
01 – Andrea Valdambrini*: ENERGIA, BASTA SANZIONI E RIAVVIO DEL NORD STREAM – RAPPORTI USA-EUROPA È UNA TELA DI PENELOPE QUELLA CHE IMPEGNA BRUXELLES SUL FRONTE RUSSO-UCRAINO, CON WASHINGTON CHE NON PERDE OCCASIONE PER DISFARLA
02 – Anna Maria Merlo*: La lettera di Trump a 170 paesi: così mi pagherete tutti – C’è posta per voi Bombardato l’Iran e passata la sua mega-finanziaria, il vincitore di ogni battaglia scrive al mondo: ecco i miei dazi, dal 10% al 70
03 – Marco Avati*: Minacce, patteggiamenti e cause miliardarie: l’assedio di Trump ai media americani.
04 – aumentano le emissioni di gas serra? Il green deal ha perso slancio?
05 – Massimo Marzi *: 2025 NOTA SULLA RUSSIA e sull’informazione.
06 – Alfiero Grandi*: Bomba o non bomba, troppi rischi con il nucleare. Il governo punta sul cavallo sbagliato.
01 – Andrea Valdambrini*: ENERGIA, BASTA SANZIONI E RIAVVIO DEL NORD STREAM – RAPPORTI USA-EUROPA È UNA TELA DI PENELOPE QUELLA CHE IMPEGNA BRUXELLES SUL FRONTE RUSSO-UCRAINO, CON WASHINGTON CHE NON PERDE OCCASIONE PER DISFARLA
È una tela di Penelope quella che impegna Bruxelles sul fronte russo-ucraino, con Washington che non perde occasione per disfarla. L’ultimo sgambetto arriva dell’inviato speciale della Casa Bianca Steve Witkoff.
Secondo quanto rivelano fonti ben informate alla testata Politico.eu, il fedelissimo di Trump vorrebbe sollevare Mosca dalle sanzioni energetiche. Al centro dell’interesse comune del Cremlino e di Washington ci sarebbero i gasdotti Nord Stream, ora inattivi, ma che fino al sabotaggio del 2022 hanno trasportato combustibile fossile dalla Russia direttamente in Europa.
A Bruxelles è evidente la preoccupazione per una mossa che rischia di schiacciare l’Europa tra due sfere d’influenza. Perché le intenzioni americane vanno in direzione opposta a quelle europee. A inizio maggio, la Commissione Ue aveva presentato il suo piano per l’indipendenza energetica dalla Russia entro il 2027: punto qualificante la dismissione definitiva del Nord Stream. Il progetto russo-tedesco ha rappresentato a lungo un grande problema per Zelensky, dato che le forniture di combustibile fossile aggiravano completamente il passaggio in territorio ucraino. Kiev ha bloccato il gas che invece passava per i propri confini a partire dal 1 gennaio di quest’anno, una mossa che il presidente ucraino ha definito «una della più grandi sconfitte per Mosca».
SOLO CHE 20 GIORNI DOPO TRUMP SI È INSEDIATO ALLA CASA BIANCA, RIBALTANDO IL RAPPORTO CON LA RUSSIA.
All’Ue non resta che mettere la testa sotto la sabbia, più per impotenza che per vergogna. Riuniti giovedì a Copenaghen, in occasione dell’inizio del semestre di presidenza danese del Consiglio Ue, i leader hanno riconfermato a Zelensky sostegno militare e strategico, proprio mentre Trump annunciava lo stop alle forniture di armi all’Ucraina. E adesso che Witkoff fa capire che le sanzioni energetiche potrebbero saltare, Bruxelles è nel pieno della macchina delle proprie sanzioni.
I governi dei 27 hanno infatti appena rinnovato per sei mesi le misure economiche contro Putin. Un nuovo pacchetto di provvedimenti ancora più duri, il 18esimo dall’invasione russa dell’ Ucraina, è sul già tavolo degli ambasciatori Ue. L’accordo di massima si scontra però con l’opposizione della Slovacchia, che minaccia il veto se non avrà garanzie sugli effetti dello stop al gas russo, che ancora fluisce verso Bratislava, come verso la vicina Budapest.
Contro la riattivazione del Nord Stream si è espresso il cancelliere tedesco Merz. Eppure, a partire proprio dalla Germania, i sovranisti europei seguono la linea del «ma chi ce lo fa fare?» in un quadro di prezzi dei combustibili sempre più incerto e volatile date le crisi internazionali. Così come volatili sono le opinioni dell’inquilino della Casa Bianca. Tranne quando c’è da umiliare l’Europa, che si tratti di dazi, Ucraina o sanzioni alla Russia.
02 – Anna Maria Merlo*: LA LETTERA DI TRUMP A 170 PAESI: COSÌ MI PAGHERETE TUTTI – C’È POSTA PER VOI BOMBARDATO L’IRAN E PASSATA LA SUA MEGA-FINANZIARIA, IL VINCITORE DI OGNI BATTAGLIA SCRIVE AL MONDO: ECCO I MIEI DAZI, DAL 10% AL 70%
PARIGI
Un’ordalia di dazi. Più di 170 paesi sono in attesa della lettera che Donald Trump ha promesso: «10-20 spedite già da oggi», ha affermato ieri il presidente Usa, «altre nei prossimi giorni». Tutte entro il 9 luglio, la data stabilita da Trump per farla finita con la saga delle tariffe doganali, dopo aver “concesso” una moratoria di 90 giorni all’inizio di aprile, in seguito alla minaccia dei dazi «reciproci», che reciproci non sono per nulla.
La minaccia è chiara: Trump ha affermato che «il valore dei dazi varierà tra il 60% e il 70% e dal 10% al 20%». E ha precisato: tutti i paesi «cominceranno a pagare il 1° agosto e da quella data i soldi cominceranno a entrare negli Usa». Tutto da vedere: i partner commerciali perdono, perché i prezzi delle merci esportate aumentano, ma i produttori faranno ricadere l’aumento dei costi sui consumatori americani.
FINORA GLI USA hanno concluso solo due accordi commerciali, uno con la Gran Bretagna e l’altro con il Vietnam, mentre per Messico, Canada e Cina ci sono strade specifiche piene di alti e bassi. La Ue, che a maggio aveva criticato le concessioni di Londra, che ha accettato un accordo-quadro del 10% di dazi (con accordi settoriali a latere), adesso spera, al meglio, di ottenere la stessa cosa: in queste ore il pessimismo dilaga, forse lunedì sarà la giornata decisiva. Trump aumenta le minacce: adesso ci sarebbe l’ipotesi di un 17% sui prodotti alimentari Ue. Il “modello” Vietnam è da escludere: a Hanoi Trump ha imposto il 20%, che sale al 40% per le merci che transitano dal Vietnam, una «reciprocità» molto ineguale, visto che i prodotti Usa nel Vietnam sono a dazi zero.
IL COMMISSARIO europeo al commercio Maros Sefcovic, di ritorno da un ultimo viaggio a Washington di due giorni, ieri ha informato gli ambasciatori dei 27 sull’andamento dei negoziati dell’ultima ora. L’unica buona notizia è che non c’è stata la corsa tra i 27 per accordi nazionali. Bruxelles punta a un accordo-quadro entro la scadenza del 9 luglio, per poi poter continuare a trattare adattamenti settoriali: la Ue spera in ribassi per i prodotti farmaceutici, i semi-conduttori, l’alcool, gli aerei commerciali, oltre a riduzioni sul 25% ora imposto alle auto e sul 50% per acciaio e alluminio.
CI SONO STATE TENSIONI tra i 27, alcuni paesi come la Francia in un primo tempo avrebbero preferito ritorsioni – ci sono due liste Ue di prodotti Usa da colpire, una prima intorno ai 20 miliardi, che avrebbe dovuto essere messa in atto come risposta ai dazi su auto e metalli ma è stata sospesa, e una seconda sui 90 miliardi, da scatenare in caso di messa in atto delle minacce del 50% di aprile. Altri, come la Germania, hanno fretta di concludere accettando costi anche elevati in cambio della fine dell’incertezza. La Ue ha anche il bazooka dello Strumento anti-coercizione, studiato per la Cina ma mai messo in atto, che può escludere gli Usa dai mercati pubblici Ue, sulla carta anche le compagnie tech come bersagli: negli scambi con gli Usa la Ue è in attivo sui beni e in passivo sui servizi.
L’UNIONE è schiacciata tra le minacce di Trump e l’assalto della Cina, che non solo riversa in Europa le merci che non riesce a vendere negli Usa ma fa la sua guerra contro le decisioni anti-dumping della Ue contro le auto elettriche made in China. Ieri Pechino ha confermato i dazi temporanei già in atto da un anno sui brandy europei, che da oggi e per 5 anni saranno tassati tra il 27,3% e il 34,9%. La Commissione condanna «misure ingiuste e ingiustificate, che non riflettono le norme internazionali». Ma c’è un «ampio campo di esenzioni», si è rallegrato il ministro degli esteri francese Jean-Noël Barrot, che ieri ha ricevuto a Parigi il suo omologo cinese Wang Yi e che ha ottenuto dei vantaggi per i big francesi del cognac: Rémy Cointreau, Pernod-Ricard e Hennessy (del miliardario Arnaud), assieme a una trentina di altri produttori (che rappresentano il 98% dell’export Ue di cognac in Cina) hanno sottoscritto un accordo sui prezzi minimi (più cari, ma il cognac è un lusso). «Una tappa positiva per mettere fine a un contenzioso che minacciava il nostro export», ha affermato Emmanuel Macron. Tassata ai massimi invece la grappa. Un vertice Ue-Cina si svolgerà a Pechino il 24-25 luglio
LA UE CERCA anche di rivolgersi altrove. C’è stata l’ipotesi, poi rimangiata, di un accordo con l’area Pacifico per sostituire la Wto, che da anni è sotto tiro da parte degli Usa. È in attesa la firma dell’accordo con i paesi del Mercosur (Brasile, Argentina, Uruguay, Paraguay). Ma questa settimana è stata rimandata la pubblicazione della versione giuridica dell’accordo, che era prevista il 30 giugno. La Francia, con la Polonia, contesta i rischi per gli agricoltori locali.
*(Fonte: Il Manifesto. Andrea Valdambrini- È ricercatore aggregato del Centro interdisciplinare di Scienze per la Pace dell’Università di Pisa)
03 – Marco Avati*: MINACCE, PATTEGGIAMENTI E CAUSE MILIARDARIE: L’ASSEDIO DI TRUMP AI MEDIA AMERICANI.
“Il Presidente rilascerà la sua scheda fitness?
Sembra più in forma di quanto non sia mai stato”.
È una domanda fatta a Karoline Leavitt, la portavoce della Casa Bianca, da Cara Castronuova, opinionista per LindellTV, media di proprietà di Mike Lindell, imprenditore che ha finanziato cause per ribaltare il risultato delle elezioni del 2020, nonché uno dei principali sostenitori della tesi infondata della vittoria di Trump a quelle elezioni. Il motivo per cui questa tv siede tra i corrispondenti ufficiali della Casa Bianca si trova nei cambiamenti che Donald Trump ha effettuato nella composizione dei giornalisti accreditati: sempre più infastidito dalle domande dei media tradizionali, con cui continua ad avere confronti aggressivi, ha selezionato a rotazione cosiddetti “new media” per assistere alle conferenze stampa. Questi provengono principalmente dalla galassia informativa a lui favorevole, piccole reti conservatrici o podcaster di destra, che fanno domande tendenti a rimarcare quanto il Presidente stia facendo un buon lavoro o, come nel caso citato, quanto sia in forma.
I PRIMI CENTO GIORNI DI PRESIDENZA TRUMP SI SONO CARATTERIZZATI, TRA LE ALTRE COSE, PER UN CLIMA SEMPRE PIÙ DURO NEI CONFRONTI DELL’INFORMAZIONE:
• Trump ha vietato l’ingresso per mesi ad Associated Press alle conferenze stampa, perché la redazione aveva deciso di non cambiare il nome del Golfo del Messico in Golfo d’America,
• ha tagliato fondi governativi a radio che fornivano informazione libera in paesi autoritari, come Radio Free Europe e Voice of America,
• ha minacciato di togliere fondi pubblici a NPR e PBS, cioè i canali radiotelevisivi pubblici,
• ha citato in giudizio giornali e reti televisive per coperture non gradite. NPR ha deciso di citare in giudizio Trump, in virtù del fatto che starebbe violando il primo emendamento cercando di eliminare fondi per via del pensiero politico.
NPR ha deciso di citare in giudizio Trump, in virtù del fatto che starebbe violando il primo emendamento cercando di eliminare fondi per via del pensiero politico. Nel caso di un colosso come ABC, che secondo molti esperti avrebbe potuto vincere in tribunale, la decisione è stata quella di patteggiare con l’amministrazione, per evitare un confronto duro. Alcuni proprietari dei giornali hanno deciso di porsi verso questa presidenza in modo opposto rispetto a come avevano fatto nel primo mandato: se il Washington Post, di proprietà del fondatore di Amazon Jeff Bezos, aveva inaugurato con le parole “Democracy dies in darkness” il primo quadriennio Trump, quest’anno ha dovuto ritirare l’endorsement verso Kamala Harris per volontà dell’editore stesso, che ha richiesto anche che la sezione opinioni si concentrasse soltanto “sulle libertà personali e il libero mercato”. Inoltre, è stato annunciato che Amazon produrrà un documentario sulla first lady, Melania Trump, con un budget di ben 40 milioni di dollari.
Nelle ultime settimane, un nuovo caso ha deteriorato i rapporti tra Trump e i media: il presidente ha infatti citato in giudizio la CBS, chiedendo la cifra esorbitante di 20 miliardi di dollari per via di una copertura a suo dire scorretta della campagna elettorale. Secondo la versione di Trump, il programma televisivo d’informazione “60 Minutes”, uno dei più visti dal pubblico americano, avrebbe volontariamente editato una risposta di Kamala Harris sull’invasione in corso a Gaza nel tentativo di migliorarla, dandole un vantaggio politico. Come analizzato da vari media, e riportato approfonditamente da John Oliver nell’ultima puntata di Last Week Tonight, Harris ha dato una risposta piuttosto lunga alla domanda dell’intervistatore. CBS, nel suo lavoro di editing, ha spezzato a metà la risposta, che ripeteva lo stesso concetto, peraltro piuttosto confuso, per due volte, e ne ha mandato in onda metà durante “60 Minutes” e metà durante un altro programma della rete, “Face the Nation”. Lo stesso Trump, che per questo fatto ha citato in giudizio la rete, ne sarebbe venuto a conoscenza proprio perché avrebbe visto da un programma della stessa CBS i secondi tagliati dell’intervista.
CBS ha deciso di patteggiare, acconsentendo a pagare 16 milioni di dollari alla Presidential Library di Donald Trump e a rilasciare i verbali di ogni intervista futura a possibili candidati alla presidenza degli Stati Uniti. Come per il caso di ABC, molti legali hanno detto che la causa non avrebbe avuto alcun merito, e che quindi CBS avrebbe vinto in tribunale: nonostante questo la rete ha deciso di acconsentire alle richieste della presidenza, dopo che il produttore esecutivo del programma, Bill Owens, si è licenziato adducendo una mancanza di indipendenza giornalistica. Anche la CEO di CBS News, Wendy McMahon, ha lasciato la rete, rivendicando un mancato supporto del network. Nei primi accordi per un possibile patteggiamento sembrava prevista anche una scusa formale di CBS per come è stata mandata in onda l’intervista; scuse che, però, i giornalisti del programma non avevano nessuna intenzione di fornire all’amministrazione, e che alla fine sono state espunte dall’accordo finale.
Perché CBS ha deciso di patteggiare, nonostante l’esempio di ABC, che ha adottato la stessa scelta mesi fa senza però migliorare il rapporto con la Casa Bianca? Una delle motivazioni, come viene spiegato sui giornali, ha a che fare con un’importante fusione di Paramount, il gruppo di cui CBS fa parte, con SkyDance Media. La fusione deve però essere preventivamente autorizzata dalla Federal Communications Commission (FCC), un’agenzia federale indipendente che ha un compito di sorveglianza e regolamentazione delle telecomunicazioni: tra le altre cose, approva le fusioni e ha la facoltà di revocare le licenze di trasmissione alle reti. Da quando è tornato al potere, Trump ha posto a capo dell’agenzia Brendan Carr, un avvocato suo sostenitore che ne fa parte dal 2017. Ancora nel 2021, Carr riteneva che “il modo in cui una redazione sceglie di seguire una storia dev’essere fuori dalla portata di qualsiasi ufficiale governativo”. Oggi, però, ritiene che i democratici abbiano eliminato l’imparzialità al governo, utilizzando il potere come un’arma contro il conservatorismo e proprio per questo verrà adesso dato maggior risalto al pensiero conservatore. Carr ha iniziato una formale indagine contro l’intervista di “60 Minutes” per cui lo stesso Trump ha fatto causa, e Anna Gomez, avvocata che Biden ha scelto come membro di FCC durante la sua presidenza, ha detto che staremmo assistendo a un’agenzia indipendente che sta diventando uno strumento di censura politica. Proprio la possibilità che Carr non approvi la fusione fa sì che CBS abbia voluto evitare uno scontro aperto con l’amministrazione nonostante le ampie possibilità di vincere, avendo preferito un patteggiamento, piegandosi a richieste che dovrebbero essere irricevibili da un media libero. Il mese scorso, la Freedom of the Press Foundation ha mandato una lettera di avvertimento a Paramount, che controlla CBS, facendo sapere che li avrebbe citati in giudizio nel caso avessero deciso di accordarsi con Trump, in quanto le aziende non dovrebbero accordarsi con chi ha l’obiettivo di distruggere le garanzie del Primo emendamento. Anche tre senatori, Elizabeth Warren, Bernie Sanders e Ron Wyden, hanno scritto che si sarebbero accodati. A oggi, la Freedom of the Press Foundation sta valutando quali sono le sue opzioni legali per poter procedere.
*(Marco Avati. Giornalista)
04 – AUMENTANO LE EMISSIONI DI GAS SERRA?
Le ondate di calore, prolungate e ripetute, preoccupano anche i cittadini: secondo Euro barometro l’85% degli europei ritiene che il cambiamento climatico sia “un problema serio” e che la lotta contro i suoi effetti debba essere considerata una priorità per migliorare la salute e la qualità della vita. Inoltre l’81% degli intervistati sostiene l’obiettivo dell’Ue di neutralità climatica entro il 2050.
Quasi 8 cittadini europei su dieci ritengono inoltre che “il costo dei danni dovuti al cambiamento climatico sia molto più elevato dell’investimento necessario per una transizione verso zero emissioni nette”. Esperti di clima e opinione pubblica per una volta concordano. Se le ondate di caldo estremo saranno sempre più comuni, bisognerà attrezzarsi: “Ogni frazione di grado di aumento della temperatura è importante, perché accentua i rischi per le nostre vite, per le economie e per il pianeta”, afferma Celeste Saulo, capo dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale. “L’adattamento è fondamentale”. Ma nonostante le tendenze e proiezioni preoccupanti, le emissioni globali di gas serra continuano ad aumentare. Secondo il rapporto annuale dell’Energy Institute – che comprende professionisti dell’energia a tutti i livelli, insieme alle società di consulenza – il 2024 ha segnato un altro record per l’approvvigionamento dell’energia a livello globale, trainato dalle incertezze e crescenti tensioni geopolitiche: le emissioni globali di CO2 del settore energetico hanno raggiunto un livello record per il quarto anno consecutivo, mentre l’uso di combustibili fossili continua ad aumentare. Gli analisti che monitorano i progressi affermano che, nonostante siano state aggiunte quantità record, il mondo non è sulla buona strada per raggiungere l’obiettivo globale di triplicare la capacità di energia rinnovabile entro il 2030.
IL GREEN DEAL HA PERSO SLANCIO?
Neanche l’Europa sfugge all’aumento della richiesta di energia osservato dagli esperti a livello globale. Ma pur restando l’Unione un modello nell’azione per il clima, la sensazione è che l’agenda europea per la lotta ai cambiamenti climatici abbia perso slancio. Le ragioni sono molteplici: da un lato – come osserva Politico – il Partito popolare europeo, che rincorre i partiti di destra rafforzati dalle ultime elezioni europee, preme per riformulare la politica della Commissione, e dall’altro il mutato contesto geopolitico sta facendo il resto. Lanciato nel 2019, all’inizio del primo mandato di Ursula von der Leyen come presidente della Commissione europea, il Green Deal prometteva di rivoluzionare completamente l’economia del blocco, riducendo a zero l’inquinamento che provoca il riscaldamento globale, e rimodellando l’agricoltura, i trasporti e rimettendo in armonia con la natura industria, aziende e cittadini. Da allora, però, gli eventi che si sono susseguiti – dalla pandemia, alla guerra russo ucraina prima e in Medio Oriente poi – hanno spinto la Commissione a scendere a compromessi su una serie di norme ambientali. “Lo scenario in cui si muoveva il Green Deal è mutato drasticamente e, con esso, la sua stessa natura” osserva Francesco Sassi, passando da “bigliettino da visita delle ambizioni globali Ue” al rischio di far germogliare nel cuore dell’Europa “l’ennesimo seme di corsa al protezionismo e alla frammentazione delle supply chains. Il tutto senza alcuna assicurazione che l’industria verde europea sia in grado di consolidare il proprio terreno”.
05 –Massimo Marzi*: 2025 NOTA SULLA RUSSIA e sull’informazione –
Nel 1992 ¡1 The New York Times pubblicò un documento strategico elaborato anni prima da Paul Wolfowitz, che in seguito diventerà il segretario alla Difesa USA sotto il Presidente George W. Bush nonché Presidente della Banca Mondiale, in cui sosteneva che per garantire la sicurezza americana occorreva impedire la nascita di una forza egemonica in Eurasia, che avrebbe potuto tentare di contrastare il dominio degli Stati Uniti nel mondo.
A ben vedere si tratta della celebre tesi elaborata dal britannico Halford John Mackinder (1861 – 1947).
Mackinder riteneva che l’unione tra la Russia e la Germania, che si caratterizza per essere un’ampia area geografica inaccessibile dal mare, avrebbe potuto consentire la nascita di un soggetto politico che con il tempo avrebbe potuto sfidare le potenze marittime (Usa e Gran Bretagna). Questa precisa area geografica viene individuata il come il cuore del mondo, l’Heartland. E’ proprio il controllo dell’Heartland da parte di una potenza egemone che avrebbe potuto consentire di ottenere il dominio del mondo. Pertanto, secondo Mackinder è assolutamente indispensabile impedire che la Germania guardi ad Est, ed evitare a qualunque costo un’alleanza tra Unione Sovietica (ora Russia) e Germania.
Sempre sulla linea di questi pensieri strategici si colloca Zbigniew Brzezinski , che è stato tra i fondatori della Commissione Trilatelrale e consigliere per la politica estera durante la seconda parte dell’amministrazione di Jimmy Carter (1976-1980), il quale ha individuato tre imperativi strategici della politica statunitense per l’Eurasia:
1) Evitare l’ascesa di un egemone eurasiatico, a partire dalla Russia o da una combinazione di potenze.
2) Impedire una possibile rinascita della Russia facendo anche leva sulle divisioni etniche dell’area caucásica;
3) “Favorire il perpetuarsi della condizione di vassalli degli stati europei. Per favorire questo obiettivo, gli Stati Uniti avrebbero dovuto spingere per allargare la Nato il più possibile all’interno dell’ex sfera di influenza sovietica, e quindi non solo in Europa centrale, ma anche nell’area baltica, in Ucraina e in Transcaucasica…”, come ci ricorda il Prof. Federico Bordonaro, autore del libro “La geopolitica anglosassone.
IL CORDONE DEL DIAVOLO e l’Intermarium. Dividere Germania e Russia
2 – Nel 1919 Mackinder aveva sostenuto l’idea di creare una catena di stati cuscinetto tra la Germania e la Russia volta a separare le due grandi potenze. Si tratta della «catena di mezzo», creata proprio per evitare un possibile conflitto ma anche per evitare un’intesa.
La separazione tra la Russia e alla Germania si realizza attraverso la separazione e la parcellizzazione dell’Europa orientale al fine di evitare che una potenza possa unificare lo spazio russo-tedesco.
Questa linea di azione strategica corrisponde esattamente agli interessi inglesi e francesi. Dall’altro lato, negli anni 30, il celebre geopolitico tedesco Karl Haushofer promuoveva, invece, l’integrazione eurasiatica in contrapposizione al potere marittimo anglo-statunitense. Haushofer, che sosteneva la necessità di creare un blocco continentale euroasiatico tedesco-russo, definì la «cintura del diavolo» quel «cordone sanitario», stabilito alla fine della prima guerra mondiale nel Trattato di Versailles, costituito dagli Stati della Piccola Intesa Jugoslavia, Romania e Cecoslovacchia), e dalla Polonia.
In tempi recenti l’ex comandante dell’esercito degli Stati Uniti in Europa negli anni 2014-2018, il generale Ben Hodges, per descrivere la strategia degli Stati Uniti in Europa centrale e orientale ha fatto ri-ferimento all’lntermarium. Il significato strategico dell’lntermarium risiede principalmente «nella volontà di creazione di un terzo polo geopolitico tra Germania e Russia».
Elntermarium, «la terra tra i mari», comprende quel territorio ricompreso tra il mar Baltico, il Mar Nero e il mare Adriatico.
L’idea originaria dell’lntermarium è stata concepita nel 1905 dal Generale e Capo di Stato polacco Josef Pilsudski. Essa coincide con quel territorio controllato dalla nobiltà polacca nella Confederazione polacco-lituana (1569-1795).
In seguito alla dissoluzione dell’Unione Sovietica avvenuta nel 1991, questa area geografica ha assunto un’importanza strategica. Questa area è stata storicamente stretta fra le ambizioni tedesche verso est e quelle russe (e poi sovietiche) verso l’Europa centrale. La NATO ha svolto un ruolo essenziale «per mantenere sotto controllo le spinte egemoniche (vere o presunte) della Germania riunificata come il «revanscismo» della Federazione russa post-sovietica». Il progetto di Intermarium ha una forte connotazione filo-atlantica ed ha uno sguardo meno conciliante nei confronti della Russia rispetto agli altri paesi europei quali l’Italia, la Francia, la Germania, l’Austria. Inoltre, esercita un fascino sui movimenti populisti dell’est Europa per essere la «vera Europa», unico baluardo contro il nazional-bolscevismo della Russia ed il modello neoliberista, multiculturale, laico di Bruxelles.
3 – La natura informativa dei diversi contenuti mediatici è slittata pericolosamente verso un perverso orientamento alle scelte del peggio, della negatività e del pessimismo. Nonostante la concorrenza di internet la televisione resta la regina dei media con milioni di spettatori soprattutto nel “prime time”; questo medium sempre popolare ed autorevole ha però dimenticato di raccontare la forza di un umanesimo vivo, pro-attivo e positivo che agisce… la realtà ogni giorno esprime il meglio di sé in ogni circostanza, ma che non viene notato dal giornalismo distratto dei nostri giorni…purtroppo il bene quotidiano non viene colto, né tantomeno raccolto e poiché ignorato non può essere raccontato e promosso. Per questa grave deriva etica, non c’è una responsabilità concentrata, ma una complessa corresponsabilità distribuita. Quello che vediamo oggi in TV è l’esito di una lenta migrazione dell’informazione verso le cronache del peggio, per una serie di ragioni e di concause. Tutto questo degrado è nato e si è sviluppato per quali motivi? Per comodità, o consuetudine, o per altre opportunità, o perché in fondo la gente guarda la TV con un occhio e scappa con l’altro, similmente a quanto accade in presenza di un grave incidente stradale, dove non vorremmo avere il dispiacere di vedere “feriti o morti”’ La televisione, forse , anche quando non tratta argomenti “positivi”, ci incolla comunque allo schermo, esattamente come in presenza di una sciagura della strada, un’istintiva e morbosa curiosità ci obbliga a soffermarci e guardare lo scenario di quel doloroso evento. Ma ora la misura è colma, anzi c’è un’esondazione
insopportabile e ingiustificabile delle cronache del peggio, è il momento di cambiare le attuali teorie sulla “notizi abilità”; occorre un nuovo orientamento per la scelta e la
diffusione delle notizie e dei fatti; la TV deve diventare formativa, deve essere realmente utile e soprattutto deve occuparsi anche delle cose migliori, con ottimismo, con una precisa focalizzazione verso il bene comune.
Una nuova televisione moltiplicatrice del valore e del merito che invogli a diventare migliori e induca ai buoni comportamenti nella vita quotidiana. Noi italiani fondamentalmente meritiamo un’informazione più ragionata e puntuale, più selettiva e giusta, più obiettiva e rassicurante. Dobbiamo avere la convinzione, la forza, la determinazione per creare nuovi palinsesti che non escludano mai il bene anzi includano preferenzialmente il meglio di tutto ciò che accade su questo nostro pianeta. Ci auguriamo di far crescere un “bene-giornalismo” fatto con intelligenza e con molto cuore, non più motivato dai dettami del consumismo e dai dati dell’audience, concepito e sviluppato intorno ai veri bisogni informativi ed evolutivi della gente.
*( Massimo Marzi – Giornalista e autore multimediale …)
06 – Alfiero Grandi*: BOMBA O NON BOMBA, TROPPI RISCHI CON IL NUCLEARE. IL GOVERNO PUNTA SUL CAVALLO SBAGLIATO.
C’ERA UNA VOLTA LA (FALSA) PROVETTA MOSTRATA DA POWELL (USA) ALL’ONU CHE DOVEVA PROVARE AL MONDO L’ESISTENZA DEI MEZZI DI STERMINIO DI MASSA DI SADDAM HUSSEIN E QUINDI GIUSTIFICARE L’ATTACCO MILITARE DEGLI USA, CON IL SUPPORTO DEGLI ALLEATI “VOLENTEROSI” ALL’IRAQ NEL 2003.
NETANYAHU HA RIPETUTO UNA SCENEGGIATA SIMILE PER GIUSTIFICARE CON IL PERICOLO DELLA BOMBA NUCLEARE L’ATTACCO (PREVENTIVO) ALL’IRAN.
L’obiettivo di Netanyahu era impedire un accordo sul nucleare tra Stati Uniti e Iran. Netanyahu voleva trascinare Trump al suo fianco nella guerra contro l’Iran e c’è riuscito. Dopo avere fornito a Israele le bombe per bombardare Gaza, Trump ha deciso il bombardamento americano dei siti nucleari iraniani per giustificare la richiesta di tregua. Va detto che a Trump sarebbe bastato smettere di fornire le bombe a Israele.
Purtroppo Israele sta continuando a straziare Gaza, con il tragico rosario di decine e decine di morti al giorno durante la consegna degli aiuti alimentari alla popolazione civile affamata, aiuti largamente insufficienti. La condanna della orribile strage compiuta da Hamas il 7 ottobre 2023 non può essere dimenticata ma non può giustificare la reazione di Israele che si è manifestata con vittime, distruzioni e un’escalation militarista che ignora umanità, diplomazia e ragionevolezza. Il rapporto tra le vittime del 7 ottobre e quelle di Gaza è oltre 1 a 40. Purtroppo finora l’Europa non ha svolto alcun ruolo per fermare il massacro né per la guerra portata da Israele in Iran. L’afasia è la costante dell’Europa, che non prende iniziative, non ha il coraggio di smarcarsi dal grande protettore americano.
BOMBA O NON BOMBA
Il bombardamento in Iran delle strutture nucleari non ha ricevuto l’attenzione necessaria. Non si tratta solo della bomba atomica e dei relativi pericoli. L’Iran aveva accettato il trattato di non proliferazione nucleare, rinunciando (almeno in teoria) alla bomba atomica e comunque erano in corso trattative tra Usa e Iran.
Se i bombardamenti prima israeliani e poi americani avessero colpito l’uranio arricchito (pare al 60 %) ci sarebbero state conseguenze radioattive pericolose. Se l’Aiea afferma che non ci sono rilasci radioattivi è immaginabile che sappia che nei siti bombardati non c’era il materiale che poteva diffondere radiazioni.
Da quando c’è la guerra in Ucraina il mondo è rimasto più volte con il fiato sospeso per i colpi sulla centrale nucleare di Zaporigia, la più grande d’Europa, ed è ricapitato proprio in questi giorni. Per fortuna non ci sono state conseguenze. La guerra ha portato al parziale spegnimento dei reattori della centrale perché è indispensabile che la fornitura di energia elettrica sia garantita alla centrale in caso di black out.
Zaporigia non è una bomba ma è un impianto nucleare civile per la produzione di energia elettrica. Questo dovrebbe ricordarci che il nucleare è non solo un pericolo in sé (vedi esplosione e fuoruscita di radiazioni a Chernobyl) in quanto è una produzione basata sulla fissione, ma che può diventare ancora più pericoloso se attorno è in corso una guerra, perché i colpi sparati potrebbero provocare un disastro come quello del 1986.
In Iran la situazione è paragonabile. Se gli impianti iraniani non sono in grado di arrivare alla bomba atomica, almeno per ora, resta pur sempre il materiale fissile, in particolare per usi civili. Causare esplosioni in questi impianti può provocare un incidente nucleare grave, con danni alla salute delle popolazioni e all’ambiente in aree molto vaste.
Per questo la domanda è perché mai l’Italia dovrebbe tornare al nucleare ora che il mondo è meno sicuro e che ci sono rischi di guerra ? Sarebbe un rischio evidente disseminare nel territorio nazionale delle centrali nucleari civili che potrebbero diventare bersagli di attacchi militari, o del terrorismo.
PER DI PIÙ NEL 1987 E NEL 2011 DUE REFERENDUM POPOLARI HANNO DETTO NO AL NUCLEARE IN ITALIA.
GOVERNO NUCLEARE
Giorgia Meloni ha già preso l’impegno in sedi internazionali (ad es. di fronte a Trump) che l’Italia tornerà al nucleare. Dal canto suo il ministro Pichetto Fratin ha formalizzato l’entrata dell’Italia nell’alleanza nucleare europea. Entrambi hanno annunciato scelte che l’Italia non ha mai deciso con legge, perché occorre anzitutto una nuova legge per procedere, inoltre occorre il rispetto dei vincoli di costituzionalità posti dai 2 referendum abrogativi e ricordati da una sentenza della Corte costituzionale (199/2012). Va ricordato inoltre che potrebbe esserci anche un ulteriore referendum abrogativo.
Questo chiacchierare sul “nuovo” nucleare – che nessuno finora sa dire cosa sia e di cui non esistono prototipi funzionanti per valutarne la sicurezza e la convenienza – sta assorbendo tutte le energie del governo. Governo che non è capace neppure di realizzare i depositi delle scorie radioattive già prodotte in Italia (95.000 mc.) e di quelle riprocessate che stanno per tornare da Francia e Gran Bretagna entro l’anno. Se il governo non riesce a costruire neppure i depositi per le scorie nucleari, divise per tasso di radioattività come afferma la legge esistente e rinvia i tempi fissando la realizzazione al 2039, come si può pensare di insediare nuove centrali in Italia?
Per rendere il Paese più autonomo sul piano energetico anziché chiacchierare di nucleare si dovrebbe investire in modo programmato ed efficiente nelle fonti rinnovabili, unica vera garanzia di autonomia nazionale, per di più per larga ammissione più convenienti del gas e di altre fonti fossili. Non a caso il Presidente di Confindustria ha chiesto di disaccoppiare il prezzo dell’energia elettrica dal gas e questo non fa che confermare la convenienza delle rinnovabili.
Purtroppo il governo ha sbagliato anche il decreto per localizzare gli impianti delle rinnovabili, evidentemente non ha dedicato a questa scelta la stessa attenzione che ha avuto per il nucleare da fissione, che ha costi molto alti e comunque non potrebbe entrare in funzione in tempo per raggiungere gli obiettivi di de carbonizzazione.
Il governo ha dato un’impostazione ideologica sbagliata sul futuro energetico dell’Italia facendo perdere tempo prezioso al nostro paese e da ultimo esponendoci ai contraccolpi speculativi dei prezzi delle fonti fossili in conseguenza della guerra portata in Iran.
A questo si aggiunge il concreto pericolo che in questo clima di guerra ai rischi del nucleare civile si aggiungano quelli di una situazione sempre più tesa nelle relazioni internazionali con decisioni di riarmo che aumentano ulteriormente i rischi. Il nucleare è una scelta che per tempi e convenienza non porterebbe benefici all’Italia.
Quindi: nucleare no grazie, sia militare che civile.
*(Fonte: Sinistrainrete – Alfiero Grandi, giornalista)
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