9295 La Tunisia è alle prese con la prima campagna elettorale da Paese libero

20110929 00:31:00 redazione-IT

[b]Sono in arrivo le prime elezioni libere in un paese arabo dopo l’ondata democratico-rivoluzionaria che, a partire dall’inverno scorso, ha decapitato i regimi nordafricani. Succede in Tunisia, dove si vota il 23 ottobre.
[u]LE DONNE DEL POLO DEMOCRATICO MODERNISTA: SARA BENGUIZA CANDIDATA NELLA CIRCOSCRIZIONE ESTERO ITALIANA[/u][/b]

Il paese è in pieno fermento pre-elettorale, anche se le strade non sono tappezzate di manifesti elettorali perché dal 12 settembre sono vietati in nome della “par condicio”. La visita del premier turco Erdogan a Tunisi ha dato ulteriore solennità all’appuntamento elettorale, ed è suonata a mo’ di spot in favore degli islamisti locali di Ennadha (La verità), che si richiamano esplicitamente all’esperienza di Giustizia e sviluppo, il partito del leader turco. “Dimostrerete come si conciliano Islam e democrazia”, ha detto Erdogan ai tunisini.

Per capire come le varie formazioni politiche si daranno battaglia, è importante capire come funzionano i meccanismi dell’Assemblea costituente. Dopo un lungo dibattito, la commissione istituita dal governo provvisorio all’inizio di primavera ha optato per un proporzionale “alla spagnola” che di fatto favorirà i partiti o le liste di coalizione più forti. I seggi infatti verranno attribuiti – in numero variante da 4 a 10 a seconda dei residenti – in ciascuna delle 27 circoscrizioni nazionali.

Per le 6 circoscrizioni estere – riservate ai tunisini residenti fuori dalla madrepatria – gli eletti possono essere ancora meno. E’ il caso dell’Italia, i tunisini residenti in Italia eleggeranno il 23 ottobre 3 deputati per l’Assemblea costituente. Per entrare in Parlamento, in pratica , bisogna almeno tendere ad avvicinarsi al 10 per cento dei voti in una circoscrizione popolosa che elegge 10 deputati.

Ma la grande e novità di queste elezioni è che per legge la metà dei candidati dovrà essere di sesso femminile. Questo non significa un Parlamento con metà donne perché nella maggioranza dei casi infatti le liste eleggeranno solo il capolista di circoscrizione che spesso è maschio (con la donna al secondo posto). [b]Fa eccezione la mini-coalizione elettorale del Polo democratico modernista che ha scelto metà capilista donne.[/b]

[b]Per i tunisini residenti in Italia, la capolista è SARA BENGUIZA, giovane giurista di 28 anni.
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[i]Liste Italie
Les candidats d’Al Qotb[/i]

[b][i]1- Sara Benguiza, Juriste[/b][/i]
2- Habib Mestiri, Cinéaste
3- Zeineb Belkhiria, Étudiante en Médecine

Si vota nei consolati di : GENOVA, MILANO, NAPOLI, PALERMO e ROMA

[img]http://www.emigrazione-notizie.org/public/upload/sara.jpg[/img]

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[b]GUARDA IL VIDEO:[/b]

[url]http://www.youtube.com/watch?v=ZRsUUuehd84&feature=player_embedded[/url]

oppure

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[b]IL SITO DEL POLO DEMOCRATICO MODERNISTA[/b]

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Altri servizi sulle elezioni in Tunisia:

[b]La Tunisia ha paura di votare
Meno del 20 per cento di tunisini iscritti alle liste elettorali[/b]

di Giuliana Sgrena

Un adesivo rosso con lo slogan «io mi sono iscritto» incollato su una maglietta, su una borsa, su un libro, sperando che i tunisini si incuriosiscano e chiedano informazioni. A volte succede. Nora si è girata tutto il suq ed è tornata soddisfatta: «Molti mi hanno promesso di andarsi a iscrivere…». L’iscrizione alle liste elettorali è diventato il vero incubo dei democratici, e non solo, di tutti coloro che vogliono che questo difficile processo democratico vada avanti. La scadenza è vicina, anche se il termine del 2 agosto è stato spostato al 14. Lo ha annunciato il presidente dell’Istanza superiore indipendente per le elezioni della costituente, Kamel Jendoubi. Su un totale di circa 7,9 milioni di tunisini con diritto al voto, fino a due giorni fa ne risultavano iscritti 1,8 cioè poco più del 20 per cento (la maggior parte tra i 30 e i 41 anni). «E questo – ha aggiunto Jendoubi – sarà l’ultimo rinvio». Cosa succederà se la maggioranza dei tunisini non si iscriverà?

Forse saranno utilizzate le vecchie liste elettorali, per ora bisogna concentrarsi sulla campagna per le iscrizioni: recuperato il materiale stampato dall’apposita istanza, che ha riempito le vie della capitale – così come i giornali – di pubblicità per le iscrizioni, bisogna fare il porta a porta, organizzare gazebo nei luoghi più frequentati, vincere l’indifferenza, la confusione, la sfiducia degli elettori di fronte al proliferare di partiti – sono già un centinaio. Non è facile. Il Fronte delle donne per l’uguaglianza ha optato per la spiaggia di Tunisi, la Marsa, anche se non è una giornata delle migliori: il vento solleva folate di sabbia e polvere.
[i]Per fortuna ci sono i gazebo, uno organizzato dalle donne e l’altro dal [b]Polo democratico modernista (Pdm)[/b], i presenti sono tutti militanti di Ettajdid, il movimento nato dall’ex partito comunista e di fatto l’anima del Pdm.[/i]

Nonostante la musica a tutto volume, il video con le immagini della manifestazione del 21 luglio «per la democrazia contro la violenza» non interessano a molti tunisini. Le più curiose sono le donne, sorprendentemente quasi tutte velate, forse le meno informate. Si siedono e ascoltano tutte le spiegazioni sull’utilità del voto, il significato della costituzione e la democrazia. Forse una conferma di un «sondaggio» raccontatoci da giornalista tunisino, che aveva parlato con donne velate al sud come al nord: solo il 20 per cento di loro si era detta convinta di votare Ennahda, il partito islamista più quotato.

Nei giorni scorsi, durante la manifestazione del polo democratico, avevo parlato con alcune giovani velate che assistevano perplesse al passaggio del corteo. «Non vi convince lo slogan contro la violenza?», avevo chiesto. «Anche noi siamo contro la violenza, non sono gli islamisti i violenti ma coloro che li accusano». Chi? «Tutti quelli che li accusano». Se il riferimento è alla polizia, non si può negare che spesso il comportamento non è migliorato. Ci sono ancora soprusi, come durante la recente manifestazione di Kasbah 3, anche se non paragonabili ai tempi di Ben Ali.

Torture e violazioni dei diritti dell’uomo nel dopo-dittatura sono ben documentati in un rapporto pubblicato il 21 luglio, «La Tunisia post-Ben Ali di fronte ai demoni del passato», realizzato dal Consiglio nazionale per le libertà in Tunisia, la Lega tunisina e quella internazionale dei diritti dell’uomo. Ma non si può neanche sostenere che tutte le violenze sono attribuibili alle forze dell’ordine, anzi. Attacchi alle caserme per rubare le armi, irruzioni nelle case per bloccare matrimoni, distruzione di luoghi di divertimento, minacce contro le donne sono una realtà. Pur non sostenendoli, i leader islamisti ne giustificano gli autori. Sulle elezioni gli islamisti mantengono un atteggiamento ambiguo: prima le volevano subito e si erano opposti allo spostamento al 23 ottobre, ora non si allarmano per le scarse iscrizioni. Si sono resi conto di non essere così forti? Pia illusione: le forze democratiche saranno anche più forti ma si presentano divise, a parte il Polo democratico modernista che l’altro giorno ha portato in piazza qualche migliaio di persone, mobilitazione insufficiente per avere una forte presenza nella costituente. E la sinistra trotzkista, che ha appena terminato il suo primo congresso – rinunciando per ora a cambiare il nome come aveva proposto il suo leader Hamma Hammami, perché la definizione comunista fa ancora paura in Tunisia – flirta con gli islamisti. Mentre i partiti della sinistra si scontrano con la mancanza di risorse, Ennahda non fa economie: grazie ai finanziamenti che riceve, soprattutto dai paesi del Golfo, continua la sua politica di aiuti alla popolazione.

Innanzitutto alle donne che accettano di restare a casa lasciando il lavoro, offerto ai maschi. E poi organizzando matrimoni collettivi, come domenica scorsa a La Manouba. Ennahda si è fatta carico di tutto per sette coppie: dalle spese per il parrucchiere al vestito della sposa, l’affitto della sala per la festa, i regali, le macchine addobbate per il trasporto alla moschea e la stanza d’albergo dove passare la prima notte. Dopo la sosta alla moschea, gli sposi sono stati portati in carrozza a fare il giro della città e poi allo stadio Saida Sassi, accolti da fuochi d’artificio, musiche, religiose e non.

A fare gli onori di casa, naturalmente, i rappresentanti del partito, esperti in marketing politico. Con il Ramadan, ora saranno le moschee a fare la differenza e così sono già arrivati gli imam formati dai wahabiti in Arabia Saudita. Gli appelli del ministro degli affari religiosi Laroussi Mizouri a rispettare la legge, lasciando fuori dalle moschee la politica, hanno scarso successo. Il mese del digiuno è anche quello in cui si legge di più e soprattutto si guarda di più la televisione, l’ideale per sponsorizzare i partiti. La legge sulla stampa in Tunisia non è stata ancora varata ma in questi giorni dovrebbe esserne promulgata una per le elezioni, ed è stata annunciata la costituzione di un osservatorio sui media nel periodo elettorale.

A realizzarlo, una coalizione di ong, tra le quali due di donne (che sono il 50 per cento nelle liste elettorali). Un compito arduo in una situazione come quella tunisina dove la formazione professionale è carente, la censura e l’autocensura sono introiettati dopo decenni di dittatura e, soprattutto, la presenza di ex responsabili della stampa di Ben Ali in punti chiave ostacola la libertà di informare. È una sfida importante, decisiva per arrivare a una consultazione il più libera possibile, sempre che i tunisini ne approfittino. L’indifferenza, la confusione e la sfiducia rischiano di far fallire sul nascere un’esperienza che aveva suscitato tante speranze in tutto il Mediterraneo.

(da Il Manifesto)

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[b]Il 23 ottobre i tunisini si recheranno per la prima volta a votare dopo la caduta di Ben Alì. 105 i partiti iscritti alla competizione elettorale, 1700 i candidati.[/b]

di Cosimo Caridi

La Tunisia si deve dotare di una nuova costituzione e vuole riformare il sistema presidenziale, creando un assetto simile a quello italiano: due camere parlamentari, un Presidente del Consiglio dei Ministri, con un forte potere esecutivo, e una figura super-partes, come il nostro Presidente della Repubblica. Secondo l’opinione pubblica questa è la soluzione politica con la quale più difficilmente si potrebbe riproporre una nuova dittatura.

Il turismo quest’estate è calato molto, la disoccupazione sfiora il 12 % e la crescita del Pil è ferma a un misero +0,4%, ancora per troppi la strada dell’emigrazione, anche clandestina, è l’unica possibilità. Il paese ha bisogno di una scossa per ripartire, alcuni analisti vedono nella Tunisia la perfetta base d’appoggio per la ricostruzione della Libia, in particolare per la –relativa- stabilità che è riuscita a ristabilire dopo la Rivoluzione dei Gelsomini. Ci sono stati nell’arco degli ultimi sei mesi due momenti in cui la tensione è cresciuta, a marzo e ad agosto, ma in entrambi i casi Beji Caied Elsebbsi, il presidente ad interim, già ministro di Bourghiba, ha saputo con astuzia e lungimiranza politica placare gli animi. Dopo la fuga di Ben Alì vennero indette, dal governo ad interim e con forti pressioni dalle piazze ancora piene, elezioni costituenti per luglio che, a fine primavera, vennero spostate a fine ottobre, per dare più tempo ai partiti di organizzarsi. Resta però molto complicato capire cosa pensano i tunisini, infatti i sondaggi politici erano vietati sotto il regime di Ben Alì, solo recentemente si sono iniziati a realizzare e non sono ancora ritenuti attendibili. Un’altra problematicità nasce dal fatto che tra i 105 partiti e i quasi 1700 candidati, pochi hanno la possibilità economica di organizzare una campagna elettorale capace di arrivare a tutti i tunisini. Gli elettori, in buona parte, non sono in grado di riconoscere nomi e sigle dei partiti.

Uno dei punti più importanti che si trova ad affrontare il paese le la questione religiosa. Ben Alì fu un dittatore laico che arrivò perfino a vietare l’utilizzo del velo in molti luoghi pubblici. Questo pregresso assicura un forte ritorno dei partiti religiosi, che schiacciati da anni di repressione sono pronti a riprendersi la rappresentanza che gli spetta nelle istituzioni. I partiti laici non utilizzano nemmeno quest’espressione e preferiscono riferimenti più indiretti come ad esempio “modernista”, perché come spiega Tarek Chaabouni, dirigente del PDM, Polo Democratico Modernista: “Laico è diventato,a causa degli islamisti, un sinonimo di ateo e questo crea confusione negli elettori”.

La paura dei governi occidentali e che la Tunisia possa esprimere alle urne una preferenza schiacciante nei confronti dei partiti islamisti e che il caso tunisino trovi una cassa di risonanza anche negli altri paesi del Maghreb. L’Egitto sta seguendo la stessa strada segnata da Tunisi, anche se con risultati diversi. La giunta militare che guida il governo del Cairo ha indetto le elezioni per novembre, ma le piazze della capitale sono ancora piene di giovani manifestanti e gli scontri di qualche giorno fa davanti all’ambasciata israeliana, ne sono l’esempio. A tessere le trame internazionali ci pensa il premier turco Erdogan, che in questi giorni sta visitando i tre paesi dove la Primavera Araba ha portato alla caduta dei regimi: Tunisia, Libia ed Egitto. Ankara vuole giocare un ruolo importante nella nascita di queste nuove democrazie e si pone come esempio di governo per i paesi musulmani.

FONTE: http://www.volontariperlosviluppo.it/

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