fare abbastanza per fermare la violenza dei gruppi salatiti che hanno attaccato i mausolei e le mostre d’arte. "È il primo omicidio del genere dalla caduta di Zine el Abidine Ben Ali", fa notare El Watan. "La morte di Belaid ha provocato manifestazioni di protesta in varie città, davanti alle sedi di Ennahda, e a Tunisi, davanti al ministero dell’interno". "La violenza politica è una realtà inquietante della nostra vita quotidiana", scrive Le Temps. "I nostri leader non hanno fatto niente per fermare gli adepti delle maniere forti, che hanno potuto agire nell’impunità". Quattro partiti di opposizione hanno sospeso la loro partecipazione all’assemblea costituente.

IRAN – L’IMPIANTO NUCLEARE DI NATANZ TORNA SOTTO TIRO DELL’AIEA – di Giuseppe Acconcia
L’impianto di Natanz torna al centro dei colloqui sul nucleare iraniano. Tehran ha reso noto all’Agenzia atomica internazionale (Aiea), i cui ispettori si sono recati nella capitale iraniana a metà gennaio, di pianificare l’uso di centrifughe aggiuntive. Si tratterebbe di tecnologia di ultima generazione che renderebbe ancora più sospetta la centrale di Natanz, per anni oggetto di controlli e illazioni sull’avanzamento del programma nucleare iraniano. Per gli osservatori dell’Aiea, questo passo avanti potrebbe consentire a Tehran di raffinare più velocemente l’uranio, avvicinando il paese alla costruzione di un’arma nucleare. Nella missiva inviata all’Aiea le autorità iraniane fanno riferimento ad un modello di centrifughe IR2m che può arricchire l’uranio con una velocità due o tre volte maggiore delle tecniche usate fin a questo momento da Tehran. La missione internazionale aveva già sollevato dubbi sulle attività in corso nel sito militare di Parchin, base dei Pasdaran dove nel novembre del 2007 si verificarono una serie di esplosioni sospette. Negli ultimi mesi, sarebbero stati effettuati in questo sito, test per l’innesco di ordigni atomici. Sono invece arenati gli incontri tra le autorità iraniane e il gruppo di contatto 5+1 (i membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e la Germania), per ora previsti per il prossimo febbraio. Ma l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione europea, Catherine Ashton ha assicurato ieri di essere fiduciosa sulla ripresa dei colloqui. La notizia dell’avanzamento nei progetti nucleari iraniani arriva nel giorno in cui Tehran ha minacciato «gravi conseguenze» per Israele dopo il raid che ha colpito un centro di ricerca militare siriano. Per il governo iraniano l’incursione minaccia direttamente gli interessi del paese degli ayatollah in Medio oriente. Il ministro degli Esteri iraniano, Ali Akbar Salehi ha assicurato che «questa aggressione fa parte di una strategia occidentale e sionista per far passare in secondo piano il successo del governo siriano nel riportare nel paese stabilità e sicurezza». E la retorica anti-americana non si ferma. A Tehran un enorme cartellone ricorda che gli Stati uniti, anche con la seconda presidenza Obama, restano un nemico. I media descrivono l’America come un pericolo più «subdolo quando tende la mano». E, in uno dei suoi ultimi interventi la guida suprema Ali Khamenei ha detto di considerare «un errore» anche solo «l’idea che l’arroganza globale, guidata dagli Stati uniti, possa raggiungere un compromesso con il movimento islamico».
L’Iran attraversa una grave crisi monetaria, innescata dal deprezzamento del rial, con ripercussioni sulla figura del governatore della Banca centrale, Mahmoud Bahmani, sotto pressione del Parlamento e della Corte dei conti che hanno chiesto le sue dimissioni. La crisi valutaria è un effetto diretto delle sanzioni internazionali per il programma nucleare di Tehran. Per questo, la stampa conservatrice ha più volte avvertito gli ayatollah della concreta possibilità di nuovi movimenti sociali in varie città.
IRAN – Storica Visita AL CAIRO di Ahmadinejad / È la prima volta dal 1980, quando Tehran interruppe le relazioni diplomatiche con l’Egitto, che un presidente iraniano visita il Cairo. Mahmoud Ahmadinejad è atteso in Egitto per partecipare al vertice dell’Organizzazione per la cooperazione islamica, previsto per mercoledì e giovedì prossimi. Non si tratta ancora di un vertice bilaterale, ma di una tappa per la distensione tra i due paesi che non hanno sedi diplomatiche reciproche. La visita avviene anche in seguito all’analoga missione compiuta a Tehran nell’agosto scorso dal presidente egiziano Mohamed Morsi e dopo vari incontri con ministri ed autorità iraniane svoltisi al Cairo. Oggetto particolarmente delicato dell’incontro è la crisi siriana che vede i due paesi su posizioni divergenti

AFRICA – BUONI E CATTIVI / La linea di confine tra businesse beneficienza è sempre più confusa. Man mano che i giganti tagliano gli aiuti allo sviluppo, i giganti della filantropia privata assumono un ruolo centrale, dando vita a un fenomeno che The Africa Report chiama "filantrocapitalismo". È possibile applicare alla beneficenza le regole della finanza? La questione suscita un acceso dibattito in Africa. Organizzazioni come la Bill e Melinda Gates foundation, la Clinton global initiative e l’Africa governance initiative di Tony Blair sono accusate di conflitto d’interessi e scarsa trasparenza. Per esempio la Gates foundation, che finanzia un progetto di sviluppo agricolo in Africa, ha investito 23 milioni di dollari nella Monsanto, il colosso degli ogm. I nuovi "filantrocrati" preferiscono impegnarsi in programmi che danno risultati immediati, tralasciando questioni complesse e a lungo termine. Inoltre, con le loro iniezioni di capitale, rischiano di influenzare la politica locale e creare un "legame neocoloniale" con i paesi beneficiari. Lo stesso tipo di critica è rivolta alle fondazioni create da imprenditori africani, come Mo Ibrahim e il nigeriano Aliko Dangote.

MALI – GUERRA IN MALI / La strategia jihadista dopo la «riconquista» «Resistenza zero» e poi in fuga tra le montagne degli Ifoghas / I tuareg di Kidal ribadiscono il no all’ingresso delle truppe maliane in città. di Gina Musso
I guerriglieri islamisti nel nord del Mali «hanno subito pesanti perdite e sono allo sbando», assicura il ministro della Difesa francese Jean-Yves Le Drian: molti di loro sarebbero semplicemente «tornati a casa dopo un’avventura militare», altri invece avrebbero preferito «una ritirata strategica nell’Adrar degli Ifoghas», la vasta regione montagnosa nel nord-est del paese, ricca di nascondigli naturali. Le Drian risponde così a chi gli chiede le ragioni della "resistenza zero" opposta dai jihadisti all’avanzata delle truppe franco-maliane. È una strategia, gli fa eco il presidente maliano ad interim, Dioncounda Traoré, secondo il quale i miliziani si sarebbero «ritirati dalle città per non essere presi in trappola, ma senza allontanarsi troppo dagli agglomerati urbani». Le Drian non vuole però svelare quale sarà la tattica che i corpi speciali francesi intendono adottare dopo aver preso il controllo di Kidal, l’ultima città importante del nord Mali, «liberata» nel corso dell’Operazione Serval. Qualche indicazione in più la forniscono i raid condotti ieri dall’aviazione francese nella regione di Aghelhok, un centinaio di chilometri a nord di Kidal: secondo il portavoce dello Stato maggiore transalpino, colonnello Thierry Burkhard, sono stati colpiti «obiettivi molto importanti, centri di commando, depositi per la logistica e campi di addestramento». Ma il vero problema di Parigi, nell’immediato, riguarda la gestione della «conquista» di Kidal. Gli indipendentisti tuareg (laici) e gli islamisti (ex Ansar Eddine) del Mia (Movimento islamico dell’Azawad) sono stati chiari: massima apertura al dialogo e spirito collaborativo per sconfiggere i «terroristi», ma nessuna intenzione di accettare l’ingresso in città delle truppe maliane, Troppo alto il sospetto di ritorsioni e vendette sommarie simili a quelle che si sono verificate a Gao e Timbuctu. Kidal, a differenza delle altre città, ha una popolazione in maggioranza tuareg. Le ragioni per temere l’atteggiamento non proprio superpartes da parte dell’esercito regolare di Bamako hanno radici storiche molto profonde. Ai tuareg in verità non piace neanche l’eventualità che a prendere il controllo siano le truppe nigerine e ciadiane, avanguardia della missione internazionale Misma, Invece Parigi vorrebbe tanto accelerare il dispiegamento di questa forza-interafricana autorizzata dall’Onu, che però tarda a entrare in scena e a prendere il «testimone». Solo i soldati di Niger e Ciad, 2.000 uomini circa, sarebbero finora presenti sul terreno.
Conclusa senza particolari intoppi l’avanzata verso nord, la Francia torna poi a chiedersi che fine abbiano fatto i sette ostaggi rapiti tra il Niger e il Mali, nel 2011 e 2012, ad opera di al Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi) e del Mujao (Movimento per l’unicità della jihad in Africa occidentale). La risposta, anche qui, punta in direzione del massiccio degli Ifoghas, una terra "incognita" e sterminata (circa 250 mila chilometri quadrati), che sembra destinata a diventare il vero Afghanistan della Francia nei mesi a venire.

MALI – RAID FRANCESI NEL NORD /PRESO LEADER islamista / Opinione pubblica francese concentrata sull’incontro di ieri all’Eliseo tra Hollande e il vide-presidente statunitense Joe Biden, al termine del quale Parigi e Washington hanno espresso l’auspicio comune che una forza militare inter-africana venga dispiegata al più presto nel nord del Mali sotto mandato Onu. Sul terreno, dopo la trionfale visita del presidente francese a Timbuctu, è ripresa la guerra "dall’alto". Ieri e domenica i caccia francesi hanno bombardato a più riprese le montagne nei dintorni di Tessalit, 200 km a nord di Kidal. Il portavoce dell’esercito transalpino Thierry Burkhard ha parlato di raid «importanti» condotti a ondate contro i jihadisti, che hanno colpito «depositi logistici e campi di addestramento». A In Allil, non lontano dal confine con l’Algeria, sarebbe stato inoltre arrestato Mohamed Moussa Ag Mouhamed, considerato il numero tre dell’organizzazione islamista Ansar Eddine e indicato come il «reggente» di Timbuctu nel periodo in cui è stata imposta la legge coranica ai suoi abitanti.

AMERICHE
STATI UNITI – Giornali sotto attacco / Negli ultimi quattro mesi il New York Times è stato attaccato da un gruppo di hacker cinesi che hanno ottenuto le password dei dipendenti del quotidiano e l’accesso ai computer di 54 persone, scrive The Atlantic. L’attacco è cominciato il 13 settembre 2012, mentre David Barboza, il capo della redazione di Shanghai, concludeva la sua inchiesta sulle fortune accumulate dal premier cinese Wen Jiabao. Anche il Wall Street Journal e il Washington Post hanno denunciato di aver subito attacchi informatici simili.
USA – CONTRO STANDARD & POOR’S Robert von Heusinger, Frankfurter Rundschau, Germania
A sei anni dall’inizio della crisi finanziaria, oltre alle banche finiscono nel mirino delle autorità anche le agenzie di rating. Il 5 febbraio il governo statunitense ha annunciato che farà causa in sede civile alla Standard & Poor’s, la più potente di queste agenzie, per i suoi errori di valutazione relativi ad alcuni titoli immobiliari. È stata proprio la perdita di valore di questi titoli a scatenare nel 2007 la crisi finanziaria e dei mutui sub prime.
La decisione di Washington è l’attacco giudiziario più duro dopo le recenti denunce contro le agenzie di rating accolte in altri paesi, come la Germania. Finora le agenzie sotto accusa si sono difese invocando la libertà d’opinione: i loro giudizi, sostenevano, erano semplici opinioni e non erano suscettibili di denuncia perché non si trattava di raccomandazioni di acquisto o di vendita.
È un bene che queste giustificazioni non siano più accettabili. Chi ha il potere di far tremare gli stati e di modificare i tassi di cambio deve poter essere citato in giudizio.
Ma l’azione legale del dipartimento della giustizia statunitense contro l’agenzia di rating va letta anche come un importante avvertimento. Standard & Poor’s è l’unica che ha osato declassare gli Stati Uniti. E finora solo STANDARD & POOR’S è stata denunciata, anche se il suo errore è stato commesso pure da altre agenzie.
Comunque è giusto così: mettere in dubbio l’affidabilità creditizia degli Stati Uniti, che sono indebitati nella propria valuta e possono stampare dollari a costi minimi, è semplicemente assurdo. Ameno che non sia stato fatto per motivi politici.
USA – OBAMA AIUTA I MIGRANTI / E’ dagli anni Cinquanta che le leggi sull’immigrazione Usa non vengono modificate. Le cose, però, ora sono cambiate. Ha pesato molto la rielezione di Obama, che ha ottenuto la grande maggioranza dei voti della minoranza ispanica, in continua crescita. I rivali del Partito repubblicano, da sempre favorevoli a forti limitazioni del numero di immigrati, si sono così accorti che non è conveniente scontentare questi elettori. Obama, da parte sua, con la riforma vorrebbe ripagare i suoi sostenitori e lasciare in eredità al suo partito i consensi dei latinos.
Diventare cittadini statunitensi potrebbe presto essere più facile. Nei giorni scorsi il presidente Barack Obama si è rivolto al Parlamento: affrontate la riforma dell’immigrazione subito, altrimenti agirò da solo. Sono undici milioni oggi gli immigrati irregolari negli Usa: vivono e lavorano senza documenti e permessi di soggiorno, il che li rende più deboli nei confronti dei datori di lavoro e li costringe a nascondersi per evitare i controlli. Una prima proposta presentata da otto senatori accelera il cammino verso la cittadinanza dei lavoratori stagionali dell’agricoltura e di chi è arrivato negli Usa da bambino: si dovrà pagare una multa e le tasse arretrate e dimostrare di saper parlare inglese. Per i senatori, però, bisogna prima approvare regole più severe per il controllo dei confini. Obama, invece, pensa che le due questioni vadano affrontate separatamente. Per il presidente, inoltre, vanno aumentati i permessi di lavoro e accelerati i ricongiungimenti familiari: oggi un messicano aspetta anche sedici anni prima di poter raggiungere il coniuge negli Usa. L’altra novità riguarda chi ha meno di trent’anni e da quando era bambino vive negli Usa: ottocentomila giovani a cui Obama vorrebbe concedere subito la cittadinanza, se non hanno commesso reati. Un grande sogno che potrebbe realizzarsi già quest’anno.

STATI UNITI – LA VITA CON I DRONI Dieci anni fa il Pentagono aveva una cinquantina di droni, oggi ne ha 7.500, più di un terzo del totale degli aerei militari statunitensi. Secondo fonti militari, nei primi undici mesi del 2011 gli Stati Uniti hanno compiuto 447 attacchi con i droni solo in Afghanistan. E da quando Obama è presidente, hanno colpito in segreto 300 volte in Pakistan, con cui non sono in guerra. Mentre il Pentagono si prepara a creare una base per aerei senza piloti in Niger, il 6 febbraio la tv statunitense Nbc News ha reso noto un documento riservato del dipartimento della giustizia in cui è scritto che Washington può ordinare l’uccisione di cittadini statunitensi all’estero sospettati di essere una "minaccia imminente" per il paese a causa dei loro legami con Al Qaeda, anche senza prove di un coinvolgimento diretto. Time osserva che dopo aver trasformato la guerra, "i droni sono pronti a trasformare la pace": quelli non armati sono usati non solo dalla polizia per raccogliere informazioni e sorvegliare, ma anche da università e ministeri, dall’ente forestale, che li impiega contro gli incendi, e dal dipartimento per l’energia, che li invia a raccogliere campioni di aria da analizzare.

CUBA /L’AVANA – Si vota per eleggere il Parlamento e le Assemblee provinciali / Urne aperte, si rivede Fidel Castro e appoggia le riforme di Raúl di Roberto Livi / Camicia a quadri rosso scura e giacca nera, magro, leggermente incurvato e appoggiato a un bastone Fidel Castro è ricomparso in pubblico domenica pomeriggio in un collegio elettorale del centrale quartiere El Vedado per consegnare alle urne il suo voto per l’elezione dei 612 membri della nuova Assemblea nazionale del Poder popular, ovvero il parlamento cubano, e i 1269 membri delle 15 Assemblee provinciali. Dopo il voto, l’86enne lider maximo ha conversato per più di un’ora con un gruppo di giornalisti cubani, mettendo in risalto la capacità di resistenza dei suoi concittadini che il cinquantennale bloqueo (embargo) imposto dagli Stati Uniti «non è riuscito a piegare», l’importanza della presidenza di turno cubana della Comunità degli stati dell’America latina e del Caribe (Celac), e manifestando il suo appoggio, «purché non si commettano errori», al processo di «attualizzazione del socialismo» cubano. Ovvero alle riforme varate l’anno scorso e che hanno lo scopo, per incrementare la produzione, di ridurre il peso dello Stato nell’economia a favore di forme di proprietà (e produzione) sociali, ovvero le cooperative, o private (i cosiddetti cuentapropisti).
La riapparizione del leader carismatico della rivoluzione cubana ovviamente è stato il centro di interesse dei media internazionali in un evento che di per se non è destinato a riservare alcuna sorpresa. I 612 candidati sono stati selezionati dopo un lungo processo iniziato con le elezioni delle Assemblee municipali nell’ottobre dello scorso anno in base a designazioni popolari, ma di fatto guidate dal Partito comunista, unico ammesso dalla Costituzione cubana. Le biografie dei candidati, unica forma di propaganda, sono rimaste affisse per un paio di mesi in vari luoghi pubblici perché i cittadini potessero, appunto, informarsi sui candidati del proprio collegio. Nessun membro dell’opposizione o della dissidenza, entrambe dal governo definite «mercenarie» (degli Usa, ovviamente), è stato ammesso. Alcuni candidati «indipendenti» fanno riferimento alle Chiese cristiane e alla religione afrocubana (nessun prelato cattolico, si afferma, per volontà del Vaticano).
I parlamentari, il prossimo 24 febbraio, eleggeranno una trentina di membri del Consiglio di Stato, massimo organo esecutivo, e il suo presidente – che funge anche da presidente della Repubblica. Nessun dubbio che tale incarico sarà affidato all’81enne, e attuale presidente, Raúl Castro (il quale domenica ha votato in un piccolo paese vicino a Santiago di Cuba, dove era impegnato a verificare i lavori di recupero dei danni causati lo scorso autunno dal ciclone Sandy). Il minore dei fratelli Castro avrà dunque rinnovato il mandato di cinque anni, che sarà anche l’ultimo, dato che il congresso del Pc, l’anno scorso, ha approvato la proposta (dello stesso Raúl) di limitare a due periodi di cinque anni la permanenza nelle massime cariche. Il nuovo Parlamento, e soprattutto il nuovo Consiglio di Stato (la quasi totalità delle riforme sono frutto di decreti legge non discussi nell’Assemblea popolare), avranno il compito di condurre in porto oltre alle riforme economiche, anche la transizione a una nuova leadership politica dell’isola, visto che i dirigenti storici della rivoluzione, compresi i fratelli Castro, saranno fuori gioco a causa dell’età.
Entrambi i processi, riforme economiche e politiche e rinnovo quadri e metodi di lavoro, sono di importanza strategica per il futuro di Cuba. Ed è un fatto noto – lo stesso Raúl ne ha parlato – che all’interno del partito e dell’apparto di Stato vi sono opposizioni e resistenze a tali cambiamenti, molto più profondi di quanto la stessa formula utilizzata – «modernizzazione» – voglia far trasparire. Comparendo in pubblico (dopo quattro mesi di assenza e dopo alcune voci che lo davano per spacciato), votando e dichiarando il suo appoggio alle riforme, Fidel ha voluto manifestare chiaramente, fisicamente, da che parte sta, smentendo le voci di chi continua a sostenere che fra i due fratelli non vi sia consonanze di punti di vista sul futuro della linea socialista cubana.
Accelerazione delle riforme economiche, rinnovo quadri, apertura (in primis per gli investimenti) all’emigrazione cubana soprattutto negli Usa, rapporti con la nuova amministrazione Obama (che ha lanciato qualche segnale di disponibilità) sono le priorità del governo di Raúl in un periodo difficilissimo a causa della crisi economica che colpisce l’isola (e non solo). La gran maggioranza della popolazione cubana reclama miglioramenti concreti soprattutto dal punto di vista economico, una burocrazia meno oppressiva e inefficiente (e in parte corrotta) e un maggior spazio all’iniziativa privata.
Attivisti dissidenti e membri della (assai minoritaria) opposizione hanno unanimemente e apertamente criticato le elezioni. « Sono una farsa, visto che tutti i candidati la pensano allo stesso modo», ha tuonato la super bloguera Yoani Sánchez, che di recente ha ottenuto il passaporto e la possibilità di viaggiare all’estero. Dello stesso tono il commento di Elizardo Sánchez, direttore della Commissione cubana per i diritti umani: «A Cuba non vi sono elezioni, non si può optare per differenti alternative e programmi»

DALL’AVANA – 612 per 612 di Yoani Sànchez / Il 4 febbraio il francese Alain Robert ha scalato la facciata dell’hotel Habana Libre. Grazie ai suoi ventisette piani e a un’altezza di 125 metri, dall’edificio si gode una delle viste migliori sulla città. La gente si è ammassata sotto l’albergo con le macchine fotografiche e i cellulari per riprendere l’arrampicata di quest’uomo ragno che, tra l’altro, è già salito sulla torre Burj Khalifa di Dubai, alta 828 metri. Alain Robert si è arrampicato il giorno dopo un altro evento importante per il paese, che però è stato vissuto dai cubani con meno aspettative. Le elezioni dei deputati all’assemblea nazionale non hanno risvegliato l’interesse dei cittadini. A differenza delle elezioni, questo simpatico Spiderman poteva riservare qualche sorpresa, mentre il risultato delle urne era già noto a tutti. Invece di votare per questo 0 quel candidato, i cubani dovevano solo ratificare 612 persone per 612 seggi al parlamento.
Forse per questo motivo l’audace scalatore ha fatto parlare di sé più dei risultati del voto in tutto il paese. Com’era da aspettarsi, non c’è stato un solo oppositore al governo che sia riuscito a entrare in parlamento, nessuno con delle idee politiche diverse che sia stato eletto all’assemblea nazionale. Neanche un deputato che non abbia la stessa ideologia del partito al potere. È la noiosa omogeneità di chi la pensa allo stesso modo.

GUATEMALA – Il Guatemala processerà Efrain Rios Montt / dI Paul Seils, El Faro, El Salvador
Il 29 gennaio un tribunale guatemalteco ha dato il via al processo contro l’ex dittatore Rios Montt, accusato di genocidio per il massacro di migliaia d’indigeni maya. La decisione di un giudice di Città del Guatemala di processare l’ex dittatore Efrain Rios Montt per genocidio e crimini di guerra segna una svolta nel percorso del paese verso il rispetto dello stato di diritto. Probabilmente questa nuova fase sarà caratterizzata da minacce, diffamazioni e intimidazioni contro chi sarà disposto a parlare delle atrocità commesse durante la guerra civile. Nei precedenti processi legati al passato repressivo del Guatemala vari testimoni sono stati uccisi e alcuni pubblici ministeri e giudici hanno lasciato il paese.
La decisione di processare Rios Montt è il risultato di un percorso lungo e difficile, perché i crimini di cui è accusato sono stati commessi trent’anni fa. Dopo essere arrivato al potere con un colpo di stato nel 1982, Rios Montt mantenne inalterata la strategia militare del regime che aveva rovesciato, massacrando gli indigeni maya di etnia ixil nei loro villaggi e obbligandoli ad abbandonare le loro terre ancestrali. Voleva distruggere la cultura maya vietandone la lingua e l’abbigliamento tradizionale. Dal 1981 al 1983 furono uccise più di centomila persone. Nelle città i leader politici che si opponevano al regime e le personalità che mettevano a rischio gli interessi economici del regime sparivano. È stato il periodo più sanguinoso della storia recente dell’America Latina.
Il dittatore contò sul sostegno dell’amministrazione Reagan, che lo dipingeva come un uomo timorato di Dio e un oppositore del comunismo. Dopo la fine della guerra civile nel 1996, Rios Montt ottenne un potere politico enorme e fondò il partito Frente republicano guatemalteco. Il suo
Città del Guatemala, 28 gennaio 2013. Una protesta fuori dal tribunale
potere spiega in parte il ritardo della giustizia. Ma gli interessi dei poteri economici e quelli dei militari, soprattutto di chi ha fatto fortuna grazie alla guerra, sono legati a doppio filo da molto prima del colpo di stato di Rios Montt.
LA PAROLA D’ORDINE / I poteri forti non hanno mai accettato le conclusioni della commissione di verità dell’Orni, secondo la quale durante la dittatura c’è stata una politica di massacri, sparizioni e sfollamenti forzati, e un genocidio contro la popolazione maya. Nel 1982 Rios Montt si vantava del fatto che il suo esercito era una macchina ben oliata che rispondeva agli ordini e che lui era al corrente di tutto quello che succedeva. Se così fosse, è quasi sicuro che sarà giudicato responsabile di genocidio. Ma merita comunque di essere processato nel rispetto delle garanzie di legge come qualsiasi altro cittadino.
Fino a poco tempo fa il potere giudiziario del Guatemala era inquinato dalle interferenze politiche e dagli interessi personali. Nel luglio del 2008 il procuratore generale del Guatemala è stato accusato di
corruzione e si è dimesso. Lo ha sostituito un procuratore che non aveva legami con la politica. Il nuovo arrivato ha cominciato a prendere sul serio alcune accuse e ha avviato le dovute inchieste. Nel 2010 il suo posto è stato preso da Claudia Paz y Paz, che ha una lunga esperienza come analista giuridica e consulente per i diritti umani nel paese ed è stata la procuratrice ad aver ottenuto più successi contro le mafie dei narcotrafficanti.
Il processo a Rios Montt per genocidio è una nuova tappa verso la giustizia e la ve- ; rità, e potrebbe abbattere il muro di omertà che circonda il paese. Ma affinché questo ‘ succeda, dovrà essere un processo giusto e non dovranno esserci minacce ai giudici e ai testimoni. Solo così le vittime e i cittadini si convinceranno del fatto che la giustizia è imparziale e tutela i diritti di tutti, non solo delle élite. Il Guatemala ha l’opportunità di guardarsi allo specchio e capire che tipo di paese vuole essere. Ma la parola d’ordine rimane cautela.
Paul Seils è vicepresidente dell’organizzazione non profit International centerfor transitional justice, con sede a New York.

MESSICO – ESPLOSIONE ALLA PEMEX ) Il 31 gennaio un’esplosione nella sede dell’azienda Petróleos mexicanos (Pemex) a Città del Messico ha ucciso 37 persone e ne ha ferite più di cento. "Il pro-curatore generale della repubblica, Jesus Murillo Karam, ha dichiarato che l’incidente è stato causato dall’accumulo di gas nel sottosuolo", scrive La Jornada. Un’inchiesta dovrà stabilire se ci sono colpe 0 se è stato un evento casuale. Secondo Proceso, "la tragedia ha rivelato la debolezza delle installazioni strategiche del paese e la vulnerabilità della popolazione civile, mettendo fine ai giorni di grazia del governo dì Pena Nieto". Nella foto, operai addetti alla rimozione dei detriti.

ARGENTINA – La censura dell’FMI / Il 1 febbraio il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha emesso una mozione di censura contro uno dei suoi 188 stati membri, l’Argentina, perché il governo di Cristina Fernàndez altera le statistiche nazionali sull’inflazione e sul pil. Secondo il Financial Times, "la censura è più seria di quanto sembri. Se non correggerà le statistiche, Buenos Aires rischia l’espulsione dall’FMI".

COLOMBIA – II 31 gennaio le Farc, che avevano già interrotto la tregua con il governo, hanno ucciso quattro soldati nel dipartimento di Narino. Nei giorni precedenti avevano rapito due poliziotti e sabotato un oleodotto. Il 5 febbraio i ribelli dell’Eln hanno rapito due cittadini tedeschi.

PARAGUAY – II 3 febbraio Lino Oviedo, candidato alle presidenziali del 21 aprile per un partito di destra, è morto in un incidente di elicottero.

ASIA & PACIFICO
ASIA . Libertà di stampa / Dei venti paesi in fondo alla classifica del 2013 compilata da Reporter senza frontiere sulla libertà di stampa, otto sono in Asia, scrive The Diplomat. In ordine crescente sono Corea del Nord, Iran, Cina, Vietnam, Laos, Uzbekistan, Sri Lanka e Kazakistan. A parte il Kazakistan e l’Uzbekistan, scesi rispettivamente di sette e sei posizioni, gli altri paesi non hanno subito grandi cambiamenti nel 2012. La situazione è peggiorata invece a Singapore, che ha perso 14 posizioni, in Malesia, che ne ha perse 23, e in Cambogia, che nel 2012 è scesa di 26 posizioni. Maglia nera anche al Pakistan (-7), all’India (-9) – per aggressioni ai giornalisti rimaste impunite e la censura del web – e alle Maldive (-30, ma meglio del Pakistan). Bene la Birmania (+18) e l’Afghanistan (+22), dove non ci sono giornalisti in carcere.

INDIA – TROPPO POCO CONTRO LO STUPRO / "Il decreto antistupro messo a punto dal governo indiano è una vergogna", scrive Lakshmi Chaudhury su Firstpost. "In India il corpo di una donna rimane di proprietà del marito", spiega Chaudhury, che critica il decreto promulgato dal presidente Pranab Mukherjee il 3 febbraio perché non accenna allo stupro coniugale, che continua così a essere impunito. Secondo le Nazioni Unite, più di due terzi delle donne indiane sposate tra i 15 e i 49 anni hanno subito violenza da parte dei mariti. Lo stupro e l’omicidio di una studentessa il 16 dicembre a New Delhi hanno suscitato un dibattito acceso sulla violenza contro le donne e sull’urgenza di una nuova legge. Per accelerare le modifiche del codice penale il governo ha scelto la via del decreto, che sarà sostituito da un progetto di legge da discutere in parlamento. Il testo ora in vigore prevede tra l’altro la pena di morte nei casi in cui lo stupro finisca con un omicidio.

CINA – I PROGRESSI DELLA FOXCONN / La Foxconn – un’azienda taiwanese con stabilimenti in Cina che fornisce componenti a molte aziende occidentali tra cui la Apple – ha annunciato che entro luglio permetterà ai suoi dipendenti di eleggere liberamente i loro rappresentanti sindacali. La notizia potrebbe creare un pre-cedente importante in un paese dove in genere i rappresentanti sindacali sono nominati dall’azienda. "È un primo passo nella direzione giusta", dichiara Geoff Crothall, del Chinese la- bour bullettin di Hong Kong, al Taipei Times. "Ora la Foxconn dovrà dimostrare di rispettare i rappresentanti eletti".

AFGANISTAN / PAKISTA e REGNO UNITO – LA PACE IN SEI MESI / Al termine del terzo incontro trilaterale tra Afghanistan, Pakistan e Regno Unito, che si è svolto nella residenza di campagna del premier britannico il 4 febbraio, il presidente afgano Hamid Karzai e il pachistano Asif Ali Zardari si sono impegnati a collaborare per trovare una soluzione per la pace in Afghanistan entro sei mesi. Zardari è pronto a sostenere i colloqui con i taliban e le misure necessarie per mettere fine a una guerra che ha danneggiato molto Islamabad.

GIAPPONE – LA BATTAGLIA DÌ MINAMISÓMA di Shùkan Kinyobi / Continua la battaglia legale dei cittadini di Minamisóma, città colpita dallo tsunami del 2011 ed evacuata dopo l’incidente alla centrale di Fukushima, contro la costruzione di un impianto per il trattamento dei rifiuti industriali. Da quando, nel 1998, la prefettura ha autorizzato l’azienda Haramachi Kyòei Clean a costruire l’impianto, gli abitanti della zona hanno intentato dieci cause per fermarla. Sotto accusa è il forte impatto ambientale del nuovo sito, aggravato dal problema della radioattività dopo l’incidente del 2011. Tra chi contesta il progetto c’è anche il sindaco di Minamisóma, Katsunobu Sakurai, che insieme ad altre cinque persone è già stato condannato al pagamento di milioni di euro di danni. La difesa si è intanto indebolita, anche perché molte delle persone che avevano partecipato alle udienze negli anni passati sono morte. Una sentenza del 2012 ha dato ragione volesse", spiega un avvocato difensore dei cittadini al Shùkan Kinyobi, "potrebbe fermare subito il progetto". Intanto i lavori vanno avanti.

BANGLADESH – II 5 febbraio tre persone sono morte negli scontri con la polizia durante le proteste contro la condanna all’ergastolo di Abdul Quader Molla, uno dei leader del partito islamico Jamaat-e-Islami, per crimini di guerra commessi nel 1971.

VIETNAM – II 4 febbraio ventidue attivisti dell’opposizione sono stati condannati a pene tra i dieci anni e l’ergastolo. Sono accusati di aver cercato di rovesciare il governo comunista.
(da Internazionale Feb 2013)

EUROPA
LIECHTENSTEIN – II Partito dei cittadini progressisti (centrodestra) ha ottenuto la maggioranza relativa alle elezioni del 1 febbraio, superando l’Unione patriottica (centro) del premier Klaus Tschùtscher. Il nuovo partito Indipendenti ha ottenuto il 15,3 per cento dei voti.

GRAN BRETAGNA – Sì dì Londra ai matrimoni gay / Il 5 febbraio il parlamento britannico ha approvato la legge sul matrimonio omosessuale. Il testo, proposto dal premier conservatore David Cameron, è stato votato anche dai laburisti e dai liberal democratici, mentre la metà dei deputati tory ha votato contro. La legge, scrive il Guardian, permetterà alle persone dello stesso sesso di unirsi in matrimonio civile o religioso, se autorizzato dalle rispettive chiese, in Inghilterra e nel Galles. Anche in Francia una legge simile è al vaglio dei deputati. Ma il testo, proposto dal governo socialista, ha provocato una spaccatura nell’opinione pubblica e in parlamento. Il dibattito in aula, cominciato il 30 gennaio, dovrebbe chiudersi a metà febbraio, a causa delle migliaia di emendamenti depositati dall’opposizione.

FRANCIA – Il pallone truccato / Un’indagine di Europol ha rivelato che negli ultimi anni una rete criminale internazionale ha truccato 380 partite in Europa, tra cui match di Champions lea- gue e di qualificazione ai Mondiali. Secondo L’Equipe, circa 425 persone, tra arbitri, giocatori e dirigenti, sono coinvolte nelle combine, organizzate per lucrare sulle scommesse. Il gruppo avrebbe agito da Singapore, e la maggior parte dei match truccati si sarebbe svolta nei campionati minori turco, svizzero e tedesco. "Questo scandalo non deve essere sottovalutato", scrive il quotidiano polacco Polityka. "Ma non è certo il primo. E finora non è stato fatto nulla".

SPAGNA – FONDI NERI, RAJOY TREMA E NEGA: «È TUTTO FALSO» Evita le domande dei giornalisti e parla solo davanti alla direzione del suo Partido popular convocata in via straordinaria per lo scandalo dei fondi neri che sta facendo tremare il Pp e anche il re. «È tutto falso» dice, quindi «non mi dimetto», e promette che pubblicherà i dati del suo reddito e del suo patrimonio. Fuori dalla sede del partito la protesta degli indignados.
SPAGNA – LA DEMOCRAZIA SPAGNOLA VÌTTIMA DELLA CORRUZIONE / El Pais, Spagna Lo scandalo dei fondi neri che rischia di travolgere il premier Mariano Rajoy è solo l’ultimo di una lunga serie. Il paese deve ricostruire le fondamenta etiche delle sue istituzioni. IL 12 febbraio il presidente del governo Mariano Rajoy si è presentato davanti ai dirigenti del suo partito per difendere il suo onore e smentire di aver ricevuto fondi neri (come aveva denunciato El Pais, pubblicando i documenti segreti dell’ex tesoriere del Partito popolare Luis Bàrcenas, che testimonierebbero una serie di versamenti illeciti ai vertici del Pp). El Pais crede alla sua sincerità, e sicuramente questa è l’impressione che hanno avuto molti cittadini, che lo abbiano votato o meno. Ma non è questo il problema che preoccupa l’opinione pubblica spagnola, bensì le fortune accumulate da Bàrcenas e nascoste al fisco, il suo ruolo nello scandalo Giirtel, nel quale molti eletti del Pp sono stati accusati di corruzione, e le rivelazioni di persone vicine ai popolari secondo cui i versamenti andavano avanti da anni.
È noto che sono stati la segretaria generale del Pp, Maria Dolores de Cospedal, e lo stesso Rajoy a interrompere ipagamenti e il sistema di contabilità di Bàrcenas. È diffìcile, quindi, capire la levata di scudi del Pp di fronte alle recenti accuse, visto che sono stati proprio i suoi due principali dirigenti a mettere fine ai sospetti di irregolarità che i casi di corruzione, come lo scandalo Giirtel, stavano sollevando. Le promesse di trasparenza fatte dal capo del governo, compreso l’impegno a rendere nota la sua dichiarazione dei redditi e l’entità del suo patrimonio, sono segnali positivi. Ma questo non vuol dire che la stessa trasparenza sia stata la regola all’interno del partito, specie dopo i molti episodi venuti alla luce, a cominciare dai finanziamenti illeciti del vecchio tesoriere Rosendo Naseiro.
AL DI SOPRA DI OGNI SOSPETTO – La tesi secondo cui i conti del partito erano in regola presenta un punto debole fondamentale: l’ombra perenne di Bàrcenas, che ha condiviso per una ventina d’anni i segreti finanziari dei popolari. Può essere vero che i ventìdue milioni di euro accumulati dall’ex tesoriere su un conto svizzero non abbiano nulla a che fare con il Pp, ma è certo
che il tesoriere fosse un multimiliardario e un evasore fiscale, amnistiato proprio dal governo guidato dal suo partito, di cui ha gestito icontiper anni.
Spetta alla giustizia stabilire l’origine della sua fortuna e la veridicità delle sue annotazioni contabili. Dal canto loro, i dirigenti del Pp devono spiegare agli elettori e all’opinione pubblica come hanno potuto riporre per decenni la loro fiducia in un evasore fiscale, che ha goduto di agevolazioni offerte dal partito anche dopo la sua espulsione e nonostante i gravi sospetti di corruzione. A quanto pare, è difficile prendere le distanze da un dirigente che si è arricchito nell’ufficio vicino.
Rajoy sbaglia se pensa che i cittadini siano disposti ad accettare la versione secondo cui dietro le ultime rivelazioni c’è un complotto. La giustizia si pronuncerà sui suoi comportamenti del passato. Ma la politica deve guardare al presente e al futuro. Qui si parla di democrazia. E non di una democrazia a metà, in cui le istituzioni sono limitate da poteri consolidati e forze occulte, ma di un paese europeo, che deve avere leader politici (al governo e all’opposizione) al di sopra di ogni sospetto.
È normale che di fronte ai casi scoppiati di recente (tra cui quello della ministra della sanità Ana Mato, anche lei coinvolta nello scandalo Giirtel) i cittadini manifestino tutta la loro indignazione, esasperata da una crisi causata, tra le altre cose, da una bolla immobiliare alimentata dalla corruzione. E quindi necessario un programma di rigenerazione democratica, una rifondazione giuridica e morale delle istituzioni. Ma a guidarla non dev’essere nessuna delle forze politiche esistenti, quasi tutte travolte dai sospetti. La classe politica, che oggi non gode della fiducia dei cittadini, deve capirlo. Soprattutto chi è al governo. Proteggersi dalle critiche, scegliere di ignorare la realtà e non tenere conto delle proteste civili è un esercizio che genera solo insoddisfazione e frustrazione.
Dei casi Bàrcenas e Gùrtel bisogna parlare. Ma parlare non basta, anche perché i sospetti di corruzione non sono un problema esclusivo del Pp: riguardano anche il partito catalano Convergència i unió, e in precedenza hanno toccato i socialisti e izquierda unida in Andalusia. Ecco perché atteggiamenti vittimistici come quello di Rajoy, anche se possono servire a serrare le file all’interno del partito, non serviranno a far recuperare credibilità alla politica.

BULGARIA – II 5 febbraio il ministro dell’interno Tsvetan Tsvetanov ha rivelato che dietro l’attentato del 18 luglio 2012 all’aeroporto di Burgas, che ha causato la morte di cinque turisti israeliani e un autista bulgaro, c’era il movimento sciita Hezbollah

GRECIA /Atene 2 febbraio – COMUNICATO STAMPA / no alla privatizzazione dei corsi di lingua e cultura
all’estero! A seguito informazioni relative a iniziative politiche di alcuni candidati intese a privatizzare servizi scolastici e culturali per gli italiani all’estero, ribadisco il mio impegno politico al fianco degli insegnanti di ruolo del mae al fine di garantire quello che la costituzione prevede per il diritto allo studio per gli aventi diritto anche all’estero.
La scellerata politica culturale e scolastica perpretata dai precedenti governi di destra ,che hanno prodotto gia’ danni irreparabili per le future generazioni, non puo’ e non deve essere continuata dal nuovo governo di sinistra. Come gia’ ho affermato in precedenti miei comunicati ,il potenziamento delle nostre strutture scolastiche e culturali all’estero deve far parte del programma del prossimo governo anche per il vero rilancio del nostro paese. Il personale del contigente mae dovra’ essere adeguatamente presentato dalle nostre rappresentanze diplomatiche presso le istituzioni pubbliche locali per favorire anche scambi culturali con il paese di residenza delle nostre comunita’.

GRN BRETAGNA/INDIA – SI RITIRA IL MARATONETA CENTENARIO / Lo ha annunciato ufficialmente: la maratona di Hong Kong, il 24 febbraio, sarà la sua ultima gara. Poi Fauja Singh – 102 anni, cittadino britannico originario dell’India – appenderà le scarpette da corsa al chiodo. Sostiene, con molta ironia, di non avere più l’età e la resistenza necessaria alle gare di lunga durata. Proprio lui che ha cominciato a correre maratone a 89 anni e da allora non ha più smesso. Inconfondibile il suo stile; con il turbante giallo e la barba lunghissima, soprannominato "Tornado Turbaned", Singh è entrato nel Guinness dei primati nel 2011 (a 100 anni suonati) come il più anziano maratoneta della 42 chilometri di Toronto. Tra le ragioni del suo successo – ha sempre sostenuto l’atleta – uno stile di vita sano, vegetariano, senza fumo né alcol.

ROMANIA – Mediazioni pericolose / Il 1 febbraio è entrata in vigore la nuova legge sulla mediazione, che richiede alle parti di cercare un accordo stragiudiziale prima di poter avviare l’azione legale. La norma si applicherà anche ai casi di violenza sessuale, dettaglio che ha scatenato un’ondata di critiche, polemiche e proteste. Secondo Romania Liberà, la legge servirà ad alleggerire il peso sul sistema giudiziario, ma in alcuni reati particolarmente gravi, come lo stupro o le violenze domestiche, produrrà effetti negativi: "Perché le vittime dovrebbero sentirsi chiedere di perdonare il loro aggressore?". Scettico anche il sito Criticatac: "Il vero problema è che a quanto pare il colloquio con il mediatore sarà obbligatorio", cosa che rischia di "aprire la strada a molteplici abusi".

RUSSIA – Cent’anni dì emigrazione / Dopo decenni di esodi ciclici, i russi emigrano sempre meno. Soprattutto dopo che negli ultimi anni quasi tutti i paesi hanno adottato politiche restrittive in tema d’immigrazione. Per esempio negli Stati Uniti, una delle destinazioni più ambite per generazioni di persone in fuga dalla Russia, oggi ci sono più ucraini che russi. Sparsa per il mondo, tuttavia, continua a esistere una Russia parallela, con i suoi scrittori, le sue riviste e i suoi canali tv. È una Russia più grande della madrepatria, con contraddizioni di ogni tipo. La sua diversità è tale che in un ipotetico "museo dell’emigrazione" si troverebbero fianco a fianco trockisti e collaborazionisti, principi fuggiti dalla rivoluzione e operai alla ricerca di lavoro. Proprio a quest’universo la rivista Bolsoi Gorod dedica la copertina, riproponendosi, a partire da questo numero, di raccogliere le storie personali più emblematiche per costruire un museo virtuale dell’emigrazione russa.

ITALIA
ROMA – IMMIGRAZIONE «IL GOVERNO SOTTRAE L’8 PER MILLE» / IL FONDO OTTO PER MILLE 2012 è stato completamente azzerato: è quanto denunciano alcune associazioni impegnate nella difesa dei diritti dei rifugiati, che esprimono la loro indignazione per «l’ennesima sottrazione dell’8 per mille da parte del governo». «Vogliamo ricordare – affermano tra gli altri Cir, Centro Astalli, A buon diritto – che i soldi che i cittadini italiani scelgono di destinare allo Stato per legge debbono essere utilizzati per interventi straordinari per fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione di beni culturali». E’ il secondo anno consecutivo, protestano, che il fondo viene azzerato. «E’ ormai utilizzato come un piccolo ‘tesoretto’ nelle mani del governo di turno». «Registriamo come una buona notizia l’elaborazione di uno schema di decreto del presidente della Repubblica di modifica del regolamento che stabilisce le procedure di utilizzazione dell’8 per mille, in cui vengono fissate quote percentuali minime da destinare ai vari interventi» affermano le associazioni. «In un Paese in cui gli interventi di sostegno e assistenza a favore dei rifugiati sono sporadici e troppi sono le storie di rifugiati costretti a vivere in condizioni di assoluta povertà è paradossale questo cambiamento d’uso. Una vera beffa, di fronte ai contribuenti ma anche di fronte agli Enti locali e alle associazioni, che vengono formalmente invitati ogni anno dalla presidenza del consiglio dei ministri a presentare progetti articolati e documentati entro il 15 marzo per poi sapere 10 mesi dopo che si è trattato solo di uno scherzo», concludono.

MILANO – Eurispes/IL RAPPORTO 2013 FOTOGRAFA COME CAMBIA L’ITALIA IN PIENA CRISI Il paese è sempre più povero I cervelli scappano all’estero di Giorgio Salvetti.
Triplicati i ricercatori che vanno all’estero, mentre a casa un cittadino su due dichiara di non riuscire a sostenere la famiglia Sempre più poveri e più vecchi. Costretti a indebitarsi e a risparmiare su tutto. E’ questa la fotografia scattata dall’ultimo rapporto dell’Eurispes presentato ieri. Come sempre si tratta di uno spaccato che indaga la società italiana sotto molti punti di vista diversi, quello economico innanzi tutto, ma anche quello delle abitudini e degli orientamenti che cambiano in tempo di crisi. Una situazione esplosiva che, secondo il presidente di Eurispes, Gian Maria Fara, può comportare addirittura «un rischio di derive eversive» e «una stagione di conflitti la cui ampiezza, profondità e i possibili esiti non sono oggi valutabili».
FUGA DI CERVELLI. – Mentre la spesa per la ricerca rimane invariata all’1,26% del Pil, sono sempre di più i ricercatori che emigrano all’estero. Eurispes riprende i dati dell’Istat: tra coloro che hanno conseguito il dottorato di ricerca tra il 2004 e il 2006, il 7% nel 2010 ha lasciato l’Italia e il 13% ha intenzione di farlo entro un anno. Dal 2002 al 2011 i «cervelli in fuga» sono triplicati, soprattutto verso la Germania, il Regno Unito, la Francia, gli Stati uniti e il Brasile. Intanto il numero dei ricercatori che riesce a lavorare senza lasciare il paese continua a diminuire, in tutto sono 225.632 con un calo dello 0,4% rispetto al 2009. Eurispes, inoltre, cita anche uno studio del Boureau of economic resarch che prende in considerazione il saldo nei vari paesi tra ricercatori in entrata e in uscita. Il 16,2% degli italiani cerca fortuna all’estero contro il 3% di stranieri che trovano lavoro nei nostri centri di ricerca. Totalmente opposta la situazione in Germania, Svizzera e Svezia, che registrano un saldo attivo, come anche la Francia (+4,1%) e la Gran Bretagna (+ 7,8%).
ITALIANI LOW COST. – Chi rimane in patria, invece, è sempre più costretto a stringere la cinghia. Il 60,5% degli italiani per vivere deve intaccare i propri risparmi. L’80% dichiara che la situazione economica è peggiorata e per il 52,8% continuerà a peggiorare. Due terzi della popolazione pensa di non riuscire a mettere da parte nulla nel prossimo anno. Il 53,3% dice di non riuscire più a sostenere adeguatamente la propria famiglia. Il 35,7% della popolazione negli ultimi tre anni ha dovuto chiedere un prestito (+9,5% rispetto allo scorso anno). Tra questi, il 62,3% è servito per pagare debiti precedenti. Nel 27,8% dei casi si ricorre a un prestito per la casa, ma nel 22,6% lo si fa per riuscire a pagare le spese mediche. Raddoppia e sale al 14,4% il numero di coloro che si indebitano con privati e che quindi rischiano di cadere vittima dell’usura. Inoltre si registra un boom dei «Compro oro», i negozi a cui si rivendono letteralmente i gioielli di famiglia, a loro si è rivolto il 28,1% dei cittadini contro l’8,5% dell’anno passato.
Il 63,4% degli italiani denuncia che il proprio potere d’acquisto è diminuito. Per questo si taglia su tutto, dai regali (90%) ai ristoranti (86,7%), alle uscite in generale (91,4% contro il 73,1 del 2012). Crescono coloro che devono ricorre a lavoretti saltuari (26,8%), mentre il 69,2% denuncia di soffrire la pressione fiscale e il 75% considera l’Imu una tassa ingiusta. Il 21% dei lavoratori per trovare occupazione ha chiesto una raccomandazione. E il 30%, anche se ha un impiego, deve continuare a chiedere aiuto alla famiglia.
FAMIGLIE A PEZZI. – La crisi impatta sulle famiglie che sono sempre più in difficoltà. Da diversi anni i matrimoni diminuiscono e le separazioni aumentano al ritmo del 2-3% all’anno. La separazione comporta l’impoverimento di entrambi i partner e di conseguenza dei 100 mila figli che ogni anno vedono i genitori separarsi. Ma a pagare il prezzo più alto sono gli uomini. I padri separati sono circa 4 milioni e fra questi 800 mila rasentano la soglia di povertà.
TEMI ETICI. – Ma il rapporto Eurispes riserva anche una sorpresa. Sui temi etici gli italiani sembrano molto più liberali e progressisti della politica. Sono sempre di più i cittadini favorevoli al divorzio, alla tutela giuridica delle coppie di fatto e alla pillola abortiva. Ma anche al testamento biologico (77%), all’eutanasia (64,6%) e alla fecondazione assistita (79,4%).

 

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