3198 PD: Scissione, che errore

20070504 22:30:00 redazione-IT

di Alfredo Reichlin

Non ho capito in che cosa consiste lo spostamento a destra dei Ds e perché il partito democratico si profila come un partito moderato. Il ministro degli Esteri (Ds) sta spostando la collocazione internazionale dell’Italia rispetto a quella di satellite servile della destra americana, il cui ruolo era dividere l’Europa. Di fatto, rinunciammo ad avere rapporti autonomi non solo con il Medio Oriente ma con l’India, il Giappone, la Cina. Adesso l’Italia è tornata un Paese sovrano, che conta.

A me sembra una cosa molto grossa la quale riguarda la possibilità per la sinistra di tornare ad avere un ruolo e un futuro. Mi permetto quindi di chiedere: cosa si intende per sinistra e per spostamento moderato?

La stessa domanda vorrei fare per la politica economica. Sono finiti i condoni e adesso anche i ricchi cominciano a pagare le tasse.

È diminuita la disoccupazione, abbiamo ricominciato a crescere ed è stata avviata una certa redistribuzione del reddito. Dove sta lo spostamento a destra? Angius, Mussi, Salvi ricorderanno che l’Italia aveva superato perfino l’Inghilterra negli indici della diseguaglianza sociale. Una vergogna. Di cui porta la responsabilità principale la destra ma che non assolve chi ha diretto in tutti questi anni la sinistra. Non bastava dichiararsi riformisti, il nodo da sciogliere era la avvilente impotenza riformista in cui ci dibattiamo da anni. Mi ha colpito vedere l’altra sera in tv l’esaltazione dell’orgoglio comunista da parte di Diliberto: falce e martello (nell’era del digitale), Gramsci come il loro capo: Antonio Gramsci, il teorico dell’egemonia, il critico spietato delle ragioni per cui la sinistra garibaldina e mazziniana subì la direzione moderata del Risorgimento, l’uomo che definì la scissione di Livorno il più grande contributo alla vittoria del fascismo. Ecco l’impotenza riformista. Molto colore rosso ma niente che possa rispondere a quelle fondamentali domande di tal Vladimiro Ilic Lenin: con chi? contro chi? come?

Uscire dall’impotenza riformista: questo a me sembra il grande problema che il Pd dovrebbe consentirci di affrontare. Non sarà facile. Vedo le difficoltà, ma le alternative sono inesistenti. Penso alla grande questione della laicità dello Stato italiano che non è solo una questione di principi fondamentali. Ciò che sta accadendo in Italia è molto grave. E non riguarda nè tanto né solo la religione. Sotto la guida del cardinale Ruini e della conferenza episcopale si è venuto formando – come in America – un nuovo blocco reazionario. La destra atea e libertina alla Berlusconi ha fatto del clericalismo la sua bandiera allo scopo di porsi sotto la sottana dei preti. In funzione di che cosa? Ma è evidente. In funzione di uno spostamento verso destra delle masse cattoliche (il che in parte è già avvenuto nelle ultime elezioni). Angius può pensare quello che vuole del partito democratico ma non può non capire che l’ostacolo maggiore a questa sorta di nuova alleanza tra "trono e altare" è rappresentato dai cattolici democratici, dalla loro lealtà verso lo Stato laico, dal loro unirsi sotto la stessa bandiera politica con la sinistra. Perciò al Congresso mi ha veramente colpito il suo attacco al Pd in nome di un anticlericalismo d’altri tempi. Ha avuto molti applausi ma – di fatto – faceva il gioco di Ruini: indebolire Prodi, isolare i cattolici democratici, consentire ai preti di dire alla massa popolare cattolica che la sinistra è il nemico Togliatti non rispose così alla scomunica.

Ma lasciamo stare le polemiche. Sono i fatti i quali ci dicono – adesso anche in Francia, dopo la Germania – che è giunto il tempo di creare una cultura e una soggettività politica capaci di uscire dai vecchi confini della sinistra storica per rispondere alle domande di ceti e generazioni che sono sfidate da un mondo nuovo. Spero che ci rendiamo conto del fossato che si sta scavando tra le masse e le forze politiche. Stiamo attenti. «L’impotenza riformista» sta innescando una crisi democratica molto pericolosa. Perciò, in attesa che Mussi faccia la rivoluzione, noi dovremmo preoccuparsi molto di fare qualcosa di analogo a ciò che fecero a suo tempo (ma che oggi stentano sempre più a fare) i grandi partiti socialdemocratici europei: partiti di massa, pluralisti, di governo a vocazione maggioritaria. Il che voleva dire, in società complesse, partiti di centro-sinistra.

Perché in Italia una operazione di questo genere assume le vesti del partito democratico? La domanda cruciale è questa ma la risposta non dovrebbe essere difficile per chi abbia un minimo di visione storica e sappia da dove viene la debolezza organica del riformismo italiano. Perché dopotutto è di questo che stiamo discutendo (almeno si spera) e non di ambizioni personali, cioè solo di chi capeggerà questo o quel partito. Proviamo una volta tanto a ricordare che cosa distinse l’Italia quando a cavallo tra Ottocento e Novecento esplose in tutta Europa la «questione sociale». Lo scontro di classe fu ovunque durissimo. Ma la differenza fu in ciò. Nei paesi più avanzati del Nord-Europa, non a caso quelli a più larga base operaia, le classi dirigenti fecero davvero un compromesso storico. Conservarono il controllo dei gangli essenziali del potere capitalistico ma accolsero la spinta delle forze operaie e popolari per uno Stato più sociale e un regime di alti salari (l’economia del benessere). Ma non solo. Quelle classi dirigenti erano abbastanza forti e consapevoli delle loro responsabilità nazionali da accettare anche un grande compromesso politico: ciò che in Italia noi avremmo chiamato la «democrazia compiuta». Vale a dire il riconoscimento del diritto a alternare i governi, fino al punto da portare al potere anche i leader delle forze sociali antagoniste e a riconoscerli come governanti a pieno titolo e non «figli di un dio minore».

Questa è la storia vera, non ideologica, della grande esperienza socialdemocratica. La quale non per caso in Italia non ha attecchito. Per colpa del Pci? È la tesi della vulgata dominante. Ma io credo che capiremmo meglio non solo il passato ma il problema politico del futuro se provassimo a partire da una domanda elementare: è il Pci che spiega la storia d’Italia (ivi compresa la debolezza del riformismo) oppure è la storia d’Italia che spiega il PCI? Parlo della natura delle sue classi dirigenti. Togliatti era ancora un bambino quando i generali del Re presero a cannonate gli operai di Milano. E non devo ricordare gli stati d’assedio, il regicidio, gli eccidi dei contadini. Turati in galera. E la Chiesa dominata dalla preoccupazione di una convergenza tra le masse cattoliche e socialiste al punto da imporre a don Sturzo l’esilio. È vero che Giolitti aprì un dialogo con i sindacati e i socialisti (però solo al Nord). Ma fallì. Era fatale che al sovversivismo delle classi dirigenti corrispondesse il sovversivismo delle masse. E infatti il PSI (Stalin stava ancora in seminario) non resse alla sfida riformista. I riformisti furono messi in minoranza, Benito Mussolini assunse la guida del partito. Poi arrivò il fascismo e la scissione del ’21. La storia del dopoguerra vide – è vero – grandi riforme, perfino straordinarie: la Costituzione repubblicana e la trasformazione di un paese contadino povero in una grande potenza industriale. Ma la questione essenziale è che la democrazia restò dimezzata, «difficile» per dirla con Moro. Il grande compromesso democratico non si fece. Certo anche a causa della guerra fredda, del legame del Pci con l’Urss, dell’estremismo. Ma ciò non spiega tutto. Non spiega la paura perfino per il centro sinistra, e soprattutto il fatto che anche dopo il crollo del comunismo e la fine del Pci l’alternarsi al governo di destra e sinistra, c’è stata ma ha avuto quei caratteri di guerra civile strisciante che sappiamo. La sinistra non è riuscita ad esprimere una egemonia. Si è divisa in 7 ad otto partiti tra socialisti e comunisti rivoluzionari.

È in questa luce che si capisce meglio il partito democratico. Che è lo sforzo di uscire dalla «democrazia difficile» riunendo le forze di sinistra e democratiche che hanno basi popolari, storiche. Non ci saranno riforme se la politica non tornerà a comandare sui grandi poteri economici, e non solo. Se la sinistra, che è minoritaria non si unisce ad altre forze laiche e cattoliche ponendo fine a quella sorta di guerra tra guelfi e ghibellini che ha contrapposto forze popolari fondamentali. Insomma, se non riusciamo a creare un grande partito di governo che parla non solo ai nostri ma all’insieme dell’Italia moderna.

Mussi dice che l’Italia non può fare a meno della sinistra. C’è una verità ma solo se si aggiunge che la sinistra è destinata ai margini se non si risolve quello che è il grande drammatico problema italiano: la crisi della democrazia, le fragilità delle sue basi e dei suoi strumenti politici, il degrado dei partiti, lo squilibrio tra il cosmopolitismo dell’economia mondializzata e il localismo della politica.

Questa scissione è una vera stupidaggine.

www.unita.it

 

3198-pd-scissione-che-errore

3969

EmiNews 2007

 

Visits: 8

AIUTACI AD INFORMARE I CITTADINI EMIGRATI E IMMIGRATI

Lascia il primo commento

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*


Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.