9925 Conferenza Nazionale Cgil sull’Immigrazione: la Relazione di Pietro Soldini

20120629 18:01:00 redazione-IT

La crisi economica che, da ormai più di tre anni, sta segnando la vita del Paese ha pesantemente colpito il mondo del lavoro. L’emorragia occupazionale non ha risparmiato le lavoratrici e i lavoratori immigrati i quali, oltre al dramma della perdita del posto di lavoro, vedono messa in discussione la propria permanenza regolare sul territorio nazionale. In assenza di una rete famigliare di sostegno, rete di cui si avvalgono invece i lavoratori italiani, si trovano in molti casi costretti a rientrare nel mondo del lavoro in condizioni peggiori di quelle di cui godevano in precedenza. La necessità di un rapporto di lavoro e di un reddito per il rinnovo del Permesso di Soggiorno sono condizioni che mettono il lavoratore in una condizione di assoluta debolezza nei confronti del datore di lavoro.

Tutto ciò, oltre a determinare salari al ribasso, assenza di diritti, lavoro irregolare, non consente di riconoscere quindi valorizzare, a causa della qualità professionale del lavoro svolto, i titoli di studio e le esperienze lavorative pregresse.

Dall’altra parte, sin dalle prime anticipazioni trapelate dall’Istat, e come risulta dall’elaborazione dei dati dell’ultimo censimento, si coglie quanto l’immigrazione segni il profilo del Paese. Dall’incidenza sul Pil (oltre il 10%), a quella sulla popolazione (oltre il 7%), sino al trend demografico in cui l’immigrazione è un fattore di arginamento del declino, seppur contrassegnata da un’evoluzione meno dirompente; in sostanza le famiglie immigrate, man mano che si stabilizzano, tendono a ridurre il numero dei figli, quasi a voler dare assicurazioni di un percorso d’integrazione-omologazione ai comportamenti degli italiani.

Dal rapporto completo dell’Istat sul censimento del 2011, che uscirà fra qualche mese, si potrà senz’altro ricavare il grande apporto fornito dagli immigrati e, forse, dare qualche lezione ad un sistema informativo pubblico- mediatico che non ha saputo o non ha voluto, tranne rare eccezioni, osservare diligentemente il fenomeno migratorio, lasciandosi condizionare dalle lenti deformate della strumentalizzazione politica e dalle vocazioni sensazionaliste.

Di eccezioni naturalmente ce ne sono ma, in particolare, è opportuno richiamare una suggestiva caratteristica comune a tanti film-documentari che sono stati prodotti negli ultimi tempi da giovani registi e anche da registi più affermati, in cui le storie e testimonianze di donne e uomini immigrati tendono a rappresentarsi nella normalità del proprio lavoro e delle proprie relazioni familiari e sociali, cercando quindi di sorvolare sugli aspetti più tragici del percorso migratorio: i barconi, i naufragi, i ponti, i semafori, il razzismo e le discriminazioni quotidiane.

Da queste pellicole, gli immigrati appaiono come persone che non si piangono addosso, parlano di sogni, aspirazioni, ambizioni; in sostanza gettano il cuore oltre l’ostacolo. Questo atteggiamento, paradossalmente, evidenzia ancora di più gli ostacoli che si ergono sulla strada dell’inclusione nella società.

Ci siamo sempre detti che l’Italia avrebbe dovuto capire l’immigrazione in virtù della nostra storica esperienza di emigrazione sulla quale invitavamo tutti a fare uno sforzo di memoria da aggiornare informazione e conoscenzaperchè noi siamo ancora un Paese di emigrazione sia interna dal sud al nord del Paese, sia verso il resto del mondo (nel corso del 2011 circa 170.000 persone).

I dati del rapporto Migrantes sugli italiani all’estero sono molto significativi e devono indurci a riflettere su un modo nuovo ed intrecciato di affrontare il tema. La stessa cooperazione allo sviluppo dovrebbe investire sulla figura del migrante (sia emigrato che immigrato) come protagonista di una nuova stagione di progetti di cooperazione internazionale.

Il quadro normativo sull’immigrazione in Italia, dopo l’esperienza del Governo Berlusconi e della Lega, è un insieme di obbrobri giuridici affastellati: dalla Bossi-Fini al Pacchetto Sicurezza, il reato di clandestinità, i respingimenti, i rimpatri forzosi, la detenzione amministrativa e numerose altre norme spot quali classi- ponte, ronde, emergenza Rom, test di lingua, permesso a punti, impossibilità per gli irregolari di contrarre matrimonio, ordinanze discriminatorie dei Sindaci su Bonus Bebè, iscrizione anagrafica, asili nido, case popolari, supertassa sui Permessi di Soggiorno. E chi ne ha più metta.

Oltretutto molte di queste norme sono state censurate, abrogate o ridimensionate dalle giurisdizioni per la loro incompatibilità con la Costituzione o con norme Europee ed internazionali e continuano a dare la più desolante prova di insipienza, irrazionalità ed inefficacia.

Il Governo Monti ed i suoi autorevoli Ministri, in particolare il Ministro Riccardi al neo dicastero dell’Integrazione, in molte dichiarazioni aveva fatto sperare che si sarebbe cambiato registro, ma in questi mesi non si è prodotto nessun atto concreto e significativo che dia il segno della discontinuità. I tempi di questo Governo, ammesso che arrivi alla scadenza naturale, sono comunque stretti e quindi c’è la necessità e l’urgenza di capire se c’è la volontà di affrontare seriamente questi temi, misurandosi con le proposte del sindacato e delle associazioni, altrimenti, si dovrà necessariamente produrre una forte iniziativa di protesta.

Infatti, negli atti atti concreti del Governo Monti, a parte il linguaggio che non è più quello del cattivismo istituzionale e questo è un bene, questa discontinuità non c’è stata. L’elenco degli atti compiuti è inequivocabile: proroga dello stato di emergenta Nord-Africa e Libia senza provvedimenti conseguenti per l’accoglienza; Lampedusa porto insicuro; riapertura di due Cie infernali (Porto San Gervasio e Santa Maria Capua Vetere); Blocco dei flussi; dispositivo di sospensione di Schenghen; rinnovo dell’accordo con il nuovo governo libico troppo uguale a quello sottoscritto con Gheddafi senza negoziare garanzie aggiuntive per i diritti umani. dei rifugiati, per la ratifica della Convenzione di Ginevra e per impedire che possa accadere di nuovo che le persone muoiano o spariscano e che la Corte Europea sansioni nuovamente e pesantemente il nostro Paese.

In ogni caso, un governo che voglia seriamente dare discontinuità e cambiare segno alle politiche per l’immigrazione non può pensare di tenere tutta l’acqua sporca del precedente Governo, perché sarebbe in grado di far annegare ogni buona intenzione.

Occorre un intervento deciso di abrogazione e di riordino delle norme. Occorrono interventi amministrativi immediati che si possano adottare rapidamente, senza cambiamenti legislativi e tortuosi percorsi parlamentari. Occorre dare segnali, forti con alcune riforme che adeguano il Paese legale alla realtà e alle necessità della gente in carne ed ossa, a partire dal reintegro del Fondo per le Politiche Migratorie con la piena attuazione del Titolo V della Costituzione, nella parte relativa all’integrazione che prevede compiti specifici per Stato, Regioni e Comuni per buona parte inattuati.

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in più occasioni ha sollevato la questione immigrazione, con forza e nettezza, e poiché Egli è molto accorto e misurato, questi Suoi interventi significano che si è raggiunto il livello di guardia e che, affrontare alcuni nodi che riguardano la condizione dei cittadini e lavoratori immigrati è una vera e propria emergenza nazionale, che fa un tutt’uno con la crisi generale e che, se affrontati adeguatamente, potrebbero essere una parte delle soluzioni possibili.

E’ evidente che all’apice del livello di guardia c’è la questione della cittadinanza. La normativa attuale, non solo costringe tanti uomini e donne a rimanere stranieri, facendo lievitare i numeri dell’immigrazione [cosa che non accade in altri Paesi come la Francia dove 1/4 dei cittadini francesi è di origine straniera, o la Germania dove lo sono 1/5 dei cittadini tedeschi], ma addirittura si arriva al colmo dei paradossi producendo noi stessi cittadini stranieri made in Italy, nella misura di oltre 50.000 unità l’anno ossia i bambini che nascono in Italia da famiglie straniere residenti. Inoltre, tuttora l’accesso alla cittadinanza per naturalizzazione prevede tempi di attesa inaccettabili, fino a 3 o 4 anni, oltri i 10 di requisiti minimi di residenza in Italia discrezionalità non sempre supportata da elementi ed indici chiari ed accessibili per poter verificare, tramite l’accesso agli atti, le possibili motivazioni del diniego dell’istanza.

Ma la questione non si limita alla cittadinanza. C’è un altro aspetto che alimenta il cammino di una sana interazione ed integrazione degli immigrati nella comunità nazionale: la partecipazione al voto amministrativo.

Il voto è un diritto fondamentale, sancisce la partecipazione democratica e l’esercizio del senso civico del cittadino e della comunità. Negarlo al 7,2% della popolazione complessiva che, in alcuni comuni, arriva ad essere anche il 20%, oltre ad essere una discriminazione, mette in luce una criticità del sistema elettorale, del suffragio universale e quindi della stessa democrazia costituzionale italiana.

Infatti la Campagna “L’Italia sono anch’io” promossa dalla Cgil insieme ad altre 18 organizzazioni laiche e religiose è incentrata su questi due temi civili -cittadinanza e voto- con due proposte di legge d’iniziativa popolare.

Il monito del Presidente Napolitano, comunque partendo dalla questione cittadinanza, pone un tema più generale e cioè la necessità per l’Italia di utilizzare tutte le risorse per uscire dalla crisi. Il Capo dello Stato, infatti, ha dichiarato che “senza il contributo degli immigrati all’economia del [nostro] paese, anche il fardello del debito pubblico diventa più difficile da sostenere.” Al Presidente Napolitano ha fatto eco il Governatore della Banca d’Italia Visco il quale ha messo in luce il ruolo fondamentale degli immigrati per la crescita economica del Paese.

Ciò significa che il Governo, nell’assolvere il proprio mandato di traghettare il Paese fuori dall’emergenza, deve misurarsi con alcune questioni inerenti l’immigrazione e che si fondono con l’interesse generale. E’ necessario, per esempio, un provvedimento di regolarizzazione degli immigrati e anche italiani che lavorano in nero sfruttati dall’economia sommersa. Potrebbe riguardare più di mezzo milione di persone. Questo provvedimento avrebbe un impatto virtuoso sia in termini di legalizzazione del lavoro, di superamento del dumping nel mercato del lavoro e fra le imprese, di giustizia contro il fenomeno del super sfruttamento dei lavoratori immigrati, sia in termini di entrate fiscali e contributive.

A regime si tratta di un intervento di dimensioni significative per la nostra economia (circa 5,6 miliardi annui ovvero 1 punto Pil nel triennio) quindi avrà effetti diretti ed indiretti sulla crescita.

Per aggredire il fenomeno del caporalato e del super sfruttamento dei lavoratori immigrati, oltre al reato penale occorre estendere l’art. 18 del Testo Unico sull’Immigrazione per consentire ai lavoratori di denunciare la loro condizione di sfruttamento ed avere una
permesso di soggiorno di protezione. A questo proposito sarebbe necessario ratificare la Direttiva Europea n. 52 del luglio 2009 la cui mancata ratifica, ci mette già in stato di mora.

A questo proposito, è in corso l’iter di un decreto legislativo il cui testo è ancora insoddisfacente.
Nel merito dell’applicazione della Direttiva Europea 52/2009, che chiediamo la piena applicazione anche sotto il profilo della tutela dei lavoratori e delle lavoratrici rispetto alla possibilità di sporgere denuncia tramite le Organizzazioni Sindacali e la piena recuperabilità di mancate retribuzioni ed oneri previdenziali.

La crisi riguarda tutti e significa perdita di occupazione per molti con l’aggravante per i lavoratori immigrati, che dopo 6 mesi di disoccupazione perdono il diritto a rinnovare il permesso di soggiorno e scivolano nella clandestinità, quindi occorre un provvedimento che prolunghi la durata del Permesso di Soggiorno per attesa occupazione oltre la durata degli ammortizzatori sociali.

A questo proposito è stata inserita una norma nel ddl Fornero che sta per essere approvato in questi giorni con l’ennesima fiducia ed è l’unico punto del provvedimento sul quale diamo un giudizio positivo dentro un impianto assolutamente negativo che comprime diritti e non affronta i problemi della precarietà, degli ammortizzatori sociali e di nuova occupazione, infatti siamo ancora impegnati in una forte iniziativa di contrasto con la grande manifestazione unitaria del 16 giugno e con i presidi di oggi e di domani.

Tornando all’immigrazione c’è un dato particolare che emerge dall’Istat e cioè che mancano all’appello circa 800.000 stranieri che risultano residenti e che non hanno risposto al censimento.

Questo dato fa il pari con un altro dato che era stato evidenziato nell’ultimo Rapporto Caritas: circa 600.000 immigrati che erano regolari fino al 2010 oggi non lo sono più. A questi due dati si aggiunge un terzo elemento evidenziato dall’Inca: le domande per la Carta di Soggiorno sono diminuite del 47%. Sicuramente ci potranno essere numerosi fattori a spiegare questi dati e sarà bene indagarli tutti, ma in particolare, bisogna considerare che la crisi rende più precari e poveri tutti i lavoratori e, in particolare, gli immigrati. L’innalzamento abnorme dei requisiti utili per rimanere in regola (da ultimo, l’inaccettabile sovrattassa sui permessi di soggiorno che non possiamo lasciare così com’è e bene fa la CGIL di Vicenza a fare una Manifestazione di protesta contro la tassa il prossimo 30 giugno), spingono fatalmente centinaia di migliaia d’immigrati verso l’irregolarità.

Occorre ripensare il modello del decreto flussi (fallimentare così come normato dalla Bossi-Fini) con un meccanismo più fluido e razionale rispetto alla realtà del mercato del lavoro, ed aumentare i canali d’ingresso regolare in varie forme compreso un permesso programmato per ricerca occupazione.. Occorre smantellare il modello disumano dei CIE e, in generale, dei centri di accoglienza per gli immigrati e per i rifugiati abrogando le norme del Pacchetto Sicurezza e le Circolari del Ministero dell’Interno che hanno reso ingestibile la situazione, verso un modello più funzionale ed aderente alle norme europee ed internazionali. Occorre un piano formativo pubblico ed efficace per l’apprendimento della lingua italiana e di educazione civica per rilanciare tutte le pratiche d’integrazione degli immigrati sul territorio.

Intervenire per rendere più funzionale ed efficace il rapporto fra cittadini immigrati e pubblica amministrazione qualificando i servizi e trasferendo alcune competenze ai Comuni e stabilizzando i precari (650) che rischiano di vedersi recidere il rapporto di lavoro con gli Sportelli Unici Immigrazione e che rappresentano una dotazione
organica e professionale assolutamente indispensabile. Inoltre, a fronte dei lunghi tempi di attesa (in alcuni casi fino a 18 mesi come in alcuni territori della Lombardia) per i ricongiungimenti familiari, si richiede il potenziamento dell’organico degli Sportelli Unici presso le Prefetture, laddove ci sono carenze. Il rapporto fra immigrati e Pubblica Amministrazione è uno dei punti strategici delle politiche per l’immigrazione, ed analizzando il funzionamento di questo rapporto, si capisce molto dell’impronta che è stata data all’impianto normativo.
In Italia questo rapporto è improntato alla massima inefficienza, che non è semplicemente una disgrazia fisiologica, ma è funzionale ad un’impostazione proibizionista e deterrente.

Si potrebbero fare molti esempi, ma basta uno solo: il decreto flussi 2011. Su 430.000 domande, sono 100.000 ingressi autorizzati, 42.000 i nulla osta rilasciati, e 12.000 i permessi di soggiorno acquisiti.

Le domande rigettate per assenza dei requisiti sono state 5.500, il ché vuol dire che le domande andate a buon fine sono state meno del 3% e che oltre il 90% delle domande sono andate a vuoto, seppur ognuna sia costata tempo e denaro sia dagli stessi immigrati, sia dai loro potenziali datori di lavoro.

Oltre all’inefficienza, la seconda caratteristica di questo rapporto è che si caratterizza in modo sbilanciato come rapporto di Polizia.

In generale, la Pubblica Amministrazione impone un eccesso di burocrazia agli immigrati ed è molto scarsa di servizi ed assolutamente carente di figure di mediazione culturale.

I provvedimenti di semplificazione e di spending review di cui si sta discutendo, potrebbero rappresentare una buona occasione per migliorare questo rapporto, ma vanno studiate misure ad hoc altrimenti, c’è il pericolo che ciò che può essere semplificativo per i cittadini, diventi un ostacolo per gli immigrati.

Vorremmo richiamare per titoli alcune cose che potrebbero migliorare la situazione: Adeguamento organico (stabilizzazione dei precari degli Sportelli Unici Immigrazione) e della figura professionale del mediatore/ce culturale. Passaggio di competenze agli Enti Locali.

Aumento della durata dei permessi di soggiorno a standardizzazione delle tipologie. Non ripetere la richiesta delle impronte nel rinnovo del permesso. Silenzio assenso per il rinnovo del permesso dopo venti giorni.

Semplificazione dei permessi stagionali. Snellire le procedure per riconoscimento di titoli scolastici e professionali. Verificare la situazione delle ambasciate italiane nei paese di origine dei migranti., perchè la nostra rete diplomatica (ambasciate e Consolati) è un altro collo di bottiglia che strozza gli immigrati e che avrebbe bisogno di essere riformato profondamente spostando risorse, energie, sedi e competenze verso i Paesi di immigrazione. (Oggi 80% delle sedi diplomatiche e della nostra rete consolare e dislocata in Europa, dove è pressochè inutile e solo il 20% e dislocata nel resto del mondo).

Anche noi come sindacato e come patronato abbiamo la necessità di ridisegnare la mappa della nostra rete internazionale di servizi e tutele più coerente alla mobilità del mondo del lavoro e dei flussi migratori.

La carenza di organico e la sostanziale privatizzazione del sistema di accesso e la gestione degli appuntamenti hanno determinato la lievitazione dei costi oltre a generare allungamenti nei tempi di attesa e poca trasparenza nella gestione delle pratiche. Superare lo sbarramento all’accesso nel Pubblico Impiego per gli immigrati
regolarmente residenti. Occorre avviare, in Italia e nel contesto europeo, la procedura di ratifica della Convenzione ONU “sui diritti dei Migranti e delle loro famiglie” del 18 dicembre 1990 (Il prossimo 18 dicembre ne ricorrerà il 21° anniversario).

La Convenzione non è stata ratificata da alcun Paese Europeo, neanche dall’Italia seppur sia stata tra i promotori di tale strumento giuridico in ragione della propria esperienza storica di emigrazione.

Questa Convenzione rappresenta una base giuridica indispensabile per impostare una politica di governo comune del fenomeno migratorio in Europa.

Il Governo Monti, sembra incline a dire che questi temi non rientrano nel suo mandato tecnico, ma si tratta di un’interpretazione sbagliata perché una gestione virtuosa dell’immigrazione, sia nel mercato del lavoro che nella società, rappresenta una delle leve principali per far uscire l’Italia -e l’Europa- dalla crisi e rappresenta un’opportunità ed una risorsa per la possibile crescita economica.

La CGIL è stata la principale protagonista della Campagna “L’Italia sono anch’io” che ha promosso una raccolta di firme su due proposte di legge d’iniziativa popolare, la prima sulla riforma della cittadinanza che consenta un percorso più agevole e certo per la naturalizzazione degli stranieri che chiedono di diventare italiani e riconosca lo Jus Soli per tutti i bambini, figli d’immigrati nati in Italia o che vi sono giunti in tenera età e hanno frequentato la scuola dell’obbligo. La seconda riguarda il riconoscimento del diritto di voto amministrativo.

Sono state raccolte oltre 200.000 firme in tutte le regioni e città, segno che questi temi sono ormai maturi nella coscienza popolare. Le due proposte, debitamente registrate alla Camera dei Deputati, sono ora assegnate alle competenti Commissioni.

Ora spetta al Parlamento di dimostrare altrettanta maturità e sensibilità verso questi segnali che arrivano dal Paese reale.

In ogni caso, la Campagna “L’Italia sono anch’io” continua, e vigileremo affinché i due obiettivi vengano raggiunti nell’attuale o nella prossima legislatura, ma non oltre. La campagna e la coalizione l’ha promossa potrà inoltre proiettare la sua azione nella dimensione europea dove l’affermazione dei diritti dei migranti sul lavoro per la cittadinanza Europea di residenza, per il diritto di voto può essere un contributo importante per ritrovare una dimensione civile e popolare dell’Europa oltre la gabbia monetaria.

La CGIL ha presidiato, più di ogni altra organizzazione, il tema dell’antirazzismo e della lotta alle discriminazioni. Lo abbiamo fatto con le nostre campagne nazionali (“Stesso sangue stessi diritti”, “Non aver paura”, “L’Italia sono anch’io”), con la nostra rete di uffici immigrazione presso le Camere del Lavoro e di servizi e sportelli che fanno capo al nostro Patronato Inca.

Dove si sono create le condizioni, abbiamo gestito contenziosi legali con le Amministrazioni Locali ed abbiamo aperto vertenze forti ed emblematiche anche con il protagonismo di alcune nostre categorie. Gli esempi di Brescia, di Nardò, le iniziative della Fillea e della Flai contro il caporalato e lo sfruttamento del lavoro nero, sia nei territori maggiormente esposti in modo endemico al fenomeno, sia a livello nazionale. Occorre proteggere dalle discriminazioni le fasce più vulnerabili nel percorso migratorio. L’immigrazione in Italia parla al femminile e grande attenzione va posta alle pari opportunità senza discriminazioni nell’accesso al welfare, al lavoro, alla formazione e vigilando sulle condizioni di lavoro in cui le donne immigrate si trovano ad operare; particolare attenzione va dedicata alla condizione dei minori, soprattutto se non accompagnati o figli di persone in condizione d’irregolarità che, in un contesto di
tagli delle risorse per il welfare, rischiano di non aver più garantito il diritto all’assistenza sanitaria, all’istruzione e alla protezione sociale; la ratifica, da parte del Governo, della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità impone una revisione della legislazione sull’immigrazione a garanzia dei diritti e degli interessi dei soggetti con disabilità; alle persone in condizione d’irregolarità vanno riconosciuti in concreto i diritti fondamentali e non essere criminalizzati per tale condizione; maggiore attenzione va dedicata alla condizione delle minoranze rom e sinti le quali, nonostante le raccomandazioni della Ue, continuano ad essere oggetto di discriminazioni, di campagne ispirate alle xenofobia e al razzismo e di politiche tese all’esclusione sociale.

Su questo tema che riguarda gli ultimi degli ultimi, la CGIL che è una grande organizzazione democratica, deve avere il coraggio di spendere la sua autorevolezza per rivendicare un provvedimento legislativo di riconoscimento della comunità Rom e Sinti come minoranza linguistico-culturale, passaggio fondamentale per cambiare la prospettiva da politiche basate su segregazione-denigrazione-repressione-assistenza in un percorso di riconoscimento-rappresentanza-integrazione.

Mutatis mutandis il percorso storico di riconoscimento della comunità Ebraica nel nostro Paese può essere un valido punto di riferimento.

Veniamo all’emergenza rifugiati circa il 70-80% dei richiedenti asilo provenienti dal Nord Africa ha avuto il diniego da parte delle Commissioni Territoriali, in merito alla propria istanza. I centri di accoglienza e le associazioni che li hanno seguiti e accompagnati in questi mesi hanno esaurito le risorse, mentre la mancata integrazione nel sistema SPRAR ha una condizione differenziata di accesso al sistema di protezione.

Per molti degli interessati, in attesa dell’esito del ricorso, l’unico possibile approdo, inevitabile in caso di rigetto del ricorso, è la clandestinità. Per costoro occorre al più presto riconoscere un Permesso di Soggiorno Umanitario per favorirne l’inserimento nel mondo del lavoro e l’accesso alla rete dei servizi e al Sistema Sanitario Nazionale.

Infine anche rispetto al terremoto in Emilia Romagna abbiamo potuto constatare che non solo siamo sulla stessa barca, ma siamo anche sotto gli stessi capannoni e l’emergenza che ne segue ha bisogno di essere affrontata con provvedimenti specifici per gli immigrati, per aiutarli a rientrare anche temporaneamente nel loro Paese e non fargli scadere i permessi di soggiorno.

Sull’insieme di queste proposte, molte delle quali sono patrimonio unitario sia con gli altri sindacati che con le altre associazioni che si occupano di immigrzione, si è aperto un tavolo di confronto con il Governo, coordinato dal Ministro Riccardi che dovrebbe garantire l’interlocuzione con gli altri ministri competenti per le singole materie.

Abbiamo avuto due incontri in 6 mesi e, a parte la cortesia, siamo ancora al punto di partenza. Io penso che come CGIL noi dobbiamo proporre a tutti, sindacati e associazioni che siedono con noi a quel tavolo di organizzazione, alla ripresa di settembre un grande appuntamento di mobilitazione unitario perchè la situazione non è più sostenibile.

Mi avvio a concludere, oggi occorre anche per il sindacato un salto di qualità nel far diventare questo tema sempre di più materia contrattuale generalizzata, non aggiuntiva o separata, ma fortemente intrecciata ed organica alla contrattazione nei luoghi di lavoro, di categoria e nella contrattazione sociale territoriale, sviluppando e sostenendo una cultura che smetta di considerare la popolazione in senso duale (noi e loro), soprattutto nella declinazione delle politiche a livello locale.

Se la nostra scelta strategica è quella dell’uguaglianza, è evidente che le azioni sindacali tese a rimuovere ineguaglianze e discriminazioni assumeranno una centralità nella contrattazione, a partire dai luoghi di lavoro dove le lavoratrici e i lavoratori immigrati, come segnala da ultimo un rapporto della Fondazione Moressa (uno studio dell’IRES l’aveva evidenziato già qualche anno fa) , a parità di mansioni con i lavoratori italiani, risultano sotto-inquadrati, percepiscono una retribuzione inferiore e difficilmente riescono a progredire nei percorsi di carriera .

Ed anche le azioni tese a tutelare le differenze (preghiera, mensa, ferie) assumeranno una maggiore coerenza. Così come le azioni volte alla valorizzazione del merito incontreranno il tema del riconoscimento dei titoli, professionalità e qualifiche, la conoscenza della lingua (150 ore – fondi interprofessionali).

Potranno tornare utili vecchi istituti contrattuali e se ne potranno sperimentare dei nuovi come, per esempio, gli “osservatori antidiscriminazioni” o il “delegato all’uguaglianza” inteso come una maggiore competenza ed efficaia delle RSU e delle RSA a contrastare le molteplici forme di razzismo, dirette ed indirette, nei luoghi di lavoro.

Per la CGIL, è fuor di dubbio che l’immigrazione rappresenti uno dei banchi di prova più importanti per la società italiana e quindi anche per il sindacato.
Per essere all’altezza del rapporto di fiducia che abbiamo conquistato fra i lavoratori e lavoratrici immigrati, con oltre 400.000 iscritti alla nostra organizzazione, occorre un adeguamento organizzativo finalizzato da una parte ad innalzare il livello di consapevolezza generale del gruppo dirigente sul tema che non può più essere specifico per addetti ai lavori e, dall’altra, a promuovere un inserimento adeguato di delegati, quadri e dirigenti immigrati negli organismi congressuali ed a tutti i livelli della nostra Organizzazione, in modo che, non gli immigrati, ma ognuno di noi, uomini e donne della CGIL possa dire: “questa è casa mia ed in questa cosa non mi sento discriminato”.

www.cgil.it

 

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