Per Papa Francesco

Per Papa Francesco

Guido Liguori Facebook 21/4/2025

Una perdita molto grave, mi dispiace davvero. Lo ringrazio per le parole che ha detto per la pace e il mondo del lavoro.

Lea Melandri Facebook 21/4/2025

Ci ha lasciato un uomo buono, un cristiano che non ha dimenticato la parola del Vangelo, un combattente contro le ingiustizie di classe e di razza, contro la guerra e la violenza in tutte le sue forme. Ci lascia con un grande vuoto, ma anche con l’immagine, forte, coraggiosa e commossa, anche se provata dalla sofferenza fisica, del suo saluto pasquale in mezzo ai fedeli nella piazza di San Pietro.

 

Jeremy Corbyn Facebook 21/4/2025

Papa Francesco ha dedicato la sua vita agli emarginati, agli sfollati e agli indifferenti. Una voce rara per l’umanità, ha trascorso i suoi ultimi giorni su questa terra invocando la pace. Lasciate che la sua eredità duratura — di empatia, coraggio e gentilezza — ci ispiri a costruire un mondo più umano per tutti.

 

Bruno Gravagnuolo Facebook 21/4/2025

Era l’unico papa che avremmo avuto il piacere e l’onore di conoscere. Ne ho visti passare un bel po’. Forse perché era argentino esperto di calcio oltre che di anime. E l’Argentina, eldorado fallito o fortunato di tanti italiani, ci ha sempre affascinato con le sue malinconie, le sue tragedie, le sue allegrie, letteratura, tango, Maradona. Ma era la sua idea di fede che ci piaceva, ispirata a una versione moderata della teologia della liberazione di Gustavo Gutierrez, la stessa detestata da Wojtyla e da Ratzinger: la fede che libera dall’oppressione e interseca la storia è la fede genuina. L’unica. Viceversa è mero rituale auto conservativo, e servizio ai potenti. Testimoniare è la fede, e liberare dall’ingiustizia gli umani è il vero il senso della fede già in terra. Il senso della missione pastorale. Una rivoluzione quella di Francesco difficile da integrare nella istituzione ecclesiale, mediatrice tra terra e cielo e tra padroni e servi ciò che la Chiesa è sempre stata. E che Bergoglio sulle orme del Concilio ha tentato di far digerire e di far introiettare al soglio di Pietro. Contro immense resistenze conservatrici. Prelature, privilegi, perversioni della gerarchia e non solo. Non soltanto un Papa riformatore, ma un Papa testimone di uno stile di vita dove la sacralità coincideva con la semplicità e la normalità dell’ accoglienza. L’opposto della sacralità misterica, usbergo dommatico della auctoritas petrina. E invece. Teologia della parresia greca: dire tutta la verità dei propri pensieri in pubblico. Che poi è un termine rilanciato dal trasgressivo Foucault nella sua genealogia ultima del soggetto umano. Altri parleranno della sua teologia della natura, del ruolo dei poveri e sfruttati nella Ecclesia comunitaria che aveva in mente. Ma la sua rivelazione rivoluzione era nello stile anti-sacrale e anti-liturgico. Sacro per Bergoglio era infatti l’umano attinto nella relazione d’amore reciproco che libera dal dominio; sacro era il cosmo e la natura sul pianeta. Mai dopo Giovanni XXIII vi fu appello più accorato alla pace e al disarmo. Senza timore alcuno di denunciare le responsabilità occidentali e quelle del secolo espansivo Euro-NATO verso est. Non per caso le sue ultime parole sono state dedicate alla follia del riarmo che crea riarmo e a due gesuiti come lui, Francesco Saverio e Matteo Ricci che scorsero la bellezza del tramonto ad est del mondo, dove il sole rinasce di continuo. Un messaggio inequivoco di pace e di amicizia verso la Cina nel momento in cui agli occhi occidentali esse viene additata come la nuova frontiera dello scontro bene male. E dello scontro di civiltà.

 

 

Bergoglio e pregiudizio

Marco Travaglio Fatto Quotidiano 22 Aprile 2025

Papa Francesco era il capo della Chiesa cattolica, dunque nessun capo di governo era tenuto a obbedirgli. Infatti tutti i leader del mondo dal 2013, quando fu eletto, a oggi si sono ben guardati dal seguire le sue parole. E ora che è morto si esercitano in sciacalleschi e ridicoli tentativi di fingersi suoi seguaci. Anziché affannarsi a farci sapere quanto lo adoravano e quanto lui li amava, farebbero meglio a tacere: tutti. Venuto “quasi dall’altro mondo”, Jorge Mario Bergoglio era un Papa dell’altro mondo: lontano dalle vaseline da curia romana e dai pregiudizi del suprematismo euro-occidentale, ha trascorso i 12 anni di pontificato a scacciare i mercanti dal tempio. Non sappiamo se fosse un santo: non ci compete. Ma sappiamo che non era il santino in cui, a cadavere ancora caldo, i media tentano di trasformarlo: il papa buono, il papa degli ultimi, il papa umano, liberal, riformista, progressista, un nonnetto da fiaba della buona notte per tutti i gusti e le stagioni. Il miglior modo di ricordarlo com’era, e non come lorsignori volevano che fosse e vorrebbero che passasse alla storia, è tramandare le sue parole. Nette, perentorie, inequivocabili. Evangeliche, quindi divisive. Pugni nello stomaco, pietre dello scandalo. Che c’è di più scandaloso del “porgi l’altra guancia” e dell’“amate i vostri nemici”? Lui li applicava a tutte le guerre e a tutti i riarmi, senza ipocrisie su sedicenti “buoni” e presunti “cattivi”. “La guerra in Ucraina non è la favola di Cappuccetto Rosso: Cappuccetto Rosso era buona e il lupo cattivo. Qui non ci sono buoni e cattivi metafisici, in modo astratto. Emerge qualcosa di globale, con elementi molto intrecciati. Un paio di mesi prima dell’inizio della guerra ho incontrato un capo di Stato, un uomo saggio… molto preoccupato per come si muoveva la NATO. Gli ho chiesto perché, mi ha risposto: ‘Stanno abbaiando alle porte della Russia’”. “Alcuni Stati si sono impegnati a spendere il 2% del Pil nell’acquisto di armi: sono dei pazzi!”. “Serve il coraggio della bandiera bianca: il negoziato non è mai una resa”. “Indagare se a Gaza c’è un genocidio”. “Disarmare le parole per disarmare le menti e la Terra”. Fino all’ultimo Angelus di Pasqua: “Nessuna pace è possibile senza un vero disarmo! L’esigenza di difesa non può trasformarsi in corsa generale al riarmo”. Parole che gli valsero la taccia di filo-russo, putiniano, antisemita e filo-Hamas da una congrega di farisei e imbecilli che sognano un Papa in mimetica per continuare a fingersi cristiani senza sapere cosa significhi. Lui lo sapeva. Ora si dice: “Morto un papa se ne fa un altro”. Ma è una parola. Chi crede può solo pregare e chi non crede sperare che anche nel prossimo conclave si noti una qualche traccia dello Spirito Santo.

 

Papa Francesco, pietra d’inciampo in occidente

Barbara Spinelli Fatto Quotidiano 22 Aprile 2025

Vorrei che tornassimo a sperare e ad avere fiducia negli altri, anche in chi non ci è vicino o proviene da terre lontane con usi, modi di vivere, idee, costumi diversi da quelli a noi più familiari, poiché siamo tutti figli di Dio. Vorrei che tornassimo a sperare che la pace è possibile”. Lo ha detto Papa Francesco il giorno di Pasqua, già agonizzante, nell’Urbi et Orbi letto in sua vece dall’arcivescovo Rovelli. Non è la prima volta che invoca la pace, ma forse intuisce che questa è l’ultima. E come sempre da più di tre anni denuncia la frenesia che sta accecando le menti dei governi europei, primi fra tutti quelli dell’Unione Europea: “Nessuna pace è possibile senza un vero disarmo. L’esigenza che ogni popolo ha di provvedere alla propria difesa non può trasformarsi in una corsa generale al riarmo”. Apparentemente è meno impetuoso di altre volte – forse qualcuno in Vaticano ha smussato il testo – ma il suo pensiero si precisa: perché la pace sia possibile occorre che si eviti il riarmo e che al tempo stesso la politica cambi natura, che i governi e i popoli imparino a convivere con “terre lontane e usi, modi di vivere, idee, costumi diversi da quelli a noi più familiari”. La coesistenza con popoli e regimi diversi si chiama multipolarismo: un sistema internazionale che metta fine al predominio del cosiddetto “Occidente collettivo” a guida USA, che si comporta come vincitore della guerra fredda e continua mentalmente e materialmente a confezionare guerre di civiltà, sempre a difesa dei “modi di vivere a noi familiari”, della nostra way of life. Per il Vaticano, che nonostante l’universalismo cattolico si è quasi sempre identificato con l’occidente, l’idea di una pace basata sulla coesistenza pacifica tra potenze di natura diversa non è la normalità. Ha fatto apparizione con Bergoglio, e non poteva che venire da un Pontefice venuto in Europa da un altro continente. Non è detto che il successore farà propria l’idea rivoluzionaria che Bergoglio si è fatto della pace, e che la svilupperà con la stessa intensità. Il clima nel mondo sta cambiando e non è un cambiamento favorevole alle idee di Papa Francesco. L’Europa soprattutto sta cambiando. Più Washington si disimpegna – un disimpegno accentuato da Trump – più gli europei si riarmano, e si ripromettono di dar vita a un’alleanza militare contro la Russia. Europa e NATO non sono più entità distinte. Sono un’entità unica, detta atlantica solo perché compreremo in USA armi, connessioni internet e gas liquefatto. Papa Bergoglio ha visto quel che sta accadendo e ripetutamente ha negato il proprio consenso. È stato una pietra d’inciampo, un po’ come Benedetto XV che definiva “inutile strage” la Prima guerra mondiale. D’altronde il presente ha tante somiglianze con lo scivolamento europeo nel conflitto seminale del 1914-’18. Prima sulla guerra in Ucraina, poi sull’offensiva israeliana a Gaza e in Cisgiordania – dopo il massacro del 7 ottobre a opera di Hamas – il Pontefice ha pronunciato parole mai ascoltate, e tuttavia molto potenti per la traccia lasciata nella vita delle singole persone. È la “potenza disarmata della vita” che ha evocato nel suo ultimo messaggio Urbi et Orbi. È così che per le classi dominanti – in politica, nei media occidentali, in Israele – Francesco è diventato Papa scomodo e più volte scandaloso (Gesù non cessa di scandalizzare, nei Vangeli). Sconcertare e denunciare sono stati al centro della sua missione durante le guerre in Ucraina e Palestina, e ogni volta il suo agire scandaloso consisteva nell’andare alle radici dei conflitti, nel dar loro nomi sempre più precisi. Poco più di due mesi dopo l’invasione russa dell’ucraina, il Pontefice getta una luce di verità sulla genealogia della guerra: è stato “l’abbaiare della NATO alla porta della Russia”, che ha indotto il capo del Cremlino a reagire male e a scatenare il conflitto. “Un’ira (russa) che non so dire se sia stata provocata, ma facilitata forse sì”. Anche sull’efferata vendetta israeliana per il massacro di Hamas il Papa si è pronunciato con durezza, pur ricorrendo a formule dubitative. Nel libro La speranza non delude mai ha scritto: “A detta di alcuni esperti, ciò che sta accadendo a Gaza ha le caratteristiche di un genocidio. Bisognerebbe indagare con attenzione per determinare se s’inquadra nella definizione tecnica formulata da giuristi e organismi internazionali”. Nel novembre 2024 accolse una delegazione di Palestinesi di Gaza. “Il Papa ha riconosciuto che viviamo un genocidio”, ha dichiarato Shrine Halil, cristiana di Betlemme, citando altre parole che aveva udito: “Siamo andati oltre le guerre. Questo non è guerreggiare, questo è terrorismo”. Dice il Corriere della Sera che Francesco passerà nella storia ed era “dentro lo spirito del tempo”. Il commento quasi si appropria della sua persona, come si fa spesso con i morti amati dai popoli: troppo amato forse, perché “la rivolta di Francesco contro establishment e élite… porta con sé il rischio del populismo”. È il verdetto dei benpensanti in quest’Europa che, a furia di abbaiare, perde il senno, smussa le pietre d’inciampo. Bergoglio passerà alla storia, certo, ma è assai dubbio che fosse “dentro lo spirito del tempo.

 

Agli sfruttati non serve la carità ma la lotta

Luciana Castellina il manifesto 22/4/2025

In questo momento di grande tristezza per tanti nel mondo, una moltitudine di cui faccio parte anche io, di una cosa almeno sono contenta, anzi fiera: che sia stato il nostro manifesto nel 2016 a pubblicare e a distribuire insieme al quotidiano un libro che contiene uno dei più belli, e più significativi, discorsi di Bergoglio. E questo in un tempo in cui ancora era possibile che altra pur paludata stampa uscisse con titoli come questi: «Papa Francesco benedice i centri sociali»; «Bergoglio incontra il Leoncavallo»; «Zapatisti, marxisti, Indignados, tutti dal papa». (In seguito capirono che era troppo impopolare ricorrere a questo tono di ironico sprezzo quasi che Papa Francesco fosse un secondario personaggio qualsiasi, sicché si corressero un poco). Il libro di cui il nostro giornale si fece editore uscì in occasione dell’Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari (EMMP) a Roma, presenti fra gli altri un singolare e fino a poco prima presidente dell’Uruguay e prima guerrigliero Tupamaros, Pepe Mujica, la ben nota Vandana Schiva, assente invece l’invitato Bernie Sanders perché impegnato nella campagna elettorale americana. Più 99 organizzazioni di 68 paesi, una lista più o meno coincidente con quella dei movimenti che hanno partecipato ai nostri Forum Mondiali dei tempi di Porto Alegre, fra questi non a caso i Sem Terra brasiliani e il loro leader Stedile, analoghi i temi in discussione: ecologia, beni comuni, salario universale. All’appuntamento dell’anno precedente tenuto in Bolivia l’allora presidente Evo Morales aveva regalato al Pontefice venuto fino a laggiù per presiedere l’incontro una croce composta da una falce e un martello, e si potrebbe dire che quella singolare composizione lignea già a Roma sembrava tacitamente diventata il distintivo degli EMMP. Ho scritto «si potrebbe dire» perché so che bisogna fare attenzione. E però non si può non prendere atto che il pontificato di Francesco ha impresso alla politica vaticana una svolta di sostanza molto forte e chiara. Bergoglio non è stato infatti solo un papa più caritatevole, impegnato a esaltare generosità e sacrificio. Il messaggio del suo pontificato è stato direttamente politico, innanzitutto perché ha avuto il coraggio (che ahimè spesso manca a parte della stessa sinistra laica) di indicare con chiarezza il nemico, il colpevole dell’ingiustizia – «quella struttura ingiusta», dominata dal «primato del danaro che collega tutte le esclusioni», «rende schiavi, ruba la libertà», «mitizza il progresso infinito e l’efficienza incondizionata». Il capitalismo, insomma. La novità principale non sta solo nel vigore della denuncia dello stato delle cose presente, ma nell’identificazione di un nemico storicamente esistente, e, dunque alle contraddizioni che spaccano inevitabilmente la società e che impongono il dovere della lotta se si vogliono superare. Non si possono ignorare (potrebbe non essere la nostra vecchia lotta di classe, ma non si può pensare che il conflitto sia scomparso). È anche per questo che mi pare così importante l’insistenza di papa Francesco sulla necessità di quanto in questi ultimi decenni si è indebolito: la soggettività, la costruzione di un protagonismo del necessario agente del cambiamento, oggi addomesticato, anestetizzato. La soggettività, insomma. Agli sfruttati, alle vittime del sistema, il papa adesso si rivolge per invitarli a non restare «a braccia conserte», a «passare – come dice il documento conclusivo dell’incontro di Roma – dalla fase della resistenza a quella dell’appropriazione del potere politico, dalla lotta sociale alla lotta elettorale». Detta in due parole: capire che la solidarietà è autentica solo se si accompagna alla lotta. E perciò è indispensabile passare dalla carità alla politica, che quelle contraddizioni deve saper superare ma non ignorare. La frase più esplicita e polemica del papa è proprio questa: «Non serve una politica per i poveri, ma una politica dei poveri». O, come ha ancor più esplicitamente dichiarato parlando ai giovani: «Ragazzi, la carità è una bella cosa, ma serve la politica». Quanto stava a cuore anche a Carlo Marx e dovrebbe stare molto più di quanto non sia all’attenzione della sinistra, oggi.

 

Lo spettacolo più avvilente dell’anno

Paolo Desogus Facebook 22/4/2025

Bandiere a mezz’asta, parole di contrizione, lutto nazionale… e poi a breve il carosello dei potenti che verranno ad omaggiare il pontefice: è insomma iniziato lo spettacolo più avvilente dell’anno. Persino Trump, che con Francesco c’entra un po’ come un vegetariano con la mortadella, sarà presente ai funerali. Chi batte tutti è però il nostro governo. L’Italia non poteva certo apparire in difetto rispetto alla Spagna, che ha stabilito tre giorni di lutto nazionale. Per non essere secondi a nessuno, noi ce ne appioppiamo cinque, così Meloni, La Russa e i loro amici fascistoni possono sfangare in scioltezza anche il 25 aprile.

Il punto più grave è però un altro. Papa Francesco è stato il pontefice più censurato dai media. Le sue parole sul lavoro, sull’immigrazione, sulla povertà sono state sistematicamente ridimensionate dai programmi televisivi e dalla stampa. Ancor più grave e scientifica è stata l’opera di vero e proprio oscuramento sulla guerra in Ucraina e di esplicita intolleranza per quanto espresso su Gaza e sull'”ignobile situazione umanitaria”. Anche il giorno prima di morire il Papa ha espresso parole nette sulla guerra e il riarmo, parole pronunciate anche davanti al vicepresidente Vance. Tutto è però passato in cavalleria. Al potere piace la religione che spegne le coscienze, che giustifica le ingiustizie, che fa apparire naturale e ineluttabile il dominio dei forti contro i più deboli. L’idea che addirittura il papa, soprattutto dopo il trentennio di conformismo di Wojtyla, si fosse messo all’opposizione deve essere sembrato qualcosa di inconcepibile, di intollerabile. La censura è servita ad arginare un’anomalia.

Ora i funerali, le cinque giornate di lutto e le sfilate dei potenti serviranno proprio a questo, a far apparire Bergoglio come uno di loro, forse un po’ intemperante, ma uno di loro. La parola d’ordine è “normalizzare” per lasciare che il suo lascito sui temi del lavoro, della povertà e della guerra cadano nell’oblio.

 

I messaggi di pace del Pontefice

Papa Francesco, il Pontefice pacifista che su Ucraina e Gaza ha contrapposto il ragionamento al bellicismo di USA ed Europa

Michele Prospero l’Unità 22 Aprile 2025

Molto forte è parso l’ultimo messaggio di Francesco.Nessuna pace è possibile senza un vero disarmo”, ha ammonito nell’omelia della messa di Pasqua. Si tratta di uno schiaffo esplicito rivolto ai governi del Vecchio Continente, che invocano nuovi armamenti perché ancora non sazi delle immagini dei massacri. Con il pretesto della “pace giusta”, tante cancellerie premono per prolungare le ostilità e renderle infinite. Evidente, nell’attuale scenario di banalità della morte, è il fallimento delle principali culture politiche europee. Tutti gli attori di peso si affidano esclusivamente al suono dei missili per gestire la questione ucraina. Allo schema binario ogni volta riciclato nei documenti ufficiali, “c’è un aggressore e un aggredito”, il Papa ha subito aggiunto gli elementi di una visione più articolata. Al di là delle colpe manifeste di chi ha inviato i carri armati per l’invasione, occorre l’individuazione delle responsabilità storiche effettive nello scoppio del conflitto. Oltre alla totale comprensione verso il “martoriato” popolo di Kiev, Francesco ha perciò impostato le basi per una lettura realistica delle tensioni che scuotono il mondo contemporaneo. Al fronte occidentale, che carica di significati etici generali la contesa rappresentando lo zar ex KGB come un Anticristo contro il quale condurre una “guerra metafisica per la libertà”, il capo della Chiesa cattolica ha replicato che non esistono guerre di civiltà o di religione. La ricostruzione della genesi del disordine che lacera l’Ucraina, e brucia i residui pilastri di un diritto internazionale mai così malfermo, non può per questo tacere sulla fatale decisione presa dall’Alleanza Atlantica di allargarsi a dismisura, sino ad “abbaiare alle porte della Russia. In una prosaica disputa sui confini, dinanzi al risentimento di un antico impero dissolto, non è bene indossare le maschere della morale. Dentro una frizione tra potenze per il riconoscimento delle rispettive aree di influenza non si può rinunciare all’opportunità di una composizione politico-diplomatica. Ai piccoli commissari, che sovrintendono ai bilanci dell’Unione Europea scavando sempre le condizioni per fomentare nuova inimicizia nella trincea orientale, e ai loro consiglieri, che hanno scandito in ogni sede pubblica la formula “si vis pacem, para bellum”, il Papa ha risposto recuperando la nobiltà laica della politica. Quale azione umana responsabile tesa anzitutto alla coesistenza, proprio alla politica tocca fabbricare gli orizzonti di una convivenza pacifica, in Donbass come a Gaza. Quello di Francesco non è dunque un dignitoso riparo nel rifugio irenico della nonviolenza, permesso solo a una figura religiosa che deve necessariamente parlare con cadenza profetica. È piuttosto un progetto assai realistico di censura dei toni e dei piani blasfemi dei potenti, i quali hanno conferito un rivestimento etico-teologico alla prova delle armi. Per scongiurare la catastrofe di “una guerra mondiale a pezzi”, non ci sono alternative rispetto a un disegno condiviso che serva a tracciare un più equo, e quindi multipolare, nuovo ordine internazionale.

 

 

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