9513 Egitto senza governo, i militari restano al potere

20111122 22:20:00 redazione-IT

[b]di Elisa Ferrero[/b]

Siamo tornati alle milioniye non stop e ai comunicati ufficiali in Tv. Oggi è stato il "giorno del salvataggio della nazione". In tutto l’Egitto, ma soprattutto a piazza Tahrir, centinaia di migliaia di persone si sono riunite per manifestare contro il Consiglio Militare. E’ stata davvero una milioniya, proprio nel bel mezzo della settimana lavorativa. I Fratelli Musulmani, dopo un certo tentennamento, hanno annunciato che non avrebbero partecipato né a questa manifestazione né a quelle future. E pensare che qualche giorno fa erano loro a minacciare una seconda rivoluzione… Quella di oggi è stata una milioniya senza partiti, senza palchi politici, senza movimenti religiosi.

C’erano solo persone che dicevano di essere lì come egiziani e basta. Tra loro Fratelli e Sorelle Musulmani, salfiti, cristiani, liberali, gente di ogni età… La tipica popolazione di Tahrir, insomma. A un certo punto, si sono uniti ai manifestanti anche alcuni soldati.

Accanto a piazza Tahrir, in via Muhammad Mahmoud, è invece continuato l’inferno. I tentativi di raggiungere una tregua sono tutti falliti miseramente e gli scontri, durissimi, sono proseguiti, aumentando il numero di feriti e di morti. Le Forze di Sicurezza Centrali non hanno ancora esaurito quel terribile gas che causa effetti collaterali pesantissimi, e chissà cos’altro a distanza di tempo. L’analisi di un’organizzazione internazionale indipendente pare aver confermato che, in effetti, si tratta di gas CR e non CS, appartenente alla famiglia dei gas nervini, per di più scaduto da anni. Sembra inoltre che l’antidoto per il gas CS che molti manifestanti hanno usato, memori delle battaglie di gennaio, acuisca gli effetti del gas CR, facendolo diventare acido. Doppia perversione. Domani, per tentare di fermare il massacro quotidiano, è stata organizzata una marcia delle donne sul Ministero degli Interni, centro degli scontri. Le donne, che si definiscono "madri egiziane", cercheranno di fare da scudi umani tra i giovani e le FSC, sperando che queste non sparino anche a loro.

E parallelamente alla grande manifestazione e alla guerriglia urbana (sanguinosissima anche ad Alessandria e in altre città, dalle quali arrivano meno notizie), è andata avanti per tutto il giorno la trattativa politica. Il Consiglio Militare ha convocato le forze politiche per consultazione, ma l’invito non è stato accolto da tutti. Mohammed el-Baradei, per esempio, ha rifiutato. Prima si chiede la fine delle violenze, inoltre qualsiasi accordo deve rispettare le richieste della piazza. Alla fine delle trattative, il feldmaresciallo Tantawi ha letto un comunicato in Tv, nel quale ha annunciato due decisioni: l’accettazione delle dimissioni del governo Sharaf e la promessa di tenere le elezioni presidenziali entro il 1° luglio 2012. Per il resto, è stato un lungo elogio per l’operato del Consiglio, un lungo lamento per le condizioni in cui versa l’economia (che non riesce a ripartire a causa delle continue ingiustificate proteste) e una lunga accusa nei confronti di "mani straniere" (ci risiamo) che mettono zizzania tra gli egiziani, il tutto intercalato dal ritornello: "Noi non aspiriamo al potere". In effetti, ce l’hanno già… Quel che ha lasciato più perplessi è stata la dichiarazione che un passaggio di poteri ai civili sarebbe possibile fin da subito, con un referendum. Nessuno ha ben capito questo punto. Si attendevano, da parte del Consiglio Militare, almeno le scuse, o una presa di responsabilità, per i manifestanti morti nei giorni scorsi. Invece niente, neanche un accenno. Tantawi ha giurato che i militari non hanno sparato neanche una pallottola sui manifestanti. Non è del tutto sbagliato, perché sono state le FSC che dipendono dal Ministero degli Interni. Ma chi è che comanda in Egitto ora? Perché non hanno dato ordine alle FSC di fermarsi?

Chiaramente, questo discorso ha reso furiosi i manifestanti. Piazza Tahrir ha risposto con una parola sola: vattene! Già visto con Mubarak, lo ripetono tutti quanti. Qualcuno ha descritto il discorso del feldmaresciallo come: "Tantawi playing The Best of Hosni Mubarak". E c’è chi ha ricordato la definizione di stupidità di Albert Einstein: "Fare due volte le stesse identiche cose, aspettandosi due risultati diversi". I rivoltosi restano in piazza.

Al di là di parole e promesse, dunque, l’Egitto ora non ha più nemmeno un governo fantoccio, il potere è tutto (come prima, in realtà) nelle mani dei militari. Il discorso di Tantawi non ha menzionato il nome di nessun altro primo ministro, limitandosi a dire che il Consiglio Militare reggerà le funzioni del governo finché non ne sarà formato uno nuovo. Amr Moussa, che era presente all’incontro con il Consiglio Militare, ha affermato che questa è stata una decisione presa all’unanimità dalle forze politiche presenti, che purtroppo però non rappresentano piazza Tahrir.

Nel frattempo, tuttavia, il Consiglio Militare ha fatto una piccola importante concessione: ha trasferito l’indagine sul massacro del Maspero alla magistratura civile. Questo forse vuol anche dire che il blogger Alaa Abdel Fattah, indagato per incitamento alla violenza durante i fatti del Maspero, non sarà più sottoposto a un processo militare.

Un contentino non basta, però. D’altro canto, in piazza Tahrir è già scoppiata una discussione. La piazza non rappresenta tutto l’Egitto e, al di fuori della "bolla di Tahrir", molti hanno certamente apprezzato le parole di Tantawi. Tahrir, dunque, deve proporre un piano alternativo concreto per la transizione, se vuole l’appoggio del resto degli egiziani ed essere credibile. Di certo non finisce qui, comunque.

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[b]EGITTO: al cuore della questione[/b]
(21/11/2011)

la notizia è appena arrivata, il governo Sharaf si è dimesso in blocco, ma non si è ancora sicuri se il Consiglio Militare abbia rifiutato o meno le dimissioni (per ora si propende per la prima ipotesi). L’euforia – a dire il vero contenuta, perché il governo Sharaf è considerato un fantoccio dei militari – è durata poco. Nemmeno l’altra notizia di oggi, riguardante la proposta di un disegno di legge per bandire dalla politica – finalmente! – gli ex del Partito Nazional Democratico, ha suscitato grandi entusiasmi. Ovviamente, ha un po’ sollevato il morale dei manifestanti, alla fine di una lunghissima terza giornata di scontri, pressoché ininterrotti da sabato mattina. Tuttavia, i giovani di Tahrir sono andati oltre, ormai, decisi più che mai a bandire dalla politica l’intero Consiglio Militare. Il sangue versato in questi giorni da parte delle forze di sicurezza non permette di tornare indietro facilmente.

Per tutta la giornata, infatti, sono continuate dure battaglie nei pressi di piazza Tahrir, soprattutto in via Muhammad Mahmoud, dove si trova il vecchio campus dell’Università Americana. La piazza, invece, è rimasta relativamente tranquilla, se si fa eccezione per i fumi dei lacrimogeni che sono penetrati ovunque. Lacrimogeni pericolosissimi secondo gli esperti, paragonati a vere e proprie armi chimiche. Ma dall’esperienza si impara e ora circolano istruzioni su come combatterne gli effetti (i vecchi antidoti sembrano non funzionare più con questo tipo di gas). Morti e feriti hanno continuato ad arrivare a ritmo costante negli ospedali da campo, spesso in ginocchio per mancanza di medicine, bende, attrezzi chirurgici, sangue, ecc. Si parla, in questo momento, di più di trenta morti e migliaia di feriti, tuttavia temo che siano stime piuttosto basse.

Eppure, nonostante l’enorme e concreto pericolo di perdere la vita, il numero di manifestanti ha continuato a crescere durante la giornata, sia al Cairo sia in tutte le altre province egiziane. In piazza, come a gennaio, c’è veramente ogni tipo di persona. In prima linea si distinguono i ragazzi di strada, giovanissimi, e tanti poveri. Poi ci sono blogger e attivisti, il motore originario della rivolta, affiancati da diversi salafiti che hanno disobbedito all’invito dei propri leader di tenersi lontano dalle piazze. Ci sono i Fratelli Musulmani, naturalmente, specie i giovani. E ci sono anche i cristiani ovviamente. Un esempio per tutti è stata la sorella di Mina Daniel, il militante copto ucciso durante il massacro al Maspero del 9 ottobre. In piazza Tahrir, o poco lontano, si è risentito lo slogan: "Cristiani, musulmani, una sola mano". In effetti sembra di assistere a una rinnovata fase di solidarietà inter-religiosa contro i militari. Il blogger The Big Pharaoh, oggi, ha riportato il commento di un altro utente di Twitter che ha udito un barbuto salafita (di quelli che fanno paura!) mentre diceva a qualcuno, al telefono: "Ci sono tante ragazze senza velo, ya sheykh! Ma sono coraggiose e ci aiutano durante gli attacchi con il gas". E a rendere l’atmosfera surreale sono arrivati gli ultras, che rispondono ai lacrimogeni della polizia con i fuochi d’artificio, come se fosse una festa.

Nella piazza, ad affrontare botte, pallottole di gomma e lacrimogeni (sono persino tornati i cecchini, ahimé) c’era anche anche Ahmed Harara, il ragazzo che ha perso entrambi gli occhi nelle proteste, il primo a gennaio e il secondo ieri l’altro. Appena uscito dall’ospedale è andato a Tahrir, incurante della morte come i tanti ragazzi che scrivono sul proprio corpo i numeri di telefono dei propri familiari, caso mai fossero uccisi e ci fosse bisogno del riconoscimento. Difficile spuntarla contro questa determinazione e questo disperato bisogno di libertà. E per finire, in piazza c’era anche Leila Soueif, la madre del blogger Alaa Abdel Fattah, ora detenuto in prigione per aver rifiutato di rispondere alla Procura Militare, della quale ha contestato l’autorità. La donna, in sciopero della fame, ha guidato una marcia di 5.000 persone in piazza Tahrir. Ma oggi ci sono state tante altre marce, ad esempio quella dei medici, che hanno portato rinforzi e medicinali agli ospedali da campo, oppure quella degli studenti. Piano piano, le poche centinaia di manifestanti rimasti accampati in piazza Tahrir dopo la milioniya di venerdì scorso ne stanno trascinando altre migliaia a protestare.

Come ha risposto l’esercito? Negando di aver mai dato ordini ai soldati di sgomberare piazza Tahrir con la forza. Secondo il portavoce militare, infatti, i soldati avrebbero agito di loro spontanea iniziativa. Come se nell’esercito esistesse la spontanea iniziativa… L’esercito ha quindi aggiunto di essere pronto a difendere i manifestanti, se questi lo chiedessero. Infine, il tam tam sul rifiuto o l’accettazione delle dimissioni del governo, ha confermato quanto questo sia incapace, da solo, persino di abbandonare le proprie funzioni. Nel frattempo, il silenzio degli USA si è fatto sentire per tre giorni, finché oggi è stato interrotto da una dichiarazione della Casa Bianca che ha lasciato del tutto indifferenti, generica e prudente, molto simile a quelle dell’inizio della rivolta di gennaio.

Analogamente, le forze politiche sono state criticate per la loro lentezza e debolezza nel rispondere alle violenze di Tahrir. Gradualmente, tuttavia, si è registrato uno spostamento delle loro posizioni. In particolare, Mohammed el-Baltaghy, esponente del partito Libertà e Giustizia, ha fatto sapere nel pomeriggio che sarebbe sceso in piazza anche lui, assieme ai Fratelli Musulmani (per lo meno quelli che aspettavano una direttiva della leadership), scusandosi inoltre per il ritardo. In effetti ha provato a entrare in piazza Tahrir, ma ne è stato cacciato, tra le proteste di qualche manifestante che avrebbe preferito raccogliere quanta più gente possibile, anche gli ipocriti.

Nonostante ciò, ce n’è tanta di gente in piazza Tahrir, e si sta riempiendo ancora. Domani, infatti, è stata indetta una manifestazione del milione, come ai tempi di gennaio. Sarà un test importante. Il Movimento 6 Aprile, appoggiato da tanti altri, ha dichiarato che non lascerà la piazza finché il Consiglio Militare non lascerà il potere. Déjà vu, come dicevo ieri. Le dimissioni del governo comunque non soddisfano più. La mossa della sostituzione del governo era già stata tentata da Mubarak a gennaio ed è un copione ormai classico delle rivolte arabe. Lo slogan preferito dai manifestanti ora è: "Polizia, esercito , una sporca mano". Siamo giunti, dopo mesi di attesa, al cuore della questione. Qualunque cosa succederà domani (o stanotte, momento pericoloso), per ora l’umore è tornato alto nelle piazze egiziane. Persino il senso dell’umorismo, sparito per giorni in mezzo alle innumerevoli richieste di soccorso e ai giovani che cadevano come mosche, riemerge poco a poco. Già gira voce che Omar Suleyman annuncerà presto il passaggio di poteri del Consiglio Militare a… Mubarak.

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[b]EGITTO: una nuova fiammata rivoluzionaria[/b]
(22/11/2011)

E’ stata un’altra lunga giornata di scontri e battaglie al Cairo, ancora molto lontana, per ora, dalla normalità. Nel momento in cui scrivo, infatti, piazza Tahrir è di nuovo occupata, il numero di persone lì radunate continua a crescere e nelle zone vicine sono ancora in corso degli scontri con la polizia. Adesso non si sa dove porterà, nelle prossime ore o nei prossimi giorni, questa nuova fiammata rivoluzionaria che pur era nell’aria.

Ieri sera, dopo la grande manifestazione contro il potere militare, alcuni dimostranti hanno dato vita a un sit-in. Pochissime persone, per la verità. Non più di 500. Nella mattinata di oggi, tuttavia, piazza Tahrir è stata sgomberata con la forza, come è già successo tante volte in passato, con la solita brutalità. Quel che ha colpito e indignato, però, è stato veder picchiare i feriti della rivoluzione, feriti così due volte. Questo è stato troppo per i manifestanti, che hanno cominciato a difendersi con le pietre, chiamando a raccolta altra gente. In un primo momento i dimostranti hanno avuto la meglio, riuscendo a mettere in fuga le Forze della Sicurezza Centrale, quelle stesse che erano state sonoramente sconfitte il 28 gennaio. Ironia della sorte, oggi era il primo giorno, dai tempi della rivolta di gennaio, che dirigevano in prima persona uno sgombero. Dopo la caduta di Mubarak, l’iniziativa era sempre stata lasciata nelle mani dell’esercito o della polizia militare, mentre le FSC si erano limitate a coadiuvare le operazioni.

Tuttavia, la sconfitta delle FSC è stata temporanea. Hanno aspettato i rinforzi – incluso un buon numero di baltagheya – è hanno attaccato di nuovo, facendo un uso massiccio di gas lacrimogeni (made in USA, ancora peggiori di quelli usati a luglio, a loro volta peggiori di quelli di gennaio) e proiettili di gomma (questa volta made in Italy, è bene dirlo). Secondo uno schema visto già numerose volte, quando lo scontro si è gravemente inasprito, il numero di manifestanti ha iniziato a crescere. Altre persone, infuriate per la violenza delle odiate FSC, sono accorse in aiuto dei dimostranti già in lotta e lo scontro si è fatto sanguinoso. Le FSC hanno cominciato ha lanciare lacrimogeni e pallottole di gomma dritto in faccia ai manifestanti, causando molti feriti (per ora si parla di più di trecento, ma è probabile che saranno di più, tenendo conto di coloro che non si sono recati in ospedale per paura di essere arrestati). Un fotografo di al-Masry al-Youm e un blogger attivista sono stati feriti a un occhio. Il blogger l’ha purtroppo perso del tutto.

In sostanza, si è ripetuto lo scenario del 28 gennaio, il "giorno della collera", soltanto con un numero inferiore di dimostranti. Per ora, almeno. Si è rivista persino la scena di una preghiera, sul ponte di Qasr al-Nil, con i fedeli musulmani protetti dai copti, tutti quanti in mezzo ai gas lacrimogeni. Nel frattempo, la TV di Stato ha fatto come sempre il suo sporco lavoro, diffamando i manifestanti ancora una volta: "Tutti baltagheya, gente che ha un piano per far saltare le elezioni, di certo non i veri rivoluzionari di gennaio!" Invece, erano proprio gli stessi di gennaio. La cosa più interessante è che i giornalisti della TV di Stato, per giustificare ogni repressione delle proteste, hanno preso ad esempio i democratici paesi occidentali e i movimenti che recentemente li hanno scossi (Occupy Wall Street, i verdi in Germania, ecc.).

A questo punto, comunque, hanno cominciato a giungere le prime dichiarazioni di solidarietà con la piazza e i primi inviti a unirsi ai manifestanti, persino da parte degli islamisti, salafiti e Fratelli Musulmani, che non avevano aderito al sit-in di ieri sera. E’ questa forse la più grande novità: gli islamisti tornano in piazza assieme agli altri, e allora se ne vedranno delle belle, forse.

Gli scontri sono durati per ore, fino a sera, finché le FSC si sono improvvisamente ritirate e i manifestanti hanno riconquistato piazza Tahrir. A quel punto, le persone presenti erano diventate 10.000. I numeri, adesso, stanno ancora crescendo. Anzi, nelle altre città egiziane (Alessandria, Sohag, Asiut, Mansoura, Suez…) sono esplose altrettante proteste in segno di solidarietà con i manifestanti di Tahrir. A Suez, in particolare, la rabbia è scoppiata con forza: tutti i poster elettorali sono stati strappati. La rivolta sembra di nuovo dilagare in Egitto, proprio a ridosso delle elezioni, che qualcuno ora dubita potranno tenersi davvero in questo clima.

Piazza Tahrir, dunque, è di nuovo unita contro il potere militare? Troppo presto per dirlo. Per ora ciò che è successo è stato piuttosto una reazione, non un piano ben preciso, ma del resto è stato un po’ così anche a gennaio. La protesta è andata gonfiandosi spontaneamente e saranno le prossime ore a determinare il corso degli eventi. Non c’è dubbio, però, che gli scontri di oggi rappresentino un crescendo non trascurabile. La solidarietà degli islamisti, inoltre, è un salto di qualità notevole. In questo momento, gira la notizia di una marcia salafita che sta convergendo su piazza Tahrir, per raggiungere i giovani attivisti che sono già là.

E su questo sfondo caotico, sono stati resi noti i risultati dell’indagine del Ministero della Giustizia sui finanziamenti stranieri alle ONG egiziane. Ebbene, i maggiori beneficiari degli aiuti stranieri sono i salafiti dell’associazione Ansar al-Sunna, che hanno ricevuto 50 milioni di dollari in un anno dal Qatar e dal Kuwait. La seconda maggiore beneficiaria è la fondazione caritatevole della moglie di Alaa Mubarak, uno dei figli dell’ex dittatore. Tale associazione è stata abbondantemente finanziata da Oman ed Emirati Arabi Uniti. Per quanto riguarda il Movimento 6 Aprile, primo obiettivo originario dell’indagine del Ministero, si è invece scoperto che non ha incassato nulla da paesi esteri. Ora il Movimento 6 Aprile ha chiesto al Consiglio Militare scuse ufficiali per averli accusati ripetutamente di essere al soldo di finanziatori stranieri.

Preoccupa, invece, la notizia data dal vice premier e Ministro delle Finanze, Hazem al-Biblawi, che l’Egitto possa riconsiderare l’idea di accettare un prestito dal Fondo Monetario Internazionale. Il debito locale, infatti, è aumentato ulteriormente. Ma adesso bisogna tornare a seguire la nuova ondata di proteste.

 

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