9657 La crisi europea e italiana vista dall’Argentina: la fine del mito europeo

20120222 17:00:00 redazione-IT

[b]di Adriana Bernardotti (Buenos Aires)[/b]

[i]“L’Europa è in declino economico e la spingono ogni giorno di più in quella direzione. Ce la gettano le sue principali autorità, con le politiche di “austerity” che sollecitano licenziamenti e tagli alla spesa pubblica. Ce la gettano – consapevolmente – le agenzie di rating, in un sistematico boicottaggio di qualsiasi recupero oggettivo o soggettivo. Ce la getta la principale potenza regionale, la Germania, con una notevole miopia e ce la getta anche la passività della popolazione europea, che in maggioranza non si accorge ancora dove la stanno portando gli orientamenti neoliberisti dei suoi governanti. In Grecia la coperta è diventata ormai socialmente troppo corta”.[/i]

Questa dura caratterizzazione della situazione europea apre il supplemento economico di domenica 5 febbraio del quotidiano Pagina 12, intitolato “La divina commedia”. L’articolo è di Ricardo Aronskind, un economista e accademico che collabora spesso con Pagina 12, la testata progressista pubblicata a Buenos Aires in un formato simile a Il Manifesto. Comunque, salvo qualche eccezione, non è molto diverso il tono generale dei principali giornali argentini, come se la memoria dell’esperienza della crisi argentina della fine degli anni ’90 e gli insegnamenti tratti da questi anni di ripresa, portassero alla comune convinzione che l’Europa è sull’orlo della catastrofe e che le soluzioni proposte dagli europei non faranno altro che accelerarla.

A questa conclusione si arriva facendo un rapido escursus tra gli articoli pubblicati sull’argomento dai tre principali quotidiani negli ultimi mesi: La Nacion, giornale conservatore-liberale più attento alla politica internazionale tra i quotidiani argentini; il Clarin, la pubblicazione di maggiore diffusione con una vasta profusione di notizie di cronaca e d’informazione locale, oggi fortemente antigovernativo e il menzionato Pagina 12, quotidiano d’opinione orientato a sinistra e simpatizzante del Governo di Cristina Kirchner.

Cominciamo dal quotidiano La Nación: Dalla cronaca degli avvenimenti politici ed economici tracciata dai collaboratori e corrispondenti internazionali, emerge un’Europa sottomessa al diktat della Germania e della “troika costituita dai rappresentanti della Commissione Europea, la Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario Internazionale”, che esigono politiche di aggiustamento strutturale che si traducono in una crisi politica che minaccia lo stesso disegno dell’Unione Europea e aggrava le condizione sociali e le sofferenze delle popolazioni.

Riportiamo alcuni titoli: “Para Sarkosy Merkel lleva a Europa a la catástrofe” (1/12/2011); “Presionan a la UE el Foro de Davos y el FMI” (29/1/2012) “Polémico plan alemán para Grecia” (29/1/2012); “Grecia vuelve a causar una fractura en la UE. Fuerte rechazo al plan alemán de supervisión”, di Luisa Corradini (31/1/2012); “El descontento en Europa del Este, una bomba de tiempo” (31/1/2012); “Temor en Europa, Grecia otra vez cerca del default” (6/2/2012); “La germanización de la UE despierta fantasmas en París”, di L. Corradini (6/2/2012).

Sfogliando il Clarin non ci sono dubbi sul fatto che in Europa stanno vincendo i mercati mentre è sconfitta la politica e i cittadini. Vediamo i titoli:“Un acuerdo que profundiza el ajuste y refuerza a los bancos” (10/12/2011); “Otro golpe a Europa: rebajan la calificación al Fondo de Rescate” (17/1/2012, su come le agenzie di rating comandano sulla politica economica); “Cae otro premier en Europa y ya son quince arrasados por la crisis” (7/2/2012, sulla caduta del governo di Romania, il 15° governo europeo spazzato “da quando è scoppiata la crisi greca e la UE ha imposto politiche di aggiustamento”).

Un altro tema ricorrente è quello dell’Europa governata dai banchieri. “A causa della crisi il mercato arriva al potere politico”, sintetizza un’intestazione di Clarin del 22 dicembre che si sofferma sul fatto che “la crisi del debito ha portato al potere tecnocrati, banchieri ed economisti”, in particolare a figure collegate alla Goldman Sachs come il premier greco Lucas Papademos, il presidente della BCE Mario Draghi e lo stesso Mario Monti, tutti uomini che si sono occupati in passato di “aprire porte” del potere europeo a vantaggio di Goldman Sachs. (“Por la crisis, el mercado llega al poder político” – “Attraverso la crisi il mercato arriva al potere politico”, Cl., 22/12/11).

D’altra parte è la stessa moneta europea, l’ euro che ha perso affidabilità, come descritto dal corrispondente di Clarín a Madrid come “quell’entità europea proclamata come essenziale dai politici dei paesi dove è in corso di circolazione, il cui futuro è messo in dubbio da molti economisti e della quale vogliono disfarsi la maggior parte dei cittadini che l’hanno in tasca” in occasione della celebrazione del suo decennale (“Sin festejos y en su momento más crítico, el euro cumplió 10 años”, di J. C. Argañaraz , Cl., 2/1/2012).

Gli stessi concetti, con un accento ancora più critico, compaiono nelle intestazioni di Pagina 12. Europa è una “provetta per le ricette neoliberali” e l’euro è “una gogna” per i paesi in crisi. “El cepo del euro”, di D. Rubinzal, sottolinea come “la debacle dell’ Europa si aggrava con le misure di aggiustamento strutturale”(P12, 24/12/2011). “In Europa il potere è di Goldman Sachs” titola senza indugi un’altro collaboratore di Pagina 12, il servizio dove commenta i casi di Papademos, Monti e Draghi, che “appartengono alla rete che tesseva Sachs nel Vecchio Mondo e, in misura diversa, hanno partecipato alle più raccapriccianti operazioni illegali orchestrate da parte dall’organizzazione statunitense” (“En Europa el poder es de Goldman Sachs”, di E. Febbro, P12, 23/11/2011).

Il quotidiano progressista si fa eco dei punti di vista della sinistra europea, che allertano sulla situazione politica ed economica che vive il continente. “La democrazia sta scomparendo”, è il titolo dell’intervista al deputato tedesco Michael Schlecht, del partito Die Linke, che denuncia il ruolo del capitalismo tedesco nell’indebitamento del resto dell’Europa. “Il 50 o 60% del debito è creato dalla politica tedesca” che ha costituito enormi eccedenze esportabili grazie a una politica di dumping salariale senza precedenti “che equivale a dare una mitraglietta in mano ai capitalisti tedeschi” per annichilire l’Europa, come hanno fatto il secolo scorso “i panzer tedeschi”, dichiara il deputato utilizzando una immagine molto illustrativa. (“La democrazia está desapareciendo”, di E. Febbro, P12, 13/11/2011).

In un’altra intervista al deputato della sinistra greca Panagiotis Lafazanis (“Tutto questo ci porta in un tunnel senza luce”), si afferma che la Grecia ha vissuto un “colpo di stato” che ha portato “la tecnocrazia al governo, come in Italia” e che “questo golpe non si fermerà in Grecia, ma si amplierà a tutta l’Europa” perché “il Fondo Monetario Internazionale è il costruttore di quest’idea”. (“Todo esto nos conduce por un túnel sin luz”, P12, 13/11/2011). In ogni caso, non solo Pagina 12 mette in risalto le voci dell’opposizione europea. La Nación riporta un’intervista al candidato del socialismo francese François Hollande in cui sostiene che il suo “nemico è il mondo delle finanze” e che s’impegnerà in una politica di crescita per la quale occorre modificare il sistema bancario e cambiare i rapporti politici con la Germania. (“Hollande. “Mi enemigo es el mundo financiero”, L. N., 23/1/2012).

In realtà, in termini quantitativi e considerando i quotidiani nell’insieme, le tipologie di articoli che appaiono con più frequenza rientrano nella cronaca della vita quotidiana in tempi di crisi e nella cronaca dei problemi sociali, con temi come la crescita della disoccupazione, l’aumento della povertà, i movimenti di resistenza della popolazione. Il fantasma delle esperienze quotidiane vissute dieci anni fa, in piena crisi argentina, aleggia nei servizi inviati quasi ogni giorno dai corrispondenti nelle principali capitali europee sull’impatto della crisi sui cittadini.

La situazione spagnola, in ragione della vicinanza culturale, è seguita con particolare attenzione: “Fuga de jóvenes profesionales en España”, sull’emigrazione di giovani professionisti verso la Germania, il Regno Unito e l’America Latina come principali destinazioni (L.N., 3/2/12); “España aplica más ajustes y congela el salario mínimo”, sulle misure che colpiscono i lavoratori (Cl., 29/12/11); “Escala la crisis social en España: cada día se pierden 9000 empleos”, sulla perdita di posti di lavoro (Cl., 6/2/2012); “En el gran mercado de Madrid, comen lo que otros tiran”, sulla povertà estrema e la gente che mangia dai contenitori di spazzatura, un’immagine che richiama fortemente alla memoria le vicende argentine (Cl., 30/12/11).

Ciò non significa un disinteresse per il resto dei paesi, tutto il contrario: i quotidiani vogliono mettere in risalto il cambiamento sociale che impone la crisi nelle società europee un tempo i paesi del benessere, concentrandosi su alcuni particolari. “Record de desempleo en la eurozona. Una de cada diez personas sin trabajo”, sulla disoccupazione europea (L. N., 1/2/2012); “Masivo paro contra el ajuste de Cameron”, sugli scioperi nel Regno Unito, “il più importante in 30 anni”, (L.N., 1/12/2011); “Adiós al paraíso laboral europeo”, sulle riforme nel mercato del lavoro e la fine del modello sociale europeo (L.N., 25/1/2012); “Advierten que será ‘inevitable’ en 2012 la recesión en la zona euro. Lo dijo el titular del Banco Central Europeo, Mario Draghi. Italia es el más complicado”, sulla recessione in Italia (Cl., 16/12/2011); “Europa en crisis: los barrios de Londres donde reina la pobreza y la frustración”, sulla povertà a Londra (Cl, 16/12/2011); “Desempleo y desesperanza en el centro y en la periferia de Paris”, sulla situazione sociale a Parigi (Cl., 17/12/2011); “Crece la brecha entre ricos y pobres en los países de la UE. Trepó a su máximo en 30 años, aún en los países más igualitarios, advirtió la OCDE”, sull’incremento della disuguaglianza evidenziato nelle statistiche europee (Cl., 6/12/2011); “Una huelga de estatales contra el ajuste paralizó al Reino Unido”, sugli scioperi inglesi (Cl., 1/12/2011); “Record en la zona euro. Hay 23,6 millones de desocupados”, i dati europei sulla disoccupazione (Cl.,1/12/2011); “Un tubo de ensayo para recetas neoliberales”, sulla povertà estrema ad Atene e le “centinaia di persone che fanno la fila per avere una misera razione di alimenti in un contenitore di plastica: una porzione di purè di patate e Coca Cola light come unica consolazione” (P12, 5/2/2012).

Abbiamo volutamente lasciato ala fine l’Italia perché vorremmo dedicare qualche paragrafo al trattamento che le riservano i quotidiani argentini. Anche in questo caso e nonostante le profonde differenze ideologiche dei tre quotidiani, il tenore dei contenuti dei pezzi di cronaca e dei servizi dei corrispondenti a Roma è sostanzialmente uniforme, con qualche prevedibile differenza di accentuazione.

Come per gli altri paesi, sono molto numerosi gli articoli riferiti alla questione sociale, in generale prodotti dagli inviati o corrispondenti. Ne citiamo alcuni: “Una fábrica de pobres que no pueden ver un futuro mejor” (Cl., 3/12/2011 – servizio con interviste nella mensa dei poveri della Comunitá Sant’Egidio); articoli sullo sciopero di dicembre in tutti i quotidiani: “Primera huelga contra el ajuste de Monti en Italia” (L.N., 13/12/2011); “Masiva huelga general en Italia contra el plan de ajuste de Monti”(Cl., 13/12/2011); “Paro y marcha contra los recortes” (P12.,13/12/2011, dove si informa che “il tema che piú preoccupa a Monti è la riforma delle pensioni e l’applicazione di tributi regressivi”); “Orient Express. Final de viaje en una Venecia golpeada por la crisis”, (Cl.,14/12/2011, di P. Lugones – turismo di lusso in un contesto di crisi e sofferenza popolare); “Italia, triste, pobre y endeudada a fin de año”, (P12, 29/12/2011,di E. Llorente – un compendio dei problemi sociali degli italiani alla fine del 2011: disoccupazione, inflazione, razzismo); “Para impulsar la economía reformaron el sistema de pensiones e incorporaron impuestos” (L.N, 28/1/2012- sulle riforme Monti e le proteste delle corporazione di tassisti, farmacie e dei sindacati); “Los que más apuestan en Italia son jubilados y jóvenes desocupados” (P12., 31/1/2012 – sul gioco in tempi di crisi: la diffusione delle slot machines e la dipendenza dai diversi giochi tra i pensionati e i giovani disoccupati).

Se ci soffermiamo sulla cronaca degli eventi politici ed economici, spicca la durezza con la quale sono affrontati i fatti italiani. Si tratta sicuramente in parte di un residuo della cattiva immagine internazionale guadagnata dall’Italia nell’era berlusconiana. Senza dubbio hanno anche contribuito le tensioni trascinate a lungo attorno ai cosiddetti “tango bond”, che sono stati vissuti dall’Argentina come l’ultimo ostacolo per concludere con successo la ristrutturazione del debito e l’unico caso nel quale prodotti finanziari dello Stato sudamericano – emessi esclusivamente per investitori istituzionali – sono stati venduti ai privati cittadini, in una vicenda poco trasparente da imputare alle banche italiane.

Con questi antecedenti e l’esperienza della crisi argentina ancora fresca, l’Italia è dipinta negli articoli dei quotidiani locali come un paese sull’orlo del baratro economico e sociale, governata adesso da un “tecnocrate” che arriva ad applicare le ricette dei mercati e delle organizzazioni multilaterali a loro affini, a cominciare dal Fondo Monetario Internazionale di triste memoria in Argentina.

“Scelgono un tecnocrate per salvare l’Italia: Monti”, intitola il quotidiano liberale-conservatore La Nacion il 14/11/2011 il servizio della corrispondente Elisabetta Piqué, che presenta a Mario Monti come “un riconosciuto economista di 69 anni sul quale scommettono i mercati, l’establishment, l’Unione Europea e il Fondo Monetario Internazionale”. “Il Parlamento italiano approva il severo programma di aggiustamento strutturale di Monti” informa un mese dopo lo stesso giornale, in riferimento alla “prima riforma di peso promossa dal governo tecnocratico da quando è arrivato al potere” (L.N., 23/12/2011). “Italia riceve elogi per i tagli mentre i politici sperperano lusso”, scrive il corrispondente di Clarin da Roma, J. Argañaraz, in riferimento alle vacanze di alcuni rappresentanti della classe politica nelle Maldive (Cl., 13/1/2012). “Italia fa i tagli e si prepara per la recessione” dice Pagina 12 il 23/12/2011, soffermandosi sulla perdita di potere d’acquisto degli stipendi degli italiani che si preparano a vivere “il peggior Natale dalla Seconda Guerra Mondiale”.

Il tono critico degli articoli sull’Italia ha addirittura creato un incidente diplomatico, quando l’Ambasciatore d’Italia ha preso la decisione di inviare una lettera di protesta al periodico La Nación. Il motivo scatenante è stato un servizio della corrispondente E. Piqué sul tragico incidente della nave di crociera Costa Concordia pubblicato il 19 di gennaio scorso. Nell’articolo intitolato “Il naufragio, un drammatico specchio dell’Italia di oggi “, la giornalista sintetizza la situazione italiana con queste durissime frasi: “Un Italia debole, in galoppante crisi economica, sull’orlo del default, appena uscita dal lungo e controverso regno del ex premier Silvio Berlusconi – lo zimbello d’Europa per il suo harem e il bunga-bunga – , che iniziava a ricuperare qualcosa della sua buona immagine con il noioso e poco carismatico governo tecnico del professore Mario Monti, è tornata ancora ad annegare negli abissi assieme al Costa Concordia. (…) Se l’immagine del tragico naufragio del Costa Concordia sembra una metafora della povera Italia attuale, gravata dal debito, con le sue arretratezze strutturali, gli scandali di corruzione, i malcostumi, le due sue facce sono Francesco Schettino y Gregorio De Falco”. (“El naufragio, un dramático reflejo de la Italia de hoy”, di E. Piqué, L.N., 19/01/2012).

L’Ambasciatore Guido La Tella riferisce nella sua lettera che nei due anni trascorsi nell’incarico nel paese è stato “un lettore attento di La Nacion” che “molto spesso è rimasto colpito dell’asprezza dei commenti sull’Italia”; spiega che sempre si è astenuto di intervenire fino alla pubblicazione di questo articolo dove “la giornalista si permette il lusso di definire ‘noioso e poco carismatico’ un governo come quello di Mario Monti, che riceve unanimi testimonianze di rispetto, apprezzo e considerazione per lo straordinario lavoro che sta portando avanti” e “si azzarda a identificare nel tragico disastro della nave Costa Concordia ‘una metafora della povera Italia attuale’ ”. Di seguito il rappresentante d’Italia prende le difese del Governo Monti, che “nella difficile congiuntura economica internazionale (…) si distingue per la sua sobrietà, rigore, impegno” chiedendo “sacrifici che la maggioranza degli italiani accetta con grande senso di responsabilità”.” Mi piacerebbe leggere – termina l’Ambasciatore – qualche volta articoli che tratteggino alcuni di questi argomenti positivi, che evidentemente annoiano la signora Piqué”.

La lettera della diplomazia italiana è stata diffusa dalle agenzie di stampa locali e l’insolito episodio ha avuto in qualche modo un seguito. Pagina 12 intitola ironicamente “La gaffe di un tecnocrate noioso” il pezzo pubblicato agli inizi di febbraio nel quale vengono riportate le dichiarazioni di Monti sulla “monotonia del posto fisso” (“El furcio de un tecnócrate aburrido”, P.12, 4/2/2012)

Un altro episodio da segnalare in questi mesi è stato la visita della Viceministro degli Affari Esteri, Marta Dassu, arrivata a capo della delegazione italiana invitata alla cerimonia per l’assunzione del secondo mandato di Cristina Kirchner lo scorso dicembre. I tre giornali passati in rassegna hanno intervistato la rappresentante del governo e pubblicato articoli che, con diversi accenni, rivelano che il dialogo tra la funzionaria e la stampa locale non è stato facile. La Nación, più attenta al suo pubblico d’investitori, focalizza l’attenzione sugli aspetti economici e sul rischio che porrebbe un default italiano: “ ‘lo scenario del collasso dell’euro non è realistico. Questo non succederà ’, ha affermato convinta la viceministro italiana”- racconta il giornalista – “e ha ripetuto questa premessa diverse volte durante l’intervista con La Nacion. ‘Italia non considera che è a rischio la sopravivenza dell’euro’, ha insistito” (“Para Italia no está en juego la supervivencia del euro”, di M. P. Markous (L. N., 11/12/2011). Clarin riprende nel titolo l’argomento della “morte dell’euro”, tuttavia si sofferma nell’intervista sugli aspetti politici e sul consenso interno alle riforme: “L’aggiustamento strutturale è rifiutato dai principali sindacati, che convocano scioperi e proteste – riconosce la funzionaria -. La caratteristica di questo governo e che ha dietro di se una maggioranza molto solida, che speriamo duri abbastanza per fare tutte le riforme necessarie. Come punto di partenza i sondaggi rilevano che il governo è appoggiato da una buona maggioranza del paese e gode della fiducia delle persone. E’ ovvio che su alcune misure specifiche ci saranno scioperi, proteste, ma sono inevitabili”. (“Italia no tiene ninguna intención de matar al euro”, da D. Vittar , Cl., 11/12/2011).

Pagina 12 polemizza apertamente con la rappresentante della Farnesina, della quale traccia il profilo per porre in evidenza che “fino a tre settimane fa, era direttrice generale delle Attività Internazionali dell’Aspen Institute Italia, un influente centro di studi internazionali con sede a Washington finanziato dalle fondazioni americane Ford, Carnegie e Rockefeller”. L’approccio critico sull’efficacia delle politiche adottate in Italia e Europa manifestato dal giornalista, portano la funzionaria a dichiarare in tono indispettito: “Io non sono un’esperta. Non sono il ministro d’Economia. Sono la viceministro degli Affari Esteri. So che ci sono critiche tuttavia la disciplina fiscale è imprescindibile per costituire un’unione fiscale, che è un passo importante. E’ chiaro che abbiamo bisogno di crescere. Non abbiamo bisogno che Stiglitz ce lo ricordi. Ciò che non accetto, è che dopo aver guardato all’Unione Europea come uno specchio, repentinamente tutto il mondo possa dirci ciò che dobbiamo fare. Non siamo stupidi. Possiamo vedere la situazione e cerchiamo di fare il meglio. E’ chiaro che occorre crescere, ma non mi domandare con quali strumenti. (Ride. L’ambasciatore avverte che c’è il tempo per un’ultima domanda)”. Conclude così la trascrizione del giornalista argentino, che riprende proprio la frase “Non siamo stupidi” come titolo del servizio. (“No somos estúpidos”, por S. O’Donnell, P.12, 11/12/2011).

Fin qui abbiamo rilevato una sostanziale – e sorprendente – omogeneità tra i tre giornali nel trattamento del tema della crisi europea. Gli unici pezzi dove le posizioni dei quotidiani si discosta in forma netta è negli articoli d’opinioni. Dobbiamo premettere che – ad eccezione di Pagina 12 – il tema della crisi è affrontato in forma prevalente attraverso articoli di cronaca. Questo risulta abbastanza insolito nel caso di La Nación, considerando che il prestigio del giornale è fondato giustamente sul numero di firme di peso e l’ampia copertura internazionale. Si deve inoltre precisare che questa differenziazione di punti di vista si rende evidente negli articoli dei collaboratori ed esperti locali ed inviati, mentre non si verifica con le opinioni e contributi raccolti e tradotti da firme o figure internazionali.

La Nación, ad esempio, riporta un articolo di George Soros fortemente critico con le decisioni della BCE e l’Operazione Rifinanziamento a Lungo Termine (ORLT), una soluzione che – secondo l’economista e finanziere internazionale – “lascia metà della zona euro relegata alla condizione di paesi del Terzo Mondo profondamente indebitati in valuta straniera”, con la Germania “al posto del Fondo Monetario Internazionale (FMI)” che adotta “un atteggiamento implacabile al imporli una rigida disciplina fiscale, che provocherà tensioni economiche e politiche che potrebbero distruggere l’Unione Europea” . Soros difende le ragioni della sua ricetta alternativa per salvare l’Europa – che ha denominato Tomasso Padoa-Schioppa – che, se presa in considerazione, concederebbe all’Italia e alla Spagna un istantaneo sollievo attraverso il rifinanziamento del debito. (“La crisis europea con una solución a medias” L.N., 29/1/2012). In altri pezzi, il quotidiano si fa eco delle opinioni di altri eterodossi come l’economista Nouriel Roubini, che prevede un 50% di probabilitá di disintegrazione dell’eurozona entro tre o cinque anni e insiste sul fatto che le politiche di austerità adottate affonderanno l’Europa nella recessione.

Tra le collaborazioni internazionali, Clarin pubblica un articolo dell’ ex presidente di Spagna Felipe Gonzalez – “Dobbiamo ricordare le origini della crisi” – fortemente critico della politica applicata nel vecchio continente perché “pone in crisi la coesione sociale che ha definito l’Europa dalla Seconda Guerra Mondiale”. Denuncia d’altra parte “l’abilità dei neoconservatori, degli attori delle finanze, delle agenzie di rating, che consiste nel farci dimenticare le correzioni di fondo che richiede il modello di economia delle finanze, senza regolazione e piena di fumo, che ci ha portato a questa catastrofe”. (“Hay que recordar la crisis”, Cl., 28/1/2012).

Se ci concentriamo invece sugli articoli di opinione di collaboratori locali, oltre a manifestarsi differenze tra le linee editoriali dei diversi quotidiani, la questione europea offre un’occasione per spostare il dibattito sullo scenario della politica locale.

Orlando Ferreres, un liberale ortodosso opinionista di La Nación, rappresenta la voce più oltranzista. Dal suo punto di vista l’origine di tutti i mali è da imputare allo Stato Sociale Europeo. “In questo periodo – afferma – stiamo vivendo una crisi del capitalismo europeo (…), si potrebbe dire una crisi del capitalismo gerontologico, ricco e anchilosato, fondato su uno Stato che deve occuparsi della felicità di tutti: lavorare soltanto 35 ore alla settimana, andare in pensione prima dei 60 anni e vivere sulle spalle degli altri fino gli 85 o 100 anni”. L’analista traccia una sua particolare storia del Welfare: “All’inizio tasse alte affinché lo Stato dia successivamente ad ognuno quanto gli ha tolto, ma ridistribuendolo verso quelli che non lo hanno prodotto. In una fase successiva, per evitare lamentele, la crescita della spesa pubblica, aumentando ancora le tasse e, quando esse raggiungono un limite intollerabile, ricorrendo all’incremento del debito pubblico aldilà d’ogni ragionevole limite, mediante la collocazione di titoli dello Stato o prendendo prestiti dalle banche. (…) In una tale situazione le istituzioni finanziarie preferiscono prestare allo Stato o disporre di agenti per la collocazione dei titoli dello Stato Sociale, ben classificati dalle agenzie di rating (la classificazione delle aziende private e delle banche è sempre inferiore a quella del debito sovrano dello Stato dove agiscono). Finalmente arriva un momento in cui lo Stato non è in grado di restituire i soldi o pagare i titoli, quindi, molto tardi, è declassato dalle agenzie di rating, con il risultato che il meccanismo arriva alla fine in questo modo caotico.” Per l’analista tutto ciò dimostra “che non è praticabile il capitalismo statalista dello Stato Sociale, principalmente europeo” e mette in guardia contro le illusioni degli “attuali seguaci del marxismo-leninismo o delle sue varianti ideologiche” che vogliono vedere la crisi finale del sistema, quando al contrario si tratta di “una delle regolari fluttuazioni che migliorano il funzionamento pratico del capitalismo”, in questo caso superando “alcuni eccessi di questo sistema nei paesi più sviluppati”. (“Crisis final del capitalismo?”, L.N., 6/2/2012).

In un articolo precedente lo stesso autore polemizzava apertamente contro il giudizio condiviso da gran parte della stampa riguardo i nuovi governanti europei emersi in questa crisi, considerati tecnocrati vincolati ai capitali finanziari transnazionali. “Tecnocrati o policrati?”, si domanda nel titolo, utilizzando un gioco di parole per definire questi ultimi come “un’altra classe di politici: gente preparata per governare anche in tempi difficili”. Gli esempi sono “Monti e Papademos che chiamano tecnocrati con una connotazione negativa”, nonostante loro siano arrivati per salvare i paesi della crisi del debito pubblico sopraggiunta per gli “errori dei politici e burocrati dei governi di Grecia e Italia”. Finalmente arriva la lezione per l’Argentina, che vive una fase politica di espansione della spesa pubblica e sociale: “Noi possiamo guardare e imparare in salute dall’esperienza europea – si augura Ferreres– per non arrivare a simili eccessi di spesa che a un certo punto diventa ingestibile”. (Tecnocratas o policratas?, L.N., 21/11/2012).

Posizioni come quella dell’autore precedente, comunque, rappresentano un caso isolato anche per la testata della destra argentina. E’ troppo recente la memoria dei risultati delle ricette neoliberali in Argentina così come l’esperienza di crisi sociale conseguente alla distruzione dello Stato mediante politiche selvagge di privatizzazione dei beni e servizi pubblici. Un altro collaboratore assiduo di La Nación, Juan Lasch, un liberale originariamente cattolico che è stato funzionario dei governi degli anni novanta[i], offre un analisi molto diverso della situazione internazionale attuale, ma sempre con uno sguardo critico rivolto alla politica locale. L’autore si domanda perché, nell’attuale congiuntura internazionale, va meglio ai paesi emergenti che agli sviluppati e risponde che la ragione è soltanto che i primi applicano “politiche che non possono essere catalogate né come ortodosse né come eterodosse, bensì come politiche di senso comune”, politiche analoghe, paradossalmente, a quelle che “sono state attuate nei paesi europei nei due o tre decenni successivi alla Seconda Guerra e che gli avevano consentito di crescere in modo più veloce e sostenuto rispetto agli emergenti”. Se gli ortodossi non hanno avvertito la crisi europea e dei paesi del Nord, prigionieri del loro presupposto “che il mercato e i suoi agenti economici razionali mai sbagliano” e “che i problemi si aggiustano da soli se i governi non interferiscono troppo”, l’errore degli eterodossi, specialmente i più keynesiani, è considerare “politicamente scorretto avvertire pubblicamente nei periodi di auge che è necessario mettere in pratica politiche fiscali meno espansive o perfino restrittive”. C’è un’ammonizione per i paesi europei arruolati nell’ortodossia “che oggi avrebbero bisogno come dell’acqua di politiche fiscali espansive ma non possono farlo per il peso del loro debito – malgrado Krugman o Stiglitz –, il che non implica giustificare gli erronei aggiustamenti strutturali che oggi si cercano d’applicare”. C’è anche un insegnamento per un paese eterodosso come l’Argentina: “Queste lezioni sono lontane di esser state imparate nell’Argentina degli ultimi anni, dove continuano ad applicarsi politiche espansive quando si sta crescendo all’8%”. (“Las razones de la crisis global”, L.N., 4/1/2012).

Non abbiamo trovato invece in Clarin un utilizzo similare del tema europeo per intervenire criticamente nella politica locale, nonostante il quotidiano e il gruppo economico multimedia del quale fa parte sono il principale “partito dell’opposizione” in Argentina. Questo ruolo obbedisce più alla difesa di interessi privati e corporativi che a posizioni politiche o ideologiche, visto che il quotidiano ha dimostrato, nella sua lunga storia, di saper allinearsi ogni volta al potere di turno; infatti, il nuovo giro ha avuto origine nel momento che il Governo ha promosso leggi e altre azioni anti-monopolistiche nell’area dell’informazione e delle telecomunicazioni.

D’altra parte dobbiamo ricordare la scelta di formato della pubblicazione: una profusione di articoli di cronaca, informazione locale, servizi (ricerca lavoro, compra-vendita immobili, ecc), sport e intrattenimento mentre sono abbastanza rari gli articoli di fondo e di opinione. Aldilà di tutto, riteniamo che sarebbe molto difficile e sconveniente per “il quotidiano argentino di maggiore diffusione” – come recita il suo slogan – promuovere idee e opinioni a favore delle politiche di tagli e aggiustamento strutturale, che questa volta toccano all’Europa, davanti al suo ampio pubblico di diversi ceti sociali.

I pochi articoli firmati da analisti locali sull’argomento si limitano generalmente ad informare senza assumere posizione. L’unico articolo trovato che si discosta relativamente da quest’orientamento appartiene ad un altro ex funzionario di Menem, l’analista politico Julio Castro, che sostiene le ragioni della politica applicata dal governo Monti in Italia. Il contributo segnala che “il superamento della crisi europea non è a Bruxelles ma a Roma” e afferma che l’origine del problema è la tendenza negativa della produttività italiana determinata dall’incremento del costo del lavoro e della spesa pubblica,per arrivare alla conclusione che “lo Stato italiano è il maggior ostacolo per la crescita del paese” e che il problema italiano, non è tanto finanziario né di debito pubblico ma “deriva della sua incapacità di crescere nelle nuovi condizioni globali di accumulazione” (“La crisis europea se resuelve en el rumbo político de Italia”, Cl., 11/12/2011).

La situazione europea offre molti spunti ad una pubblicazione come Pagina 12, che ha scelto come formato i lunghi articoli e le interviste, privilegiando l’analisi e l’opinione rispetto alla cronaca degli avvenimenti. Oltre allo staff di giornalisti specializzati nelle diverse aree, un’altra caratteristica del quotidiano è la pubblicazione di articoli di esperti, generalmente dell’ambito accademico.

I collaboratori abituali esprimono posizioni nette e concordanti sull’inadeguatezza degli interventi propiziati in Europa. “Chi salva a chi?” si domanda Santiago O’Donnell, prendendo nota di come uno dietro l’altro i diversi governi europei – Berlusconi, Papandreu, Socrates, Zapatero – sono “sostituiti da manager della destra che promettono durezza ed efficienza per drenare le ultime risorse delle loro economie, risorse che migrano alle banche francesi e tedesche che loro stessi avevano contribuito a salvare non più di un paio d’anni fa tramite i piani di salvataggio finanziari dell’Unione Europea”. (“Salvados”, P.12, 13/1/2011).

Il giornale progressista e vicino al Governo, è particolarmente interessato ad accostare e confrontare i fatti europei con l’esperienza della crisi in Argentina, cercando di fare emergere nelle analisi le similitudini e di valutare la possibilità di trasferire alcune strategie adoperate localmente con successo. “Uguale che con Menem” s’intitola l’intervista ad un giornalista greco che è stato corrispondente in Argentina all’epoca della crisi del 2001 (“Igual que con Menem”, P12, 12/11/2011). Anche l’economista Marshall Auerback del Levy Economics Institute degli Stati Uniti, è interpellato dal giornale sullo stesso argomento; l’intervistato, anche se mette in rilievo differenze fondamentali tra le due situazioni, afferma quello che è il valore esemplare dell’esperienza argentina: “credo che l’Argentina ha dimostrato che le minacce della comunità finanziaria internazionale sul fatto che mai più avrebbero recuperato la fiducia dei mercati non avevano senso. Il Governo ha fatto un’offerta ai mercati del tipo “prendere o lasciare e ha sfidato il FMI. Questa è una lezione che tutti i paesi dovrebbero assumere” (“La solución es una ruptura ordenada de la Unión”, P12, 31/12/2011).

I fatti dell’Ungheria e la polemica riguardo al ruolo delle banche centrali sono l’argomento di un contributo firmato da Umberto Mazzei che se da una parte tocca un tema sensibile al dibattito politico locale, dall’altra si colloca agli antipodi dalle posizioni condivise nell’Unione Europea. L’autore – dottore di ricerca dell’Università di Firenze e direttore dell’Istituto di Rapporti Economici Internazionali in Ginevra (www.vantanaglobal.info) – prende le difese delle autorità ungheresi e della riforma costituzionale approvata dal Parlamento, che sancisce “una maggiore supervisione del governo sulla Banca Centrale, sfidando il criterio di ‘indipendenza’ imposto dal neoliberalismo”. Nell’articolo le diverse esternazioni dei paesi europei e della stessa UE sui rischi di una deriva autoritaria in questo paese, sono definiti come “pura ipocrisia” perché “ciò che disturba è che l’Ungheria controlli la sua Banca Centrale”. “E’ stata commovente – ironizza – l’unanimità dei parlamentari della sinistra europea per difendere l’indipendenza delle banche centrali, per dare libertà ai ‘tecnocrati’ imposti dal settore finanziario privato. Nel suo discorso, Daniel Cohn Bendit è arrivato ad ammonire contro deviazioni autoritarie alla Chavez”. Il dibattito sul ruolo della Banca Centrale, si diceva, ha forti risonanze interne e l’analista ricorda gli avvenimenti di due anni fa che hanno destato un ampio conflitto politico, quando la Presidente ha deciso di utilizzare riserve dell’erario per cancellare direttamente il debito dello Stato con i creditori (la cosiddetta politica di “disindebitamento” ), senza percorrere le strade proposte dagli organismi multilaterali di credito. (“Hungría en la mira”, di U. Mazzei, P12, 12/02/2012).

Nei diversi dossier e supplementi speciali dedicati al tema della crisi europea sono pubblicati analisi di accademici e gruppi di ricerca specializzati che convergono nella necessità di politiche di espansione della domanda, dell’occupazione e del consumo per porre un freno alla recessione. Due ricercatori del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Conicet) e degli atenei di Buenos Aires (UBA) e San Martin (Unsam), giudicano “l’approfondimento delle misure di aggiustamento strutturale e delle politiche neoliberali” annunciate dall’UE come “la sentenza di morte per le economie più deboli della regione”. Le politiche applicate, a beneficio della grande banca europea e della Germania, sono funzionali al “modello neomercantilista che ha permesso al ‘nucleo’ europeo di continuare a collocare i suoi eccedenti”, perciò “regolare le finanze o salvare le banche non sarà la soluzione al problema”. E concludono: “l’obiettivo della politica economica dovrebbe essere salvare la gente, per così poter salvare l’economia”. (“Una muerte anunciada”, da Andrés Lazzarini e Margarita Olivera, P. 12., 23/1/2012).

Altri analisti allertano sul rischio che rappresenta per la democrazia europea l’applicazione delle politiche neoliberali. Uno studioso della Facoltà Latinoamericana di Scienze Sociali (Flacso), Enrique Arceo, descrive la crisi internazionale come il risultato dell’espansione finanziaria negli Stati Uniti e del “progetto tedesco” che è suo correlato. Questo ultimo consiste nel fare dell’Europa una grande “piattaforma per l’esportazione” e pone come requisito l’indebolimento dei sistemi di welfare e il consolidamento dell’euro come “disciplinante sociale”. “Credo che questo progetto si riveli progressivamente incompatibile con la democrazia”, afferma l’autore. “Perciò la conservazione dell’euro rappresenta il successo dell’aggiustamento strutturale tedesco. Se ci riescono – continua – ci sarà tra dieci anni un’Europa molto più diseguale, orientata verso l’esportazione e più slegata dagli Stati Uniti, con i quali entrerà in concorrenza” (“La construcción europea es neoliberal”, P12, 31/12/2011).

Alla fine di questa rassegna dei quotidiani locali ci rimane una sensazione, quasi una convinzione, che qualcosa stia morendo in Argentina. Sta scomparendo il mito d’Europa nelle sue diverse sfaccettature. Il mito dell’Europa delle istituzioni e dei grandi statisti che le classi di intellettuali e operatori dell’informazione hanno sempre messo a confronto con la pochezza dei politici e delle figure locali. L’Europa dello sviluppo con coesione sociale che è stato il modello seguito dalla generazione progressista fin dagli inizi della stagione democratica, dopo la dittatura. L’Europa dove il più forte movimento operaio e i grandi partiti della sinistra erano riusciti a creare società più giuste che altrove con le loro battaglie e le loro conquiste.

L’Europa dei nostri avi, infine, quella terra delle origini alla quale un giorno dovevamo tornare. Che ci ha fatto eternamente nostalgici, e che ci ha fatto sempre considerare diversi dal resto dei latinoamericani. La Storia ora ha fatto un gran salto e forse noi argentini (italo e non) siamo, finalmente, riapprodati qui.

[i] Juan J. Lasch è stato Segretario di Programmazione Economica nel governo di Carlos S. Menem e Ministro di Educazione nel governo di Fernando de la Rua. In questo ultimo ruolo promuoveva le esperienze di scuole-charter e dei voucher educativi, apprezzate dalle gerarchie cattoliche e dai sostenitori della privatizzazione dell’educazione.[/i]

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TESTO ORIGINALE SU:
[url]http://cambiailmondo.org/2012/02/22/la-crisi-europea-e-italiana-nei-quotidiani-argentini-la-fine-del-mito-europeo/#more-1444[/url]

Sulla crisi e il default argentino di 10 anni fa, vedi il documentario di Roberto Torelli

[b]ARGENTINA ARDE:[/b]

[url]http://www.emigrazione-notizie.org/argentina_arde.asp[/url]

La crisi europea e italiana vista dall’Argentina: fine del mito europeo

 

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