9375 Lavoro, miseria e morte.

20111020 18:39:00 redazione-IT

[b]di Tonino D’Orazio.[/b]
Non è sufficiente dire che “mai come ora il lavoro è aumentato nel mondo”.
I dati reali e macro che seguono sono quelli dell’OIL (L’Organizzazione Internazionale del Lavoro) in Global Employment Trends del 2008, che già molti gius-lavoristi hanno commentato. Basta riprenderli e aggiungere quelli del rapporto 2011 per rabbrividire.
La stima che ci viene data nel 2008 dice che vi sono 3 miliardi di persone che hanno un lavoro su una popolazione mondiale di circa 6,5 miliardi, ma di esse, la metà, cinque su dieci, cioè 1,5 miliardi fanno parte della cosiddetta economia informale. Genericamente questi sono lavoratori in proprio o partecipanti in aziende familiari, senza diritti e spesso senza retribuzione.

In questo ambito il numero di quelli che “lavorano” può essere stimato anche oltre la cifra proposta. Comunque, per il rapporto 2011 sono aumentati di 300 milioni nel 2009. L’Asia meridionale presenta il tasso di occupazioni vulnerabile (termine abbastanza più poetico di quello precario), o informale, più elevato del mondo, pari al 78,5 dell’occupazione totale nel 2009. Nell’Africa sub-sahariana, oltre i tre quarti dei lavoratori sono impiegati in occupazioni vulnerabili, mentre circa 4 su 5 vivono, insieme alle proprie famiglie, con meno di due dollari al giorno a persona.

Il numero di disoccupati nel mondo si è attestato nel 2010 a 205 milioni, cifra sostanzialmente invariata rispetto al 2009, ma superiore di 27,6 milioni rispetto al dato del 2007, alla vigilia della crisi economica mondiale. L’OIL prevede per il 2011 un tasso di disoccupazione mondiale del 6,1 per cento, pari a 203,3 milioni di disoccupati. Il rapporto mostra che il 55 per cento dell’aumento della disoccupazione mondiale verificatosi fra il 2007 e il 2010, è dovuto alle economie sviluppate e all’Unione Europea (UE), sebbene questa regione rappresenti soltanto il 15 per cento della forza lavoro mondiale. In Nord Africa, nel 2010 un allarmante 23,6 per cento di giovani economicamente attivi era disoccupato. A livello mondiale, nel 2010 erano disoccupati 78 milioni di giovani, dato superiore rispetto ai 73,5 milioni del 2007, ma al di sotto degli 80 milioni raggiunti nel 2009. Nel 2010 il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) si è attestato al 12,6 per cento, 2,6 volte maggiore rispetto al tasso di disoccupazione degli adulti.

Inoltre, l’OIL avverte che, in base alle tendenze precedenti alla crisi, in 56 paesi per cui sono disponibili i dati vi sono sul mercato del lavoro 1,7 milioni di giovani in meno di quelli previsti. Dopo la crisi, solo per l’Italia si parla di 1,5 milioni. Questi lavoratori scoraggiati non sono calcolati come disoccupati in quanto non sono attivamente alla ricerca di un lavoro. Ciò mina la famiglia, la coesione sociale, la credibilità delle politiche realizzate, il loro futuro e quello del paese.
Nelle economie sviluppate e nell’Unione Europea, l’occupazione industriale è precipitata con la perdita di 9,5 milioni di lavoratori fra il 2007 e il 2009.

Qualità della vita, ovvero eufemismo.

Oltre 1 miliardo di persone non ha casa e vive negli Slums, baracche di lamiera o cartone, nelle periferie, magari vicino alle discariche o in degradati e spesso abbandonati edifici dei centri storici dei paesi più “civili”. Erano quasi il 2% della popolazione di ogni stato nel 1970, oggi sono il 20%.

Ovviamente niente servizi primordiali, acqua, fogne, elettricità. Se il parametro abitativo fosse quello occidentale allora sarebbero più di 4 miliardi di persone in questa situazione. Il drenaggio dalle campagne verso le grandi metropoli, creandovi enormi problemi anche in occidente, ha spopolato l’area agricoltura.

Si stimava, prima dell’ultima crisi finanziaria e speculativa, a 1 miliardo le persone che soffrivano la fame, e il loro numero è aumentato di 100 milioni tra il 2007 e il 2008 e altri 100 milioni tra il 2008 e il 2010.

Dopo aver tralasciato la bolla e il disastro dei subprimes immobiliari, la speculazione mondiale, sostenuta da programmi coercitivi del Fondo Monetario Internazionale, si è riportata sugli alimenti e sull’acqua, elementi vitali sotto scacco, non solo per i lavoratori. A causa della speculazione gli alimenti di base, tra il 2007 e il 2008, sono aumentati vertiginosamente: il mais (+72%), il grano (+68%), la soia (+80%) e il riso (+80%), riportando quelli che vivono con meno di 1 euro al giorno da 1 miliardo di persone a 1,4 miliardi, e a 1.6 miliardi nel 2010. Aumenta dunque il numero complessivi degli affamati e 25.000 bambini muoiono ogni giorno per fame o malattie (spesso per noi banali).

Dei 3 miliardi che lavorano, 1,3 miliardi non riesce a guadagnare 1,5 dollari al giorno per poter rimanere, con la famiglia, sulla linea, dichiarata standard, della povertà. Ovviamente la misura è riferita al potere d’acquisto di varie zone povere del mondo. Comprese le aree occidentali dove, in scala, si guadagna meno di 20 euro al giorno, equivalente a estrema povertà poiché al disotto delle linee di povertà dichiarate dai vari Istituti di Statistica nazionali. Milioni di pensionati, disoccupati, precari, ricercatori …

Il rapporto del 2011 aggiunge che nel 2009 circa 630 milioni di lavoratori (il 20,7 per cento della manodopera mondiale) vivevano insieme alle loro famiglie al di sotto della soglia di povertà estrema di 1,25 dollari al giorno. Cifra che corrisponde a 40 milioni di lavoratori poveri in più, pari a 1,6 punti percentuali in più rispetto a quanto previsto dalle tendenze osservate prima della crisi.

E’ un grave errore nelle economie sviluppate concentrarsi esclusivamente sulla riduzione dei deficit pubblici senza affrontare la questione della creazione di posti di lavoro perché indebolirà ulteriormente la possibilità di trovare un’occupazione nel 2011 per i disoccupati, per gli scoraggiati, i giovani e per coloro che entrano per la prima volta nel mercato del lavoro.

Le pensioni, in Europa, ma in modo particolare in Italia sono da fame. Sono state sganciate dall’aumento reale del costo della vita e dagli aumenti che i loro colleghi attivi continuano a percepire, aumentando, di anno in anno, il divario tra chi lavora e chi ha lavorato. Esse sono tra l’altro erose dal costo della vita, anche perché gli aumenti in base all’inflazione programmata sono un furto reale.

Anche il non lavoro porta con sé miseria. Crescere al Sud, in Italia, può essere una corsa a ostacoli che inizia prestissimo. Sono 410 mila i bambini del nostro Mezzogiorno che vivono in condizioni di povertà assoluta. Piccoli cui manca tutto, persino la possibilità di lavarsi ogni giorno o di possedere un giocattolo. Il numero aumenta se si considerano i minori in stato di povertà relativa: 1,88 milioni in totale, di cui ben 354 mila concentrati in Campania.

La morte.

L’OIL calcola che ogni anno muoiono, per cause correlate al lavoro, circa 2,2 milioni di persone. Di queste, oltre 350.000 muoiono ogni anno per incidenti sul lavoro. Gli incidenti invalidanti ammontano a 270 milioni di persone all’anno. 160 milioni di persone si ammalano ogni anno per malattie professionali o per esposizione a sostanze nocive di vario tipo. Si stima che per esempio, in Europa, nei prossimi 20 anni, i decessi provocati dall’amianto (vietato ufficialmente solo nel 1998) raggiungeranno la cifra di circa 500.000 persone, se non di più.

Non è passata inosservata la relazione annuale dell’INAIL per il 2010, quasi trionfale, sulla diminuzione delle morti sul lavoro in Italia. Solo tre al giorno e 80 morti di meno che nel 2009. Hanno dimenticato di dire che, nel 2010, i lavoratori si sono “assentati” dal posto di lavoro per più di 1 miliardo di ore di cassa integrazione, e che quelli più colpiti sono i giovani e i “fruitori” di contratti precari. Ogni anno bisogna contare circa 4.000 invalidi, di quelli ormai inabili. Molti lavoratori che escono al mattino non sanno se ritorneranno a casa. Nel mondo intero.

 

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