9693 Il futuro dipende da noi e dalla politica

20120326 15:19:00 redazione-IT

[b]di Michele Schiavone[/b]

A pochi mesi dall’uscita di scena politica di Silvo Berlusconi l’Italia è ritornata di prepotenza al centro dell’iniziativa politica europea e mondiale, recuperando il ruolo che le compete in termini di progettualità e di credibilità in ogni ambito decisionale. C’è voluta una scelta coraggiosa, strenua e lungimirante del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per tirare il paese dal baratro in cui era sprofondato, dando uno scossone alla debolezza della politica e all’insufficienza programmatica dei partiti, chiamandoli a decontaminarsi da autoreferenzialità e corruzione per aprirsi all’aria nuova,

a volti nuovi che potessero ridar loro credibilità e rigenerarsi nell’esercizio organizzativo e programmatico della loro missione e nelle loro prerogative, che gli vengono riconosciute dalla Costituzione. Da qui la sua scelta di affidare a Mario Monti e ad un governo di tecnici il difficile compito di rivitalizzare un paese in progressiva decadenza economica, morale, etica e culturale. Un compito che difficilmente avrebbe potuto affrontare il sistema dei partiti nelle condizioni date. Questo governo, in sostanza, è sorretto dal Partito democratico, da quel che resta del Popolo delle libertà, e dal raggruppamento centrista dell’UDC e del FLI, che rappresentano complessivamente una maggioranza “bulgara”, si sarebbe detto in altri tempi, dei parlamentari. Tuttavia, nelle democrazie avanzate, è bene ricordarlo, non è immaginabile che la tecnica possa sostituirsi stabilmente alla politica. Ed i partiti dovranno rendersi conto che non possono stare troppo a lungo nel limbo tutelare dei tecnici delegando la rappresentanza, ma devono attrezzarsi per stabilire qui e ora un contatto coni cittadini e con le istituzioni. Rendere i primi partecipi e protagonisti delle scelte e delle decisioni programmatiche del paese e tutelare le istituzioni dalle scorribande dei tribuni e dei despota, che la storia ci regala in ogni epoca. Ripensando la storia italiana degli ultimi vent’ anni emerge un sentimento di amarezza nei confronti di un paese incapace di far tesoro delle sue vicissitudini per correggere le storture sociali e le pratiche deteriori, mentre, contrariamente alla propria vocazione, si affanna nella perenne fatica di rincominciare sempre da capo. L’Italia, nel recente passato, ha maturato simili esperienze chiamando alla sua guida figure prestate alla politica: Azelio Ciampi prima e Romano Prodi in un altro periodo e per l’ennesima volta, nell’arco di vent’anni, si affida ad un nuovo esecutivo tecnico diretto da Mario Monti, anche se quest’ultimo ha un marcato profilo completamente estraneo al mondo dei partiti. Le esperienze di governi guidati dai tecnici hanno permesso al paese di superare le emergenze e di raggiungere obiettivi certi. Ma a quali costi? Con quali conseguenze sulla vita delle persone? Lacrime e sangue per l’ennesima volta, che se accompagnate dalla redistribuzione equa e solidale dei sacrifici oltre che da riforme profonde e incisive del sistema avrebbero l’obiettivo di addolcire la pillola amara e guardare oltre la contingenza e l’emergenza.
Se non si fossero bruciati venti anni a inseguire l’agenda del cavaliere sul suo terreno preferito, ma praticando una nostra politica del buon governo, probabilmente non avremmo legato il nostro destino al futuro di un’intera generazione alla ricerca di un’uscita di sicurezza, e la politica non sarebbe giunta all’attuale punto di non ritorno. Quello che si chiede oggi ai partiti è di non perdere un’altra opportunità per rinnovarsi, anche negli aspetti morali ed etici, e di ridefinire il profilo del nostro paese dentro nuovi scenari e paradigmi.
I momenti di crisi servono per cambiare, riformare e ripartire. Deve farlo il paese, devono farlo coloro che aspirano a rappresentarlo. Non serve a nessuno ricordare che siamo diversi dagli altri, tanto meno rifarci alle anime belle del nostro albero genealogico. Se siamo diversi dalle altre forze politiche è perché i nostri riferimenti tradizionali culturali e sociali sono differenti sul piano dei diritti, delle libertà, della cittadinanza, ma queste differenze devono essere percepite, evidenziate, rese palpabili, praticate e vissute nei momenti in cui si decide sui beni pubblici, sul futuro delle comunità.
Sarà questa la volta giusta per costruire un’architettura politica ed istituzionale adeguata alle aspettative del nostro tempo? Non è più il tempo dell’attesa, il futuro del nostro paese, del nostro continente dipende da tutti noi. Come ha saggiamente detto s nei giorni scorsi a Parigi il nostro segretario Pier Luigi Bersani, in occasione dell’incontro dei partiti socialisti e democratici europei “…i conservatori la loro chance l’hanno avuta. Loro hanno guidato a lungo le sorti dell’Europa: in Francia e in Germania, in Italia e altrove. Hanno seminato le loro idee e i loro valori. Ma la raccolta si è rivelata disastrosa. I progressisti europei devono alzare la voce e dire che gli squilibri di oggi sono l’esito di un impianto istituzionale europeo troppo debole, di scelte di politica economica radicalmente sbagliate, di una resa agli interessi della finanza, di un’austerità cieca. I danni sono sotto i nostri occhi: Per tante ragioni la Grecia è il simbolo della loro sconfitta”.
Allora, fatte salve queste considerazioni, non dobbiamo avere più timidezze ad affermare che, in questo grande spazio di libertà e di diritti qual’è l’Europa del nuovo millennio, ivi compresa la Svizzera dove noi viviamo, è necessario far progredire alle stregua del grande sogno europeo anche le pratiche che definiscono e rendono evidente la cittadinanza europea: tra queste le pari opportunità all’educazione delle lingue e delle culture minoritarie favorendone l’accesso e l’apprendimento; l’erogazione di servizi essenziali a tutti i cittadini, anche a coloro che vivono in paesi diversi da quelli di nascita in maniera tangibile; l’inalienabilità e il riconoscimento dei diritti alla rappresentanza e alla partecipazione politica a tutti i cittadini che vivono nel nostro continente.
Il rilancio del sogno europeo evocato di recente nella carta di Parigi maturerà nelle coscienze e sarà percepito nel momento in cui le aspirazioni e i principi di libertà, di giustizia e di solidarietà contenuti nel manifesto di Altiero Spinelli e Ernesto Rossi, prima, e nel libro bianco di Jacques Dèlors successivamente, saranno assunti come un’eredità da far vivere nel protagonismo dei cittadini e nelle istituzioni. Questa nuova partita può essere vinta riaffermando il primato della politica e di chi la interpreta con spirito nobile e civico.

 

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