10438 PAPAIS E GIULIANI (CNE): Intervista sull’Associazionismo degli italiani all’estero

20130130 22:50:00 redazione-IT

Alla fine della settimana scorsa Luigi Papais e Rino Giuliani rispettivamente presidente e vicepresidente della CNE (Consulta Nazionale dell’Emigrazione) hanno insieme partecipato ad una discussione promossa da Santinews (la newsletter dell’Ist. F. Santi) sui temi d’interesse degli italiani all’estero. Riportiamo la sintesi nelle quattro domande e della risposta congiunta dei due esponenti dell’associazionismo nazionale, in vista del rinnovamento del Parlamento e dell’elezione dei 18 parlamentari dell’estero.

Le prossime elezioni riattualizzano gli esiti dell’ultima Assemblea  Generale del CGIE. Ogni candidato nel suo programma elettorale ha ritrovato molti spunti dalle nuove linee di lavoro maturate al suo interno. Voi come le valutate ?

Occorre dire innanzitutto che il CGIE ha mostrato d’essere, oggi, l’unico luogo nel quale la discussione sul tema degli italiani nel mondo sia stata in grado di suscitare ancora  forti emozioni riuscendo a promuovere, al contempo, un’eco comprensibile al suo esterno. La sua ultima assemblea ne è stato un esempio, in specie, con il dibattito che si è avuto nel seminario sulla promozione della lingua e della cultura italiana.
Il CGIE nella sua prassi pluriennale, ha assunto nei fatti una fisionomia di organo di rappresentanza che tuttavia per divenire tale ha  bisogno  però di una  normazione che, rinnovandolo  formalmente ne affermi superato il carattere di organo consultivo.
Va riconosciuto, inoltre, come merito della Segreteria Generale del CGIE  di aver sempre operato, oggi e nel passato, per riportare al centro gli interessi degli italiani all’estero, dentro e fuori del Parlamento. 
Non vi infatti traccia di una proposta condivisa che sia venuta dalle istituzioni o dai partiti politici più interessati all’esclusivo  proprio consenso e rafforzamento organizzativo.
Il CGIE ha evidenziato una insospettata volontà di resistere al declino e di rinnovarsi.
Tuttavia il consolidamento delle linee di lavoro del CGIE, rappresentate dai seminari non sono bastanti e  daranno poco frutto se, superata la fase attuale a cavallo del rinnovo del Parlamento, non verrà posta mano, ad opera del parlamento stesso , ad un profondo  organico ripensamento degli interventi nei confronti delle comunità degli italiani nel mondo. I programmi dei candidati al parlamento non affrontano, come dovrebbero questo tema molto sentito. Se eletti dovranno affrontarli senza indugi.  
Noi pensiamo che le indicazioni di cambiamento interne al CGIE, i seminari stessi, integrandosi con quanto emerso da importanti appuntamenti  e soprattutto dalle indicazioni scaturite dalla Conferenza  dei giovani italiani nel mondo del 2008 e dalle assemblee della CNE costituiscono una ineludibile base di confronto. Serve una vera e propria fase costituente nella quale partecipazione e rappresentanza sociale degli italiani all’estero  siano assunti come temi centrali. La CNE farà la sua parte.

Il futuro delle politiche per gli italiani nel mondo  dipende davvero  in promo luogo dai fattori economici,  dai tagli lineari degli ultimi governi ?

Il dibattito e le conclusioni del Seminario, ricco di stimoli, sulla promozione della lingua e della cultura,   che si è svolto in occasione dell’ultima Assemblea Generale del CGIE , ci confermano il fatto che non tutto dipende da fattori  economici. Leggiamo dai programmi elettorali la critica ai tagli del governo. Critiche più che giustificate ma c’è anche altro.
Se l’idea degli italiani all’estero che prevale in Italia è quello di un mondo da "assistere", allora i tagli economici ci condannano tutti al quasi definitivo immobilismo ed alla irrilevanza.
Riduttivo è anche il seguitare ad impostare strategie regionali che muovono dall’assunto che gli italiani all’estero, le associazioni all’estero devono tramutarsi in ambasciatori del made in Italy. La frantumazione ed il provincialismo di non poche policy regionali rivolte agli italiani nel mondo, dispersivi del poco che si può utilizzare si accompagna, talora, a progettini da strapaese delle nostalgie sui quali prospera la critica alla utilità delle associazioni d’emigrazione.
Se tuttavia "l’Italia fuori dell’Italia" con la sua complessità, articolazione planetaria, integrazione culturale , sociale e politica nei paesi d’accoglienza non la si identifica più come problema, allora  si deve riconoscere che l’altra Italia deve essere  parte integrante delle politiche di governo  rivolte agli italiani,  obbiettivo strategico che ci interroga , non soltanto come spesa corrente ma anche  come investimenti da fare in risorse umane ed economiche. 
Per questo riteniamo che non sia oggi procrastinabile  una azione coordinata di tutti i soggetti istituzionali e della società civile per formulare un piano d’intervento per gli italiani nel mondo, costruito con una logica di programmazione, confrontato  con le diverse forme di rappresentanza sociale e  governato dalla Presidenza del consiglio, responsabile  e garante  della sua attuazione.
Il futuro delle politiche per i nostri connazionali all’estero non c’è  nell’Agenda dei partiti politici e non si trova  neanche nel dibattito elettorale. Il che è significativo ed emblematico del bassissimo interesse che il tema riveste nei gruppi dirigenti come anche della marginalità del ruolo degli eletti della Circoscrizione esteri, molti dei quali ricandidati. . Le forze politiche  navigano solo sotto costa ed a vista, i singoli parlamentari hanno rincorso singole problematiche nel tentativo di quadrare il cerchio che però non si chiude e non soltanto per la carenza di risorse. Manca una tensione riformatrice  ed anzi quando si è messo mano a pezzi di riforma (dei comites e del CGIE, al senato) abbiamo visto risultati  largamente riconosciuti come controriformatori. Ne è venuta fuori una impostazione  neocentralistica, elitaria e burocratica,una idea di rappresentanza sociale mortificata e di democrazia ridotta. All’opposto di quello che si dovrà fare.

 

La "risorsa" rappresentata dalle nostre comunità non è riconducibile soltanto a "scambi commerciali". Come far emergere che le stesse sono soprattutto portatrici di valori democratici ancorati alla partecipazione sociale ed alla rappresentanza nella vita politica.?

La prima osservazione che ci sentiamo di fare è che deve ancora crescere la consapevolezza che le nostre comunità nel mondo concorrono, ancorchè separate, all’immagine complessiva  dell’Italia. Le nostre comunità all’estero hanno contribuito e contribuiscono a rafforzare le grandi peculiarità storiche, culturali e politiche del nostro paese.
Se ciò è vero, ed è vero, l’invito è a riflettere come le stesse testimonino una pluralità di esperienze e professionalità , in un  mondo globalizzato ed interdipendente , complesso e articolato, dove l’unico fine non è soltanto  quello economico.
Le nostre comunità finiscono per interagire con la madrepatria, sono parte attiva di un processo di cultura politica orientata alla pace, alla convivenza sociale, alla giustizia equa ed alla solidarietà  di cui l’Italia repubblicana ha molto da dire, ma anche da ricevere.
E’ ora anche di prendere atto che i diritti e le tutele sono esigibili da parte dei nostri connazionali non solo per osservanza dovuta  dei principi costituzionali ma  anche per il fatto che gli stessi se li sono conquistati sul "campo" con una azione convinta per affermarli e  per salvaguardarli, anche nei paesi d’accoglienza  dove risiedono e lavorano.
La partecipazione e la rappresentanza, due segni distintivi primari, si esercitano anche attraverso l’associazionismo. Esse sono un  valore aggiunto per la crescita di democrazia partecipata, in grado di disseminare i nostri valori costituzionali, la nostra idea di welfare, il valore sociale del lavoro.
In questo quadro risulta emergere la "risorsa" di cui si è parlato. E dentro questo quadro va resettata la politica nei confronti degli italiani nel mondo, che oggi, più di ieri sono un esempio e testimonianza di processi di integrazione nello scenario mondiale del fenomeno migratorio.  
Questo rinnovamento non può prescindere dal protagonismo attivo dell’associazionismo, di tutto l’associazionismo, nazionale, regionale e locale.

Quale centralità assume, oggi, l’esperienza associativa e a quale rinnovamento è chiamato tutto l’associazionismo ed in particolare quello di promozione sociale ?

Il rinnovamento del mondo degli italiani all’estero non può prescindere dal protagonismo attivo congiunto  dell’associazionismo, di tutto l’associazionismo, nazionale, regionale e locale. Di quello di promozione sociale in specie.
Ci vuole una fase costituente organica che riconosca superato l’assetto che  si era  costituito nella Repubblica dei partiti finita nel 1994. Una fase fondante ha bisogno di muovere dal protagonismo organizzato di tutti i nostri connazionali all’estero.
Le impostazioni  date nella prima e nella seconda Conferenza mondiale degli italiani all’estero sono state importanti e puntuali ma non trovano nei profondi cambiamenti nel frattempo avvenuti il terreno più fertile per  riprodursi. Si deve cambiare scontando il fatto che da Prodi a Berlusconi a Monti il disinteresse e qualche volta l’ostilità dei governi e nel parlamento verso il tema degli italiani all’estero hanno, ad oggi, largamente prevalso. 
Per i partiti politici è forse più profittevole aprire uffici elettorali nei paesi di emigrazione che far votare in parlamento una legge che riconosca alle associazioni degli italiani all’estero la natura di promozione sociale. Ad alcune associazioni non è più bastato essere tali, sono fuoriuscite dall’associazionismo per  trasformarsi in partito politico ed in lista elettorale. Essere guida carismatica di un partito personale per molti è una aspirazione fortissima che sta facendo scuola. In specie in America Latina e nel campo scompaginato del centro destra alla ricerca di nuovi contenitori e di nuove sigle. Non pochi esponenti della destra dura e pura di emigrazione attivi  anche nelle vicende del CGIE, si sono raccolti nelle annunciate   liste . A poche settimane dal voto non dico capire ma almeno conoscere quali siano le idee politiche che si confrontano è difficilissimo. Più facilmente si coglie la critica pesantissima ai partiti, si percepiscono gli spari sul quartiere generale, le istituzioni, mentre le proposte, come nel caso del partito telematico di Grillo, latitano.
Si sta producendo un collateralismo di ritorno la cui matrice populistica e ben riconoscibile, che, se imitato, e senza una adeguata risposta, potrebbe essere l’anticamera della irrilevanza delle associazioni.
Il neocollateralismo che alcune associazioni da molto tempo hanno assunto come scelta e non subito come privazione si è rafforzato nella seconda Repubblica dove i partiti di massa sono stati soppiantati da partiti a direzione personalistica, a rappresentanza e finalità dai contorni mutevoli e dai confini variabili. Le agenzie giornalistiche ci hanno tempestato, nei mesi scorsi, di notizie enfatiche relative a nomine di responsabili locali di questa o quella associazione-lista elettorale. Quale sia il collante di tanta motricità è stato facile dedurlo prima e poi verificarlo.
L’associazionismo non può seguire quella strada ma  in autonomia  deve darsi nei prossimi mesi nuove regole, nuove forme organizzative, suscitare la partecipazione, rilegittimando così la propria rappresentatività.

 

 

Fonte: http://www.istitutosanti.org/ifsnews/ifs_attuale.asp

http://www.istitutosanti.org/ifsnews/ifs_attuale.asp

 

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