di Maria Cristina Scarfia (Bruxelles)
Lunedì 9 settembre, l’ex banchiere centrale ed ex Premier italiano Mario Draghi ha presentato il rapporto sul futuro della competitività europea, quasi 400 pagine di analisi e proposte apparentemente pronte per essere applicate. Com’è stato raccontato, un grido, un accorato appello all’Europa e agli europei affinché si compiano scelte importanti, e presto, per garantire la sopravvivenza del progetto di integrazione e il suo rilancio, in un contesto geopolitico in mutamento, che rischia invece di fagocitarlo.
Il rapporto analizza settori strategici, come energia, materie prime, digitalizzazione, trasporti e tecnologie pulite, evidenziando le lacune e i ritardi dell’UE rispetto a competitor come Stati Uniti e Cina.
Il capitolo 10, in particolare, si occupa del settore trasporti e mette in evidenza cinque punti principali:
- Importanza dei trasporti per la competitività e la coesione: i trasporti sono fondamentali per l’accesso a beni, servizi e innovazioni. La rete di trasporti UE è considerata un “servizio di interesse generale”, vitale per la coesione economica e sociale. Le città europee sono nate come hub di trasporto e restano centrali per gli scambi commerciali.
- Transizione ecologica: il settore dei trasporti è responsabile di circa un quarto delle emissioni di gas serra dell’UE. Nonostante i progressi in altri settori, le emissioni dei trasporti continuano ad aumentare rispetto ai livelli del 1990, in particolare per settori come autotrasporti pesanti, navigazione e aviazione.
- Sfide e investimenti: l’UE deve migliorare la pianificazione infrastrutturale, coordinando i trasporti con le reti energetiche e digitali. Tuttavia, vi sono notevoli lacune nei finanziamenti pubblici e privati. Per completare la rete TEN-T entro il 2040 servono investimenti pari a circa 845 miliardi di euro.
- Trasformazione digitale e automatizzazione: il futuro dei trasporti sarà dominato dall’automazione e dall’uso dell’intelligenza artificiale per ottimizzare i percorsi, la manutenzione e la gestione delle flotte. Anche le tecnologie per i carburanti alternativi e la gestione in tempo reale saranno centrali per migliorare l’efficienza del settore.
- Decarbonizzazione: gli sforzi dell’UE per ridurre le emissioni del settore includono l’uso di carburanti sostenibili (SAF per l’aviazione) e la promozione di veicoli elettrici, anche se il trasporto pesante presenta sfide particolari legate ai costi elevati e alla mancanza di infrastrutture di ricarica adeguate.
Per il settore trasporti, il rapporto identifica ostacoli e sfide:
Finanziamenti insufficienti
- Il completamento della rete transeuropea dei trasporti (TEN-T) richiede circa 845 miliardi di euro entro il 2040. Tuttavia, ci sono lacune significative nei finanziamenti, sia pubblici che privati, che mettono a rischio il raggiungimento degli obiettivi di modernizzazione e decarbonizzazione.
Difficoltà nella decarbonizzazione
- Veicoli pesanti e settori come l’aviazione e la navigazione rappresentano sfide particolari. I costi elevati dei veicoli elettrici e la scarsa diffusione delle infrastrutture di ricarica ostacolano la transizione verso un trasporto a basse emissioni.
- Nonostante i progressi nei trasporti leggeri, le emissioni complessive del settore continuano a crescere.
Transizione digitale
- Anche se l’automazione e la digitalizzazione del settore sono viste come fondamentali per migliorare l’efficienza, l’adozione di tecnologie innovative richiede investimenti enormi. La necessità di migliorare le infrastrutture digitali e di potenziare la connettività tra i trasporti e le reti energetiche rappresenta un ulteriore costo per gli Stati membri.
Ritardi nella pianificazione infrastrutturale
- La scarsa coordinazione tra i vari Stati membri e le diverse politiche nazionali crea ritardi nella realizzazione di infrastrutture critiche, rallentando il completamento della rete TEN-T e ostacolando l’integrazione dei trasporti su scala europea.
Finanziamenti
- Fondi UE: il rapporto sottolinea la necessità di rafforzare i meccanismi di finanziamento europei, come i fondi del programma CEF (Connecting Europe Facility), e di aumentare l’uso di fondi per la coesione e il recupero, soprattutto quelli del Green Deal europeo.
- Finanziamenti privati: il coinvolgimento del settore privato è considerato essenziale per coprire le carenze. Si potrebbero promuovere maggiormente partenariati pubblico-privati (PPP) e strumenti di finanziamento innovativi come i green bonds per attrarre capitali privati.
- Tassazione verde: il rapporto suggerisce di introdurre incentivi fiscali per accelerare l’adozione di tecnologie pulite nel trasporto e, allo stesso tempo, di applicare maggiori imposte sui combustibili fossili per finanziare la transizione verso un sistema a basse emissioni.
- Banca Europea per gli Investimenti (BEI): il rapporto raccomanda l’aumento dei fondi messi a disposizione dalla BEI per sostenere progetti legati alla mobilità sostenibile e alle infrastrutture di ricarica, favorendo l’elettrificazione del trasporto pesante e leggero.
Reazioni al rapporto Draghi
Al netto del sostegno di rito da parte di alcune forze politiche e di molti stakeholders devoti del Draghinomics, il rapporto è stato accolto da diversi analisti con una certa insofferenza alla luce del fatto che:
- nel fotografare la realtà europea, Draghi sorvola sui rapporti di causa-effetto (Euro, prezzi dell’energia, mancanza di autonomia, sanzioni alla Russia, etc.) e sulle responsabilità politiche;
- nonostante l’appello accorato a fare presto, nel proporre soluzioni definite prêt-à-porter, Draghi sembra prescindere dalla governance europea, cioè dagli interlocutori politici che in UE hanno l’effettivo potere di tradurre o meno il suo rapporto in azioni e misure legislative concrete.
Non è un mistero, d’altra parte, che da molte Capitali europee il rapporto abbia ricevuto un’accoglienza tiepida, se non addirittura fredda, e che gli analisti mostrino un certo scetticismo sulla reale volontà e capacità della Presidente della Commissione Ursula von der Leyen e degli Stati membri di assumerlo come programma e declinarlo in regolamenti e direttive. Soprattutto perché l’accento sui finanziamenti si scontra con la contrarietà della maggioranza dei governi: o perché alle prese con procedure per deficit eccessivo o perché ideologicamente refrattari all’idea di un nuovo piano di debito comune o perché pressati da forze euroscettiche, per nulla inclini non solo alla mutualizzazione di impegni economici ma anche all’introduzione di nuove tasse europee, le famose “risorse proprie” del Bilancio settennale dell’UE (il c.d. Multiannual Financial Framework – MFF).
Per quanto riguarda il settore privato, poi, l’ecosistema europeo al momento è caratterizzato da incertezza politica, geopolitica e regolatoria, che non stimola certo la propensione al rischio.
Insomma, stando ai rapporti di forza effettivi in Europa, è probabile che questo mastodontico lavoro si trasformi nell’ennesimo esercizio di stile e retorica: forse, invece, Commissione e governi ci stupiranno, ma “[…] lo scopriremo solo vivendo”.
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