10250 NOTIZIE 2 nov

20121102 21:44:00 guglielmoz

AMERICHE
AFRICA e MEDIO ORIENTE
ORIENTE e PACIFICO
EUROPA

AMERICHE.

CILE – UNA SCONFITTA PESANTE PER LA DESTRA CILENA Alle amministrative del 28 ottobre i partiti vicini al governo hanno perso città importanti, perché non hanno ascoltato le richieste dei movimenti civili. Un avviso per le elezioni del 2013 La vittoria – una "goleada" – dell’opposizione contro Alianza por Chile alle amministrative del 28 ottobre era inaspettata. La perdita di alcuni comuni chiave, come Santiago e Providencia, non era stata presa in considerazione dalla destra neanche negli scenari più pessimistici. Molti cittadini hanno votato contro la destra, perché il presidente del Cile Sebastian Pinera non ha saputo interpretare i bisogni espressi dai movimenti civili né rispondere alle aspettative create dal governo. In ogni caso l’astensione insolitamente alta – più del 55 per cento dei cileni è rimasto a casa – indica che neanche l’opposizione naviga in buone acque.
ASTENSIONISMO
La crisi della destra è cominciata nel 2011, durante le manifestazioni del movimento studentesco. Consapevoli del fatto che le loro richieste non sono state accolte, gli elettori hanno votato contro i partiti al governo lanciando un segnale forte in vista delle presidenziali del 2013. Per l’Alianza por Chile è stato difficile incassare una sconfitta che le ha strappato Providencia, Santiago, Concepción, Recoleta, Conchali, Independencia, Los Angeles, Huechuraba e Nunoa, solo per fare alcuni nomi. Molti comuni erano da anni nelle mani di destra fondato nel 1983. Secondo il politologo Francisco Javier Diaz, la destra ha subito "una sconfitta di proporzioni storielle. Se risaliamo indietro fino ai governi radicali degli anni trenta", sostiene, "le forze al governo hanno sempre vinto le prime elezioni amministrative dopo l’inizio del loro mandato. Oggi, dunque, devono fare una riflessione profonda: non hanno saputo ascoltare la gente e non hanno capito che i cileni volevano dei cambiamenti. I cittadini che nel 2009 hanno votato per Pinera sono delusi e adesso c’è il rischio di passare dalla delusione al pentimento. Anche l’opposizione", continua Diaz, "deve trarre una lezione dalla sua vittoria, ottenuta dove si è presentata unita, dove ha proposto dei candidati convincenti e un buon programma". Pur ammettendo che il successo alle amministrative non garantisce lo stesso risultato alle presidenziali, Diaz lo considera "un ottimo precedente”. Il senatore José Antonio Gomez, leader del Partido radicai e possibile candidato alla presidenza della Concertación (una coalizione di centrosinistra creata nel 1988 per opporsi ad Augusto Pinochet), è più scettico. Anche se è convinto che solo l’unione della sinistra abbia permesso di ottenere questo risultato, Gómez sottolinea l’enorme percentuale di astensioni dovuta, secondo lui, al fatto che i cittadini si sentono lontani dall’attuale sistema politico. Quindi è evidente che servono riforme importanti, come la convocazione di un’assemblea costituente per scrivere una nuova costituzione. Il brutto risultato ottenuto il 28 ottobre dall’Alianza por Chile è in parte attribuibile j al governo, afferma l’analista dell’Universidad Central Marco Moreno: "È possibile! parlare di un voto contro l’esecutivo soprattutto nei comuni più densamente popolati o I in quelli più rappresentativi per la lotta politica tra i candidati, dal momento che è stato I il governo stesso a dare un significato politi-1 co a queste elezioni".
IMPRENDITORE E POLITICO
II sociologo Alberto Mayol sostiene che "la I protesta dei cittadini è rivolta contro la destra perché Pinera è riuscito a fondere in un I unico personaggio due aspetti che creano! malcontento nei cileni: il mondo dell’impresa e la politica". L’insoddisfazione si è I tradotta in un’astensione senza precedenti i nel paese e che non dipende solo dall’introduzione del voto volontario. "La protesta al cui abbiamo assistito nelle piazze si è riflessa nelle urne, ma i vertici della politica noni lo vogliono ammettere", spiega Mayol "Oggi le note a pie di pagina raccontano che! ha vinto la Concertación, ma il testo vero e| proprio, la parte più importante, dice un’a tra cosa: l’élite politica deve tornare a casa e la protesta ha vinto.
(di Claudia Rivas e Alejandra Cannona, El Mostrador, Cile)

COLOMBIA – Il boss della droga. "Henry de Jesùs Lopez Londofio, alias Mi Sangre, è stato arrestato il 28 ottobre a Buenos Aires", scrive Semana. Londono è uno dei capi degli Urabenos, la banda criminale creata dopo la smobilitazione dei paramilitari che, insieme a Los Rastrojos e a Los Paisas, si contende il business del narcotraffico nel paese. Il 29 ottobre sei poliziotti sono morti in un’imboscata delle Fare nella provincia di Cauca.

BOLIVIA II 28 ottobre alcuni uomini hanno dato fuoco alla sede di Radio popular a Yacuiba. Il direttore Fernando Vidal, 78 anni, stava denunciando la corruzione delle autorità locali. Ora è in gravi condizioni.

CANADA – Corruzione a Montreal i. Il sindaco di Montreal, Gérald Tremblay , si è dimesso il 5 novembre dopo 25 anni di carriera politica. Le sue dimissioni erano state chieste dalla premier del Québec Pauline Marois, dopo che una commissione d’inchiesta lo aveva accusato di corruzione. Secondo il Toronto Star, il partito Union Montreal riceveva soldi da imprese edilizie in cambio di appalti. Ma nel suo discorso di dimissioni Tremblay "ha sostenuto la sua innocenza con atteggiamento di sfida", osserva la Montreal Gazette.

STATI UNITI II 25 ottobre Wiki-leaks ha cominciato a pubblicare un centinaio di documenti del dipartimento della difesa, tra cui un manuale sul trattamento dei detenuti a Guantanamo.
STATI UNITI – Cattive notizie The Nation, Nonostante i milioni di dollari spesi per seguire la campagna presidenziale, l’offerta dei mezzi d’informazione statunitensi è stata superficiale e fuorviante, scrive Eric Alterman su The Nation. Giornali e tv hanno dato spazio a storie inutili per evitare di parlare della
radicalizzazione del partito repubblicano e della sua alleanza con il Tea party. Questo atteggiamento ha consentito agli esperti di considerare le dichiarazioni estremiste, violente e false di Mitt Romney e del suo candidato vice Paul Ryan come posizioni legittime, e di trattare i due candidati alla presidenza come se fossero entrambi moderati. I mezzi d’informazione conservatori hanno condotto una campagna di disinformazione spacciando dei politici repubblicani per analisti e distorcendo le dichiarazioni di Barack Obama. Anche i moderatori dei dibattiti in tv sono stati poco coraggiosi: si sono soffermati sulla personalità di Romney e sulla sua strategia elettorale, evitando domande su argomenti cruciali come la sanità, l’istruzione, la giustizia, la povertà e il cambiamento climatico.
STATI UNITI Un editoriale per Sandy – "Una grande tempesta richiede un grande governo": mentre l’uragano Sandy si abbatte su Manhattan, il New York Times tuona contro Mitt Romney e le sue proposte di tagli alla protezione civile. "Molti statunitensi non hanno mai sentito parlare del National response coordination center. Ma sono fortunati ad averlo. È l’unità di crisi che decide dove inviare i soccorsi, l’acqua e il sostegno agli ospedali. Il coordinamento degli aiuti è una delle funzioni più essenziali del big government che Romney vuole eliminare".

CUBA – Cinque ore dì distruzione – Dall’Avana Yoani Sànchez- L’uragano Sandy ha devastato la città di Santiago de Cuba e ha causato gravi danni in diversi comuni dell’oriente del paese. Le immagini parlano da sole, ma le telecamere riescono a malapena a cogliere parte del dramma. La tragedia si svolge su un piano difficile da fotografare o da descrivere a parole. Migliaia di persone hanno visto il vento portarsi via buona parte della loro vita. Sandy ci ha messo cinque ore ad attraversare l’oriente dell’isola ma ha distrutto case, infrastrutture e oggetti che avranno bisogno di anni per essere ricostruiti. Le perdite in termini di vite umane sono state il saldo più tragico, ma anche la natura ha sofferto molto. Le intense raffiche di vento hanno colpito zone abitate con anni di degrado alle spalle; l’uragano di forza due si è abbattuto su una popolazione che non aveva scorte alimentari per affrontare i due giorni di paralisi che sono seguiti. Solo ammettendo la gravita della situazione sarà possibile trovare delle soluzioni. Il governo ha la responsabilità di gestire con trasparenza e umiltà questa situazione di emergenza. Bisogna mettere l’orgoglio da parte per chiedere l’aiuto degli organismi internazionali.
Noi cubani speriamo che le autorità agevolino l’arrivo della Croce rossa internazionale e delle altre organizzazioni umanitarie per valutare la situazione delle zone colpite e contribuire, con risorse e solidarietà, ad aiutare chi ha perso quasi tutto. La minaccia di un nuovo focolaio di colera e la possibile diffusione della dengue impongono di prendere una decisione urgente. Non possiamo più aspettare.

BRASILE – Nuovo sindaco a Sào Paulo II 28 ottobre l’ex ministro dell’istruzione Fernando Haddad (nella foto), del Partito dei lavoratori (Pt), è stato eletto sindaco di Sào Paulo, la città più grande del paese e da trent’anni feudo del Partido da social democracia brasileira (Psdb). Haddad, 49 anni, scelto dall’ex presidente Lula, ha battuto il socialdemocratico José Serra, 70 anni e ormai alla fine della sua carriera. "Questa vittoria", scrive O Globo, "è un capolavoro politico di Lula, che già pensa alle presidenziali del 2014". Risultati delle elezioni, Fernando Haddad 56%, Josè Serra 44 %.

AFICA e MEDIO ORIENTE.
SIRIA – ANATOMIA DELLA GUERRA SIRIANA di Benjamin Barthe, Le Monde, Francia.
In mancanza di iniziative diplomatiche credibili, il futuro della Siria si decide ancora sul campo, con le armi alla mano. Le Monde disegna una mappa degli scontri.
Il 26 ottobre in Siria avrebbe dovuto : entrare in vigore una tregua di quattro giorni tra il regime di Damasco e i ribelli. Invece abbiamo assistito a nuovi massacri: 146 morti venerdì, 114 sabato, 99 domenica. Le vittime dall’inizio della rivolta sono più di 35mila. In mancanza di un’iniziativa diplomatica credibile, bisogna guardare alla situazione sul campo per capire in che direzione va la Siria. Il paese è diviso in zone di almeno sei tipi.
Una zona controllata dal regime, ma non in maniera definitiva
Comprende la capitale Damasco, dove il regime ha a che fare con una popolazione a maggioranza sunnita, spesso ostile al potere degli Assad. Le forze armate controllano le principali vie di comunicazione e la maggior parte dei quartieri. Le autorità cercano di diffondere un’atmosfera di sicurezza, che però è infranta dai molti attentati.
Una zona controllata dal regime e fedele agli Assad
È formata dalla regione costiera che va da Lattakia a Tartus e dai villaggi della vicina catena montuosa che sovrasta il litorale. La popolazione sostiene il regime perché è composta in maggioranza da alawiti, come i componenti del clan presidenziale. Inoltre molti abitanti lavorano nelle istituzioni statali. Se Damasco dovesse cadere gli Assad potrebbero decidere di ritirarsi proprio qui. La zona, però, è minacciata dai ribelli attivi sulle montagne, che cercano di avanzare verso la costa.
Zone controllate dall’opposizione ma costantemente bombardate
Sono le province di Idlib e di Aleppo, nel nord del paese, e la valle del fiume Eufrate. Questi territori sono sostanzialmente in mano all’Esercito siriano libero (Esl). Il regime controlla poche città e alcune basi militari, che rifornisce per via aerea. Queste basi sono fondamentali per Damasco perché interrompono la continuità territoriale tra le regioni "liberate".
Zone contese, caratterizzate da scontri, con una linea del fronte in movimento
Sono i quartieri più periferici di Damasco (come Duma e Harasta), i dintorni di Daraa e alcuni sobborghi di Hama. Queste zone di scontri dall’esito incerto possono essere anche all’interno dei centri urbani, a cavallo di linee di frattura religiose (come a Homs) o socioeconomiche (come ad Aleppo). In tutte queste aree il regime compensa la scarsa presenza dei suoi uomini con bombardamenti e incursioni, a volte seguiti da massacri. "Attaccando queste zone povere il regime non mira solo a sconfiggere i ribelli ma anche a distruggere la ‘base sociale della rivoluzione’", spiega l’analista politico Ziad Majed.
Zone sotto il controllo delle milizie curde o di personalità alleate del regime
Sono la provincia di Al Hasaka, nel nordest (sorvegliata da forze paramilitari curde che collaborano con le autorità, evitando di scontrarsi con i ribelli), una parte del governatorato di Ar Raqqa, abitato da beduini sunniti che il potere centrale è riuscito a tirare dalla sua parte, e la provincia di Suweida, nel sud. In queste regioni non ci sono combattimenti, ma manifestazioni quotidiane a sostegno della rivolta.
Zone di confine, dove la tensione è alta.
Dalle frontiere passano decine di migliaia di profughi (l’Onu parla di 358 mila persone) diretti in Libano, Turchia, Giordania e in altri paesi della regione. Inoltre è proprio dai confini che il conflitto rischia di contagiare l’intera regione. La frontiera con la Turchia è già stata il teatro di un’escalation militare. Sul fronte libanese, la milizia sciita Hezbollah si preoccupa sempre meno di nascondere il suo sostegno alla dittatura siriana e nella città di Tripoli si moltiplicano gli scontri tra sunniti e alawiti. Dopo l’omicidio del generale Wissam al Hassan a Beirut il 19 ottobre, attribuito a Damasco, il Libano corre il serio rischio di essere risucchiato nella tragedia siriana.

ISRAELE – Sempre più a destra . Alle elezioni legislative del 22 gennaio il Likud, il partito del premier Benjamin Netanyahu, formerà una lista unica con Yisrael beiteinu, la formazione ultranazionalista del ministro degli esteri Avigdor Lieberman. L’alleanza, annunciata il 25 ottobre, dovrebbe garantire un’ampia maggioranza. Negli stessi giorni la stampa israeliana ha commentato un sondaggio sul razzismo tra gli israeliani commissionato da Haaretz. "La maggioranza degli israeliani vuole uno stato che riservi agli ebrei un trattamento migliore rispetto agli arabi. Una delle domande più interessanti", scrive Noam Sheizaf sul sito +972, "riguarda proprio l’uso della parola ‘apartheid’".
Sondaggio – Esiste l’apartheid in Israele. 31% non c’è l’apartheid, 39% in alcuni casi, 19% in molti casi, 11% non so.

PALESTINA. Da Ramallah Amira Hass Arresto al centro commerciale
L’incontro con lo storico statunitense Vincent Harding di cui ho parlato la settimana scorsa si è svolto nella casa degli attivisti palestinesi Neriman e Bassem Tamimi. Neriman è una volontaria dell’ong per i diritti umani B’Tselem ed è una dei duecento fotografi che lavorano in Cisgiordania immortalando le violenze di soldati e coloni. Bassem è uscito di prigione a marzo, dopo aver scontato tredici mesi per aver guidato le manifestazioni nel suo villaggio, Nabi Saleh. Due settimane dopo l’incontro con Harding, c’era una manifestazione davanti a un centro commerciale israeliano in Cisgiordania, a sud di Ramallah. II supermercato crea molti imbarazzi: nonostante sia irregolare per la legge palestinese, molti vanno a farci la spesa perché è meno caro dei negozi di Ramallah.
Alla manifestazione partecipavano anche Bassem e Neriman. Quando un poliziotto ha preso Neriman, Bassem si è messo in mezzo. L’agente l’ha colpito e gli ha rotto tre cestole. Poi l’ha arrestato. Bassem
deve affrontare un nuovo processo. Il giudice militare non ha voluto rilasciarlo su cauzione. Di nuovo in carcere, Bassem ha parlato a lungo con gli altri detenuti dell’importanza della "lotta popolare" (cioè la lotta non armata). Dopo il suo rilascio mi ha detto: "La lotta popolare dovrebbe far parte della strategia generale dei palestinesi. Non perché la lotta armata ha fallito, ma perché la violenza omicida ha effetti disastrosi sulla società ed evitarla è utile alla nostra lotta per la libertà"

IRAQ – Almeno 44 persone sono morte il 27 ottobre in una serie di attacchi contro gli sciiti mentre nel paese si festeggiava l’Aid al Adha.

TUNISIA – II 30 ottobre nella periferia di Tunisi un uomo è morto negli scontri tra le forze dell’ordine e manifestanti islamici radicali.

COSTA D’AVORIO – Chi e è dietro gli attentati di Jeune Afrique, Francia
Negli ultimi cinque mesi la Costa d’Avorio ha subito diversi attentati. L’ultimo è stato il 21 ottobre contro una caserma di Bongouanou. Gli attacchi non sono stati rivendicati ma il governo di Alassane Ouattara punta il dito contro i sostenitori in esilio dell’ex presidente Laurent Gbagbo. Questa tesi è avvalorata dal rapporto di un gruppo di esperti dell’Orni, che accusa alcuni esponenti del vecchio regime di voler rovesciare Ouattara. "Ma qual è la credibilità di questo rapporto?", si chiede Jeune Afrique, sottolineando che la relazione degli esperti dell’Orni è chiaramente ispirata a un’inchiesta interna ivoriana. Secondo il settimanale, i sostenitori in esilio di Gbagbo, più che cercare di creare un esercito all’estero, "stanno tessendo una ragnatela" contro Ouattara, sfruttando l’aiuto dei loro alleati nel paese e approfittando del malcontento tra le forze armate. Il 26 ottobre Amnesty international ha pubblicato il rapporto in cui accusa il governo di Ouattara di non rispettare i diritti umani, denunciando che duecento esponenti del Fronte popolare ivoriano (Fpi, l’ex partito di Gbagbo) subiscono torture e sono incarcerati illegalmente.

MALI – Le reticenze dì Algeri . "Dopo la risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Orni del 12 ottobre, l’invio di una missione internazionale per liberare il nord del Mali è ormai certo", scrive Liberté. Il 29 ottobre l’inviata di Washington Hillary Clinton ha incontrato il presidente algerino per ottenere il suo appoggio, ma "Algeri non vuole un intervento straniero ai suoi confini e preferisce una soluzione negoziata".

BAHREIN II 30 ottobre il governo ha vietato le manifestazioni di piazza dopo i recenti scontri degli sciiti con la polizia.

SUDAFRICA – Tante scuse a Zapiro. II presidente Jacob Zuma ha rinunciato il 29 ottobre a una causa per diffamazione contro il vignettista Zapiro e il quotidiano Sunday Times. Zuma esigeva l’equivalente di 445mila euro di danni per una vignetta del 2008 intitolata "Lo stupro della giustizia". Secondo il Mail & Guardian, il presidente ha preferito evitare un processo che avrebbe potuto danneggiarlo in vista del congresso di dicembre del suo partito, l’African national congress (Anc). Zuma vorrebbe ottenere il terzo mandato come presidente dell’Anc.

ASIA e PACIFICO.
KAZAKISTAN – Operazione di pulizia II 7 ottobre a Zhanaozen è stato ucciso Aleksandr Bozhenko, 23 anni, uno dei testimoni della feroce repressione seguita alla protesta dei lavoratori dell’industria petrolifera avvenuta nella città sudoccidentale del Kazakistan nel dicembre del 2011. Durante il processo contro 37 manifestanti, Bozhenko aveva denunciato l’uso della tortura da parte della polizia per estorcere false testimonianze. Secondo la versione ufficiale, Bozhenko è stato picchiato a morte da due ragazzi con cui si era scontrato una notte mentre era ubriaco. Ma per i rappresentanti della società civile, denuncia Open Dialog, è l’inizio di un’"opera-zione di pulizia" per eliminare gli attivisti e i testimoni delle violenze di Zhanaozen.

AFGHANISTAN II 26 ottobre 42 persone sono morte in un attentato suicida durante la festa dell’Aid al Adha nella provincia di Faryab, nel nord del paese. * Le elezioni presidenziali si svolgeranno nell’aprile del 2014.

INDIA – LARGO AI GIOVANI. II premier indiano Manmohan Singh ha nominato il 28 ottobre 22 nuovi ministri e sottosegretari in un rimpasto che dovrebbe "ringiovanire" il governo. Il ministro degli esteri Somanahalli Mallaiah Krishna, 80 anni, è stato sostituito dall’ex ministro della giustizia Salman Khurshid, 59. Rahul Gandhi, indicato come il prossimo leader del paese, ha rifiutato l’incarico di governo.

VIETNAM. II 30 ottobre due musicisti, Vo Minh Tri e Tran Vu Anh Binh, sono stati condannati a quattro e a sei anni di prigione per propaganda contro lo stato.

THAILANDIA – Sfollati nello stato del Rakhine, 28 ottobre 2012 I ROHINGYA DÌ NUOVO SOTTO ATTACCO. di Aung Zaw, The Irrawaddy, NON RICONOSCIUTI UFFICIALMENTE COME MINORANZA ETNICA, I MUSULMANI CHE ABITANO NELLO STATO DEL RAKHINE SUBISCONO CONTINUE VIOLENZE CON CONSEGUENZE PER TUTTA LA REGIONE
Se le violenze contro i rohingya – la minoranza musulmana del paese – non si fermeranno, gli scontri nello stato di Rakhine, al confine con il Bangladesh, avranno ripercussioni in Bir-mania e in tutta la regione. La comunità internazionale non può stare a guardare. "Il conflitto è stato presentato come una questione religiosa, mentre è un problema politico, democratico e costituzionale", ha commentato Pitsuwan Surin, segretario generale dell’Associazione delle nazioni del sudest asiatico (Asean). Secondo Surin, le violenze nel Rakhine rischiano di avere implicazioni più ampie. È vero: i disordini spingeranno i profughi a cercare riparo oltre il confine con inevitabili ricadute umanitarie e di sicurezza. La situazione sul campo è degenerata e il governo ha aumentato i presidi militari nella zona. Gli attacchi mirati non si limitano agli Scornila rohingya che vivono nel Rakhine (la legge birmana non li riconosce come uno dei 135 gruppi etnici del paese). Secondo Chris Lewa, direttore dell’Arakan Project, che sostiene la causa dei rohingya, "si tratta di violenza antimusulmana". Gli episodi più recenti, in cui 4.500 case sono state incendiate, sono morte più di 80 persone e 22 mila sono sfollate, sono avvenuti dopo che il governo birmano ha impedito all’Organizzazione della cooperazione islamica (Oic) di aprire un centro per assistere i rohingya sfollati in seguito alle violenze di giugno, in cui erano morte almeno 29 persone.
La risposta del governo alla crisi è stata lenta. Prima degli ultimi scontri, nel paese c’erano state manifestazioni pacifiche contro l’Oic. In Birmania molti monaci e buddisti comuni sono convinti che l’apertura di una sede dell’Ole radicalizzerebbe la comunità rohingya e favorirebbe la diffusione dell’islam nel paese. A luglio, il presidente birmano Thein Sein aveva ribadito all’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati che la Birmania non avrebbe riconosciuto i rohingya. Un mese dopo, però, ha annunciato l’apertura di scuole per migliorare l’istruzione di questa minoranza, che si sente perseguitata dallo stato a maggior; za buddista. I critici sottolineano che, dall’inizio della violenza nel Rakhine, c’è stata poca trasparenza sul destino delle vittime e dei responsabili. Secondo alcune fonti, dietro agl’ ultimi avvenimenti c’è una corrente oltranzista all’interno delle istituzioni che lavori per alimentare la violenza. L’opposizione inclusa Aung San Suu Kyi, non è mai inter-J venuta, provocando sconforto nella comunità internazionale e tra le organizzazioni per i diritti umani. Per l’ennesima volta i governo ha promesso di prendere provvedi-] menti contro gli istigatori delle violenze Ma chi sono?
CHI ALIMENTA LA VIOLENZA
Ci sono varie teorie. Secondo la più accettata, gli oltranzisti nel Partito dell’unione per la solidarietà e lo sviluppo, al governo hanno orchestrato gli scontri per ostacola il processo di riforme. Una seconda teoria è che la violenza serva a restituire un ruolo e protagonista all’esercito birmano. In passato l’ex giunta, con il favore della popolazione, ha lanciato varie campagne milita contro i rohingya. C’è un altro fattore considerare: i simpatizzanti dell’etnia i hingya, elementi radicali dentro e fuori del paese e gruppi di attivisti che semplifica la questione in termini manichei: se la Birmania vuole una riconciliazione nazioni deve accettare l’integrazione e il riconoscimento delle minoranze.
Sulla questione della minoranza musulmana bisogna anche tenere conto dell’atteggiamento dei leader militari birmani. Secondo il generale Than Shwe, che si è i tirato dalla vita pubblica nel 2011, la zona e frontiera più pericolosa è al confine con i Bangladesh, non con la Cina. È probabili che molti capi militari, e forse lo stess Thein Sein, la pensino allo stesso modo. 1 purtroppo anche molti cittadini.

INDONESIA Almeno dieci persone sono morte negli scontri tra Lampung e balinesi scoppiati il 27 ottobre nella provincia di Lampung, sull’isola di Sumatra.

FILIPPINE – Arroyo in tribunale . II 29 ottobre l’ex presidente delle Filippine Gloria Arroyo (nella foto) si è presentata in tribunale per il processo in cui è accusata di aver usato impropriamente circa nove milioni di dollari di denaro pubblico durante il suo ultimo mandato. Arroyo si è rifiutata di fare dichiarazioni, così il tribunale ha registrato a suo nome la dichiarazione di non colpevolezza. L’ex presidente, che si trova in ospedale per curare un disturbo alla colonna vertebrale, rischia l’ergastolo. Il Manila Times spiega che è il terzo processo per corruzione nei suoi confronti da quando, due anni fa, ha lasciato la presidenza.

GIAPPONE – Pericolo nazionalista. "I cambiamenti in corso nello scenario politico giapponese sono profondi e potenzialmente pericolosi", scrive la storica Tessa Morris Suzuki su Inside. "Dopo che la vittoria del Partito democratico nel 2009 aveva fatto sperare in una nuova era di alternanza politica reale, lo tsunami e il disastro nucleare di Fukushima hanno suscitato rabbia e delusione tra i cittadini, creando un vuoto in cui si stanno insinuando inquietanti forme di nazionalismo. Se n’è avuto un assaggio ad aprile, quando il governatore di Tokyo Shintarò Ishihara ha lanciato la proposta di acquistare le isole Senkaku (Diaoyu per la Cina), provocando la dura reazione di Pechino. Ishihara, noto per le sue dichiarazioni razziste, sessiste e omofobe, il 24 ottobre si è dimesso per fondare un nuovo partito in vista delle elezioni politiche, che si terranno probabilmente all’inizio del 2013. La crisi post-tsunami ha alimentato il desiderio di una leadership forte e a tentare di approfittarne c’è anche il sindaco di Osaka Toni Hashimoto, che ha da poco lanciato il suo Partito della restaurazione, fondato su un mix di nazionalismo, neoliberismo e piani diradicale stravolgimento del sistema politico. Alla fine di settembre il Partito liberalde-mocratico ha eletto come nuovo leader l’ex premier Shinzò Abe, vicino a Hashimoto. Probabilmente Abe vincerà le elezioni ma senza ottenere la maggioranza in entrambe le camere. Se però anche Ishihara e Hashimoto otterranno buoni risultati, potrebbe formarsi una coalizione di estrema destra che provocherebbe la dura reazione dei paesi vicini".

AUSTRALIA – L’Asia secondo Canberra. II governo australiano ha presentato il 28 ottobre un piano per rafforzare i legami con i paesi asiatici, scrive il Sydney Morning Herald. Lo studio, commissionato dalla premier Julia Gillard, identifica 25 obiettivi che il paese deve realizzare entro il 2025, tra cui diffondere l’insegnamento delle lingue e delle culture asiatiche e liberalizzare il commercio regionale. L’Australia si prefigge inoltre di aumentare il reddito pro capite da 62mila a 73mila dollari e di portare il suo sistema scolastico tra i cinque migliori al mondo.

EUROPA.

UCRAINA – Elezioni autoritarie. II voto del 28 ottobre "ha ridato fiducia al regime autoritario di Viktor Janukovic. Non è una catastrofe, ma il ‘sogno ucraino’ sta per morire". Così il quotidiano ceco Lidové Noviny commenta la vittoria del Partito delle regioni alle elezioni ucraine, definite dagli osservatori internazionali "un passo indietro per la democrazia". Il partito del presidente Janukovic, spiega Ukrainskaja Pravda, ha ottenuto il 30 per cento dei voti e dovrebbe avere la maggioranza dei 450 seggi della Rada, assegnati secondo un sistema complesso: metà con il proporzionale e metà in collegi uninominali. Il secondo partito è Patria, di Julia Timosenko, tuttora in carcere. In parlamento saranno rappresentati anche l’Udar, il partito di opposizione del pugile Vitali Klicko (nella foto), e il Partito comunista. Da sottolineare anche il successo dei nazionalisti di Svoboda (Libertà), al io per cento, e la débàcle di Avanti Ucraina del calciatore Andri Sevcenko, fermo all’i,5 per cento, ben al di sotto della soglia di sbarramento del 5 per cento. A urne chiuse sono subito cominciate le polemiche sui brogli, secondo l’opposizione molto diffusi, sia durante il voto sia nelle operazioni di spoglio. Secondo Ukrainskaja Pravda sul risultato avrebbe inciso ancora di più il voto di scambio, tanto che "in parlamento siederanno deputati che si sono letteralmente ‘comprati’ interi collegi elettorali".

AUSTRIA – Un miliardario in politica – Trend, Austria – "La coscienza mi ha detto: ‘Frank, se vedi qualcosa che non va, devi dirlo’. Il sistema politico austriaco è una struttura per la conservazione del potere, con due grandi partiti che negli ultimi cinquant’anni hanno fatto solo debiti". Così Frank Stronach, il miliardario austriaco a capo dell’azienda di ricambi per auto Magna International, ha annunciato la nascita di un partito che si presenterà alle legislative austriache del 2013. Come spiega Trend, il partito ha già un nome, Team Stronach fùr Òsterreich, e perfino un gruppo nell’attuale parlamento, grazie all’adesione di un deputato socialdemocratico e di cinque parlamentari del Bzò, il partito populista fondato da Jörg Haider. I sondaggi danno il Team al 15 per cento, anche se il partito non ha ancora un programma ufficiale. Ma Stronach ha già dettato alcuni punti chiave: aliquota unica del 25 per cento per l’imposta sul reddito e, soprattutto, la fine dell’euro e dei debiti di stato (Stronach propone l’introduzione nei paesi dell’eurozona di monete che continueranno a chiamarsi euro ma avranno ognuna un valore diverso). In vista della campagna elettorale, Stronach, che ha un patrimonio di quattro miliardi di euro, si è detto pronto a "investire tutti i soldi necessari per arrivare al successo".

LITUANIA – In cerca di un governo. II Partito socialdemocratico di Algirdas Butkevicius, all’opposizione, ha vinto il secondo turno delle elezioni legislative, il 28 ottobre, conquistando così 38 seggi sui 141 del parlamento lituano. L’Unione patriottica del premier di centrodestra, Andrius Kubilius si è fermata a 33 seggi, pagando lo scotto di quattro anni di austerità. Butkevicius ha annunciato di voler formare un governo con i laburisti (29 seggi) di Viktor Uspaskich, uomo d’affari di origine russa che ha fatto fortuna all’ombra del gigante del gas Gazprom, e con Ordine e giustizia di Rolandas Paksas, ex campione di acrobazie aeree sospettato di legami con la mafia russa. Ma la presidente Dalia Grybauskaité ha già chiarito che non sosterrà la nascita di "un governo che coinvolga dei politici sospettati di frode contabile". Il riferimento è a Uspaskich, che nel 2006 si rifugiò in Russia per sfuggire alla giustizia lituana. La soluzione immaginata dalla presidente, e appoggiata dal quotidiano Lietuvos Rytas, è una coalizione tra socialdemocratici, liberali e conservatori. In questo modo il paese offrirebbe all’Europa un’immagine più presentabile in occasione della presidenza di turno dell’Unione europea che gli spetterà nel secondo semestre del 2013.

ROMANIA – La corruzione blocca i fondi. La Commissione europea ha annunciato la presospensione dei fondi destinati alla Romania nei settori del trasporto, della competitività e dello sviluppo regionale. Secondo Euractìv, Bruxelles è preoccupata per come le risorse vengono usate e ha rimproverato al governo romeno di non aver messo a punto "un meccanismo di controllo adeguato", cioè di non aver applicato le dovute misure anticorruzione. Per adesso in ballo ci sono cinquecento milioni di euro destinati a rimborsare spese già sostenute, ma sono a rischio anche i fondi futuri. Secondo Adevàrul, il governo romeno ha dichiarato che entro l’anno si doterà di "un sistema di controllo più rigoroso, per evitare il conflitto di interessi nei progetti finanziati dall’Ue".

TURCHIA – II 29 ottobre migliaia di nazionalisti kemalisti hanno partecipato a una manifestazione non autorizzata ad Ankara in occasione della festa della repubblica.

GEÒRGIA – II 25 ottobre il parlamento ha approvato la nascita del nuovo governo guidato dal miliardario Bidzina Ivanishvili. L’ex calciatore Kakha Kaladze è diventato ministro dell’energia.

PAESI BASSI – I liberali e i laburisti, vincitori delle elezioni legislative, hanno raggiunto il 28 ottobre un accordo per un governo di coalizione. Il liberale Mark Rutte sarà confermato premier.

ITALIA . Vista dagli altri.
PALERMO – II VOTO DÌ SFIDUCIA DEI SICILIANI. Elisabetta Povoledo, The New York Times, Stati Uniti
Alle regionali del 28 ottobre il 53 per cento degli elettori non ha votato. Il centrosinistra ha vinto, ma la sorpresa è il Movimento 5 stelle: primo partito dell’isola.
I siciliani hanno disertato il voto del 28 ottobre per il rinnovo del parlamento regionale con percentuali da record. Ha votato poco più del 47 per cento degli elettori: il minimo storico. Secondo l’ufficio elettorale della regione Sicilia, nel 2008 l’affluenza era stata del 67 per cento. Il centrosinistra ha sconfitto il centrodestra, al governo dal 2001, ma il dato più rilevante è la crescente disaffezione dei cittadini nei confronti della classe politica. Un altro indizio rivelatore di questo malcontento è stato il sorprendente successo del Movimento 5 stelle. La formazione guidata da Beppe Grillo, il comico diventato un guru della politica, quest’anno ha ottenuto vittorie notevoli in occasione delle elezioni amministrative, attaccando tutto il mondo politico. In Sicilia Giancarlo Cancelleri, candidato del Movimento 5 steli ha ottenuto circa il 18 per cento delle preferenze. In occasione delle regionali siciliane, Grillo ha condotto una campagna elettor: le molto movimentata: ha attraversato nuoto lo stretto di Messina, ha scalato l’Etna, e ha tenuto dei comizi a cui hanno partecipato migliaia di siciliani. Il 29 ottobre Cancelleri ha dichiarato a Sky News: " Probabilmente abbiamo raccolto molti voti e protesta, ma la scarsa affluenza alle urne sempre una sconfitta per la politica". Il voto per il rinnovo del parlamento regionale siciliano è stato seguito con molta attenzioni anche nel resto del paese perché è considerato utile per prevedere le intenzioni degli elettori in vista delle prossime elezioni pò litiche. I principali partiti sembrano con dannati a implodere a causa dei dissensi interni.
L’astensionismo e il successo dei movimenti di protesta fanno pensare che la tolleranza degli elettori nei confronti della classe politica abbia subito un drastico calo dopo gli ultimi episodi di corruzione e hanno travolto alcuni esponenti delle amministrazioni regionali del Lazio e della Lombardia.
Il candidato del centrosinistra in Sicilia, Rosario Crocetta, ha vinto con il 30,5 per cento dei voti. Invece il candidato del Popolo della libertà, Sebastiano Musumeci, ha subito una sconfitta pesante ottenendo solo il 25 per cento. Ora Crocetta dovrà stringere delle alleanze con altri partiti per avere la maggioranza.
I risultati delle regionali siciliane rispecchiano anche i problemi dell’isola, come gli sprechi cronici e certi metodi amministrativi discutibili. Inoltre il 29 ottobre l’agenzia di rating Pitch ha retrocesso l’amministrazione regionale siciliana, il cui credito è ora valutato poco più dei titoli spazzatura. Il presidente uscente della giunta regionale siciliana, Raffaele Lombardo, del Movimento per le autonomie, è indagato dalla procura di Catania per concorso esterno in associazione mafiosa. Si è dimesso nel luglio scorso di fronte alla difficoltà di far quadrare i conti della regione, ma respinge ogni accusa.
RITIRARSI DALLA POLITICA ATTIVA
I risultati del voto sono di pessimo auspicio anche per Angelino Alfano, il parlamentare siciliano scelto da Berlusconi come suo successore.
I tentativi di Alfano di unire il Pdl sono naufragati il 27 ottobre quando Berlusconi ha annunciato di essersi rimangiato la decisione, presa tre giorni prima, di ritirarsi dalla politica attiva. Nella conferenza stampa del 27 ottobre, il giorno dopo essere stato condannato per frode fiscale, Berlusconi ha dichiarato di voler restare in politica per riformare la giustizia italiana. Ha affermato anche che l’appoggio del suo partito al governo tecnico guidato da Mario Monti è in forse, e ha criticato le misure introdotte dal premier per mettere l’Italia su un cammino economico virtuoso.
L’improvviso passaggio di Berlusconi alla linea dura nei confronti di Monti, e le sue frecciate contro la Germania, accusata di pilotare la politica economica di Roma, hanno aggravato la divisione interna del Pdl, e ora alcuni suoi esponenti di primo piano stanno prendendo le distanze dall’anziano leader.
"Il governo Monti garantisce la credibilità dell’Italia", ha dichiarato il 29 ottobre al Corriere della Sera l’ex ministro degli esteri Franco Frattini. ( da Internazionale)

 

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