n° 10 – 08/03/25 – RASSEGNA DI NEWS NAZIONALI E INTERNAZIONALI

n° 10 – 08 marzo 2025 – RASSEGNA DI NEWS NAZIONALI E INTERNAZIONALI NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL’ESTERO. (gz)

01 – Guido Caldiron*: L’abbraccio tra Putin e Trump per negare i diritti – Tempi presenti «L’internazionale moralista» di Stoeckl e Uzlaner, per Luiss University Press. L’accordo su Kiev ha un retroterra ideologico nel no alla libertà e alla democrazia
02 – Mario Di Vito*: L’ira e gli insulti del governo. La Corte: «È inaccettabile» Fronte dei porti Lo scontro istituzionale sale sempre più di tono. Schlein: «Vogliono solo coprire i loro fallimenti». Oggi l’assemblea dell’Anm, tra i temi la partecipazione dei giudici alle iniziative di partito
03 – Luciana Cimino*: Transfemministe nelle piazze al grido: «demilitarizzazione»
8 MARZO Oggi cortei in varie città per ribadire un modello di sicurezza opposto a quello del governo: «Case, welfare e lavoro per tutte»
04 – Hanna Perekhoda*: Trump, Putin e la guerra in Ucraina: il risveglio doloroso dell’Europa di fronte all’ascesa del fascismo globale. Trump, Putin e la guerra in Ucraina: il risveglio doloroso dell’Europa di fronte all’ascesa del fascismo globale
05 – La sinistra deve rifiutare il falso dilemma tra giustizia sociale e sicurezza nazionale.

 

(rassegna a cura di G.Z.)

 

 

01 – Guido Caldiron*: L’ABBRACCIO TRA PUTIN E TRUMP PER NEGARE I DIRITTI – TEMPI PRESENTI «L’INTERNAZIONALE MORALISTA» DI STOECKL E UZLANER, PER LUISS UNIVERSITY PRESS. L’ACCORDO SU KIEV HA UN RETROTERRA IDEOLOGICO NEL NO ALLA LIBERTÀ E ALLA DEMOCRAZIA

Masha Gessen ha lasciato definitivamente la Russia nel 2013, quando, per la giornalista e attivista Lgbtq, restare era diventato troppo pericoloso. Da allora, la sua voce non ha smesso di levarsi per denunciare i crimini del regime di Putin e la minaccia alla democrazia e alla libertà che, nel frattempo, si andavano facendo sempre più evidenti anche in quegli Stati Uniti che aveva scelto come luogo del proprio esilio. Qualche giorno fa, in un intervento pubblicato sul New York Times, e quindi riproposto da alcune testate europee, Gessen ha sottolineato «la velocità forsennata» con cui Washington e Mosca stanno sanando i loro rapporti, paragonabile solo «a quella con cui, sul fronte domestico, l’amministrazione Trump sta mandando le cose all’aria».
Le Pussy Riot
A PREOCCUPARE GESSEN, sono le sorti dell’Ucraina, come il futuro di quanti, fuggendo da Putin hanno pensato di vivere al sicuro negli Usa. Ma, sotto traccia, è probabilmente la prospettiva di un abbraccio ideologico prima ancora che «geopolitico» tra Mosca e Washington a metterla in allarme. Solo un esempio tra i tanti: alla vigilia delle recenti elezioni tedesche il medesimo endorsement in favore dei postanazisti dell’Afd è venuto dal vicepresidente americano J.D. Vance e da uno degli ideologhi del Cremlino, Alexander Dugin.
Del resto, il segnale che arriva da Mosca è quello di un forte apprezzamento per la sostanziale coincidenza della visione americana rispetto alla politica estera russa. Normale che in questo momento a destare preoccupazione siano gli esiti di tale prospettiva sulle relazioni internazionali e, prima di tutto, sulla guerra d’invasione che Mosca conduce in Ucraina da tre anni. Ma, volendo guardare con più attenzione, ci si potrebbe forse rendere conto di come tale convergenza di interessi celi in realtà anche qualcosa di più: vale a dire la possibilità che al di là dei progetti specifici delle due leadership, sul fondo si stagli una prospettiva ideologica che ha molti punti in comune, se non la medesima «visione del mondo», qualcosa che gli somiglia molto. Pur con le evidenti differenze, il portato culturale delle due destre estreme che guidano rispettivamente la Russia e gli Stati Uniti, è decisamente più affine di quanto molti osservatori si stiano prendendo la briga di sottolineare.
ALLA VIGILIA DELL’8 MARZO, i contenuti di un libro importante, ma passato un po’ sotto silenzio, possono aiutare a fare chiarezza al riguardo. In L’internazionale moralista. I conservatori russi e la conquista dell’Occidente (traduzione di Paolo Bassotti, prefazione di Maria Chiara Franceschelli, Luiss, pp. 262, euro 18), i sociologi Kristina Stoeckl e Dmitry Uzlaner indagano un aspetto specifico della cultura reazionaria che si è andata affermando nella Russia dell’ultimo quarto di secolo, vale a dire l’emergere in seno alla società dei cosiddetti «valori tradizionali», uno dei pilastri, accanto al nazionalismo e al rigetto della democrazia «occidentale», su cui si è edificato via via il regime guidato da Vladimir Putin.
Il libro riflette su quello che è solo apparentemente un paradosso, vale a dire il fatto che Putin in persona non perda giorno senza denunciare «il complotto» dell’Occidente contro la Russia e la sua presunta «identità», l’archetipo di questa tendenza è racchiuso nell’idea del Russkij Mir (lo spazio russo) evocato a più riprese. Solo che i temi enunciati dal leader russo, sottolineano gli autori del volume, più che appartenere ad una presunta «tradizione» ortodossa o presovietica, di cui per altro ben poche tracce possono essere sopravvissute ad oltre settant’anni di secolarizzazione forzata, rimandano direttamente a quanto agitato dalle destre ultraconservatrici occidentali, a partire dalle culture wars che scuotono gli Stati Uniti da mezzo secolo.
In altre parole, alla nazionalizzazione della massa su una linea che intreccia echi zaristi, nostalgie staliniane e ambizioni neo imperiali che domina l’orizzonte politico-culturale russo, si lega un’offensiva che ha al centro «l’importanza della famiglia nucleare eterosessuale come fondamento della società, la rigidità nel definire i ruoli di genere, l’atteggiamento fortemente normativo rispetto alla biopolitica e la determinata opposizione alle battaglie progressiste». Tutti temi già «lavorati» da tempo dalle destre occidentali e che rendono perciò la battaglia in atto a Mosca molto più simile a quanto accade in Europa e negli Stati Uniti.
LA DIFFERENZA È CHE A MOSCA, grazie al ruolo assegnato dal potere politico alla Chiesa Ortodossa – la stessa che ha benedetto l’invasione armata dell’Ucraina – e in virtù dell’intreccio tra Putin e il patriarca Kirill, tali posizioni si traducono in una dottrina di Stato. Non solo, l’intreccio con le destre occidentali si compie anche attraverso organizzazioni transnazionali o gli organismi legati all’Onu. È il caso del ruolo svolto dalla Russia in seno al Consiglio dell’Onu sui diritti umani o dell’influenza di strutture come il Congresso mondiale delle famiglie che trova nelle istituzioni moscovite un supporto costante.
L’attivismo pro-life e pro-family lega direttamente le centrali del conservatorismo religioso, specie alcuni ambienti evangelici americani, con i loro omologhi russi. E anche la guerra in Ucraina è stata talvolta presentata come un’offensiva di carattere morale («combattere le sfilate gay»). La novità è che ora le stesse idee rischiano di guidare le scelte di Mosca come di Washington. E anche il nemico in ultima analisi rischia di essere comune: i diritti, la democrazia, la libertà.
*(Guido Caldiron, Giornalista, studia da molti anni le nuove destre e le sottoculture giovanili, temi a cui ha dedicato inchieste e saggi. Ha collaborato con radio e TV italiane)

 

02 – Mario Di Vito*: L’IRA E GLI INSULTI DEL GOVERNO. LA CORTE: «È INACCETTABILE» FRONTE DEI PORTI LO SCONTRO ISTITUZIONALE SALE SEMPRE PIÙ DI TONO. SCHLEIN: «VOGLIONO SOLO COPRIRE I LORO FALLIMENTI». OGGI L’ASSEMBLEA DELL’ANM, TRA I TEMI LA PARTECIPAZIONE DEI GIUDICI ALLE INIZIATIVE DI PARTITO

La risposta del governo alla sentenza della Cassazione sul caso Diciotti è unanime. E durissima. Attacca la premier Meloni che su X parla di decisione «frustrante» e aggiunge: «Non credo siano queste le decisioni che avvicinano i cittadini alle istituzioni». Insistono poi i due vicepremier. Prima Tajani: «Se ogni migrante clandestino che non entra in Italia fa una causa al governo italiano e il governo italiano deve pagarlo, faremmo saltare i conti pubblici perché tutti cercheranno di venire in Italia per speculare da questo punto di vista». E poi Salvini: «Mi sembra un’altra invasione di campo indebita. Se c’è qualche giudice che ama così tanto i clandestini, li accolga un po’ a casa sua e li mantenga».
NELLA SETTIMANA dell’infruttuoso incontro tra i vertici del governo e quelli dell’Anm, lo scontro sulla giustizia produce una fiammata talmente alta che la prima presidente della Cassazione Margherita Cassano si è sentita in dovere di rispondere di suo pugno. «Le decisioni della Corte di Cassazione, al pari di quelle degli altri giudici, possono essere oggetto di critica – si legge in una breve nota -. Sono, invece, inaccettabili gli insulti che mettono in discussione la divisione dei poteri su cui si fonda lo Stato di diritto». Non è la prima volta che Cassano fa sentire la sua voce nel dibattito: già a gennaio, all’apertura dell’anno giudiziario, aveva espresso il suo parere, pacato ma fermamente contrario, alla separazione delle carriere. Cioè alla madre di tutti gli scontri tra esecutivo e toghe, situazione che non appare destinata a migliorare perché la premier non ha alcuna intenzione di fare marcia indietro sul punto e più passerà il tempo più i toni si faranno sempre più aspri. Fino all’inevitabile referendum costituzionale, la cui campagna già si annuncia come battaglia campale senza esclusione di colpi. Che il momento sia pesante, ad ogni buon conto, lo confermano anche i comunicati usciti in serie dal Csm, dalla giunta e dalla sezione Cassazione dell’Anm. I concetti sono sempre gli stessi. Le decisioni della Suprema corte, scrivono i togati del Csm insieme ai consiglieri laici di centrosinistra, «devono essere rispettate perché a presidio del principio di eguaglianza e manifestazione del diritto di ricevere tutela giurisdizionale sancito dall’articolo 113 della Costituzione». E ancora: «La Costituzione è un bene comune dei cittadini italiani e deve essere tutelata da tutti gli attori istituzionali». Per l’Anm, poi, quelli del governo sono da leggere come «attacchi irrispettosi per la separazione dei poteri». E pensare che, dopo l’incontro avvenuto mercoledì a palazzo Chigi, si pensava che almeno per qualche tempo il clima sarebbe stato vagamente meno teso.
«L’IMPEGNO di non attaccare i magistrati per sentenze non gradite è durato il tempo di un tramonto», è il commento sarcastico del segretario dell’Anm Rocco Maruotti, che si aspetta di assistere a breve al consueto massacro mediatico con le vite dei giudici della Cassazione passate al setaccio alla ricerca di simpatie progressiste o idee non allineate a quelle dell’estrema destra di governo. Intanto, per una volta, le opposizioni reagiscono compatte. «Meloni continua ad alimentare lo scontro con la magistratura per coprire i fallimenti del suo governo – dice la segretaria del Pd Elly Schlein -. Ma la Cassazione è l’ultimo grado di giudizio, come stabilito dalla Costituzione, che non cambia in base al suo umore». Sulla stessa linea anche le altre forze, da Avs al M5s, passando pure per Italia Viva. Renzi ci va giù durissimo: «Penso che l’influencer (cioè la premier, ndr) stia sbarellando. In questo caso non è la Magistratura che prende il posto della politica. Stavolta è il governo che dopo aver esautorato il parlamento vuole zittire anche il potere giudiziario. Meloni sta volutamente esagerando per creare il caos».
IN TUTTO QUESTO, stamattina, l’Anm si vedrà nella sua saletta all’ultimo piano della Cassazione per la prima riunione del comitato direttivo centrale sotto la presidenza di Cesare Parodi. Tra i punti all’ordine del giorno, oltre a molte faccende tecniche e alla «individuazione dei mezzi finanziari per garantire lo svolgimento delle prossime iniziative» da mettere in atto contro la riforma, ce n’è uno così intitolato: «Regolamentazione della partecipazione dei magistrati alle iniziative organizzate dai partiti politici». La proposta viene da Magistratura indipendente, la corrente di destra, maggioranza relativa del parlamentino. Il tema di fondo è quello dell’imparzialità, declinato secondo un refrain molto in voga dalle parti del governo: un giudice deve essere come la moglie di Cesare e, oltre ad esserlo, deve anche sembrare imparziale. Per molti la bella frase, molto evocativa, serve solo a impedire che i magistrati intervengano nel dibattito civile del paese. Un problema che di certo non riguarda Mi, i cui interventi pubblici riguardano quasi esclusivamente faccende sindacali come le ferie e gli stipendi, ma soprattutto le correnti «di sinistra», all’interno delle quali è invece diffusa la convinzione che i giudici non si sottraggano al confronto sui temi della giustizia.
*(Mario Di Vito, classe 1989, giornalista. Lavora per Il Manifesto, scrive anche per A-Rivista Anarchica, Malamente e altre testate)

 

03 – Luciana Cimino*: TRANSFEMMINISTE NELLE PIAZZE AL GRIDO: «DEMILITARIZZAZIONE»
8 MARZO OGGI CORTEI IN VARIE CITTÀ PER RIBADIRE UN MODELLO DI SICUREZZA OPPOSTO A QUELLO DEL GOVERNO: «CASE, WELFARE E LAVORO PER TUTTE»

La piattaforma per lo sciopero dell’8 marzo pone il movimento transfemminista all’avanguardia rispetto ai temi dell’agenda nazionale e internazionale. Quanti pensavano che, dopo i grandissimi numeri della manifestazione a seguito del femmicidio di Giulia Cecchettin, ci sarebbe stato un riflusso in termini di partecipazione sono stati smentiti. I cortei femministi successivi e le manifestazioni sempre più corpose e capillari in tutte le regioni, sono stati subissati dalle critiche strumentali della destra per la presenza delle bandiere palestinesi e per gli atti dimostrativi alle vetrine dell’associazione integralista Pro Vita, invitando surrettiziamente le donne a occuparsi solo di questioni di genere nazionali, quindi tutto sommato “domestiche”.
IL DOCUMENTO per la partecipazione allo sciopero transfemminista di oggi, invece, vuole affermare la sicurezza delle persone ma declinata in modo opposto a quello di ordine, controllo, repressione e punizione imposto dalle destre reazionarie e patriarcali. A partire dalla parola d’ordine che quest’anno è «demilitarizzazione»: «L’escalation bellica esponenziale – si legge nel testo della rete Non Una di Meno – è l’orribile realtà nelle vite di milioni di persone: dal genocidio a Gaza e in Cisgiordania, al confine russo-ucraino, in Congo e Sudan. Non vogliamo essere anestetizzate, sopraffatte, manipolate da ciò che succede nel mondo. Perché la guerra, sostenuta da governi autoritari, da politiche nazionaliste e fondamentalismi, regola il sistema economico per garantire profitti e potere facendo pagare i costi in termini di vite e povertà alla maggioranza della popolazione sfruttata e divisa». Naturale, di conseguenza, la richiesta di rompere gli accordi italo-libici e chiudere i Cpr in Italia e in Albania.
LO SCIOPERO sarà anche contro il governo Meloni che con il ddl Sicurezza «esaspera norme di segregazione e punizione della povertà e di criminalizzazione del dissenso», contro l’istituzione delle zone rosse e contro il modello Caivano. Al panpenalismo meloniano le trasfemministe oppongono l’incremento dei servizi sociali, l’educazione alla sessualità, il diritto alla salute, all’autodeterminazione e all’aborto, il finanziamento di veri percorsi di autonomia e fuoriuscita dalle relazioni violente, il piano casa, il lavoro sicuro e retribuito. «È assodato che femminicidi, transci di, lesbici di e violenze accadono innanzitutto nelle relazioni di intimità e nei contesti parentali: continuando a fomentare razzismo e odio di genere, e militarizzando le città, il governo gioca col fuoco».
NON UNA DI MENO, «LOTTO E BOICOTTO» IN 60 CITTÀ
LE MISURE annunciate ieri in consiglio dei ministri proprio per l’8 marzo, oltre a rivelare l’ennesima operazione di propaganda sui femmicidi, risultano risibili rispetto alla condizione delle donne italiane. La ministra del Lavoro e delle Politiche sociali, Marina Calderone, ha dichiarato che attraverso l’assegno di inclusione (pallido sostituto del reddito di cittadinanza) in un anno è stata data protezione ad appena 3.516 donne. La sua collega all’Università, Anna Maria Bernini, ha aggiunto di aver stanziato 8,5 milioni per gli sportelli antiviolenza e di sostegno psicologico negli atenei. Mercoledì scorso è stato anche annunciato l’aumento del cosiddetto reddito di libertà (destinato alle donne che devono uscire da un contesto abusante) di 100 euro, per un totale di 500 euro al mese. Un attivismo governativo che come al solito si presenta quando c’è una ricorrenza o un fatto di cronaca, ma che non riesce a incidere perché vede la donna solo in quanto madre e perché inserito di soppiatto in un contesto di totale definanziamento dei servizi sociali. «Nonostante l’aumento, sono ancora troppo pochi i fondi – ha dichiarato Antonella Veltri, presidente della rete dei centri antiviolenza Di.Re. – sono stati stanziati 10 milioni all’anno per il triennio 2024-26: in media, poco più di 1.600 donne all’anno possono accedere al contributo. Il ritardo della misura lascia le donne in un’eterna incertezza. Lo Stato non è in grado di sostenere le donne che affrontano i loro faticosi percorsi di uscita dalla violenza». Peraltro il reddito di libertà non è ancora attivo in tutte le regioni. Nel Lazio, guidato dall’ex missino Francesco Rocca, ad esempio, il bando per farne richiesta non è ancora stato pubblicato nonostante lo stanziamento.
LA FIOM CGIL ha versato 3.175 ore di retribuzione di metalmeccaniche e metalmeccanici al centro antiviolenza di Reggio Emilia: «Non ci vogliamo sostituire al ruolo dello stato, le risorse che abbiamo messo sono un elemento di denuncia della mancanza di sostegno del governo alla rete» dichiara Michele Di Palma, segretario generale della Fiom, che ha anche insistito sul ruolo fondamentale della contrattazione per consentire almeno trattamenti economici e diritti adeguati. L’ong Terre des Hommes ha pubblicato un rapporto: il 78% delle ragazze teme di subire violenza in amore e in famiglia e il 56% ha paura che limitazioni maschiliste possano ostacolare la propria carriera. La quasi totalità delle intervistate (il 95%) ritiene che l’educazione sessuoaffettiva nelle scuole sia fondamentale per limitare la violenza di genere. Invece all’Istruzione c’è il ministro leghista Valditara che insiste su patria e bibbia, il suo partito denuncia la «teoria gender» dappertutto.
AMNESTY International Italia ha rilanciato l’appello alle istituzioni affinché venga modificato l’articolo 609bis del codice penale in materia di stupro introducendo l’obbligo del consenso: «Bisogna mettere da parte una legge obsoleta, riconoscendo che il sesso senza consenso è stupro: solo così si potrà procedere per contrastare la violenza sessuale e migliorare l’accesso alla giustizia».
*(Luciana Cimino. Giornalista, Consulente comunicazione politica · Giornalista professionista. Il Manifesto.)

 

04 – Hanna Perekhoda*: TRUMP, PUTIN E LA GUERRA IN UCRAINA: IL RISVEGLIO DOLOROSO DELL’EUROPA DI FRONTE ALL’ASCESA DEL FASCISMO GLOBALE. TRUMP, PUTIN E LA GUERRA IN UCRAINA: IL RISVEGLIO DOLOROSO DELL’EUROPA DI FRONTE ALL’ASCESA DEL FASCISMO GLOBALE.

Negli Stati Uniti sta prendendo piede un regime fascista. In Russia è già in vigore da tre anni – una realtà che molti hanno preferito negare, aggrappandosi all’illusione di un tranquillo ritorno alla normalità, a uno status quo solo temporaneamente interrotto dalla guerra contro l’Ucraina.
È lo stesso status quo che ha permesso all’Unione Europea – Germania in testa – di continuare a importare idrocarburi russi a basso costo e di esportare prodotti di fascia alta in Cina e negli Stati Uniti. Un mondo così confortevole da rendere fastidiosa l’ostinata resistenza degli ucraini. Se solo avessero accettato di vivere sotto l’occupazione di un regime che stupra, uccide e tortura su vasta scala, forse avremmo potuto continuare a prosperare all’infinito… Un’illusione tanto ingenua quanto cinica.
“La lotta per la libertà in Ucraina è strettamente legata alla lotta globale contro il fascismo”
Eppure i leader europei si sono aggrappati a questa illusione, limitando la possibilità di imporre sanzioni rapide ed efficaci contro la Russia e ritardando gli aiuti all’Ucraina in un momento critico, proprio quando esisteva una maggiore possibilità per modificare gli equilibri di potere sul campo di battaglia. Questa esitazione ha permesso alla Russia di conquistare territori e di rafforzarsi, rendendo le controffensive dell’Ucraina molto più costose.
Dopo aver concentrato tutti i nostri sforzi per chiudere gli occhi di fronte alla realtà, ci troviamo ora storditi da una situazione in cui tutti i nostri punti di riferimento sono crollati nel giro di poche settimane. Il discorso di J.D. Vance a Monaco ne è un esempio lampante.
J.D. Vance è stato esplicito: il nemico per gli Stati Uniti non è Vladimir Putin, con il quale la nuova amministrazione americana condivide molte affinità ideologiche. Il vero nemico è l’Europa, e con lei tutti coloro che si oppongono all’ordine che Trump vuole imporre. Lo stesso uomo che sostiene la costruzione di muri per tenere fuori i migranti vuole anche vietare le “barriere” contro l’estrema destra in Europa. Come ha giustamente scritto il Guardian, Vance ha chiamato a raccolta le forze populiste di destra affinché prendano il potere in tutta Europa, con la promessa che il “nuovo sceriffo in città” le avrebbe aiutate a farlo. Nulla deve ostacolare la loro marcia trionfale.
Questa barriera potrebbe crollare da un momento all’altro, mentre l’Europa continua a guardare, annuendo passivamente, senza vedere che le stesse acque torbide si stanno già infiltrando dall’interno.
LA FINE DI UN’ERA. TRUMP E PUTIN ALLEATI CONTRO L’EUROPA
La repressione dei migranti, l’istituzionalizzazione della misoginia e dell’omofobia, la negazione del cambiamento climatico, lo sfruttamento spietato delle persone e della natura, la liquidazione dell’Ucraina, la deportazione dei palestinesi: questi sono i pilastri del nuovo ordine emergente che sta già prendendo forma. Ormai dovrebbe essere chiaro come il sole: abbandonare le vittime di aggressioni militari – proprio come abbiamo fatto con i palestinesi e ci stiamo preparando a fare con gli ucraini – equivale a dare agli autocrati la possibilità di imporre il loro dominio con la forza bruta.
Si tratta di un’equazione semplice che qualsiasi persona razionale dovrebbe essere in grado di comprendere. È ancora più sconcertante, quindi, che le azioni di Donald Trump e della sua amministrazione abbiano apparentemente scioccato gli europei. Dopo tutto, egli ha ripetutamente chiarito che questo è esattamente il modo in cui intende agire. Ad essere sorprendente non è Trump, ma piuttosto la mancanza di preparazione e di lungimiranza strategica degli europei.
Le dichiarazioni che sottolineano l’urgente necessità per i paesi europei di aumentare radicalmente e rapidamente le spese militari sono, purtroppo, corrette. Secondo il Financial Times, la spesa militare della Russia ha ormai superato i bilanci della difesa di tutti i paesi europei. Entro il 2025, Mosca destinerà ancora più fondi alla guerra: il 7,5% del PIL, pari a quasi il 40% del bilancio nazionale.
Questo è uno dei vantaggi che i regimi autoritari hanno rispetto alle democrazie: poter mobilitare rapidamente risorse umane ed economiche per la guerra, imponendo misure coercitive senza temere un’opposizione di massa. Uno Stato autoritario, la cui popolazione è stata imbevuta di un’ideologia tardo-capitalista di cinismo e individualismo, come nel caso della Russia, può spingere questa logica ancora più lontano. Tuttavia, l’Europa sembra non vedere un’altra realtà fondamentale dei regimi autoritari: una volta che un autocrate intraprende una guerra di espansione, non può semplicemente fermarsi. La sopravvivenza del suo regime diventa indissolubilmente legata alla guerra, che alla fine consuma l’intera struttura del potere.
I leader europei, come Emmanuel Macron, che ora parlano della reale necessità di rafforzare la difesa dell’Europa, sono gli stessi che hanno preparato la strada a questa crisi. Condannano gli abusi di potere sulla scena internazionale, ma tollerano la logica darwiniana all’interno delle loro società, sostenendo un sistema in cui i più potenti continuano a dominare i più vulnerabili. Questa contraddizione indebolisce la loro credibilità e alimenta la crescente sfiducia nelle istituzioni democratiche. Una simile incoerenza crea un terreno fertile per l’ascesa dei movimenti fascisti, che capitalizzano le fratture per mobilitare un elettorato disilluso.
Le crescenti disuguaglianze, il sempre più forte senso di ingiustizia e la percezione di un’élite politica scollegata dalla realtà indeboliscono la loro legittimità. Una società che si sente abbandonata o ignorata farà fatica a sostenere gli impegni internazionali, anche quando questi rispecchiano principi fondamentali, come la difesa dei diritti e della sovranità.
I populisti sfruttano questo malcontento alimentando l’idea che i governi stiano sacrificando gli interessi nazionali a favore di cause apparentemente lontane, come il sostegno all’Ucraina. Personaggi politici come Jean-Luc Mélenchon in Francia e Sahra Wagenknecht in Germania hanno denunciato le ingiustizie sociali e al tempo stesso abbracciato la legge del più forte sulla scena internazionale, giustificando le violazioni commesse da regimi autoritari come la Russia. Il loro posizionamento opportunistico, guidato da calcoli elettorali, priva la loro retorica di qualsiasi credibilità. Al contrario: è impossibile separare la giustizia sociale interna dalle politiche internazionali di un paese. Una società che tollera o addirittura incoraggia il cinismo e il dominio sulla scena globale inevitabilmente normalizzerà queste stesse dinamiche nelle sue relazioni sociali interne – e viceversa.
Una società più giusta e coesa è meglio attrezzata per sostenere gli impegni internazionali e i bilanci della difesa, la cui necessità è ormai innegabile. Politiche di ridistribuzione efficaci e urgenti sono essenziali per ripristinare la fiducia dei cittadini. Pertanto, l’assistenza che i paesi europei possono fornire all’Ucraina non si limita agli aiuti militari o economici, ma dipende anche dalla risoluzione della propria crisi interna di legittimità. Tuttavia, va ripetuto ancora una volta: l’aiuto che conta davvero per ogni ucraino è quello militare. È la condizione più importante per la sopravvivenza dell’Ucraina come società e per ogni suo cittadino.
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Molti, soprattutto in Germania, esprimono preoccupazione per l’influenza dell’estrema destra in Ucraina. Eppure, nulla alimenta l’estremismo più di un ingiusto “accordo di pace” imposto a una vittima di aggressione contro la sua volontà. Nessuna situazione è più radicalizzante di un’occupazione militare unita a un’oppressione sistematica e brutale. Se l’Ucraina sarà costretta ad accettare una pace dettata dalla Russia, la frustrazione e l’ingiustizia accumulate alimenteranno i movimenti radicali, che prospereranno a spese delle forze moderate e progressiste. La storia è piena di esempi di accordi di pace imposti che hanno dato vita a mostri, a organizzazioni terroristiche nate dalla disperazione e dal risentimento.
Trump ha dichiarato apertamente la volontà di negoziare senza alcun riguardo per il governo ucraino o il suo popolo. Così facendo, si allinea completamente all’agenda del Cremlino e legittima retroattivamente l’aggressione russa. Peggio ancora, rifiutandosi di chiamare questa invasione per quello che è veramente – una guerra di aggressione illegale, accompagnata da gravi violazioni del diritto internazionale e da documentati crimini di guerra – invia un messaggio profondamente pericoloso. Rafforza l’idea che tali politiche espansionistiche possano essere non solo tollerate, ma addirittura premiate. Taiwan, Filippine, Stati Baltici, Moldova e Armenia devono ora prepararsi ad essere i prossimi della lista. In questo contesto, è imperativo assumere una posizione ferma e inequivocabile: nessun negoziato può avvenire a spese del popolo ucraino, e ancor meno senza il suo consenso.
Il tempo per piangere è finito, ora è il momento di agire. Perché un giorno, quando la polvere si poserà e la nebbia si alzerà, ci chiederemo inevitabilmente e con orrore: come abbiamo potuto essere così passivi, così ciechi, così indifferenti di fronte a questo disastro che avevamo sotto i nostri occhi?
*(Hanna Perekhoda, è una ricercatrice, specialista della storia sovietica. In questa intervista parla dei preconcetti e delle semplificazioni di cui, in Europa occidentale, si nutrono le discussioni sulla guerra in Ucraina.)

 

05 – LA SINISTRA DEVE RIFIUTARE IL FALSO DILEMMA TRA GIUSTIZIA SOCIALE E SICUREZZA NAZIONALE.
“Dopo la decisione degli Stati Uniti di abbandonare l’Ucraina, un paese che ora rappresenta l’ultima linea di difesa per la sicurezza europea, l’UE non ha altra scelta che agire con decisione. Garantire la propria protezione non è più una materia su cui dibattere: è una necessità innegabile. La vera domanda da porsi ora, soprattutto per la sinistra, è sull’avere o meno un programma concreto per affrontare questa crisi. Se continuerà a lamentarsi della militarizzazione senza offrire soluzioni alle reali minacce alla sicurezza che tutti noi dobbiamo affrontare, la sinistra abbandonerà del tutto la politica, lascerà la società in balia delle destre a favore della propria purezza ideologica e della propria autoindulgenza”. La riflessione della storica Hanna Perekhoda, specializzata sul nazionalismo nel contesto della storia dell’Impero russo e dell’Unione sovietica.
Trump, Putin e la guerra in Ucraina: il risveglio doloroso dell’Europa di fronte all’ascesa del fascismo globale
“La lotta per la libertà in Ucraina è strettamente legata alla lotta globale contro il fascismo”

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