
01 – Alberto Negri*: L’Occidente lascia fare in attesa del «nuovo ordine» Opinioni La presenza dell’Onu nel sud del Libano è un ostacolo e sarà rimosso. Si prepara un’altra umiliazione del diritto internazionale.
02 – Alfiero Grandi*: Non sprechiamo l’occasione di una nuova stagione referendaria.
03 – Federico Losurdo *: La destra avanza. In Europa, certo. Ma non solo. Le prossime elezioni presidenziali e politiche negli Usa saranno un altro test importante, da cui potrebbe derivare un’ulteriore spinta in avanti per la composita area della destra internazionale.
04 – La Marca (PD) presenta in Senato il libro “Narrarsi Altrove”
05 – Francesco Bilotta*: In Brasile test elettorale per il governo Lula e il fronte progressista in crisi
Elezioni amministrative In 156 milioni alle urne. Solo 6 grandi città su 26 alla portata della sinistra. E il Pt che guarda al centro non aiuta. Decisivo il voto dei giovani.
06 – Massimo Franchi*: Manovra e certezze: pensionati bancomat – Poco Previdenti Forza Italia spunta l’aumento delle «minime» per i suoi elettori: regalo a chi spesso ha eluso i contributi: artigiani e commercianti. Decine di migliaia di euro sugli assegni di tutti gli altri
07 – Alex Giuzio*: Giubileo, 35 milioni di persone in arrivo. I residenti restano senza casa
Roma Attese 105 milioni di presenze, più del doppio rispetto al 2023.
08 – HAITI. 70 persone massacrate dalle bande criminali (*)
09 – Fabio Frosini*: l fascismo non è mai morto? Le cose e le parole In un recente pamphlet, Luciano Canfora sostiene che il fascismo è ancora vivo. Per sostenere questa tesi conduce il lettore in un gran numero di giravolte storico-geografiche. Più proficua per capire la situazione odierna, è la categoria di “rivoluzione passiva”.
10 – Davide Matrone *: AMERICA LATINA. Dal Foro di Sao Paulo l’unità delle sinistre. Uruguay il primo banco di prova
11 – Gianluca Schinaia*: Jeremy Rifkin vuole ribattezzare la Terra. E riscrivere la storia dell’uomo
L’autore americano, attraverso il suo ultimo libro Pianeta Acqua, disegna passato, presente e futuro dell’umanità nell’ottica dell’idrosfera. E parla di metaverso, filosofia, Gen-z e transizione ecologica.
12 – Tiziano Ferri *: Golpe in Colombia, Petro chiama alla mobilitazione.
01 – Alberto Negri*: L’OCCIDENTE LASCIA FARE IN ATTESA DEL «NUOVO ORDINE» OPINIONI LA PRESENZA DELL’ONU NEL SUD DEL LIBANO È UN OSTACOLO E SARÀ RIMOSSO. SI PREPARA UN’ALTRA UMILIAZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE. QUESTA VOLTA DIPINTA DI BLU
Lungo la Blue Line, la linea di demarcazione che separa il Libano da Israele, oltre 120 chilometri, stabilita dalle Nazioni Unite nel 2000, sono piantati e ben riconoscibili i caratteristici «blue pillars», i pioli di acciaio opportunamente verniciati di blu. Israele, colpendo ogni giorno i caschi blu, come è avvenuto anche ieri, è chiaramente intenzionata a sradicarli. Nella sua guerra di annientamento di Hezbollah e del Libano, Netanyahu non vuole, come a Gaza, testimoni internazionali.
E neppure l’ombra del diritto internazionale o di una mediazione diplomatica, come hanno compreso perfettamente le famiglie degli ostaggi. La sua logica è ferrea e cinica: se sacrifico anche la mia gente, figuriamoci se mi faccio problemi a sparare sui caschi blu.
Il governo israeliano, imponendo con la forza al contingente militare di quaranta nazioni, tra cui la nostra, di levare le tende, non solo non intende avere testimoni ma ci dice anche di voltare la testa dall’altra parte per non vedere quanto accade in Medio oriente. E tutto questo in attesa di valutare la rappresaglia israeliana sull’Iran. In realtà l’Italia e l’Europa – per non parlare degli Stati uniti – hanno già girato lo sguardo accettando che in questo anno ci fossero decine di migliaia di civili uccisi, che venissero costantemente violate tutte le leggi umanitarie e fossero commessi crimini di guerra inenarrabili. Tutto questo senza muovere un dito.
LA CONDANNA della comunità internazionale si limita a qualche voto all’Onu e alle indagini della corte penale internazionale: in pratica per il governo Netanyahu non c’è mai nessuna conseguenza degna di nota. Anzi. Israele continua a ricevere dagli Usa decine di miliardi di aiuti militari (oltre venti nell’ultima tranche di fine agosto) e la collaborazione militare e di intelligence degli europei con lo stato ebraico prosegue senza colpo ferire. Business as usual.
L’Italia è un formidabile esempio della doppiezza europea e occidentale. Il ministro della Difesa Crosetto ha tuonato contro Israele per l’attacco all’Unifil ma è anche lo stesso ministro che l’8 novembre è andato a Gerusalemme per dire che «Israele è uno Stato di diritto e in guerra si muove rispettando delle regole, questa è la differenza con i terroristi di Hamas». Non solo, aggiunse in quell’occasione che «Israele ogni volta che bombarda a Gaza avverte la popolazione di mettersi in salvo». Come no, anzi suona direttamente al citofono dei gazawi, ai quali per altro è rimasto in piedi meno del 30% degli edifici e il 70% è accampato ad aspettare un altro inverno di bombe.
Ma perché diciamo queste cose che sono palesemente delle bugie? Il motivo è semplice: siamo legati a Israele mani e piedi. L’8 marzo del 2023, durante la visita di Netanyahu a Roma, questo governo ha firmato un accordo per appaltare una parte consistente della nostra cybersecurity agli israeliani in cambio di commesse militari. Allora il capo dell’agenzia italiana si dimise due giorni prima di questa intesa perché evidentemente non era d’accordo.
In poche parole Israele, che detiene una quota formidabile del mercato mondiale della cybersecurity, ci osserva e ci scruta come e quando vuole, in questo agevolata anche dall’alleanza inossidabile con gli Stati uniti. I nostri sovranisti – sempre pronti a difendere la patria – farebbero bene a dare un’occhiata a questi accordi.
LA REALTÀ è che non facendo nulla per frenare Netanyahu siamo d’accordo con la guerra di Israele. In attesa, come scriveva ieri Tommaso Di Francesco, che il governo di Tel Aviv imponga a cannonate il “nuovo ordine” mediorientale, visto che i tentativi occidentali di imporne uno sono naufragati miseramente, dall’Afghanistan all’Iraq, dalla Libia alla Siria. Per di più Israele punta al bersaglio grosso dell’Iran per tentarne la destabilizzazione usando non solo le bombe ma forse la sua carta migliore, quella dell’infiltrazione del Mossad nei ranghi della repubblica islamica, come sembra voler dimostrare la controversa vicenda di Esmail Qaani, capo delle brigate Al Qods dei Pasdaran messo agli arresti, un segnale comunque della lotta interna di potere in atto Teheran.
Gli occidentali non sono certo gli unici ad attendere che Israele imponga il suo “ordine”. Non c’è nessuno stato arabo che nei fatti sostenga la causa palestinese o degli Hezbollah libanesi. Le monarchie sunnite e assolutistiche del Golfo, l’Arabia saudita, il Marocco e l’Egitto si sono tutti avvicinati a Israele e se anche alcuni di loro non hanno ancora firmato il Patto di Abramo si comportano come se l’avessero già fatto. Lo stesso Erdogan che lancia roboanti proclami contro lo stato ebraico e a favore di Hamas non ha mai fermato le vendite di armi turche a Israele.
Cosa accadrà adesso nel Sud del Libano? Di fatto Israele punta a cancellare la Blu Line per allontanare l’artiglieria di Hezbollah e riportare migliaia di israeliani nei villaggi dell’Alta Galilea. La presenza di caschi blu ostacola la creazione di una nuova “fascia di sicurezza”, così come Israele punta a Gaza al logoramento dei palestinesi per spingerli in spazi sempre più ristretti e invivibili.
Tutto questo avverrà, nonostante i proclami, con l’eliminazione dei caschi blu e delle agenzie dell’Onu. Per noi qui sarà soltanto un’altra umiliazione del diritto internazionale. Questa volta dipinta di blu.
*( Fonte: Il Manifesto, Alberto Negri, giornalista – Laureato in Scienze Politiche, dal 1991 al 1983 è stato ricercatore all’Ispi di Milano (Istituto di Studi di Politica Internazionale) e redattore della rivista settimanale Relazioni Internazionali)
02 – Alfiero Grandi*: NON SPRECHIAMO L’OCCASIONE DI UNA NUOVA STAGIONE REFERENDARIA.
LE FIRME CONSEGNATE IN CASSAZIONE PER IL REFERENDUM ABROGATIVO DELLA LEGGE CALDEROLI PER L’AUTONOMIA REGIONALE DIFFERENZIATA SONO 1.291.488, 553.915 ONLINE E 737.573 SU MODULI CARTACEI.
E’ la migliore risposta alle stupidaggini di Calderoli sulla presunta facilità della raccolta delle firme on line, visto che il numero c’è sia con i tradizionali moduli cartacei che on line. E’ invece inaccettabile che Calderoli tenti di forzare la mano convocando incontri con alcune Regioni e promettendo loro poteri che non può garantire fintanto che non ci saranno stati il giudizio della Corte costituzionale sui ricorsi di 4 regioni e l’effettuazione di referendum. Calderoli farebbe bene a darsi una calmata e ad attendere questi giudizi prima di fare promesse che non potrebbe mantenere.
Con buona pace di Calderoli è stupefacente che la raccolta firme online sul dimezzamento degli anni necessari per la cittadinanza italiana sia arrivata a 620.000 in 3 settimane, realizzando una risposta superiore alle previsioni. Per ottenere questi risultati occorre incontrare una sensibilità diffusa, disponibile a mobilitarsi, in questo caso sui problemi dell’immigrazione, contro la politica della paura e della chiusura. Anche questo referendum è un’opportunità per ridare vitalità alla democrazia e riportare elettrici ed elettori al voto.
La maggioranza ottenuta dalla destra in parlamento (59%) con una minoranza di voti (44%) e di elettori (28%) è diventata uno spartiacque e in particolare l’occasione per avviare un attacco sistematico alla Costituzione.
Le forze culturali, politiche, sociali fondamentali della ricostruzione dell’Italia dopo la seconda guerra mondiale – che avevano partecipato alla Resistenza, alla cacciata dei fascisti e dei nazisti per riconquistare indipendenza e dignità – erano consapevoli di dover scrivere una nuova Costituzione in cui sancire una nuova identità nazionale.
La Costituzione è insieme un programma politico – cosa non compresa dall’attuale opposizione nelle elezioni del 2022, quando con le sue divisioni regalò alla destra la vittoria – e un corpo di principi e di regole istituzionali per garantire continuità alla democrazia italiana, impedendo il ritorno del fascismo in qualunque forma. La Costituzione è un’impresa formidabile e lungimirante per ricostruire l’Italia dopo le distruzioni della guerra.
Una parte della società italiana non ha mai accettato questo patto costituzionale. Siamo arretrati da quando Fini indicò alla destra l’accettazione sostanziale della Costituzione e delle sue regole democratiche. Oggi invece la destra al governo coltiva rapporti inquietanti con suggestioni e con settori che dovrebbero essere contrastati, in sostanza ha difficoltà a dichiararsi antifascista e punta a cambiare le regole di fondo nelle quali non si riconosce.
Va detto con chiarezza che anche le sinistre hanno avuto ripetute tentazioni di modificare la Costituzione, affermando che si trattava solo della seconda parte, ma in realtà era una foglia di fico: i meccanismi decisionali sono decisivi per realizzare i principi/obiettivi della prima parte e per di più le sinistre non sempre hanno avuto mano felice nel riscriverla.
Ad esempio nel 2001 le modifiche al titolo V della Costituzione avrebbero dovuto togliere spazio alla Lega ma invece il risultato fu di perdere le elezioni e scrivere alcune formulazioni (ad esempio negli articoli 116 e 117) che con la previsione del potere concorrente hanno generato oltre 2000 cause Stato/Regioni e di cui Calderoli ha usato come alibi le ambiguità per costruire la sua legge che è in contrasto con i principi fondamentali della Costituzione. Una forzatura, certo, ma resa possibile da ambiguità che andavano evitate.
Per troppo tempo è stata trascurata l’esigenza di un’ottica nazionale nella sanità, dove la regionalizzazione ha portato verso 20 sistemi sanitari diversi e ha fatto emergere con forza l’esigenza di scelte unitarie nazionali di fronte ai guasti emersi con il Covid, superati solo dallo stato di emergenza per la pandemia. Eppure la sanità è cruciale per la coesione sociale nazionale e ancor di più per la vita delle persone.
Le modifiche alla Costituzione non debbono stravolgerne l’impianto ed essere precise, puntuali. Il Cdc è nato 10 anni fa per fermare con il No la “deformazione” della Costituzione tentata da Renzi, scelta non indolore ma indispensabile per respingere una concezione della Costituzione “à la carte”, nella quale ogni maggioranza si diletta a modificarla, stravolgendola per più o meno nobili convenienze.
Nei tentativi di cambiamento della Costituzione c’è stato un errore costante, comune sui quorum di garanzia pensati nel 1948 dai costituenti in presenza di un sistema elettorale proporzionale, ma non modificati a fronte dell’introduzione di leggi elettorali maggioritarie. La questione è tornata di grande attualità con il tentativo, fallito, di Giorgia Meloni di imporre un giudice costituzionale di sua stretta fiducia puntando ad un’imposizione della maggioranza. Ad un certo punto Giorgia Meloni ha pensato di poterci arrivare perché i 3/5 del corpo elettorale che vota i giudici indicati dal parlamento sono un obiettivo alla sua portata, almeno teoricamente, con qualche “acquisto” altrove. Ma se il quorum fosse stato rivisto in presenza di una legge elettorale (rosatellum) che ha avuto effetti ipermaggioritari sul parlamento la proporzione poteva essere ristabilita elevandola per obbligare ad accordi in grado di coinvolgere la grande maggioranza dei parlamentari. Si tratta d una garanzia per la terzietà dei giudici. Il tentativo di forzare questa volta è fallito ma resta il problema strutturale da risolvere, se c’è una legge maggioritaria occorre rivedere tutti i quorum di conseguenza, questo è uno dei contrappesi che ad esempio il progetto di legge del Governo sul premierato ignora completamente. Perché Giorgia Meloni ha fatto questa forzatura ? Tutto questo per avere un “fidato” all’interno della Corte costituzionale, rivelando così non solo una concezione proprietaria, di parte, del ruolo dei giudici costituzionali, ma anche facendo un pessimo servizio al suo candidato che da oggi è chiaramente identificabile come persona che non può svolgere un ruolo terzo come è richiesto a un giudice, ancora di più se di livello costituzionale. Non a caso la proposta di Giorgia Meloni era quella del giurista che ha redatto la proposta di legge del “premierato” che sicuramente la Corte stessa in futuro dovrà giudicare e quindi mettendolo in una posizione di incompatibilità perché coinvolto in decisioni che giudicheranno il suo stesso lavoro.
Una destra che non rompe con il fascismo tenta nello stesso tempo di stravolgere la Costituzione con l’obiettivo di introdurre la sua impronta: un presidenzialismo declinato come premierato con elezione diretta, relegando il parlamento ad un ruolo subalterno e di servizio per il governo, riducendo il ruolo di garanzia e i poteri del Presidente della Repubblica e cercando di avere una Corte costituzionale addomesticata, subalterna.
L’autonomia regionale differenziata di Calderoli è la prova generale dello scardinamento della Costituzione che afferma all’articolo 1 e poi lo ripete nell’articolo 5 : L’Italia è una Repubblica. Una, quindi il secessionismo non è possibile. Eppure la destra ha approvato una legge che potrebbe frantumare l’Italia. Per il potere la destra che invoca la patria nega sè stessa e purtroppo i diritti fondamentali (uniformi) dei cittadini. Da questo vengono gli imbarazzi e le contrarietà nella stessa maggioranza di destra.
Contiamo che i referendum ci saranno: 1) autonomia differenziata, 2) cittadinanza in 5 anni, i 4 promossi dalla Cgil per i diritti e la qualità del lavoro. Il voto è identico, non può che essere Si all’abrogazione delle norme. Non sarà facile convincere a votare la maggioranza degli elettori, nel clima di delusione per la politica e per le stesse istituzioni. Tuttavia è un risultato possibile perché è una grande occasione per tutti, anche per quanti si sono allontanati dal voto per contare e decidere che ci sono provvedimenti sbagliati, inaccettabili che vanno abrogati. La forzatura di Giorgia Meloni per avere il “suo” giudice costituzionale verrebbe fortemente contraddetta da un voto per abrogare queste norme che si è tentato di salvare in ogni modo, perfino forzando Costituzione e galateo istituzionale.
L’Italia è e deve restare una repubblica parlamentare e ha bisogno della libertà dei parlamentari, come prevede l’articolo 67 della Costituzione, e di una legge elettorale sostanzialmente proporzionale con cui i cittadini possano scegliere direttamente i loro rappresentanti, dando lo spazio istituzionale che meritano ai referendum.
Insomma, il contrario della Capocrazia che sogna Giorgia Meloni, fatta di accentramento di poteri in una persona, senza contrappesi e poteri in grado di impedire la deriva verso un potere pressoché assoluto.
La destra vuole stravolgere la Costituzione, le sinistre, i democratici debbono attuarla e difenderla. Teniamoci cara la nostra Costituzione, errori passati vanno corretti, è il momento della svolta a favore della Costituzione, che deve essere base ed ispirazione per una coalizione politica e sociale alternativa.
Facciamola vivere usandola per alleviare difficoltà e sofferenze dei cittadini, come prevede l’articolo 3 (E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli, ecc.) offrendo una proposta di un futuro migliore.
*( Alfiero Grandi- Fonte: Striscia rossa)
03 – Federico Losurdo *: LA DESTRA AVANZA. IN EUROPA, CERTO. MA NON SOLO. LE PROSSIME ELEZIONI PRESIDENZIALI E POLITICHE NEGLI USA SARANNO UN ALTRO TEST IMPORTANTE, DA CUI POTREBBE DERIVARE UN’ULTERIORE SPINTA IN AVANTI PER LA COMPOSITA AREA DELLA DESTRA INTERNAZIONALE.
Ma di quale destra stiamo parlando? L’attenzione degli osservatori si è legittimamente concentrata – in occasione delle elezioni per il Parlamento europeo, delle successive politiche francesi, delle regionali tedesche e per ultimo delle votazioni per il Nationalrat austriaco – sulle formazioni che per comodità e pigrizia intellettuale si è soliti di volta in volta denominare “sovraniste”, “populiste”, “radicali”. Come in precedenti circostanze, anche in questo caso la maggior parte degli osservatori mainstream è passata dall’allarme per “l’ondata nera” annunciata dai sondaggi, al sollievo, successivo al voto, perché l’avanzata elettorale delle diverse formazioni di destra non ha travolto gli equilibri politici di fondo, scongiurandone l’ingresso nell’area di governo. Come avvenuto in precedenza, anche questa volta il problema rischia in questo modo di essere archiviato. In attesa di riscoprirlo alla prossima occasione.
A noi pare invece che sia necessario mantenere costante l’attenzione e soprattutto non perdere di vista la continuità del processo di spostamento a destra dell’asse politico e culturale, che data ormai da diversi decenni e di cui gli ultimi successi elettorali non sono che l’ennesimo segnale. Senza sottovalutarne contemporaneamente la spettacolare accelerazione, avvenuta a partire dal 2017-2018. Fino a quel periodo in effetti quasi in tutti i paesi dell’Europa occidentale la presenza di queste formazioni era nulla o del tutto trascurabile. Solo osservando il fenomeno nel suo insieme, dunque, è possibile apprezzarne la complessità e lo sviluppo diacronico. Oltreché, naturalmente, comprenderne i punti di forza e le contraddizioni.
Questo numero di Fuoricollana si propone perciò, ovviamente, una sorta di fenomenologia della destra, attraverso una ricognizione delle caratteristiche e delle dinamiche politiche e culturali nei contesti nazionali più importanti (Mario Barbi per la Germania, Anna Maria Lecis Cocco Ortu, per la Francia, Domenico Cerabona Ferrari per UK). Il tutto sempre con un’attenzione particolare a cogliere i nessi esistenti tra l’estendersi dell’influenza politica delle destre e i cambiamenti del sistema istituzionale. Questo rapporto è al centro in particolare del contributo di Claudio De Fiores, che prende in esame le riforme istituzionali del governo Meloni e l’ideologia costituzionale delle destre, fatalmente attratte dai modelli presidenzialistici come risposta regressiva alla crisi di rappresentanza della governabilità neoliberale.
Assieme a questa attenzione all’evoluzione delle destre è però nostro intento esaminare le ragioni che hanno favorito l’estensione della loro influenza elettorale. E tra queste la più rilevante è certamente rappresentata dall’atteggiamento dei partiti della destra conservatrice e del centro, che hanno nel corso del tempo assunto in modo sempre più marcato l’agenda politica della destra radicale, nell’illusione di poterne riassorbire e normalizzare le spinte. Gli esempi sono in questo senso numerosi. Tra questi il più importante riguarda il tema delle politiche migratorie e di sicurezza. La legge Darmanin sull’immigrazione ne è forse l’episodio più eclatante e ha rappresentato una sorta di anticipazione, sul piano delle policy, della convergenza tra centro macroniano e destra lepenista. La quale non a caso si è intestata l’ispirazione ideologica del provvedimento. Analogo discorso si potrebbe fare, peraltro, per l’Italia e la Danimarca, con l’aggravante in questo caso che i protagonisti di questa emulazione sono stati partiti socialdemocratici e di centro sinistra.
Sta di fatto che questa deriva ha prodotto risultati opposti a quelli sperati: anziché sottrarre consensi alla destra radicale, l’assunzione della sua agenda politica e delle sue parole d’ordine ha prodotto una normalizzazione a livello di senso comune diffuso delle sue dottrine. Sul piano elettorale tutto ciò si è tradotto in un’ulteriore crescita delle destre, che infatti sono riuscite a svuotare elettoralmente i partiti di centro. Quello che oggi viene spesso superficialmente presentato come un cedimento del cordone sanitario dei liberali e dei conservatori nei confronti della destra estrema, è in realtà il prodotto di un’omologazione culturale e politica a cui è seguita una sorta di osmosi nell’insediamento sociale ed elettorale. Noi italiani, in questo senso, siamo stati dei precursori del fenomeno. Che ha visto una forza di dichiarata ispirazione liberale (FI) – ma in realtà con tratti marcatamente populisti, autoritari e di destra – farsi mallevatrice della creazione di un’area culturalmente omogenea, fortemente ispirata ai valori del neoliberismo, del primato dell’impresa, della spoliticizzazione e della verticalizzazione plebiscitaria. Preparata, quest’ultima, dalla marginalizzazione delle istituzioni della partecipazione democratica e della rappresentanza parlamentare. Ciò spiega molto meglio dell’assenza di scrupoli morali e dell’abilità manovriera della Meloni la disinvoltura con cui il governo a trazione Fratelli d’Italia ha fatto propria l’agenda Draghi e le compatibilità delle regole finanziarie europee.
Altrove, invece, questo processo è passato attraverso una crescita del protagonismo della destra radicale, o addirittura attraverso la radicalizzazione in senso autoritario di formazioni originariamente liberal-conservatrici (è il caso di Fidesz in Ungheria). Sta di fatto che ovunque ciò è avvenuto (in questa casistica va incluso il governo Netanyahu), si è accompagnato ad un tentativo di mutamento degli equilibri istituzionali inteso a accentuare la verticalizzazione della catena di comando e a indebolire le istituzioni di garanzia.
Vi è però un ultimo aspetto di questa complessa dinamica che non deve essere dimenticato. Esso riguarda l’effetto che le politiche neoliberali hanno prodotto soprattutto sugli strati sociali più deboli ed esposti alle conseguenze negative della globalizzazione capitalistica e delle politiche mercantilistiche dell’Europa dell’ortodossia ordoliberale. I cui esiti distruttivi della coesione sociale sono un potenziale amplificatore della miscela di liberismo nazionalistico, corporativismo, tradizionalismo valoriale che Donato Caporalini analizza nella sua riflessione sul libro di J.D. Vance. A ciò vanno aggiunte le assurde e controproducenti posizioni relative alla guerra in Ucraina. I cui effetti in termini di ridislocazione dell’elettorato sono stati ben visibili nel caso della Sassonia, della Turingia ma anche in Brandeburgo. Ma mentre l’elettorato mostra – anche con il voto a favore di una parte della destra – la propria crescente contrarietà verso le posizioni atlantiste e belliciste, il Piano Draghi vorrebbe addirittura mettere al centro del rilancio della svigorita economia europea l’investimento negli armamenti. Omettendo, come giustamente rileva Vicenzo Comito nel suo contributo, qualsiasi assunzione autocritica di responsabilità per il declino europeo avvenuto mentre egli ricopriva le più alte cariche finanziarie e politiche in Europa.
Resta semmai da approfondire la ricerca attorno alla capacità delle parole d’ordine della destra di interpretare il malessere e il senso di frustrazione degli strati popolari, molto più di ciò che riescano a fare le formazioni che si dichiarano di sinistra. Una risposta radicale a questo tema viene dal contributo di Alessandro Volpi, che dietro alla gara elettorale tra Harris e Trump legge la rivalità di due fazioni del capitalismo finanziario e non una vera alternativa politica tra destra e sinistra. Un altro contributo lo si può trovare nella lezione d’autore di Carlo Galli, che invece vede nell’approccio all’attività di governo di FdI un ibrido di successo, per ora, tra l’individualismo privatistico e il micro-corporativismo di ascendenza neoliberista, ormai assimilati dal partito di Meloni, e una gestione plebiscitaria, ideologica, polemica e repressiva della crisi economica e sociale.
Riferendosi a Trump, Nancy Pelosi lo definì qualche mese fa «la creatura che si è insinuata nella Casa Bianca». Non è così. Trump e la destra, che si sta agglutinando in Occidente con materiali di diversa origine, non sono degli alieni; sono piuttosto il prodotto della crisi di questa società, della sua democrazia e del tradimento delle promesse di giustizia e di pace. Una situazione, come scrive Fabio Frosini nel suo contributo, che fa emergere nella reazione dei ceti popolari alla minaccia rivolta contro il loro presente e il loro futuro, significative analogie con il contesto che si produsse dopo la Grande guerra; anche allora una crisi sistemica indice di uno spostamento a livello mondiale dell’egemonia.
Abbiamo cercato di scavare dentro il ventre che sta partorendo questa nuova realtà. Ma è un compito, ne siamo certi, che richiede ulteriori sforzi. Cercheremo di esserne all’altezza, certi della sua imprescindibilità.
*(Fonte: Fuori Collana, Federico Losurdo, Ricercatore a tempo determinato di Istituzioni di diritto pubblico presso l’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo)
04 – La Marca (PD) PRESENTA IN SENATO IL LIBRO “NARRARSI ALTROVE” – LUNEDÌ 7 OTTOBRE, LA SENATRICE LA MARCA HA OSPITATO NELLA SALA ISMA DEL SENATO LA PRESENTAZIONE DEL VOLUME “NARRARSI ALTROVE – VIAGGIO TRA I CIMELI E I LUOGHI DELL’ANIMA” DELLA SCRITTRICE ITALO-CANADESE, ANNA CIARDULLO VILLAPIANA, CON LA COLLABORAZIONE DEL PROF. GABRIEL NICCOLI E DELLA PROF.SSA STELLA PAOLA.
Alla presentazione, oltre al Prof. Niccoli collegato da remoto, hanno partecipato anche la Prof.ssa dell’Università della Calabria, Margherita Ganeri, e il Professore e scrittore, Silvio Raffo. La Dott.ssa Giulia Melchiorri ha moderato l’iniziativa.
Gli interventi dei relatori si sono alternati con le letture dell’Attore Giuseppe Dipasquale e della Dott.ssa Stella Paola, che hanno letto alcune poesie in italiano e in inglese tratte da “Narrarsi Altrove”. Il volume è una raccolta di racconti e poesie che ruotano intorno ad alcuni oggetti personali, cari alle persone intervistate, che danno il via ad un viaggio nella memoria.
La Sen. La Marca, di fronte ad una sala piena, è intervenuta per presentare il libro “Narrarsi Altrove – Viaggio tra i cimeli e i luoghi dell’anima” raccontando anche alcuni ricordi personali.
“Sono molto contenta – esordisce la Senatrice – di essere qui con voi questa sera per la presentazione romana di “Narrarsi Altrove”, l’ultimo libro della scrittrice italo-canadese, Anna Ciardullo Villapiana. Come figlia, ma soprattutto nipote, di emigrati italiani in Canada, ho una testimonianza diretta, personale, del significato che certi oggetti, trasportati oltre oceano dal piccolo paese di appartenenza in Madre Patria, abbiano avuto, e hanno tutt’ora, per i nostri anziani, un ruolo chiave nello scatenare la memoria, ingolfando il corpo e la mente di ricordi agrodolci.”
“Il titolo del volume è per me particolarmente evocativo – spiega la Senatrice – poiché soltanto chi ha vissuto sulla propria pelle il fenomeno dell’emigrazione può apprezzare pienamente il significato di “Narrarsi Altrove – Viaggio tra i cimeli e i luoghi dell’anima”. La bellezza del volume per me è anche l’impostazione dei racconti – l’amarezza della prosa che sfocia nella dolcezza della poesia. Si dice che il tempo può essere memoria racchiusa nell’oggetto, dove l’oggetto diviene un contenitore di memoria (storica, sociale, individuale, di una comunità, di un contesto di saperi) e che il compito dell’autore è quello di cercare di interpretare come la memoria possa venire conservata, documentata o attualizzata. “
“Ecco, per quanto mi riguarda – conclude la Senatrice – la scrittrice Ciardullo Villapiana, insieme al prof. Gabriele Niccoli, riescono a fare esattamente questo, riuscendo a preservare la memoria storica, soprattutto per le giovani generazioni, perché come disse Oscar Wilde, “la memoria è il diario che ciascuno di noi porta sempre con sé”.
La presentazione, in conclusione, ha scatenato un confronto sullo stato attuale della lingua italiana e sulla diaspora dei cittadini italiani in Canada e nel mondo.
*(Sen. Francesca La Marca 3ª Commissione – Affari Esteri e Difesa- Electoral College – North and Central America)
05 – Francesco Bilotta*: IN BRASILE TEST ELETTORALE PER IL GOVERNO LULA E IL FRONTE PROGRESSISTA IN CRISI – ELEZIONI AMMINISTRATIVE IN 156 MILIONI ALLE URNE. SOLO 6 GRANDI CITTÀ SU 26 ALLA PORTATA DELLA SINISTRA. E IL PT CHE GUARDA AL CENTRO NON AIUTA. DECISIVO IL VOTO DEI GIOVANI
A due anni dalle elezioni presidenziali che hanno visto la vittoria di Lula da Silva, il Brasile torna alle urne per eleggere i sindaci (prefetti) e i consiglieri dei 5569 municipi del paese. Sono 156 milioni gli elettori chiamati oggi a votare. Un test importante per Lula, a metà del suo mandato, e per i partiti che compongono il suo governo.
QUELLA BRASILIANA è una popolazione giovane da un punto di vista elettorale, il 42% ha meno di 24 anni e il voto è consentito dai 16 anni. In queste settimane comizi, incontri, volantinaggi per le strade hanno animato ogni angolo del paese, ma sono stati i social lo strumento principale di comunicazione, nonostante il blocco di X, ex Twitter, deciso a fine agosto dalla Corte suprema del Brasile.
Gli occhi sono puntati, soprattutto, sui 103 municipi brasiliani che hanno più di 200 mila elettori e dove è previsto un secondo turno se nessun candidato raggiunge la maggioranza assoluta. In questi municipi è concentrato il 39% dell’elettorato totale.
LO STATO DI SAN PAOLO ha 30 municipi che superano i 200 mila votanti, lo stato di Rio ne ha 11 e 8 quello di Minas Gerais. Sono le capitali dei tre stati (San Paolo, Rio de Janeiro e Belo Horizonte) le città più popolose del Brasile e il loro risultato elettorale incide in misura notevole sulla politica nazionale e sugli equilibri tra i partiti. Per i municipi con meno di 200 mila elettori basta una maggioranza semplice per essere eletti. A Brasilia, capitale federale, non è previsto voto municipale, la Costituzione attribuisce al Distretto federale le stesse competenze legislative dei governatori dei 26 stati brasiliani.
Secondo gli ultimi sondaggi, i candidati dei partiti del “grande centro” e della destra estrema sono in testa in 79 dei 103 municipi con più di 200 mila elettori. Per quanto riguarda le capitali dei 26 stati, la vittoria delle forze progressiste si intravede solamente in 6 di esse (San Paolo, Porto Alegre, Fortaleza, Goiania, Natal, Teresina). I principali partiti progressisti (Pt, Psol, Psb, Pdt), nonostante il risultato positivo alle elezioni presidenziali del 2022, non riescono ad allargare i consensi in misura sufficiente a contrastare in tutto il paese le forze conservatrici.
IL PT DI LULA non sembra ancora uscito dalla profonda crisi che lo aveva portato nelle municipali del 2020 a non conquistare nessuna delle 26 capitali, situazione mai verificatasi dopo fine del regime militare. Attualmente sono 183 i municipi governati da prefetti del Pt e solamente 7 di essi hanno più di 200 mila elettori. La perdita di consensi è avvenuta, soprattutto, nelle grandi città e nessun municipio con una popolazione superiore al milione di abitanti vede la presenza di un prefetto del partito di Lula. Dopo le elezioni municipali nel 2012 erano ben 637 i municipi con un prefetto del Pt. Il tracollo che si è registrato a partire dal 2016, anno del golpe parlamentare contro la presidentessa Dilma Rousseff, ha portato alla perdita del 70% dei municipi.
IL GRANDE SPAZIO lasciato dal Pt non è stato occupato dalle altre forze progressiste, ma è diventato terreno di conquista delle forze conservatrici. La strategia di Lula per fronteggiare la crisi di consensi è stata quella di favorire anche in queste elezioni municipali, come è avvenuto nel Congresso, una politica di alleanze tra le forze progressiste e settori del centro moderato. Una visione “pragmatica” che ha come conseguenza una perdita di protagonismi del Pt rispetto alle precedenti campagne elettorali. In molti municipi i candidati centristi sostenuti dal Pt hanno programmi che vanno verso una riduzione delle politiche pubbliche, disinvestimento nel sociale, privatizzazioni, precarizzazione del lavoro, espulsione delle fasce povere dalle città, scarsa attenzione ai temi ambientali.
ANCHE QUESTA CAMPAGNA elettorale è stata contrassegnata da un clima di forte tensione e da numerosi episodi di violenza politica in tutte le aree del paese: omicidi, aggressioni, intimidazioni, pressioni di ogni tipo per orientare il voto
Secondo i dati dell’Osservatorio sulla violenza politica ed elettorale dell’Università di Rio de Janeiro, nei primi nove mesi del 2024 sono stati 455 i casi registrati di violenza politica, con 15 omicidi e 173 aggressioni fisiche nei confronti di candidati prefetti e consiglieri. Con l’approssimarsi della scadenza elettorale gli episodi di violenza sono aumentati, passando dai 68 nel primo trimestre dell’anno ai 155 nel secondo e ai 232 nel terzo. Si tratta di un numero di casi che è superiore ai dati registrati nelle municipali del 2020 e nelle presidenziali del 2022.
In questo clima si disputerà il 27 ottobre il ballottaggio nelle città con più di 200 mila elettori.
*(Fonte: il Manifesto. Francesco Bilotta è avvocato e ricercatore di diritto privato nell’Università degli Studi di Udine.)
06 – Massimo Franchi*: MANOVRA E CERTEZZE: PENSIONATI BANCOMAT – POCO PREVIDENTI FORZA ITALIA SPUNTA L’AUMENTO DELLE «MINIME» PER I SUOI ELETTORI: REGALO A CHI SPESSO HA ELUSO I CONTRIBUTI: ARTIGIANI E COMMERCIANTI. DECINE DI MIGLIAIA DI EURO SUGLI ASSEGNI DI TUTTI GLI ALTRI
NONOSTANTE I PROCLAMI DI SALVINI SULLA CANCELLAZIONE DELLA FORNERO, IL GOVERNO MELONI IN DUE MANOVRE DI BILANCIO HA SEMPRE TAGLIATO SULLE PENSIONI. E NEL PIANO STRUTTURALE DI BILANCIO HA MESSO NERO SU BIANCO LA NECESSITÀ DI ANDARE PERFINO OLTRE LA «FORNERO»: AUMENTARE L’ETÀ PENSIONABILE PER FAR FRONTE ALL’INVECCHIAMENTO GENERALE.
QUANTO ALLA RIVALUTAZIONE degli assegni rispetto all’inflazione solo il drastico calo dell’indice del costo della vita nel 2024 – si prevede un 1% per una spesa che scenderebbe a soli 600 milioni – ha convinto Giorgetti a non tagliare ulteriormente, ma l’effetto trascinamento dei mancati aumenti avrà comunque effetti pesanti negli anni prossimi.
L’unico contentino arriva sotto la spinta di Forza Italia – che difende artigiani e commercianti che spesso hanno eluso di versare i contributi e per questo hanno assegni bassi – e per tenersi buona almeno la Cisl: Giorgetti ha accettato di aumentare l’assegno sociale (le ex pensioni minime) oltre i 621 euro rispetto ai 614,77 di quest’anno, quindi oltre l’1% di inflazione prevista. Anche in questo caso, il costo irrisorio – poche decine di milioni per i circa 2 milioni di pensionati – ha convinto il Mef a venire incontro alle richieste di Tajani.
AI SINDACATI GIORGETTI ha promesso di tornare «alla legge vigente sulla rivalutazione, salvo indicazioni diverse dal parlamento». Una frase che lascia tutto aperto: se serviranno risorse aggiuntive il taglio delle pensioni è lo strumento più semplice e profondo. Anche per questo Spi Cgil mantiene la mobilitazione annunciata per fine mese con lo slogan «Il potere d’acquisto logora chi non ce l’ha». Il cosiddetto «metodo a scaglioni Prodi», in vigore fino al 2011, prevede il 100% di rivalutazione per importi dei trattamenti pensionistici fino a quattro volte il trattamento minimo Inps, poi del 90% per gli assegni tra quattro e cinque volte, del 75% per le fasce superiori. Dunque neanche in questo caso ci sarebbe piena rivalutazione. E rimarrebbe l’effetto trascinamento dei tagli degli ultimi due anni pari a 10 miliardi. Se poi si considera il complesso dei risparmi che si cumulano per le misure già prese, nel decennio 2023-2032 si arriva addirittura a 61 miliardi lordi (36,8 netti), mentre dal 2011 sono ben 30 i miliardi risparmiati dalla Fornero e usati per ripianare il debito pubblico, non certo per le pensioni dei giovani.
Secondo la Cgil i tagli proiettati sull’aspettativa di vita media possono raggiungere cifre elevate: 8.772 euro per un pensionato con 1.732 euro netti.
E NON È FINITA qui. Rimane l’ipotesi di allungare le finestre d’uscita – passando da tre a sei mesi i mesi di attesa per ottenere il primo assegno. Il governo poi dovrà prendere una decisione sulle tre misure previdenziali in scadenza a fine anno: Quota 103, Ape sociale e Opzione donna. Se la progenitrice del flop Quota 100 ormai non interessa quasi a nessuno, le altre due misure sono gli unici strumenti di flessibilità del sistema, sebbene i paletti siano stati stretti all’inverosimile tanto da ridurre di molto le richieste nell’ultimo anno.
*(Massimo Franchi è un giornalista, specializzato sui temi del lavoro e delle pensioni.)
07 – Alex Giuzio*: GIUBILEO, 35 MILIONI DI PERSONE IN ARRIVO. I RESIDENTI RESTANO SENZA CASA – ROMA ATTESE 105 MILIONI DI PRESENZE, PIÙ DEL DOPPIO RISPETTO AL 2023. L’EFFETTO CALMIERE DEL CANONE CONCORDATO NON È IN GRADO DI CONTENERE L’AUMENTO DEGLI AFFITTI IN ATTO
IL GIUBILEO 2025 SARÀ UN EVENTO DI GRANDE RICHIAMO TURISTICO, OLTRE CHE RELIGIOSO. Per l’anno prossimo l’Istat prevede l’arrivo di 35 milioni di persone per 105 milioni di presenze, più del doppio rispetto al 2023. Una massa umana mai vista prima nella capitale, che contribuirà a peggiorare la già grave emergenza abitativa e il sovraffollamento. In assenza di qualsiasi meccanismo di controllo, le prime conseguenze sono già visibili: oggi a Roma trovare un’abitazione in affitto a scopo residenziale è un’impresa difficile, poiché molti proprietari preferiscono destinare gli immobili alle locazioni brevi turistiche e spesso non rinnovano i contratti in scadenza degli inquilini. Per un anno intero, si potrà guadagnare di più con Airbnb.
SECONDO LE STATISTICHE di Immobiliare.it, i prezzi degli affitti a Roma sono aumentati del 12% in 5 anni e di quasi il 20% solo negli ultimi 12 mesi. I rincari incidono soprattutto sulle fasce di popolazione meno abbienti. Il portale indipendente Inside Airbnb, che monitora la nota piattaforma di affitti turistici, conta oltre 34 mila annunci a Roma, di cui circa la metà nel centro storico. Nel 2014 erano 13.500. Ciò significa che negli ultimi 10 anni, oltre 20 mila appartamenti sono stati sottratti al mercato degli affitti per residenti, studenti e lavoratori. Con il grande evento religioso, la situazione non potrà che aggravarsi.
SECONDO IL REPORT «Turistificazione: l’impatto del Giubileo su Roma», realizzato da SoloAffitti e Izi Lab, il numero di notti per affitto breve prenotate a Roma nel 2023 è aumentato del 37,7% rispetto all’anno precedente. I canoni di locazione residenziale nel 2023 sono cresciuti del 13%, meno della media nazionale del 16%, «grazie al largo ricorso ai contratti a canone concordato, favorito da un accordo territoriale siglato nella capitale che funziona bene». Tuttavia, «il Giubileo amplificherà a dismisura il fenomeno dell’affitto breve nella capitale, riducendo l’offerta di locazioni a medio-lungo termine (già ne stiamo cogliendo i primi segnali) e determinando un aumento dei canoni che l’effetto calmiere del canone concordato non sarà in grado di contenere». Non essendo regolamentato a livello nazionale né comunale, il mercato degli affitti brevi è del tutto fuori controllo. Il governo Meloni è intervenuto col decreto 145/2023, entrato in vigore un mese fa, ma la misura si limita a disciplinare le locazioni turistiche, senza imporre alcun tetto massimo.
IL PROVVEDIMENTO introduce solo l’obbligo di un codice identificativo per tutti i proprietari e gestori di strutture turistico-ricettive e di immobili destinati a locazioni brevi per finalità turistiche, che confluiranno in una banca dati nazionale. Inoltre aumenta la cedolare secca al 26% a partire dal secondo immobile destinato agli affitti brevi. «Si tratta di misure utili ma che non risolvono il problema abitativo provocato dalla generale conversione degli immobili alle locazioni turistiche», commenta Maria Luisa Mirabile, portavoce del Gruppo romano regolamentazione affitti brevi (Grorab). «Nemmeno il comune di Roma finora ha fatto nulla di concreto», aggiunge. «Da oltre un anno si sta discutendo sulla riforma del piano regolatore, ma l’approvazione del provvedimento non è stata calendarizzata. Abbiamo registrato un’apertura sul tema, ma chiediamo che si concretizzi in una norma entro la fine dell’anno». Il Giubileo intanto è alle porte e i fenomeni speculativi sono già esplosi.
IL GRORAB ha elaborato il manifesto «Fermare la turistificazione», che chiede alla giunta di adottare un regolamento cittadino sugli affitti brevi. Alla raccolta di firme hanno aderito oltre mille persone. «In base alla legge regionale 8/2022, il comune di Roma avrebbe la possibilità di limitare gli affitti brevi; tuttavia non ha mai usufruito di tale possibilità», spiega Mirabile. «Il nostro manifesto avanza tre richieste principali: introdurre un sistema di licenze, bloccare subito gli affitti brevi nei quartieri già saturi e limitare i giorni per le locazioni turistiche, tra 60 e 90 all’anno». Inoltre c’è il tema delle normative: «Gli adempimenti per destinare un immobile alle locazioni brevi turistiche sono troppo semplici, molto di più rispetto a quelle dei b&b».
*(Alex Giuzio – Giornalista specializzato in temi ambientali, economici e normativi legati alle coste, al mare e al turismo. Ha pubblicato “La linea fragile” èTurismo insostenibile”)
08 – HAITI. 70 PERSONE MASSACRATE DALLE BANDE CRIMINALI (*)
70 PERSONE, COMPRESE 10 DONNE E 3 BAMBINI, SONO STATE TRUCIDATE AD HAITI GIOVEDÌ 3 OTTOBRE. LA STRAGE È AVVENUTA A PONT-SONDÉ, ZONA A NORD DELLA CAPITALE PORT-AU-PRINCE. LA GANG CRIMINALE HA ASSALTATO IL PAESE, SPARANDO E APPICCANDO IL FUOCO A 45 ABITAZIONI E ALMENO 34 VEICOLI.
Decine di residenti sono stati costretti ad abbandonare tutto e ad andare via. Almeno 50 persone sono rimaste ferite, 16 in modo grave.
Gli uomini responsabili del massacro appartengono alla gang di Gran Grif.
“Siamo inorriditi dagli attacchi della gang di giovedì nella città di Pont-Sondé nella regione Artibonite di Haiti”, ha dichiarato il portavoce dell’Ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite, Thameen Al-Kheetan in una dichiarazione.
“I membri della banda Gran Grif hanno usato fucili automatici per sparare alla popolazione, uccidendo almeno 70 persone, tra cui circa 10 donne e tre neonati. Almeno 16 persone sono rimaste gravemente ferite, tra cui due membri di una banda colpiti durante uno scontro a fuoco con la polizia haitiana.
Mentre gli attacchi si svolgevano, i membri della banda avrebbero dato fuoco ad almeno 45 case e 34 veicoli, costringendo un certo numero di residenti a fuggire.
Chiediamo una maggiore assistenza finanziaria e logistica internazionale alla Missione Multinazionale di Supporto alla Sicurezza (MSS) ad Haiti. È fondamentale che le autorità svolgano un’indagine tempestiva e approfondita su questo attacco, ritengano i responsabili e garantiscano riparazioni per le vittime e le loro famiglie.
*(di redazione | 4 Ott 2024 | America Latina, Mappamondo)
09 – Fabio Frosini*: L FASCISMO NON È MAI MORTO? LE COSE E LE PAROLE, IN UN RECENTE PAMPHLET, LUCIANO CANFORA SOSTIENE CHE IL FASCISMO È ANCORA VIVO. PER SOSTENERE QUESTA TESI CONDUCE IL LETTORE IN UN GRAN NUMERO DI GIRAVOLTE STORICO-GEOGRAFICHE. PIÙ PROFICUA PER CAPIRE LA SITUAZIONE ODIERNA, È LA CATEGORIA DI “RIVOLUZIONE PASSIVA”.
MOLTI ELEMENTI CHE SEGUIRONO LA CRISI ALLA FINE DELLA GRANDE GUERRA RICORRONO ANCHE OGGI, ALTRI SONO ASSAI DIFFERENTI.
IL “FASCISMO” È ALL’ORDINE DEL GIORNO? Dobbiamo temere il ritorno o l’avvento di regimi definibili come “fascisti”? Una domanda alla quale si può tentare di rispondere solo fornendosi di una definizione di “fascismo” e, su questa base, conducendo un’analisi dei processi in corso nel mondo, in una prospettiva storica sufficientemente ampia. Insomma, tutto il contrario o comunque qualcosa di molto diverso da ciò che si legge e si ascolta spesso in discorsi che in maniere più o meno affannate ed esagitate lanciano allarmi e definiscono “fascista” il proprio avversario. Anche George W. Bush presentava Al-Qaeda come «islamo-fascismo» (F. Finchelstein, From Fascism to Populism in History, University of California Press, 2017, p. 7) e da qui a definire l’avversario non solo come fascista, ma come il “Male Assoluto”, il passo è breve.
PENSIERO CRITICO VERSUS “MALE ASSOLUTO”
Dato che la storia ci insegna, ma non apprendiamo, i politici hanno sempre buon gioco nell’utilizzare questa carta, quando si tratta di giustificare in qualche modo una decisione discutibile. Benedetto Croce aveva esposto, con un cinismo non privo di arguzia, questo meccanismo nei suoi Elementi di politica del 1925. Del resto, come annotò poi Gramsci, Croce aveva tratto questa idea – distorcendola e impoverendola non poco – proprio dal concetto marxista di ideologia. Così, il “Male Assoluto”, l’“asse del Bene” e quello “del Male”, tornano periodicamente a manifestarsi, e spesso le due parti si definiscono reciprocamente come tali. Il pensiero critico dovrebbe però possedere strumenti sufficienti per mettere a nudo la fallacia del procedimento.
IL FASCISMO ETERNO DI UMBERTO ECO
Ma il fascismo, si dirà, non gode dello statuto metastorico del “Male Assoluto”. Dipende. Nel 1995 Umberto Eco parlò di Fascismo eterno, ovvero di quel fascismo-struttura o invariante, sottostante a tutti i possibili fascismi storici, che, mettendo o togliendo qualche caratteristica, dà luogo a ogni e ciascuno di essi. Eco identificò inoltre il sostrato storico (il “supporto” reale) di questa invariante in quel «modo di pensare e di sentire», in quella «serie di abitudini culturali», in quella «nebulosa di istinti oscuri e di insondabili pulsioni» che rimangono identiche nel variare di ideologie, regimi, culture. È come se si utilizzasse la longue durée per fare analisi della congiuntura. Data la sproporzione, l’invarianza trionfa sempre: togli un pezzo di qua, aggiungilo di là, il fascismo tornerà sempre a mostrare il suo volto, o meglio il suo non-volto, l’Ur-struttura invincibile.
LA “NON MORTE” DEL FASCISMO DI CANFORA. DOV’È IL NOCCIOLO?
Così, in un libriccino da poco uscito, che nel titolo riprende quello della conferenza di Eco (che viene ricordata), Il fascismo non è mai morto (Bari, Dedalo, 2024), Luciano Canfora ripete a suo modo questa tesi. A suo modo: mentre Eco argomenta come un illuminista, con chiarezza e gusto delle distinzioni, Canfora conduce il lettore in un gran numero di giravolte storiche e geografiche, di cui si fatica (almeno, chi scrive ha faticato) a intendere il significato. Da una parte si afferma che il «“nòcciolo” del fascismo può ritenersi, al di là di altri caratteri contingenti, il suprematismo razzistico, in quanto punto terminale della costante esaltazione della propria nazione avvertita come comunità “naturale”» (p. 13), ma dall’altra si riconduce a questa categoria di fascismo il peronismo (pp. 30-31), che francamente di razzista ebbe poco. Da una parte si afferma l’unità del concetto di fascismo (al di sotto dell’«incessante movimento storico» che spinge a variare «le parole e le ricette», p. 37), ma dall’altra si distinguono tre fasi diverse del fascismo italiano – il diciannovismo, la presa del potere nel 1922-1926 e la fase totalitaria successiva. A che scopo questa distinzione? per mostrare che il fascismo-movimento non è diverso dal fascismo-regime? il repubblicano dal monarchico e filo-cattolico? O per sbattere in faccia a Meloni, come si allude nelle appendici, la natura di sinistra di un certo fascismo? Qui starebbe la sua “non morte”? E cosa ha tutto ciò a che fare col razzismo e il suprematismo come tratto di fondo, invariabile, se il fascismo repubblicano e anche quello degli anni Venti di razzismo ne esibisce molto poco, e comunque non più di quello abituale nelle società europee dell’epoca?
Più avanti, si ricorda che Mussolini era molto stimato e amato dalle classi dirigenti inglese, francese e statunitense, e si motiva ciò col fatto che il fascismo aveva salvato l’Europa dal bolscevismo. Verissimo. Ma poi si ricorda che anche Gandhi e Bose simpatizzarono per Mussolini e si motiva tutto ciò con «l’ambiguità», «un carattere strutturale del fascismo» (p. 53), capace di offrire prospettive a destra e a sinistra, dimenticando che il filo di connessione degli indiani con Mussolini era l’avversione all’Inghilterra e l’acceso nazionalismo. Altri capitoli sono polemiche di natura giornalistica (la strage di Bologna, la svolta di Fiuggi) e li possiamo saltare.
Alla fine, una definizione complessiva: «Il fascismo ebbe (e pretende tuttora di avere) come obiettivo dichiarato una politica sociale-nazionale: non aliena – all’occorrenza – da comportamenti facenti leva su di un diffuso e tenace “razzismo istintuale e profondo”. Ha un orizzonte soprattutto nazionale e fa affidamento sui ceti medi» (p. 76). Il tratto invariante del razzismo suprematista bianco l’abbiamo perso per strada: s’è convertito in un accessorio da usare «all’occorrenza». Mentre al centro è scivolato il social-nazionalismo: una caratteristica, si badi, comune a molte altre ideologie oltre al fascismo e al nazismo, dal socialismo ottocentesco di un Pascoli (colonialista, anche: “la grande proletaria”) al laburismo australiano degli anni Venti.
L’IDENTITÀ DEL FASCISMO ITALIANA, PRESA SUL SERIO
A proposito di razzismo e social-nazionalismo: in un articolo pubblicato su «Gerarchia» (la rivista ufficiale del fascismo-regime) da Camillo Pellizzi nel settembre 1930, si criticava «la gelosia di razza: fenomeno barbarico, nordico, per fortuna ignoto agli italiani, i quali sanno di rappresentare una cultura, una storia, una civiltà, ma non certo una razza». E si aggiungeva: «E altre volte, forse più spesso, è un cosiddetto socialismo, o laburismo, che si concreta nella difesa a oltranza, anche contro le stesse ragioni dell’economia, degli interessi immediati di una popolazione operaia ristretta in rapporto alle possibilità di produzione che potrebbero venire sfruttate in un dato paese, e che pertanto beneficia di salari sproporzionati. Caso tipico è quello dell’Australia…». Ma, si dirà, Pellizzi era un frondista, e comunque nel 1938 si emaneranno le leggi razziali. Ciò appunto rende necessaria un’analisi storica ben più approfondita e una differenziazione all’interno di ciascuna delle tre “fasi” distinte da Canfora, e una riflessione sul senso del loro succedersi. A meno che non si ragioni come Eco, per il quale c’è un fascismo eterno.
Ma parliamo di social-nazionalismo, ideologia e pratica, ho ricordato, di non esclusivo appannaggio del fascismo. In che cosa il social-nazionalismo fascista si distingue da altri tipi di social-nazionalismo? Canfora sfiora solamente il tema in un paio di passaggi, senza cogliere il punto: si tratta del corporativismo, elemento derivante dalla fusione con il nazionalismo. L’orizzonte nazionalistico e corporativistico, unito all’idea di un’unità organica del popolo, della gerarchia e dello Stato forte, ma anche alla cultura futurista, pragmatista e volontarista e al peculiare populismo del sindacalismo rivoluzionario: l’insieme di tutto ciò costituisce l’identità del fascismo italiano. E si potrebbe facilmente mostrare come tale mescolanza, a suo modo unica perché creatasi nel contesto di una storia nazionale particolare, nel processo di irradiazione internazionale del fascismo si tradusse nell’accentuazione di una o altra componente a scapito delle restanti, anche in questo caso in base ai contesti nazionali di arrivo.
E OGGI? RIPRENDERE LA GRAMSCIANA “RIVOLUZIONE PASSIVA”
Riprendiamo il tema iniziale: è il “fascismo”, così definito, all’ordine del giorno? Dipende. Molti elementi che caratterizzarono la crisi seguita alla fine della Grande guerra ricorrono anche oggi, mentre altri sono assai differenti. Assistiamo oggi a una formidabile crisi della democrazia e del liberalismo (che non sono la stessa cosa), alla crescita in tutto l’Occidente di modelli di democrazia autoritaria, di populismo antidemocratico, di nazionalismo a sfondo razzista. Ma tutto ciò va letto storicamente e politicamente, non come il riemergere di un torbido insieme di nuclei valoriali di base che non vengono mai estinti, ma in quanto mette a nudo un’analogia di reazioni da parte di ceti popolari, minacciati nel loro presente e nel loro futuro, a una crisi sistemica che, analogamente a quella del secolo scorso, segnala uno spostamento a livello mondiale dell’egemonia.
Dovremmo chiederci, per fare qualche passo in avanti, se il cosiddetto “neo-liberismo”, cioè un neo conservatorismo feroce e privo di qualsiasi immagine di futuro, sia mai stato un modello egemonico o al contrario la manifestazione iniziale di quella crisi sistemica; se la parola “democrazia” abbia un solo significato, e se quando parliamo di “democrazia autoritaria” non stiamo semplicemente dicendo che, dopo la morte della democrazia liberale che abbiamo conosciuto, abbiamo oggi davanti agli occhi una democrazia oligarchica in Europa e USA, e uno o più modelli alternativi di democrazia totalitaria in altre parti del mondo.
Gramsci scrisse che il fascismo italiano rappresentava un modello internazionale di reazione creativa a quella crisi, una reazione che, al di là delle apparenze, ha fruttificato nella seconda metà del secolo e per certi aspetti persiste ancora oggi (soprattutto in ciò che ha a che fare con la gestione della popolazione).
Si tratterebbe allora di capire qual è oggi questo modello di reazione creativa, se esiste, e come funziona; come elabora i lineamenti di una nuova “rivoluzione passiva”. Questo ci aiuterebbe a intravvedere la seconda metà di questo secolo, molto più della condanna di qualcosa che, sì, nella sua configurazione complessiva è morto qualche decennio fa.
*(Fabio Frosini è professore associato di Storia della filosofia all’Università di Urbino, dove tiene gli insegnamenti di Storia della filosofia moderna)
10 – Davide Matrone *: AMERICA LATINA. DAL FORO DI SAO PAULO L’UNITÀ DELLE SINISTRE. URUGUAY IL PRIMO BANCO DI PROVA
DAL 27 AL 29 GIUGNO DEL 2024 NELLA CAPITALE HONDUREGNA DI TEGUCIGALPA SI È REALIZZATO IL XXVII FORO DI SAO PAULO CHE HA AGGRUPPATO I PARTITI DELLA SINISTRA DI 27 PAESI DELL’AMERICA LATINA.
I partecipanti si sono uniti sotto il richiamo all’unità delle sinistre latinoamericane per fronteggiare le grandi sfide del pianeta come: la migrazione, la crisi climatica ed energetica, la violenza, la disuguaglianza e l’avanzare dei neofascismi in tutto il mondo. Il nemico da contrastare, a partire dalle prossime elezioni continentali sono: il paradigma di sviluppo neoliberista e i neofascismi che avanzano in Europa ma anche nel continente americano. La condizione sine qua non per il raggiungimento di questi successi è costruire la più ampia unità nella diversità dei partiti e dei movimenti rivoluzionari di sinistra e progressisti, dei movimenti sociali e popolari, dell’intellettualità progressista e di sinistra all’interno di ogni organizzazione, territorio e paese del continente, così come viene sancito nel punto 27 della dichiarazione finale del XXVII Foro di Sao Paolo del 29 giugno 2024.
L’UNITÀ DELLA SINISTRA IN URUGUAY PER BATTERE LA DESTRA E IL NEOLIBERISMO
Il documento finale del Foro di Sao Paulo, ratificato dal Gruppo Puebla, dall’Internazionale Progressista e dalla CELAC Sociale tra gli altri, ha generato un dibattito politico all’interno della sinistra e dei movimenti sociali del continente con l’obiettivo di tradurlo nella pratica a partire dalle prossime sfide elettorali. Il primo banco di prova è rappresentato dalle elezioni presidenziali e parlamentarie dell’Uruguay il prossimo 27 ottobre. Tuttavia, secondo il giornalista Daniel Gatti del settimanale La Brecha di Montevideo contattato da Pagine Esteri, ha dichiarato che il Foro di Sao Paulo dello scorso giugno – in quest’occasione – non ha avuto una grande influenza nel processo unitario della sinistra in Uruguay. Inoltre, non vede purtroppo una grande mobilitazione e pressione della società civile verso il Frente Amplio che si è spostato verso il centro e che addirittura ha smobilitato e frammentato la stessa società civile uruguagliana, ha avvertito il giornalista uruguagliano.
Nonostante tutto, il Frente Amplio è riuscito ad unire 18 soggetti politici che rappresentano gran parte della sinistra del paese che va dai riformisti e progressisti dell’Assemblea Uruguay, Alianza Progresista, Partido Socialista, Nuevo Espacio, Vertiente Artiguista e Partido Demócrata Cristiano al socialismo libertario, cristiano e ambientalista del IR, Agrupación Brazo Libertador e infine alla sinistra comunista, marxista e trotskista del Partido Comunista, la izquierda del Partido Socialista, Partido Obrero Revolucionario e il Movimiento de Participación Popular. Quest’ultimo, fondato da ex guerriglieri del Movimento di Liberazione Nazionale – Tupamaros, il cui leader è Pepe Mujica (ex presidente dell’Uruguay) è oggi la componente maggioritaria del Frente. Conta con 24 dei 42 rappresentanti alla Camera e 5 senatori su 13 presenti oggi nel Senato della Repubblica. Tuttavia, sempre secondo Daniel Gatti, oggi nel Frente Amplio le componenti radicali non hanno maggior peso rispetto a quelle riformiste che mirano al centro del panorama político dell’Uruguay. Quantunque ci sia questo accentramento del Frente Amplio, bisogna dire che continua ad avere un buon dialogo coi sindacati che oggi rappresentano un soggetto sociale e politico che in un certo qual senso pressiona il Frente Amplio su temi del mondo del lavoro.
IL REFERENDUM PROMOSSO DAI SINDACATI CONTRO LA RIFORMA DELLE PENSIONI E DEL LAVORO.
Il 27 ottobre non solo si voterà per eleggere il nuovo Parlamento e il neo Presidente della Repubblica. C’è in gioco anche un importante Referendum Popolare Abrogativo promosso dalle sigle sindacali del PIT – CNT che pretendono di sostituire l’articolo 67 della Costituzione della Repubblica per una nuova versione. La Corte Elettorale dell’Uruguay ha infatti accolto le 276.171 mila firme, pari al 10% della lista elettorale per dare luce verde al plebiscito popolare. Questo referendum è stato indetto dalla Centrale Sindacale Unica dell’Uruguay che include El Plenario Intersindical de Trabajadores – Convención Nacional de Trabajadores, contro la Riforma del Governo sulle Pensioni che aveva innalzato l’età pensionabile dai 60 ai 65 anni e che aveva anche esteso i fondi pensioni a tutti i nuovi lavoratori che entravano al mercato lavorativo.
Fino alla nuova riforma, il sistema previdenziale uruguaiano consentiva che il 15% del salario del lavoratore contribuisse al sistema pensionistico, il 7,5% andasse al BPS (Banca della Previdenza Sociale) e il 7,5% alle AFAP (Amministratrici dei fondi di risparmio previdenziali). Invece con la riforma, già in vigore dallo scorso aprile del 2023, son cambiate le percentuali in questo senso: il 10% va al BPS e solo il 5% alle AFAP. Inoltre, è stato modificato il calcolo pensionistico basato solo sugli ultimi migliori 20 anni salariali e non su tutti. Una serie di riforme chiaramente neoliberiste che hanno attivato le opposizioni nel Parlamento con il Frente Amplio e nelle piazze coi sindacati del PIT – CNT che da allora hanno convocato una serie di mobilitazioni come l’ultima lo scorso 24 settembre che ha bloccato l’intera capitale. Il Referendum dei sindacati ha aiutato ad incrementare il malcontento contro il governo di Lacalle Pou indirizzando i voti verso il centro – sinistra che molto probabilmente ritornerà a guidare il paese.
I SONDAGGI ELETTORALI E LA PROBABILE VITTORIA DEL FRENTE AMPLIO
Il Frente Amplio, in queste elezioni ha serie possibilità di riconquistare la Presidenza della Repubblica dopo i 5 anni di governo della destra. Oggi i candidati Yamandú Orsi e Carolina Cosse potrebbero essere i neo – governatori del paese però solo dopo il ballottaggio. Secondo i risultati di queste due ultime settimane, dei principali Istituti di Sondaggi elettorali dell’Uruguay come Equipos, Cifra, Factum, Opción y Radar il candidato Orsi del Frente Amplio guida con un 44%, mentre il candidato Delgado del Partido Nacional di Lacalle Pou si attesta al 24%, al terzo posto il candidato Ojeda del Partido Colorado con il 14% e via gli altri. C’è al momento un 13% di elettori ancora indecisi che potrebbero, a questo punto, decidere quale sia il candidato che sfiderà Orsi al ballottaggio. Un dato sembra certo, a 20 giorni dalle elezioni la probabile coalizione tra Partido Nacional e Partido Colorado e gli altri due partiti minori della destra raccoglierebbero un 41% dei consensi contro il 44% del FA.
Analizzando il trend si osserva una stabilità nell’intenzione di voto per il Frente Amplio che oggi è al 44%, invece il Partido Nacional registra un – 9% dal mese di giugno ad oggi, mentre infine si registra un incremento del + 8% del Partido Colorado dal mese di febbraio ad oggi. L’elettorato di destra non premia la gestione del Presidente in carica e quindi del suo partito (Partido Nacional) spostando i voti verso il partito della destra moderata (Partido Colorado). L’ultimo dato che emerge dagli ultimi sondaggi è un lieve aumento del partito degli indecisi che vede un trend positivo +2%.
Un altro elemento da verificare è quello relativo alla nuova conformazione del Senato della Repubblica dell’Uruguay che vedrebbe 47 senatori per il Frente Amplio, 27 senatori per il Partido Nacional, 15 senatori per il Partido Colorado, 5 senatori per il partito Cabildo Abierto, 2 senatori per il Partido Independiente (alleato del Frente Amplio) e 4 senatori indipendenti. Secondo la legge elettorale uruguagliana, che applica il famoso Sistema D’Hondt per l’assegnazione dei seggi, il Frente Amplio con questi voti e con questa dispersione di voti, potrebbe addirittura conquistare la maggioranza assoluta nel parlamento che gli garantirebbe di governare con stabilità per i prossimi 5 anni. Pagine Esteri
*(Davide Matrone. Universidad Politécnica Salesiana de Quito. Sociología de la comunicaciónTeoría Politica)
11 – Gianluca Schinaia*: JEREMY RIFKIN VUOLE RIBATTEZZARE LA TERRA. E RISCRIVERE LA STORIA DELL’UOMO – L’AUTORE AMERICANO, ATTRAVERSO IL SUO ULTIMO LIBRO PIANETA ACQUA, DISEGNA PASSATO, PRESENTE E FUTURO DELL’UMANITÀ NELL’OTTICA DELL’IDROSFERA. E PARLA DI METAVERSO, FILOSOFIA, GEN-Z E TRANSIZIONE ECOLOGICA IN QUESTO COLLOQUIO ESCLUSIVO CON WIRED
Viviamo su un pianeta chiamato Terra, che è composto per due terzi d’acqua: per l’economista Jeremy Rifkin, già solo questa incomprensione sulla nostra identità rivela un grande caos sulla nostra direzione come specie dominante. Per citare il rapper Salmo, “dove cazzo vai se non sai dove vieni” (1984). Per questo, ribattezzare il pianeta con un nuovo nome può essere un primo passo per raccontare una storia diversa dell’umanità? Insomma, può aiutare a salvarci da una corsa chiamata progresso che ci sta portando all’autodistruzione?
Da questa proposta forte e chiara inizia l’ultimo libro di Jeremy Rifkin, intitolato appunto Pianeta Acqua. Wired lo ha intervistato all’interno del Wired Next Fest 2024 di Rovereto. Partiamo da un parallelo azzardato con il linguaggio del marketing: l’autore americano propone un rebranding del Pianeta? Alla fine, il target principale di chi ha il potere di cambiare le carte in tavola nella sfida del cambiamento climatico sono dirigenti e Ceo aziendali, e i business men conoscono l’importanza di ridisegnare l’identità del marchio di un’azienda quando si definisce una nuova mission. “Ben detto”, risponde lui, “spiega parte della filosofia che ho cercato di portare con questo libro: presentare una narrazione diversa che sia uno schema di comprensione di ciò che siamo”.
Per quasi due ore, Rifkin parla in collegamento dal suo ufficio di Washington, dopo essere intervenuto anche all’interno del festival in Trentino da remoto, di diverse sfumature che riguardano le nuove sfide dell’umanità. Citando tecnici, scienziati, filosofi, poeti. E offrendo visioni alternative. Schopenhauer? Non certo un pessimista. Platone? Ha messo l’umanità sulla strada sbagliata. L’AI? Non manterrà ciò che promette (ha bisogno di troppa acqua). E i petrolieri? Sanno che la (loro) festa è finita. Pianeta Acqua, da cui parte questa conversazione sul futuro dell’umanità, è il suo libro numero 24 (gli altri sono stati tradotti complessivamente in 35 lingue) in oltre mezzo secolo di attività. Oltre alle diverse attività autoriali e accademiche, oggi Rifkin è uno dei principali architetti dei piani economici dell’Unione europea e della Cina per la transizione green e ha svolto il ruolo di consigliere del leader della maggioranza democratica al Senato degli Stati Uniti. Ecco cosa ha raccontato in esclusiva a Wired Italia.
UN NUOVO PARADIGMA, A PARTIRE DALL’ACQUA
“Questo libro si è scritto da solo: dopo cinquant’anni di attività, ho cominciato a realizzare che in Occidente abbiamo sbagliato tutto”. Rifkin comincia così ad introdurre il motivo per cui ha scritto Pianeta Acqua. Parte dal libro della Genesi nella Bibbia, citando l’incipit: in principio c’era il ‘profondo’, ovvero le acque. Solo dopo apparse Dio che separò la luce dal buio e l’acqua dalla terra. Le acque, insomma, preesistevano perfino a Dio. Come l’autore americano scrive nel suo libro, questa preesistenza compare anche nel racconto della creazione della civiltà babilonese e in altre versioni religiose della creazione in tutto il mondo.
“Un punto importantissimo – racconta -. Ci dà la dimensione dell’importanza dell’acqua per la vita. Solo che nelle religioni occidentali, come racconta la storia di Adamo ed Eva, Dio affida il ‘creato’ all’uomo, come fosse il suo custode ma anche la sua guida. Nelle religioni orientali, l’Uomo è invece parte della Natura, non sovraordinato a lei”. Un tema che ricorre spesso nel dialogo con Rifkin e nella sua ultima opera: il riferimento continuo all’animismo, in contrapposizione alle religioni rivelate: un invito a recuperare quel senso di unità tra diverse entità naturali, di cui l’umanità è solo una componente. Una narrazione diversa, una delle chiavi per salvarci dalla nostra attuale concezione suicida di futuro e scegliere un progresso resiliente. E questo storytelling riparte dall’importanza dell’acqua.
SARÀ LO STORYTELLING A SALVARE IL PIANETA?
Dati e statistiche non sono riusciti a suscitare la reazione globale necessaria a fronteggiare la crisi climatica: forse è il momento di provare con le storie
Rifkin ricorda nel libro che il 24 agosto 2021 l’Agenzia spaziale europea introdusse l’espressione “Planet Aqua”. La Nasa si dichiarò d’accordo, affermando sul proprio sito web che, guardando la nostra Terra dallo spazio, è evidente che viviamo su un pianeta d’acqua. “Il paradosso – riprende nell’intervista – è che oggi la nostra Nazione, gli Usa, è letteralmente sott’acqua: è una crisi di visione riflessa in problemi enormi e concreti. È necessario vedere la Natura come una life source and not a resource (come fonte di vita e non come una risorsa, ndr). Pensiamo ai riflessi sociali di questa crisi, ad esempio sul fatto che la Gen-Z si chiede se valga la pena riprodursi o meno. Noi sappiamo che stiamo andando nella direzione sbagliata: il problema è che stiamo cercando di affrontare la cosa con gli stessi strumenti che hanno creato il problema. Penso all’industrializzazione, al capitalismo in particolare. Per questo, riprendendo il tema del rebranding, abbiamo bisogno di un nuovo playbook”.
Nel linguaggio del business, il playbook è un manuale che descrive le politiche, i flussi di lavoro e le procedure di un’azienda. Qui il riferimento è al futuro della nostra specie sul Pianeta. “Quello che abbiamo fatto in Europa [nel suo lavoro di consulenza alla Commissione, ndr] è partito da questo: dato che il playbook non funziona, non abbiamo un playbook. Dobbiamo cominciare da zero”. E l’autore si riferisce alla governance che usiamo, al sistema economico in cui viviamo, all’approccio a scienza e tecnologia, al modo in cui educhiamo le giovani generazioni. E perfino a come concepiamo ed orientiamo tempo e spazio. Le attuali grandi infrastrutture umane, sia fisiche che organizzative, bloccano lo sviluppo umano in senso assoluto: “La cosa più imbarazzante che ho scoperto è che se prendi un libro di biologia della scuola superiore tutto questo appare chiarissimo”.
LA STORIA UMANA NELL’OTTICA DELL’IDROSFERA
“I ragazzi a scuola non imparano la storia corretta: sono seimila anni che esiste una cultura diversa dello sviluppo umano, basata sull’acqua”. L’idrosfera è l’insieme delle acque presenti sul pianeta nei vari stati di aggregazione: dal sottosuolo alla superficie sino all’atmosfera. Secondo Rifkin, per seimila anni abbiamo canalizzato, privatizzato, sfruttato e avvelenato l’idrosfera: oggi questa si sta ribellando e minaccia di provocare la sesta estinzione di massa sulla Terra. “Come disse di me una mia insegnante a mia madre: ‘Non è il più intelligente, ma si applica: ci prova’. Ecco, per 40 anni ho provato a mettere in contatto punti diversi per dargli una lettura. È il mio proposito con questo libro: offrire uno scenario completo, una visione composta”.
In Pianeta Acqua, l’autore ripercorre i principali snodi della storia umana nell’ottica del rapporto umano con le risorse idriche. A partire dalla prima società idraulica urbana, che fu fondata dai Sumeri lungo i fiumi Tigri ed Eufrate, in Mesopotamia: dove si riconosce universalmente sia nata la civiltà umana moderna. La necessità di addomesticare i grandi flussi idrici ha richiesto sviluppo di competenze: ci fu bisogno di migliaia di braccianti per costruire canali e dighe, artigiani per allestire edifici e produzione, architetti, ingegneri e contabili per progettare e dirigere. E infine fu inventata la prima forma di scrittura, il cuneiforme, per amministrare il tutto.
Nella stessa ottica, l’autore ci spiega come i cereali abbiano svolto un ruolo cruciale nella formazione dello Stato agricolo, la prima forma complessa di organizzazione politica: “Semplicemente perché i cereali potevano essere conservati, quindi immagazzinati e trasportati rispetto ai tuberi e le radici: peccato che però siano estremamente idrovori, richiedono moltissima acqua”. Questo ed altri aspetti affrontati da Rifkin ridisegnano il rapporto dell’uomo con l’acqua come fondamento del nostro sviluppo: “Pensavo fosse necessario in questo libro condividere questa versione della Storia, per capire cosa abbiamo fatto di sbagliato è cosa dobbiamo fare invece adesso”.
LA RIVINCITA DEGLI UMANISTI SUI TECNOLOGI
Nel libro di Jeremy Rifkin emergono numerosi riferimenti a filosofi e poeti, oltre alle più canoniche citazioni a scienziati e innovatori come nelle sue opere precedenti. Alcuni ricordano gli appelli dello scrittore Amitav Gosh, sull’importanza della letteratura e della filosofia per comunicare il cambiamento climatico: il cambio di narrazione, per rendere più sensibile il problema dei cambiamenti che affronteremo e l’urgenza delle soluzioni da intraprendere. Non solo presentare informazioni, ma raccontare storie diverse per trasmettere messaggi più profondi.
Alla domanda se in qualche modo Rifkin intende spingere la rivincita della sfera umanistica su quella tecnica, dopo che quest’ultima ha plasmato il secolo scorso (con risultati brillanti e terrificanti), l’autore risponde con un sorriso: “Ti racconto un episodio: nel 2018 abbiamo realizzato un documentario sul mio libro The Third industrial Revolution. All’inizio c’era questa lunga frase di Walter Benjamin: ‘Il valore dell’informazione non sopravvive al momento in cui è nuova. Vive solo in quel momento; deve abbandonarsi completamente ad esso e spiegarsi senza perdere tempo. Una storia è diversa. Non si consuma. Conserva e concentra la sua forza ed è in grado di liberarla anche dopo molto tempo.’ Il target del doc erano giovani e non c’era musica, non c’era grafica, durava 1 minuto: così aveva deciso il produttore. Abbiamo pensato: ehi, dopo al massimo 30 secondi ci abbandoneranno. E invece il documentario è stato visto da 8 milioni di persone, di cui la stragrande maggioranza giovani. Sorprende per capire cosa può essere proposto alle nuove generazioni”. Al di fuori della dimensione di un video da 30 secondi su Tik Tok.
Da qui parte il suo ragionamento che critica la direzione data dalla filosofia di Platone alla storia umana. Platone introdusse nella filosofia occidentale il concetto di scissione mente-corpo: si può fare esperienza soltanto mediante il pensiero puro e il ragionamento deduttivo, e non mediante l’esperienza sensoriale. Questo pensiero, secondo Rifkin, ha finito per condizionare il modo in cui generazioni di studiosi e scienziati hanno condotto le loro ricerche. “Abbiamo sentito tutti innumerevoli volte la battuta ‘cerca di non essere così emotivo… Sii più razionale. Fidati della ragione più che dell’esperienza’. Anche Bacone innestò nell’Illuminismo un’idea della Natura come passiva, come oggetto di scienza da cui estrarre segreti. È questo approccio utilitaristico con tutto ciò che ci circonda è quello che ancora oggi guida i nostri avanzamenti scientifici”. Poi arrivò John Locke, che secondo l’autore di Pianeta Acqua ha dato le basi filosofiche al concetto di proprietà privata e nel caso specifico la possibilità di possedere proporzioni di idrosfera. “La sua tesi sulla Natura e il ruolo della proprietà privata fornì la base intellettuale per lo sviluppo del capitalismo”. Da qui, la sottrazione del suolo per uso privato, che è parte attiva del processo di fotosintesi: alla lunga tutto ciò ha creato problemi come la frammentazione della Natura (uno dei rischi più grandi ad esempio per la biodiversità in Europa). E alla concezione estrema dell’utilitarismo naturale.
“OGNI ESSERE VIVENTE, OGNI ELEMENTO NATURALE, INTERAGISCE CON TUTTO IL RESTO: DEPRIVARE IN MODO SCONSIDERATO LE ACQUE AD ESEMPIO DAL SOTTOSUOLO, LO RENDE VUOTO. E QUESTO STA PORTANDO AL COLLASSO DELLE CITTÀ. ANCHE CHICAGO, SOLO PER FARE UN ESEMPIO TRA GLI ALTRI, STA COLLASSANDO”
Ecco perché abbiamo bisogno di una storia nuova, che racconti come l’acqua crei tutto: “La scienza lo sa, ma non lo spiega o forse non lo realizza in modo pieno per raccontarlo al meglio: per questo dobbiamo recuperare filosofi e umanisti per riconfigurarla anche a livello narrativo”.
IL RUOLO DELLA GEN-Z NEL FUTURO DELL’UOMO
“Credo che i ragazzi della Gen-Z siano molto consapevoli. Loro protestano da sempre e in questo caso non ancora secondo un contesto narrativo: ma solo per istinto”. C’è qualcosa di nuovo in questo istinto che Rifkin riconosce e che ha realizzato proprio in Italia. “A Milano ho capito per la prima volta, parlando con tre ragazzi della Gen-Z, come la nuova generazione abbia un istinto consapevole: si sono qualificati come ‘specie in pericolo’ e come le altre creature siano parte di loro. Semplice così: possiedono la biofilia, l’empatia con gli altri esseri viventi”. E a questo punto lancia una prospettiva per la grande sfida climatica che attende le nuove generazioni. La Smithsonian Institution, come racconta anche nel suo libro, ha condotto uno studio per capire come la nostra minuscola specie si sia sviluppata durante il breve periodo di tempo trascorso sulla Terra. “Per me – spiega – si tratta forse della massima nota di speranza dei nostri tempi”. I ricercatori hanno considerato gli ultimi 800.000 anni della documentazione geologica, per scoprire che questo periodo fu caratterizzato scandito dall’inclinazione dell’asse terrestre e da improvvisi mutamenti estremi della temperatura e del clima sulla Terra, tra glaciazioni e surriscaldamento improvviso. Questi drastici cambiamenti si sono ripetuti più e più volte per 800.000 anni. E lo studio conclude che ce l’abbiamo fatta perché la nostra è tra le specie più adattive del pianeta, anche se fisicamente molto meno dotata di altre.
“Possiamo imparare da ciò che abbiamo vissuto: abbiamo un cervello eccezionalmente grande, i pollici opponibili per la tecnica, abbiamo il cuore per l’empatia con altri umani e altri esseri viventi. Questo è quello che le giovani generazioni devono tenere a mente come segno di speranza per la sfida dei cambiamenti climatici nel prossimo futuro”
IL RUOLO DELL’ARTE CHE DEVE DIVENTARE EFFIMERA
Nel libro, l’autore mette in discussione molti dogmi: uno tra questi è il ruolo contemporaneo dell’arte. Contro una visione commerciale e utilitaristica dell’opera artistica, dove un oggetto è fatto per durare e più dura più acquisisce valore, Rifkin suggerisce di fare attenzione alla crescita di quella che chiama arte effimera. “Questa è immediata, destinata a dissolversi e non a essere conservata. È una forma di arte che celebra la dimensione temporale dell’esistenza”. Solo per fare qualche esempio, si tratta della stand-up comedy, delle jazz session e delle battle di freestyle rap, delle installazioni temporanee nelle mostre e dei flash-mob. “Negli anni Novanta le generazioni hanno cominciato ad avvicinarsi ad un’arte effimera, legata agli elementi naturali come ad esempio la sabbia. Attraverso questo tipo di arte effimera puoi sentirti parte di qualcosa di più grande. Il problema delle nuove generazioni è che possono protestare, ma poi se stanno più di sette ore davanti ad uno schermo, come succede normalmente, la salute mentale si deteriora e i cervelli smettono di svilupparsi. In futuro avremo molto tempo in cui dovremo stare chiusi in casa, ma altro in cui bisognerà stare fuori per imparare e anche performare nella realtà vivente. Quindi l’avvento delle arti effimere sarà tanto importante quanto quelle che hanno dato vita al Rinascimento”.
L’INSOSTENIBILE FREDDEZZA DEL METAVERSO
Rifkin sostiene l’importanza dell’avvento dell’intelligenza artificiale, ma non condivide l’entusiasmo sul metaverso: il problema è che genera al momento un distacco dalle capacità umane legate all’empatia. Una qualità che deve essere allenata nella vita reale, e non si può trasmettere tramite un device digitale. E dubita che l’AI si svilupperà tanto come si crede: “Ci sarà un ruolo per l’AI, ma adesso chi la sviluppa sta solo puntando a guadagnare triliardi di dollari: ma non si svilupperà come pensano. La motivazione è questa: non c’è abbastanza acqua. È vero che l’AI funziona con elettricità, ma per realizzarla serve tanta acqua”. Infatti secondo l’autore gli studi dimostrano come sole ed eolico possano già sostituire le energie fossili nell’approvvigionamento elettrico generale e che quindi questo potrebbe supportare la diffusione dell’AI, “ma il problema è che stiamo raccogliendo troppi dati: stiamo installando sensori dappertutto. Quindi, ad esempio, se tu hai un veicolo autonomo che manda ad un cervello generale i dati, c’è un tempo di latenza che creerà problemi. E poi sai quanta acqua ci vuole per produrre un chip? 8 tonnellate di acqua dolce per ognuno. L’anno scorso sono stati prodotti 1 miliardo e 300 milioni di chip. Wow! E si stanno spendendo triliardi di dollari per questo tipo di tecnologia”, mentre l’umanità ha sempre più sete d’acqua. “Quindi abbiamo bisogno di acqua e di AI, ma quest’ultima non per usi secondari. Dobbiamo usarla per motivi primari: dalle infrastrutture alla mobilità. Ad esempio, nella distribuzione di energia nei governi bioregionali che ipotizzo nel libro. Ma chi si occupa di AI al momento conosce o si preoccupa di ciò di cui stiamo parlando adesso? Non credo”.
L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE ENTRA IN UFFICIO
Finora sono le società di consulenza le vere vincitrici della corsa all’intelligenza artificiale
Perché l’impatto sul business delle aziende è molto meno di quanto ci si aspetta, e in taluni casi con risultati deludenti. Ma c’è chi è già passato all’incasso
La fine dell’era delle energie fossili
Pochi hanno una visione più aggiornata di Rifkin sulla sfida della transizione ecologica, dato il suo ruolo di consulente su alcuni di questi aspetti per il governo americano, cinese e per la Commissione europea. Recentemente, fondi d’investimento della portata di Blackrock o Vangard hanno mostrato più timidezza nel supporto agli investimenti in sostenibilità. La Shell dichiara di voler estrarre petrolio fino al 2050. Se dobbiamo realizzare la transizione energetica per salvarci, le premesse di un cambiamento sembrano oscurarsi. “È un’impressione momentanea: in realtà le aziende petrolifere non stanno più investendo tanto nelle esplorazioni. Quello su cui si concentrano adesso è aumentare il prezzo del petrolio e delle risorse fossili che sono già a disposizione. Ma non so davvero cosa i loro dirigenti dicano ai propri figli quando tornano a casa la sera. Se sei un Ceo di un’azienda petrolifera sai bene che hai 5-10 anni al massimo per massimizzare i profitti e mostrarli ai tuoi azionisti. E sai bene che solare ed eolico sono molto più economici del nucleare, molto più economici del petrolio, assolutamente più economici del carbone. Non gli importa davvero del mercato: il costo marginale delle rinnovabili corre verso la prossimità allo zero, in futuro non c’è gara ad esempio con l’impiego dell’uranio o l’estrazione di risorse fossili”.
SALVARCI CON IL SUBLIME: LA PAURA CHE CREA MERAVIGLIA
All’inizio e alla fine del libro di Rifkin c’è il grande scontro al centro della concezione del sublime, il concetto elaborato dal filosofo irlandese Edmund Burke. Scrive l’autore americano a proposito di questo concetto che ci sono due impostazioni diverse e contrapposte nate da due grandi filosofi. Immanuel Kant ci spingerebbe a esercitare il nostro impulso razionale e a costringere le acque ad adattarsi ai capricci della nostra specie, “mentre Arthur Schopenhauer ci spingerebbe a immedesimarci nella natura vivificante dell’esistenza e a trovare il modo di adattarci a un ciclo idrologico in rapida evoluzione. L’umanità dovrà scegliere tra questi due modi molto diversi di guardare al futuro del pianeta blu. Le decisioni che prenderemo su quale opzione scegliere influenzeranno non solo il nostro destino, ma il futuro della vita stessa sulla Terra”. Appare chiaro che l’autore scelga chiaramente una visione per il futuro alla Schopenhauer, che nel linguaggio comune è un pessimista. Qualcosa di simile al nostro poeta Giacomo Leopardi e alla sua poesia La ginestra, dove riflette sulla bellezza e sull’effimero di un fiore come la ginestra comune che cresce vicino ad un vulcano. Eppure lo stesso Leopardi in quello sforzo eroico della ginestra trova il senso dell’esistenza umana e la meraviglia per l’amore per la vita, anche oltre la razionalità.
VOGLIAMO DAVVERO FONDERCI CON L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE?
Nel suo ultimo libro, l’indovino delle nuove tecnologie Ray Kurzweil immagina un futuro utopico che potrebbe anche rivelarsi un incubo
La nostra ultima domanda è quindi se la soluzione per non estinguerci sia recuperare la paura oltre che il rispetto per la Natura che ci circonda. “Tanti anni fa ho scritto La civiltà dell’empatia, un libro di quasi 650 pagine, ci ho messo 10 anni. Mia moglie mi disse: ‘Tu sei pazzo, non lo leggerà nessuno’”. Rifkin, con la sua consueta placida ironia, ci dice che nessuno della sua famiglia più stretta ha mai letto una pagina di un suo libro: o almeno di quello in particolare. “In quel libro ho parlato del concetto di sublime secondo Bulke. Dove lui parla di osservare queste manifestazioni naturali estreme, da un tornado a un’inondazione, che ci sovrastano come individui. Ma lo stesso può avvenire anche alla vista di un arcobaleno.
Il punto è che queste manifestazioni suscitano in te meraviglia: questo scatena l’immaginazione. E l’immaginazione può portare a due strade: uno è mettersi in sicurezza da questo fenomeno, un altro è arrivare ad una forma di trascendenza che spiega cos’è la vita. Una trascendenza che ci porta ad apprezzare a fondo la meraviglia della vita. Questo ci succede con le arti effimere contemporanee e con il senso di appartenenza ad una specie in pericolo nelle nuove generazioni”
Tutto questo adesso rappresenta l’evoluzione della narrazione che stiamo vivendo. “Quindi ce la faremo in tempo a cambiare lo storytelling dell’umanità per salvarci? Non lo so. Ci sono dei movimenti verso una nuova narrazione? Sì, stanno emergendo”. La sfida è sulle piccole spalle dei giovani, secondo Rifkin: se riusciranno a muoversi oltre la protesta per cambiare l’accademia, il modo in cui concepiamo le scienze, la maniera in cui pensiamo. “La chiave sarà evolvere come umanità in senso adattivo per vedere la Natura come un processo e un modello, come un essere vivente: non più solo come un oggetto strumentale ai nostri fini”.
*(Gianluca Schinaia. Giornalista professionista, scrive di sostenibilità. È collaboratore di Wired e Avvenire, docente di sustainability communication all’Università Statale di Milano e all’Almed dell’Università Cattolica, e soprattutto Partner e Head of Sustainability dell’agenzia FpS.)
12 – Tiziano Ferri *: Golpe in Colombia, Petro chiama alla mobilitazione
Le oligarchie nazionali che si oppongono al primo governo progressista in Colombia, quello del presidente Gustavo Petro (2022-2026), hanno rotto gli indugi. Di fronte al consenso popolare per il nuovo corso, stanno perseguendo da mesi la strada del “golpe blando”. L’attacco segue tre principali canali: mediatico, boicottaggio economico, lawfare.
La strategia mediatica punta, attraverso false notizie e informazioni parziali, a disegnare un presidente a varie riprese incline all’autoritarismo, ossessionato dai complotti, pazzo, in calo nei consensi. Sul piano economico, in pieno stile “Cile 1973”, le organizzazioni datoriali hanno imposto in settembre un blocco della circolazione dei mezzi pesanti, nel tentativo di alzare i prezzi e creare malcontento nella popolazione; il governo, mostrando discontinuità coi predecessori, non è ricorso alla forza ma al dialogo, riuscendo a mediare dopo quattro giorni di protesta. Il fronte della destituzione per via giuridico-istituzionale, il cosiddetto lawfare, cerca di togliere a Petro le funzioni presidenziali sulla base di accuse di sforamento delle spese elettorali, sebbene il Consiglio di stato abbia già stabilito fuori dalle competenze del Consiglio nazionale elettorale (Cne) il potere di giudicare la condotta del presidente della repubblica.
Il Cne – composto a maggioranza da membri nominati dai vecchi partiti al potere, oggi opposizione – ha proseguito la sua offensiva martedì, con l’apertura di indagini e la formulazione di accuse in relazione alla campagna elettorale 2022 della coalizione elettorale “Pacto Histórico”, e individuando come referente responsabile il candidato Gustavo Petro, oggi presidente. Le accuse riguardano principalmente il presunto sforamento dei limiti di spesa per la campagna elettorale, dovuto all’omessa dichiarazione di finanziamento (circa 135.000 euro) da parte di due sindacati, il Fecode (Federazione colombiana dei lavoratori dell’educazione) e l’Uso (Unione sindacale operaia). Nel comunicato stampa il Cne chiarisce che, per il momento, non c’è nessuna sanzione, arrogandosi in tal modo il diritto di poterne comminare.
Non è dello stesso parere né il Consiglio di stato, come detto, né il presidente Petro, che ha diramato un messaggio dove ribadisce l’incostituzionale condotta del Cne, organo amministrativo, spiega nel merito l’infondatezza delle accuse, e chiama alla mobilitazione contro il golpe in atto. Questa la conclusione del suo breve discorso: “Faccio appello alla mobilitazione generale del popolo colombiano per la difesa totale della democrazia. Chiedo al mondo di prestare attenzione alla Colombia, e di aiutarci a difendere la nostra democrazia. Sollecito tutte le organizzazioni popolari della Colombia di riunirsi e di costituirsi in assemblea permanente. È il tempo del popolo. Come presidente della repubblica eletto costituzionalmente, ordino a tutta la forza pubblica di non alzare una sola arma contro il popolo. I tempi dell’iniquità e della violenza devono finire in Colombia. La decisione di oggi è l’inizio di un golpe contro le prerogative del presidente, contro gli 11 milioni di persone che hanno votato per questo progetto progressista. Questa è una frattura grossolana e incontrovertibile della stessa costituzione”. In effetti, in base alle garanzie che la costituzione accorda al presidente della repubblica, costui durante il mandato può essere perseguito e giudicato solo a seguito di accusa da parte della Camera e dichiarazione di luogo a procedere da parte del Senato.
Ma non è in punta di diritto che deve essere analizzata la posizione di Petro. Rottura degli storici legami tra narco-stato e oligarchie al potere, collocazione in ambito regionale accanto ai progressisti Brasile e Messico, interesse per l’adesione della Colombia ai Brics, boicottaggio e condanna di Israele, costituiscono motivi di forte scontro dentro e fuori dal paese. Ecologismo e redistribuzione verso il basso delle ricchezze del paese, inclusione economica delle zone dimenticate, lotta al narcotraffico e attuazione degli accordi di pace sembrano, per il momento, garantire al governo Petro il sostegno popolare necessario per fronteggiare questi reiterati tentativi di destabilizzazione. Il presidente colombiano ne individua così la matrice eversiva: “Questo è il fascismo crescente nella società colombiana, nelle sue classi potenti, nelle sue classi medio-alte, le quali non possono capire che la priorità di uno Stato deve essere avvicinarsi e abbracciare il povero, la umile, il nero, l’indigena, il contadino, il giovane del quartiere popolare, la donna”.
*( Tiziano Ferri, giornalista e collabora con la Pagine Esteri)
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