00 – La Sen. La Marca*: la senatrice incontra il DG Vignali per sollecitare una semplificazione dell’amministrazione per gli italiani all’estero.
01 – Marco Pasi*: Gli italiani residenti all’estero raddoppiati in 18 anni – Il rapporto della fondazione Migrantes Gli iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero sono l’unica parte del paese «che continua a crescere», afferma il Rapporto Italiani nel Mondo 2024
02 – Andrea Fabozzi*: Governo di BULLI: ho torto, ma ho ragione – «Paesi sicuri» È Come per la calcolatrice, impugnata da Meloni in tv con Vespa per fare chiarezza sui numeri della legge di bilancio. Ma i conti non tornano e alla fine la […]
03 – Roberto Ciccarelli*: I conti sbagliati di Meloni: la calcolatrice non funziona – I tagli agli italiani Dalle audizioni sulla legge di bilancio il governo esce a pezzi: inizia la nuova austerità
04 – Riccardo Piccolo*: Trump, le imprese europee che rischiano di più dai dazi
Il nuovo presidente annuncia tariffe del 20% su tutte le importazioni: a rischio soprattutto auto, macchinari e chimica, che rappresentano il 68% dell’export.
05 – Anna Fabi*: Manovra 2025: ecco gli emendamenti dei partiti di governo – Emendamenti alla Manovra 2025: partiti di governo, sindacati e industriali propongono modifiche su tasse, pensioni, sanità e investimenti.
06 – ANCHE NEI SALARI IL TRAGUARDO DELLA PARITÀ DI GENERE È LONTANO – In Europa la differenza media oraria di pagamento tra uomini e donne è di quasi il 13%. Tuttavia, non vengono considerati molti fattori, come le differenze dei livelli occupazionali e il lavoro di cura non pagato. EUROPA(*)
07 – Redazione*: Voto Usa, la top 10 dei ricchi vince 64 miliardi – Elettorale Americana La vittoria di Donald Trump ha fatto guadagnare 64 miliardi di dollari ai dieci uomini più ricchi del mondo, il maggior aumento azionario in un singolo giorno da quando il […]
08 – Roberto Ciccarelli*: Ecco come i tagli di Giorgetti sono diventati la nuova normalità. I tagli agli italiani In questo modo sarà finanziata la manovra, ha detto il ministro dell’economia al quarto giorno di audizioni in parlamento: approccio punitivo per gli enti locali, cresce la spesa militare: 7,7 miliardi di euro di tagli lineari ai ministeri nei prossimi tre anni. Per Giorgetti i dicasteri saranno «liberi» di gestirli all’interno dei paletti stabiliti dall’austerità. 5,6 miliardi di euro e oltre. Sono i tagli, solo in 3 anni, agli enti locali: comuni, città metropolitane e regioni tra «accantonamenti» e riduzione di investimenti
09 – Le opacità del governo sul Pnrr non sono più accettabili – L’esecutivo continua a negare la pubblicazione di informazioni importanti per capire l’effettiva valutazione di quanto fatto finora sul Pnrr, proprio in un momento in cui il piano dovrebbe entrare in una fase decisiva.
10 – Luca Zorloni*: Commissione europea, cosa vogliono fare i futuri commissari su AI, spazio, startup, cyber security ed energia – Ci siamo letti il “libro dei sogni” dei futuri componenti della Commissione. Che ora devono passare le audizioni in Parlamento europeo. Ecco le loro idee in materia tech.
00 – La Sen. La Marca*: LA SENATRICE INCONTRA IL DG VIGNALI PER SOLLECITARE UNA SEMPLIFICAZIONE DELL’AMMINISTRAZIONE PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO.
GIOVEDÌ 7 NOVEMBRE, LA SENATRICE LA MARCA HA INCONTRATO IL DIRETTORE GENERALE PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO E LE POLITICHE MIGRATORIE, LUIGI VIGNALI, PER DISCUTERE DI ALCUNE PROBLEMATICHE CHE AFFLIGGONO GLI UTENTI DEI SERVIZI CONSOLARI ITALIANI, A PARTIRE DALLE NUMEROSE SEGNALAZIONI CHE OGNI GIORNO PERVENGONO AL SUO UFFICIO.
Uno dei temi centrali del confronto è stata la recente circolare del Ministero dell’Interno (link circolare) che introduce importanti novità per il riconoscimento della cittadinanza italiana. La Senatrice ha sottolineato la necessità di definire al più presto modalità operative chiare per la corretta gestione delle nuove procedure, con l’obiettivo di rispondere alle esigenze di molti italiani all’estero in attesa di chiarimenti. Su questo punto, il Direttore Vignali ha assicurato che sono in corso approfondimenti per elaborare direttive che possano essere applicate in modo chiaro e uniforme nel corso del prossimo anno.
La seconda questione sollevata riguarda i portali Prenot@mi e FAST IT. Sebbene siano strumenti fondamentali per l’accesso ai servizi consolari, questi portali necessitano di semplificazioni per rispondere meglio alle esigenze degli utenti e ridurre la complessità burocratica riscontrata da molti cittadini italiani all’estero. La Senatrice ha sottolineato l’importanza di integrare Prenot@mi e FAST IT in un’unica piattaforma per ottimizzare i servizi digitali e ridurre i tempi d’attesa. A riguardo, il Direttore Vignali ha confermato che sono previsti interventi di miglioramento nel corso del prossimo anno con l’obiettivo di rendere più agevole l’accesso ai servizi digitali da parte dei cittadini all’estero.
Durante l’incontro, è stato affrontato il tema dell’attivazione delle CIE (Carte d’Identità Elettroniche), evidenziando come molti cittadini residenti all’estero stiano riscontrando problemi nel ricevere l’SMS di conferma per finalizzare la richiesta, spesso a causa dell’incompatibilità con numeri di telefono internazionali. “Si tratta di problematiche che compromettono l’accesso a un documento fondamentale, e meritano un intervento tempestivo,” ha sottolineato La Marca.
“Sono stati fatti importanti passi avanti, e la volontà di migliorare l’accesso ai servizi e ridurre la burocrazia è chiara e condivisa,” ha dichiarato la Senatrice, che si è detta soddisfatta del dialogo aperto e costruttivo con il Direttore Vignali. Ha anche espresso un sincero ringraziamento al Direttore per il suo impegno nel rispondere concretamente alle esigenze degli italiani all’estero, auspicando che queste segnalazioni possano tradursi presto in azioni concrete per una maggiore efficienza e semplificazione dei servizi consolari.
*(Sen. Francesca La Marca – 3ª Commissione – Affari Esteri e Difesa – Electoral College – North and Central America)
01 – Marco Pasi*: GLI ITALIANI RESIDENTI ALL’ESTERO RADDOPPIATI IN 18 ANNI – IL RAPPORTO DELLA FONDAZIONE MIGRANTES GLI ISCRITTI ALL’ANAGRAFE DEGLI ITALIANI RESIDENTI ALL’ESTERO SONO L’UNICA PARTE DEL PAESE «CHE CONTINUA A CRESCERE», AFFERMA IL RAPPORTO ITALIANI NEL MONDO 2024
Dal 2006 a oggi gli iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire) sono raddoppiati (+97,5%). L’unica parte del paese «che continua a crescere», afferma la XIX edizione del Rapporto Italiani nel Mondo (Rim). «Oggi la comunità dei cittadini che vivono all’estero è composta da oltre 6milioni 134mila unità», si legge nello studio.
Più di 3,3 milioni di questi si trovano in Europa (54,2%). Il 40,6% tra America del Sud e del Nord (2,4 milioni in totale). Seguono: Oceania (2,7%), Asia (1,3%) e Africa (1,1%).
Il 23,2% di chi risiede all’estero ha tra i 35 e i 49 anni; il 21,7% appartiene alla fascia di età 18-34 anni e il 19,5% a quella 50-64 anni. Il 14,6% è minorenne, mentre gli anziani sono uno su cinque.
NUMERI che spingono monsignor Giancarlo Perego, presidente della Fondazione Migrantes, a riflettere: «Non è possibile che la politica non riconosca i cambiamenti che stanno avvenendo. Deve interpretarli e governarli con strumenti idonei e non pregiudiziali. Dal 1992 a oggi l’Italia è cambiata».
Basti pensare che solo negli ultimi quattro anni il paese conta circa 652 mila residenti in meno. «A tali partenze non corrispondono però altrettanti “ritorni” ma, piuttosto, una desertificazione dei territori. L’estero ha sostituito l’ascensore sociale bloccatosi negli anni Novanta», precisa il Rim. Nel 2024 la Sicilia si conferma la regione con la comunità di iscritti Aire più numerosa (+826 mila), seguita da Lombardia (+641 mila) e Veneto (+563 mila).
Secondo il rapporto, poi, non si pone il giusto accento sulla mobilità interna. Mediamente su circa 2 milioni di trasferimenti annuali, quasi tre quarti riguardano movimenti tra comuni italiani.
RISPETTO A 10 ANNI FA GLI ABITANTI DELLE COSIDDETTE AREE INTERNE SONO 700 MILA IN MENO.
Ma anche la città inizia a rifiutare i giovani. Il costo proibitivo della vita e degli affitti, sempre più cari, spingono via i ragazzi. «Bisogna considerare la partenza non un abbandono, ma una possibilità di crescita per un ritorno più utile.
Allo stesso tempo, si deve anche valorizzare chi ha scelto l’Italia come meta di destinazione per ricominciare una vita più dignitosa, facendo nascere figli che oggi si sentono pienamente italiani pur non essendolo di diritto», si legge nello studio.
UN’INDAGINE Istat del 2023 parla di nuove generazioni sempre più digitali e multiculturali, ma spesso senza cittadinanza. Ben l’85,2% di chi ha tra gli 11 e i 19 anni e non è formalmente italiano, si riconosce come tale. La legge è ferma al 1992, così assistiamo a uno scollamento tra realtà e azione politica. L’acquisizione della cittadinanza è diventata materia ideologica e non si riesce (o non si vuole) interpretare il modo in cui la mobilità umana sta mutando profondamente tale concetto.
«Oggi assistiamo a una distribuzione scalare dei diritti di cittadinanza nel mondo della mobilità e delle migrazioni. La cittadinanza è vista in una sorta di gironi concentrici: nel primo ci sono i cittadini comunitari, i cui diritti sono regolati secondo il principio della reciprocità; nel secondo i cittadini non comunitari, dove valgono accordi bilaterali, convenzioni, patti coloniali; nel terzo ci sono i rifugiati, i richiedenti asilo, gli apolidi, fino ad arrivare agli irregolari», conclude il rapporto. Che ribadisce: «Per questo è importante, a partire dalla pari dignità delle persone e dal superamento di ogni forma di esclusione sociale, costruire percorsi di cittadinanza che aiutino a rileggere l’uguaglianza sociale delle persone»
*(Marco Pasi is Associate Professor (UHD) in History of Hermetic philosophy and related currents. He holds a Laurea degree in Philosophy from the University ..)
02 – Andrea Fabozzi*: GOVERNO DI BULLI: HO TORTO, MA HO RAGIONE – «PAESI SICURI» È COME PER LA CALCOLATRICE, IMPUGNATA DA MELONI IN TV CON VESPA PER FARE CHIAREZZA SUI NUMERI DELLA LEGGE DI BILANCIO. MA I CONTI NON TORNANO E ALLA FINE LA […]
È Come per la calcolatrice, impugnata da Meloni in tv con Vespa per fare chiarezza sui numeri della legge di bilancio. Ma i conti non tornano e alla fine la presidente del Consiglio ammette: «Ho fatto un casino». Anche sui migranti deportati in Albania hanno fatto un casino. Anzi, più di uno: la sfilza di decreti e protocolli ha prodotto un clamoroso fallimento. E moltiplicato le sofferenze di sedici persone, costrette a navigare di cella in cella: avessero accesso a un minimo di stato di diritto adesso potrebbero chiedere i danni.
Eppure ancora non basta, quel decreto “paesi sicuri” che avrebbe dovuto rimettere in riga i giudici, per il quale si era convocato di urgenza il Consiglio dei ministri e sfidato il Quirinale, ora sparisce. Si inabissa per evitare anche il pieno controllo parlamentare. Il governo si deve correggere, si accorge che i suoi proclami non funzionano. Ma ormai senza freni reagisce con un nuovo strappo alle regole. Non chiede scusa anzi attacca chi non si adegua al “casino”.
L’attacco è violentissimo. Colpisce anche la vita privata del giudice che ha applicato la legge che loro stessi hanno scritto. Sì, perché il collegio di Bologna, presieduto da Marco Gattuso, non ha disapplicato il decreto con dentro la lista dei “paesi sicuri” decisa al tavolo di palazzo Chigi. Eppure avrebbe potuto: la Corte costituzionale e la Corte di Giustizia ricordano ai giudici ordinari di interpretare il diritto in modo costituzionalmente orientato, cioè tenendo presente che Costituzione e diritto europeo sono sovraordinati rispetto alle leggi nazionali. Un principio che nessuna “commissione speciale” della maggioranza parlamentare potrà mai sovvertire, per quanto si stia pensando persino a questo. Ma il collegio del tribunale di Bologna ha fatto invece una scelta prudente e intermedia, limitandosi a chiedere ai giudici di Lussemburgo come regolarsi, visto che il governo italiano ha tirato fuori una legge che smentisce il diritto europeo.
In fondo è proprio quello che il governo prevedeva, quando ha fatto il decreto. Ma la logica ormai è perduta, per non dire del dovere di leale collaborazione: il governo dei bulli alza la voce e il tono delle minacce non solo per andare contro chi non si adegua ma anche per coprire i propri errori. Meloni dice che il provvedimento del giudice Gattuso è «un volantino propagandistico» però guarda caso è lei che ritira la sua legge, perché non le basta. Il decreto nel nome del quale la destra muove guerra ai giudici – e i suoi giornali anche al Quirinale -, infatti, semplicemente sarà lasciato morire. Lo ha candidamente annunciato il governo in parlamento: scherzavamo, non sarà convertito. Cambiando per la terza volta ramo parlamentare, dribblando audizioni e pareri degli esperti, un qualche testo funzionale alle deportazioni dei migranti comunque ci sarà, ma diventerà un emendamento a un altro decreto. Non serviva dunque il Consiglio dei ministri, inutile la conferenza stampa di Nordio e Mantovano, poi però la propaganda la farebbero i giudici.
“Paesi sicuri” cambierà forma e non è improbabile che cambi anche sostanza, com’è già accaduto tra il primo annuncio di palazzo Chigi e la pubblicazione del decreto (ora inutile) in Gazzetta ufficiale. La novità potrebbe avere conseguenze sul giudizio che adesso attende la Corte di giustizia europea e non è da escludere che ci sia anche questo pensiero a palazzo Chigi. Del resto sul decreto Cutro hanno fatto lo stesso: pur di non mandarlo davanti ai giudici europei hanno rinunciato al ricorso contro le decisioni del tribunale di Catania (allora la nemica era la giudice Apostolico). Il governo, insomma, produce testi di legge come fossero comunicati stampa, per litigare con chi non gli dà ragione e poi subito dopo per cambiare idea e smentirsi. E intanto gioca con le vite dei migranti e demolisce pezzo dopo pezzo i principi fondamentali, come l’habeas corpus e il diritto d’asilo. Ma guai a chi se ne accorge: lo stato di diritto ormai è un impiccio.
*(Andrea Fabozzi – Cronista parlamentare, al manifesto dal 2001, insegnante di giornalismo a Unisob dal 2010. E’ direttore del manifesto dal 2023)
03 – Roberto Ciccarelli*: I CONTI SBAGLIATI DI MELONI: LA CALCOLATRICE NON FUNZIONA
I TAGLI AGLI ITALIANI DALLE AUDIZIONI SULLA LEGGE DI BILANCIO IL GOVERNO ESCE A PEZZI: INIZIA LA NUOVA AUSTERITÀ
LA SECONDA STAGIONE DELLA SERIE «AUSTERITÀ IN ITALIA» È ANDATA IN ONDA IERI NELLA SALA DEL MAPPAMONDO DELLA CAMERA DOVE SI È SVOLTA LA SECONDA TRAGICA GIORNATA DELLE AUDIZIONI SULLA LEGGE DI BILANCIO. Per il governo Meloni è stato un massacro. A memoria di cronista negli ultimi anni raramente si è visto un simile fuoco di fila di problemi, contraddizioni, cortocircuiti riscontrati in una manovra tanto modesta, quanto eterodiretta dai criteri del patto di stabilità europee firmato dalle destre al potere.
A SORPRESA è spuntato un personaggio navigato che ha dato il ritmo alla puntata: Renato Brunetta, oggi a capo del Cnel, ex di molte stagioni, dotato dunque di qualche memoria. Fu ministro berlusconiano ai tempi della prima stagione della serie sull’austerità. Per Brunetta la legge di bilancio di Giorgetti e Meloni avrà effetti recessivi sull’economia, si inserisce in un quadro «prociclico e restrittivo» in linea con la austerità imposta dal patto di stabilità europeo. Ovviamente, Brunetta ha detto che questa è la realtà, ragazzi. Non si può cambiare, ma adattarsi alla scelta fatta dall’Europa neoliberale che fa l’opposto di quello che dovrebbe fare: tagli, avanzi primari, regole «stupide» di Maastricht invece di investimenti, aumento della domanda interna, eliminare la povertà. Non resta che sperare nel famoso Pnrr. Sempre ammesso che porti i suoi miracolosi effetti prima di giugno 2026. Dopo, ha ricordato Brunetta, finisce tutto. «Ci sarà un burrone». Ecco il vicolo cieco in cui il governo Meloni ha messo il paese, firmando il patto di stabilità e confermando le grandi e taciute difficoltà del Pnrr di cui poco o nulla si parla.
Manovra: alla sanità mancano 19 miliardi, cresce solo la spesa militare
LE PRIME CONSEGUENZE sono emerse ieri ascoltando l’audizione dei comuni dell’Anci e delle Regioni. I tagli – si parla di otto miliardi di euro – metteranno seriamente a rischio i servizi essenziali dei Comuni. L’Anci, sia pure con qualche equilibrismo, lo ha scritto nero su bianco nella nota di accompagnamento all’audizione. In cambio i comuni avranno 350 milioni di euro dal governo. Una miseria che non compensa neanche lontanamente i tagli e i mancati finanziamenti. La Corte dei Conti, audita ieri dai parlamentari, ha parlato anche della riduzione degli investimenti degli enti locali per gli successivi alla scadenza del Pnrr. È il segno che si continuerà a tagliare anche dopo essere finiti nel «burrone» di cui ha parlato Brunetta.
INTERESSANTE è stata l’audizione di Marco Alparone, coordinatore degli Affari finanziari della conferenza delle regioni. Alparone ha spiegato il meccanismo presentato come un colpo di genio dal ministro dell’economia Giorgetti. Si parla degli «accantonamenti» da oltre due miliardi di euro che, ha detto il ministro, non sono tagli ma qualcosa di diverso. Alparone che sa usare la calcolatrice meglio della presidente del Consiglio in Tv, ha descritto il cortocircuito creato dal governo: da un lato, aumenta relativamente, ma non in maniera insufficiente, la spesa sanitaria gestita dalle regioni; dall’altro lato, costringe le regioni ad accantonare le risorse sul 20% di un bilancio dominato dalla spesa sanitaria. Questo significa che i vincoli imposti dal governo metteranno «a rischio tutte le altre funzioni» svolte dalle regioni.
Manovra: dalle banche e assicurazioni 3,5 miliardi, maxi taglio ai ministeri
ECCO IL RISULTATO: «O un aumento della pressione fiscale o una riduzione dei servizi». Un’alternativa devastante ma che sarà necessario affrontare, previo confronto con l’esecutivo, per affrontare le conseguenze della riduzione da 4 a 3 delle aliquote Irpef. Solo questa norma costerebbe alle regioni un miliardo. Insomma, chi paga? A occhio: i cittadini. Lilia Cavallari, presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), ha visto il problema da un altro punto di vista. L’accorpamento delle aliquote Irpef voluta dal governo aumenterà la disparità tra i contribuenti e altererà la struttura dell’Irpef.
IL BLOCCO DEL TURNOVER al 75% per il pubblico impiego, e in particolare alla sanità, produrrà effetti. Nella sua audizione Bankitalia ha sottolineato che nel prossimo decennio il fabbisogno dei medici crescerà del 30% e quello degli infermieri del 14%. Il problema, come ha segnalato che non ci sono soldi a sufficienza per sostituire 50 mila persone. Questi sono gli effetti concreti dell’austerità.
Manovra: il festival dei tagli al Welfare e ai servizi
DALL’AUDIZIONE dell’Istat è emersa, tra l’altro, la stima di quanto hanno davvero perso i salari in potere d’acquisto in questi anni; il 16,3% per l’inflazione cumulata. Le retribuzioni sono aumentate solo del 5,78%. La differenza fa 10%. Le risorse messe in manovra per recuperare questa perdita evidente a tutti oggi in Italia sono del tutto insufficienti. Lo sostengono Cgil e Uil che faranno lo sciopero generale del 29 novembre. Il loro incontro con Meloni, previsto ieri, è stato rinviato per un’influenza di quest’ultima all’11 novembre. La manovra è stata così impacchettata e non sarà cambiata. La serie sembra già scritta. Non è inutile aspettarsi colpi di scena.
*(Fonte: Il Manifesto – Roberto Ciccarelli, filosofo, blogger e giornalista, scrive per il manifesto. Ha pubblicato, tra l’altro, Il Quinto Stato)
04 – Riccardo Piccolo*: TRUMP, LE IMPRESE EUROPEE CHE RISCHIANO DI PIÙ DAI DAZI
IL NUOVO PRESIDENTE ANNUNCIA TARIFFE DEL 20% SU TUTTE LE IMPORTAZIONI: A RISCHIO SOPRATTUTTO AUTO, MACCHINARI E CHIMICA, CHE RAPPRESENTANO IL 68% DELL’EXPORT.
La vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali americane gela l’Europa. Il ritorno del Tycoon alla Casa Bianca, dopo il trionfo del 2020, fa rivivere a Bruxelles l’incubo dei dazi e delle guerre commerciali. In campagna elettorale, Trump ha promesso tariffe fino al 20% su tutte le importazioni europee se fosse stato rieletto. Una minaccia che pende come una spada di Damocle sul Vecchio Continente.
Il commercio tra Unione Europea e Stati Uniti vale circa 1.000 miliardi di euro all’anno tra beni e servizi. L’Unione gode di un surplus di 156 miliardi di euro sull’export di merci oltreoceano. Ma questo primato rischia di finire nel mirino di Trump e della sua politica “AMERICA FIRST”. Secondo le stime più pessimistiche, riportate da Euro news, un dazio generalizzato del 10-20% farebbe crollare le esportazioni europee di un terzo in alcuni settori.
I SETTORI PIÙ A RISCHIO
I comparti più colpiti sarebbero i macchinari, gli autoveicoli e i prodotti chimici, che insieme nel 2023 hanno rappresentato il 68% dell’export Ue verso gli Stati Uniti. Per la Germania, motore economico europeo, i dazi sarebbero un duro colpo. Alcuni economisti calcolano che una tariffa del 10% potrebbe affossare il Pil tedesco dell’1,6% nel peggiore dei casi, vista la sua dipendenza dalle esportazioni di auto e macchinari verso gli Stati Uniti.
Ma una guerra commerciale transatlantica avrebbe un prezzo ben più alto dei decimali di Pil bruciati. Secondo i dati della Commissione europea, gli scambi tra le due sponde dell’Atlantico sostengono direttamente 9,4 milioni di posti di lavoro, che rischiano di essere spazzati via se si alzassero nuove barriere. L’effetto domino potrebbe trascinare nel vortice anche i già tesi rapporti commerciali tra Bruxelles e Pechino, avverte André Sapir, ex consigliere del presidente della Commissione europea ed esperto del think tank Bruegel.
UN’ECONOMIA GIÀ FRAGILE
Secondo Reuters, il nuovo presidente intenderebbe introdurre un “Trump reciprocal trade act”, una legge che dovrebbe riequilibrare quello che lui considera un rapporto commerciale iniquo con l’Europa. Il punto centrale della sua critica è che l’Ue venderebbe “milioni e milioni di auto” negli Stati Uniti, mentre non accetterebbe abbastanza prodotti americani, in particolare nel settore automobilistico e agricolo.
L’ombra dei dazi di Trump arriva in un momento delicato per l’economia europea. Già sull’orlo della recessione, l’Eurozona difficilmente potrebbe permettersi uno scontro commerciale con il suo principale partner. Secondo le stime di Goldman Sachs, riportate da Euronews, un dazio del 10% sull’import Usa dall’Europa farebbe calare il Pil dell’Eurozona dell’1%. Proiezioni ancora più fosche stimano che le misure di Trump rallenterebbero la crescita europea dell’1,5% entro il 2028, spingendo il Vecchio Continente in una spirale recessiva.
Peraltro il settore dell’auto è in crisi nera. Per esempio, in Italia la produzione di autovetture è crollata del 35,5% nei primi sette mesi dell’anno e del 54,7% nel mese di luglio, secondo gli ultimi dati dell’Anfia, l’associazione della filiera automobilistica, allontanando l’obiettivo di un milione di veicoli indicato dal governo. In Italia sono slittati anche gli investimenti nella gigafactory di batterie di Termoli, in Molise, da parte di Stellantis e il ministero delle Imprese e del made in Italy ha spostato su altri progetti i 250 milioni di fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza che vi erano destinati.
L’Ue si è già scottata con i dazi di Trump durante il suo primo mandato, quando furono colpiti 6,4 miliardi di euro di acciaio e alluminio made in Europe. Bruxelles da allora ha rafforzato il suo scudo, ma la tregua siglata con l’amministrazione Biden scadrà il 21 marzo 2025, appena due mesi prima dell’insediamento del nuovo presidente. Il tempo stringe per negoziare ed evitare una tempesta perfetta sull’economia europea.
*(Riccardo Piccolo. Giornalista professionista specializzato in web editing e social media management per diverse testate online)
05 – Anna Fabi*: MANOVRA 2025: ECCO GLI EMENDAMENTI DEI PARTITI DI GOVERNO – EMENDAMENTI ALLA MANOVRA 2025: PARTITI DI GOVERNO, SINDACATI E INDUSTRIALI PROPONGONO MODIFICHE SU TASSE, PENSIONI, SANITÀ E INVESTIMENTI.
LA LEGGE DI BILANCIO 2025 ENTRA NELLA FASE DECISIVA: SE DA UN LATO SI AVVICENDANO LE AUDIZIONI PARLAMENTARI DELLE PARTI SOCIALI, DALL’ALTRO È UNA CORSA CONTRO IL TEMPO PER STRAPPARE MODIFICHE E CORRETTIVI AL TESTO.
Il termine ultimo per la presentazione degli emendamenti è lunedì 11 novembre 2024, con un margine strettissimo per i partiti di maggioranza e opposizione.
L’obiettivo comune è inserire modifiche significative che riguardano principalmente tagli alle tasse, incentivi alle imprese e interventi sul welfare.
Indice:
– EMENDAMENTI ALLA MANOVRA 2025: LE PROPOSTE DEI PARTITI
– LE RICHIESTE DEI SINDACATI
– IL PARERE DI CONFINDUSTRIA
– IL CALENDARIO DELLA LEGGE DI BILANCIO
Emendamenti alla Manovra 2025: le proposte dei partiti
La battaglia politica si concentra soprattutto su temi fiscali e sociali, con particolare attenzione ai benefici per famiglie, imprese e lavoratori.
FORZA ITALIA SPINGE PER UN ULTERIORE TAGLIO IRPEF, chiedendo di ridurre l’aliquota del secondo scaglione dal 35% al 33% per i redditi fino a 60mila euro. Chiede anche modifiche alla web tax, per evitare di penalizzare startup e siti editoriali con fatturati modesti, e interventi su sugar tax e pensioni minime.
LA LEGA INSISTE SULL’ESTENSIONE DELLA FLAT TAX AGLI AUTONOMI CON REDDITI FINO A 100MILA EURO (attualmente il limite è di 85mila euro) e si oppone all’aumento dell’aliquota sulle plusvalenze da criptovalute, salita dal 26% al 42%. Il partito si concentra anche su misure per garantire il turn-over nelle forze dell’ordine.
FRATELLI D’ITALIA PUNTA SUL TAGLIO DELL’IRPEF come obiettivo principale e propone di favorire gli investimenti derivanti dalla previdenza complementare, con l’intento di canalizzare risorse verso settori strategici.
Le richieste dei sindacati
TRA I SINDACATI, CGIL E UIL SI OPPONGONO AL CONCORDATO FISCALE e chiedono maggiori risorse per Sanità e Scuola, riducendo al contempo le spese per la Difesa. Insistono inoltre sull’aumento del fondo per l’Automotive, ridotto di 4,5 miliardi di euro. La CISL, che non partecipa agli scioperi, punta a riaprire il dibattito sulla riforma delle pensioni, chiedendo anche un’estensione del contributo delle banche e assicurazioni alle multinazionali di settori strategici come logistica, digitale, farmaceutico ed energia.
IL PARERE DI CONFINDUSTRIA
DA PARTE SUA, CONFINDUSTRIA CHIEDE INCENTIVI MAGGIORI PER LA TRANSIZIONE TECNOLOGICA E PUNTA SU UNA IRES PREMIALE: propone che le aziende possano mantenere almeno il 70% degli utili per investirne il 30% in tecnologia, produttività e welfare. In questo modo si potrebbe dare una spinta concreta alla crescita e alla competitività delle imprese italiane.
Il calendario della Legge di Bilancio
Dopo la scadenza dell’11 novembre per la presentazione degli emendamenti, la settimana successiva saranno selezionati per ogni gruppo parlamentare quelli più rilevanti, sui quali si discuterà concretamente.
Il testo arriverà alla Camera blindato, per poi passare al Senato per l’ok definitivo, incrociandosi con il decreto fiscale che è attualmente in discussione.
I prossimi giorni saranno quindi cruciali per stabilire l’entità delle modifiche alla manovra, con partiti e parti sociali che cercheranno di influenzare il testo finale.
*(Anna Fabi)
06 – ANCHE NEI SALARI IL TRAGUARDO DELLA PARITÀ DI GENERE È LONTANO – In Europa la differenza media oraria di pagamento tra uomini e donne è di quasi il 13%. Tuttavia, non vengono considerati molti fattori, come le differenze dei livelli occupazionali e il lavoro di cura non pagato. EUROPA(*)
• IN EUROPA, IL SALARIO ORARIO MEDIO FEMMINILE È INFERIORE DEL 12,7% RISPETTO A QUELLO MASCHILE.
• IL VALORE PIÙ ALTO SI REGISTRA IN ESTONIA (21,3%), QUELLO PIÙ BASSO IN LUSSEMBURGO (-0,7%).
• IL DATO EUROPEO È IN LEGGERO CALO PERÒ NON È CONSIDERATO SUFFICIENTE.
• CI SONO ULTERIORI ASPETTI DA CONSIDERARE PER VALUTARE L’EQUITÀ NEL MERCATO DEL LAVORO.
La disparità di genere è un problema strutturale di tutte le società ed è rappresentata in molte sfaccettature. Una di queste è la disuguaglianza tra uomini e donne nel mondo del lavoro, che si tratti dell’accesso all’impiego o delle sue condizioni. Uno degli aspetti più emblematici è il divario retributivo di genere, una misura spesso complessa da contestualizzare e interpretare.
COS’È IL DIVARIO RETRIBUTIVO DI GENERE.
L’obiettivo dell’indicatore è quello di individuare le differenze medie salariali orarie tra lavoratori e lavoratrici. Sono considerati sia i lavoratori part-time che quelli full-time ma si escludono tirocini, apprendistati e chi è impiegato nell’economia informale. Inoltre non sono compresi tutti i settori lavorativi, escludendo i comparti dell’agricoltura, della difesa, oltre che degli enti sovranazionali e dell’impiego pubblico. Gli stipendi orari di lavoratori e lavoratrici vengono aggregati e viene calcolata la differenza percentuale tra uomini e donne.
Questo valore è attualmente uno dei più utilizzati per delineare le politiche di appianamento delle differenze salariali. La commissione europea afferma che la riduzione del divario reddituale e pensionistico tra uomini e donne è una priorità, per la quale è stata formulata una strategia specifica. Vai a “Che cos’è il divario retributivo di genere”
È un indicatore particolarmente complesso da contestualizzare, dal momento che si tratta di una fotografia complessiva della situazione che riflette non solo le possibili disparità di trattamento per una medesima posizione ma anche numerose caratteristiche del mercato del lavoro. Ci sono infatti dei settori in cui tendenzialmente ci sono più donne o uomini occupati in cui si rilevano alcune dinamiche particolari e fasce salariali differenti, oltre alla diversità di posizioni che vengono ricoperte all’interno di un determinato contesto.
L’INCIDENZA DELLE DONNE CON POSIZIONI MANAGERIALI IN EUROPA.
Nel 2022 si contavano in Unione europea circa 194 milioni di persone con un’occupazione, di cui poco meno di 104 sono uomini mentre circa 90 sono donne.
12,7% quanto le donne guadagnano di meno rispetto agli uomini nell’economia europea nel suo complesso (Eurostat, 2022).
Questa percentuale aumenta al 13,1% se si considerano solo i paesi dell’area euro. Si tratta però di un dato che varia molto tra gli stati continentali.
IN ESTONIA IL DIVARIO RETRIBUTIVO DI GENERE SI ASSESTA AL 21%
DIVARIO RETRIBUTIVO DI GENERE NEI PAESI DELL’UNIONE EUROPEA (2022)
Il paese che registra la percentuale più alta è l’Estonia, paese dove il divario retributivo di genere si assesta al 21,3%. Seguono Austria (18,4%), Repubblica Ceca (17,9%) e Germania (17,7%). A registrare i valori minori sono invece Belgio (5,0%), Romania (4,5%)
e Italia (4,3%). La percentuale più bassa si registra in Lussemburgo: -0,7%. Significa che in quel paese, le donne guadagnano in media leggermente di più rispetto agli uomini.
Eurostat pubblica anche dati di maggiore dettaglio sul tema, rispetto alle caratteristiche del mercato del lavoro, dei lavoratori o delle lavoratrici. Per esempio, risulta più basso per lavoratrici e lavoratori più giovani mentre il settore in cui si registrano i valori più alti tra i paesi europei è quello finanziario e assicurativo. Si tratta però di dati parziali che non sono disponibili per tutti gli stati continentali.
IN UNIONE EUROPEA IL DIVARIO RETRIBUTIVO DI GENERE È IN LIEVE CALO
ANDAMENTO DEL DIVARIO RETRIBUTIVO DI GENERE IN UNIONE EUROPEA E ALCUNI PAESI EUROPEI (2010-2022)
Il divario retributivo di genere mira a individuare le differenze medie salariali orarie tra lavoratori e lavoratrici. Si considerano sia i lavoratori part-time che quelli full-time ma si escludono tirocini, apprendistati e chi è impiegato nell’economia informale. Inoltre, non sono compresi tutti i settori lavorativi. Si escludono infatti le occupate e gli occupati del contesto agricolo, degli enti sovranazionali e chi è impiegato nel settore della difesa e nel pubblico impiego. Gli stipendi orari di lavoratori e lavoratrici vengono aggregati e viene calcolata la differenza percentuale tra uomini e donne.
Tra il 2010 al 2022 assistiamo a un calo del divario retributivo di genere nei paesi dell’Ue. La percentuale raggiunge il suo massimo nel 2012 (16,4%) per poi scendere costantemente fino al 2021 e mantenere lo stesso valore nel 2022.
Si tratta però di una diminuzione che non viene considerata sufficiente dalla Commissione europea. Il paese europeo tra quelli considerati che riporta sistematicamente il divario retributivo di genere più alto è la Germania mentre quello in cui è più basso è l’Italia. Ma, come viene spiegato in una nota del parlamento europeo, una percentuale minore non è per forza una rappresentazione dell’equità in senso più ampio del mercato del lavoro.
Interpretare i numeri non è così semplice come sembra. Difatti, un minore divario retributivo di genere in un paese specifico non corrisponde necessariamente a una maggiore uguaglianza di genere. In alcuni stati membri, divari retributivi più bassi tendono ad essere collegati ad una minore partecipazione delle donne al mercato del lavoro. A loro volta, divari più alti tendono a essere collegati ad un’elevata percentuale di donne che svolgono un lavoro part-time o alla loro concentrazione in un numero ristretto di professioni.
– Divario retributivo di genere: le donne guadagnano meno degli uomini nell’UE? – parlamento europeo
Ci sono quindi degli aspetti che non rientrano direttamente all’interno dell’indice che potrebbero fornire ulteriori dettagli sulla situazione. Parliamo per esempio dei diversi tassi di occupazione, che risultano tendenzialmente maggiori tra gli uomini rispetto alle donne, ma anche la differente quantità di lavoratrici e lavoratori con contratti part-time e full-time. Aspetti che si legano al tema della disparità del lavoro di cura tra uomini e donne e cosa comporta per la carriera della madre, costretta talvolta a un’interruzione del lavoro o a un part-time lavorativo.
Con l’obiettivo di considerare tutti questi elementi, Eurostat ha provato a sviluppare un indice composito chiamato gender overall earning gap. Ma è stato calcolato esclusivamente per il 2018, a causa di alcune dibattute complessità metodologiche.
lavorano meno di quanto vorrebbero Europa
Con sottoccupazione si intende la condizione di chi è obbligato a scegliere un impiego part-time, nonostante desideri lavorare più ore. Un fenomeno che in Ue è diffuso soprattutto tra le donne.
Quando si parla di lavoro, si tende a dare molto rilievo alla disoccupazione. Tuttavia questo indicatore, per quanto importante, non è di per sé esaustivo. In approfondimenti precedenti abbiamo ad esempio parlato del tasso di occupazione, che permette di isolare quella parte di popolazione che lavora effettivamente, senza quindi considerare gli inattivi.
Ma anche rispetto all’occupazione, bisogna considerare la qualità dell’impiego stesso. Ad esempio, se incontra le aspirazioni della persona. Oppure se il contratto è precario, se l’impiego è ben retribuito e se le ore di lavoro corrispondono a quelle che la persona vuole svolgere.
COSA SI INTENDE PER DEBOLEZZA DEL MERCATO DEL LAVORO
Per esaminare lo stato del mercato del lavoro e le condizioni di chi ne fa parte, è importante tenere conto anche di ciò che viene indicato come la sua parte debole o lenta – in inglese, labour market slack.
Si tratta di uno dei principali indicatori usati per quantificare il sottoutilizzo della forza lavoro disponibile e comprende tutte quelle persone che risultano, in un modo o nell’altro, avere un attaccamento debole al lavoro. Si parla in questo senso dei disoccupati (ovvero delle persone che non lavorano ma sono comunque alla ricerca di un impiego), ma anche delle persone scoraggiate rispetto alla ricerca di un impiego, o che lavorano poco – come evidenzia il report di Eurofund. Specificamente, indica lo scarto tra il lavoro desiderato e quello disponibile.
Labour slack exists when there are more workers willing to work a given number of hours than available jobs providing those hours of work. In such cases, some people’s demand for employment remains frustrated, and they stay involuntarily jobless; alternatively, they work fewer hours than they would like.
– Eurofund
Una lentezza o fiacchezza del mercato del lavoro esiste quindi nel momento in cui c’è più offerta rispetto alla domanda – sia per quanto riguarda le persone che il quantitativo di lavoro che esse svolgono o sono disposte a svolgere.
Ulteriori manifestazioni del sottoutilizzo della forza lavoro secondo lo schema dell’organizzazione internazionale del lavoro (Oil) sono poi la sovraqualificazione, ovvero quando le persone svolgono un impiego rispetto al quale hanno qualifiche o competenze più elevate, e le retribuzioni inadeguate.
14% la componente debole del mercato del lavoro in Ue (2021).
IN SPAGNA, ITALIA E GRECIA PIÙ DEL 20% DEL MERCATO DEL LAVORO È DEBOLE
LA PERCENTUALE DI PERSONE CON UN ATTACCAMENTO DEBOLE AL MONDO DEL LAVORO NEI PAESI UE (2021)
I dati si riferiscono alla quota di forza lavoro debole sul totale della forza lavoro allargata, che comprende i disoccupati, gli occupati e gli inattivi, sia quelli disponibili ma non alla ricerca di un impiego che quelli alla ricerca ma non disponibili.
Si tratta di un fenomeno che nel sud Europa in maniera particolare ha un’entità significativa. In Spagna ad esempio riguarda circa un quarto di tutto il mercato del lavoro. L’Italia è seconda da questo punto di vista (22,8%), seguita dalla Grecia (22,2%).
Agli ultimi posti invece si trovano alcuni paesi dell’Europa centrale e orientale, in particolare Repubblica Ceca (3,9%), Polonia (5,7%) e Malta (5,5%).
QUANTI EUROPEI LAVORANO MENO DI QUANTO VORREBBERO?
Una delle principali componenti di questa parte del mercato del lavoro è quella relativa al part-time. Importante in questo senso è infatti sottolineare, come fa il report Eurofund, che in moltissimi casi il lavoro part-time non è una libera scelta, ma un ripiego, qualcosa di non voluto, il risultato di una difficoltà a trovare un impiego più sicuro.
IL LAVORO PART-TIME È PERLOPIÙ INVOLONTARIO.
Si parla in questo senso di “involuntary part-timers”, occupati a tempo parziale involontari. Senza dimenticare che anche lavorare troppe ore è un fattore di rischio a livello sociale e per la salute individuale, è comunque importante evidenziare che un’incidenza molto elevata di lavoro a tempo parziale è sintomo di un problema all’interno del mondo del lavoro.
[Underemployment is] when the working time of persons in employment is insufficient in relation to alternative employment situations in which they are willing and available to engage.
– Oil, 19a risoluzione (2013)
Si parla in questo senso di lavoro a tempo parziale come di “sottoccupazione” (in inglese, underemployment) – definita dall’Oil come la situazione in cui la quantità di lavoro di persone occupate risulta insufficiente rispetto a prospettive lavorative alternative che la persona accetterebbe.
Nel 2021 l’incidenza in Ue era mediamente pari al 2,8% del totale del mercato del lavoro. Una quota contenuta, ma che è rimasta stabile negli anni e varia ampiamente da un paese europeo all’altro.
È importante evidenziare che la misura della sottoccupazione non è oggettiva, ma viene fatta a partire dalla sensazione del lavoratore di poter lavorare più ore di quanto non faccia abitualmente.
IN ITALIA E SPAGNA È AUMENTATA LA QUOTA DI LAVORATORI PART-TIME
LA QUOTA DI PERSONE CHE LAVORANO A TEMPO PARZIALE NEI PAESI UE PIÙ POPOLOSI (2009-2021)
I dati sono riferiti alla quota di sottoccupati di età compresa tra i 15 e i 74 anni, sul totale della forza lavoro allargata. La condizione “part time” non è basata su una misura oggettiva, ma sulla sensazione della persona di poter lavorare più ore.
L’incidenza della sottoccupazione in Ue ha visto un andamento irregolare. Analizzando i dati relativi ai paesi più popolosi (Germania, Francia, Italia e Spagna), vediamo che il dato era molto elevato nel 2009 in Francia e Spagna (pari rispettivamente al 6% e al 4,1%), mentre in Germania si attestava al 3,2% e l’Italia riportava la cifra più bassa (1,6%).
In Francia e Germania si è poi registrato, negli anni, un graduale calo (rispettivamente di 1,7 e 1,8 punti percentuali). Mentre in Spagna si è verificato un incremento che ha portato questa componente della forza lavoro a toccare il 6,5% nel 2014, per poi calare progressivamente fino al 4,8% nel 2020 (e registrare un lieve aumento nel 2021). Anche in Italia la cifra è più elevata nel 2021 rispetto al 2009: 3%, ovvero 1,4 punti percentuali in più rispetto al dato di 11 anni prima.
IL LAVORO PART-TIME, UNA QUESTIONE DI GENERE
La sottoccupazione è un fenomeno che colpisce maggiormente le donne rispetto agli uomini. Pur essendo mediamente più istruite, ad oggi in Ue le donne lavorano ancora meno degli uomini. A causa di pregiudizi sociali e culturali sui ruoli familiari,
spesso sono costrette più dei loro colleghi maschi a scegliere occupazioni con meno ore, che permettano loro di dedicarsi principalmente alla cura della famiglia e della casa. Condizioni dettate da una forte disparità di genere che ancora incide in Europa.
4% delle donne in Ue svolge un lavoro part-time (2021).
Una quota che nel caso degli uomini è pari invece ad appena l’1,8%. Il lavoro a tempo parziale ha quindi un’incidenza più che doppia tra le donne. Un dato che però varia ampiamente da paese a paese.
IN SPAGNA IL 7,6% DELLE DONNE LAVORA PART-TIME
LA QUOTA DI UOMINI E DONNE CHE LAVORANO A TEMPO PARZIALE, NEGLI STATI UE (2021)
Non sono disponibili i dati sul lavoro part-time maschile in Estonia. I dati sono riferiti a tutti i lavoratori, sia dipendenti che indipendenti, di età compresa tra i 15 e i 74 anni.
Il dato più elevato lo registra :
• la Spagna, dove il 7,6% delle donne svolge un lavoro con un quantitativo più basso di ore (contro il 2,8% degli uomini).
• Seguono i Paesi Bassi (7,5%) e la Francia (6,3%).
• L’Italia (4,2%) è solo leggermente al di sopra della media Ue.
• Mentre agli ultimi posti si trovano alcuni paesi dell’Europa centrale e orientale – in particolare la Bulgaria (0,3%, senza alcuna differenza di genere), la Repubblica Ceca e la Slovacchia (entrambe con 0,5%). La Romania è l’unico stato Ue in cui questa cifra risulta più elevata tra gli uomini (1,9% contro 0,7%).
Da sottolineare inoltre che, considerando i punti di divario, le maggiori disparità di genere si registrano in Spagna (4,8 punti percentuali), Francia (3,9) e Paesi Bassi (3,6).
UN FOCUS SULL’ITALIA
Approfondendo la situazione interna al nostro paese, a livello regionale emerge una forte eterogeneità, da leggere con particolare attenzione. A un primo sguardo, vediamo che tra i lavoratori part-time l’incidenza femminile è maggiore al nord.
81,5% DEI LAVORATORI PART-TIME NELLA PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANO SONO DONNE (2021).
IN TRENTINO ALTO ADIGE E VENETO PIÙ DELL’80% DEI LAVORATORI PART-TIME SONO DONNE
LA RIPARTIZIONE DI GENERE DEL LAVORO A TEMPO PARZIALE NELLE REGIONI ITALIANE (2021)
I dati indicano la quota di uomini e donne sul totale dei lavoratori a tempo parziale. Non sono indicativi quindi di quanto, tra i due generi, il lavoro part-time incida rispetto a quello a tempo pieno. Sono considerate le persone di tutte le posizioni professionali, dipendenti e indipendenti, e di età compresa tra i 15 e gli 89 anni.
Nelle province autonome di Bolzano e Trento e in Veneto più dell’80% dei lavoratori part-time sono di sesso femminile. Seguono sotto questo aspetto la Valle d’Aosta (78,6%) e la Lombardia (77,2%). Mentre le cifre più basse si riscontrano in Calabria (55,4%), in Sicilia e in Campania (entrambe intorno al 60%).
Nel sud Italia è più basso il tasso di occupazione femminile.
Ma bisogna tenere conto del fatto che l’occupazione è diversa nelle varie regioni e che ad esempio nel meridione è molto più elevato il tasso di inattività e molto più basso quello di occupazione, soprattutto tra le donne. Se anziché considerare il numero di donne sul totale dei lavoratori a tempo parziale analizziamo la composizione dell’occupazione divisa per genere, vediamo che in tutta Italia, in maniera praticamente invariata, la sottoccupazione è più marcatamente un fenomeno femminile.
IN ITALIA MEDIAMENTE IL LAVORO PART-TIME HA UN’INCIDENZA 3 VOLTE MAGGIORE TRA LE DONNE
LA PERCENTUALE DI LAVORATORI PART-TIME SUL TOTALE DEGLI OCCUPATI, NELLE MACROREGIONI ITALIANE (2021)
Nel totale sono considerate le persone impiegate sia a tempo parziale che a tempo pieno, di tutte le posizioni professionali, dipendenti e indipendenti. I dati sono riferiti ai lavoratori di età compresa tra i 15 e gli 89 anni.
Circa il 24% di tutte le occupate ha infatti un impiego part-time, con variazioni minime a seconda della macro area.
Bisogna evidenziare che dati risultano in questo caso molto più elevati rispetto a quelli forniti da Eurostat perché questi ultimi consideravano la quota sul totale della forza lavoro allargata, che comprende disoccupati, occupati e inattivi (sia quelli disponibili ma non alla ricerca di un impiego che quelli alla ricerca ma non disponibili), laddove invece Istat considera soltanto gli occupati, siano essi dipendenti o indipendenti.
Differenze geografiche maggiori sono invece riscontrabili tra gli uomini. Nella macroregione del nord-est l’incidenza del lavoro a tempo parziale è pari al 6,5%.
Una cifra che invece al centro si attesta al 9,3% e al sud raggiunge il 10,3%
*( FONTE: elaborazione Openpolis su dati Istat )
07 – Redazione*: VOTO USA, LA TOP 10 DEI RICCHI VINCE 64 MILIARDI – ELETTORALE AMERICANA LA VITTORIA DI DONALD TRUMP HA FATTO GUADAGNARE 64 MILIARDI DI DOLLARI AI DIECI UOMINI PIÙ RICCHI DEL MONDO, IL MAGGIOR AUMENTO AZIONARIO IN UN SINGOLO GIORNO DA QUANDO IL […]
La vittoria di Donald Trump ha fatto guadagnare 64 miliardi di dollari ai dieci uomini più ricchi del mondo, il maggior aumento azionario in un singolo giorno da quando il Bloomberg Billionaire Index nel 2012 ha preso a misurare le fortune degli ultramiliardari.
La volata di Wall Street, che spera in deregulation e tasse più basse, ha fatto balzare i titoli Tesla e regalato a Elon Musk 26,5 miliardi, consolidando la sua leadership di uomo più ricco del mondo (ora vale 290 miliardi di dollari). Bezos, proprietario di Blue Origin e del Washington Post, si è congratulato pubblicamente col vincitore delle elezioni e si è arricchito di 7 miliardi, arrivando a un totale di quasi 230 miliardi.
Il presidente di Oracle e finanziatore del partito repubblicano Larry Ellison ha invece guadagnato quasi 10 miliardi, e ora vale 193 miliardi. Favoriti anche Bill Gates, la cui fortuna è salita a 159,5 miliardi, e i fondatori di Google Larry Page e Sergey Brin, che pure di Trump non sono amici.
*(redazione: Il Manifesto)
08 – Roberto Ciccarelli*: ECCO COME I TAGLI DI GIORGETTI SONO DIVENTATI LA NUOVA NORMALITÀ. I TAGLI AGLI ITALIANI. IN QUESTO MODO SARÀ FINANZIATA LA MANOVRA, HA DETTO IL MINISTRO DELL’ECONOMIA AL QUARTO GIORNO DI AUDIZIONI IN PARLAMENTO: APPROCCIO PUNITIVO PER GLI ENTI LOCALI, CRESCE LA SPESA MILITARE: 7,7 MILIARDI DI EURO DI TAGLI LINEARI AI MINISTERI NEI PROSSIMI TRE ANNI. PER GIORGETTI I DICASTERI SARANNO «LIBERI» DI GESTIRLI ALL’INTERNO DEI PALETTI STABILITI DALL’AUSTERITÀ. 5,6 MILIARDI DI EURO E OLTRE. SONO I TAGLI, SOLO IN 3 ANNI, AGLI ENTI LOCALI: COMUNI, CITTÀ METROPOLITANE E REGIONI TRA «ACCANTONAMENTI» E RIDUZIONE DI INVESTIMENTI
«La manovra è finanziata con la lotta all’evasione fiscale e con i tagli, sì, e li ho anche quantificati». Lo ha detto ieri nella sala del mappamondo alla Camera il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti al termine di quattro giorni di audizioni che hanno smontato pezzo dopo pezzo le contraddizioni, e i rischi, della terza legge di bilancio del governo Meloni, la prima della nuova austerità che durerà almeno sette anni. Cresce solo la spesa per le armi ma non come richiesto dalla Nato (e da Trump». «L’obiettivo del 2% sul Pil è ambizioso e non del tutto compatibile con vincoli della governance europea» ha detto Giorgetti che però ha confermato che nel 2027 arriverà all’1,61%.
PER RIPORTARE il rapporto tra il deficit e il Prodotto Interno Lordo (Pil) al 2,8% quest’anno, il 3,3% il prossimo, l’1,8% nel 2029 e mantenerlo all’1,5% per gli anni successivi da quest’anno il governo inizierà a tagliare complessivamente 12 miliardi di euro tra ministeri, regioni, province, città metropolitane e comuni (si veda la tabella e i numeri in pagina). Si sta lentamente comprendendo che i tagli non comporteranno solo un arresto ai servizi essenziali, ma anche un vero danno a ministeri come quello dell’università. Allo stesso tempo punta a coprire le altre spese con il recupero dell’evasione fiscale. Dall’Ufficio parlamentare di bilancio a Bankitalia in questi giorni è stato ricordato al governo che questo tipo di coperture non sono strutturali e variano di anno in anno e non è possibile impiantare una politica lungimirante su premesse così sfuggenti.
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QUELLO DEI TAGLI agli enti locali è stato definito come un approccio «punitivo» dalle opposizioni che hanno bersagliato Giorgetti con un fuoco di fila di domande. Espressione respinta da Giorgetti secondo il quale questa sarebbe la «normalità». «Gli enti locali devono capire che in passato hanno ricevuto stanziamenti a fondo perduto e non replicabili, sul Pnrr e non solo, e un ritorno alla normalità credo sia dovuto».
LA «NORMALITÀ» di Giorgetti non c’entra nulla con gli oltre 5 miliardi di tagli – che non sono solo «accantonamenti», ma anche riduzioni degli investimenti. Sembra che il ministro abbia confuso gli stanziamenti una tantum del Pnrr con i fondi regolari agli enti locali ai quali, già dall’anno scorso, sono stati inferti altri tagli. Ora vedono rosso e, in molti casi, hanno lanciato l’allarme. E si capisce che il governo non voglia dire che il meccanismo finanziario dell’«accantonamento» metterà a rischio tutte le altre funzioni dei comuni e delle regioni. Lo scopo è nascondere le conseguenze politiche della sua iniziativa sulla vita delle persone. Nei fatti, saranno i cittadini a pagare le conseguenze di una politica economica regressiva e recessiva.
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UN ALTRO MOMENTO topico dell’audizione di Giorgetti è stato quando il ministro ha declinato la sua ideologia liberista che coincide con quella della presidente del consiglio Meloni. A chi osservava la mancanza di una politica degli investimenti e industriale nella manovra ha risposto: «La politica industriale la fanno le imprese, non lo Stato». «Lo Stato può intervenire quando serve, ma senza gli imprenditori tutti gli interventi di politica dello Stato sono fallimentari. è la storia che l’ha dimostrato». Il caso della Fiat-Stellantis è esemplare. Non si contano i miliardi perduti in questo pozzo senza fondo. Il fallimento di queste politiche lo pagano i lavoratori. E lo Stato continua a pagare i danni con la Cassa integrazione o paga le delocalizzazioni. Sono critiche che, molto di recente, si sono fatte spazio tra le destre. Ma solo per Stellantis. Ma questo è un modello universale. I profitti sono sempre privati, le perdite sono pubbliche.
LA STESSA LEGGE vale per le banche. Esilarante è stata la risposta di Giorgetti a chi gli chiedeva le ragioni del trucco contabile concordato con gli istituti di credito per fingere di dare un contributo alla patria: 1,7 miliardi in due anni chiesti alle banche saranno restituiti dopo. A tale proposito Giorgetti aveva parlato di «sacrifici» delle banche. «Le banche si sentono sacrificate – ha precisato – però si può anche essere di un parere diverso». Almeno Giorgetti ammette la possibilità.
I TAGLI DA 4,6 MILIARDI del fondo auto motive non toccano “le imprese che vogliono riconvertire”, ma rottamazioni e incentivi all’acquisto di auto elettriche prodotte altrove. Invece di finanziare la transizione “verde” meglio non dare incentivi che poi andrebbero ad auto cinesi. Non importa se così evapora il futuro di un settore che dovrebbe trainare l’industria che cala da quasi 20 mesi.
QUALCOSA della manovra cambierà. Ad esempio il blocco del turn-over sulle forze dell’ordine. Tutti gli altri, a cominciare dai ricercatori, dagli infermieri o dai medici dovranno prepararsi a restare precari ancora per molti anni.
*( Roberto Ciccarelli (Bari, 1973). Filosofo e giornalista, scrive per «il manifesto»)
09 – Le opacità del governo sul Pnrr non sono più accettabili – L’esecutivo continua a negare la pubblicazione di informazioni importanti per capire l’effettiva valutazione di quanto fatto finora sul Pnrr, proprio in un momento in cui il piano dovrebbe entrare in una fase decisiva. (*)
Il governo ha risposto ancora una volta in modo insoddisfacente alla nostra richiesta di accesso sui dati della spesa per i progetti.
Dai dati aggregati a livello di misura sappiamo che a giugno era stato erogato appena il 26% dei fondi.
I termini per il monitoraggio stabiliti per legge dal governo stesso sono già ampiamente scaduti.
L’impressione è che le gravi carenze nella trasparenza siano il risultato di una scelta politica.
L’atteggiamento del governo sul reale stato di avanzamento del piano di ripresa e resilienza (Pnrr) mostra ancora gravi lacune e preoccupanti opacità. Nonostante le richieste, infatti, l’esecutivo continua a negare il rilascio di dati importanti, in un momento in cui il piano dovrebbe entrare in una fase decisiva.
Tutto ciò impedisce una valutazione qualificata di quanto è stato fatto finora con il Pnrr, proprio alla vigilia della nomina come commissario europeo del ministro Raffaele Fitto.
Lo scorso settembre avevamo annunciato l’invio di una ulteriore richiesta di accesso generalizzato agli atti (Foia) riguardanti i progetti finanziati con il piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). La nostra richiesta riguardava i dati di dettaglio sulla spesa sostenuta per ogni singolo intervento.
Perché siamo costretti a presentare l’ennesimo Foia sul Pnrr.
Si tratta di informazioni particolarmente importanti, perché il dato sulla spesa sostenuta rappresenta un indicatore utile per valutare lo stato di avanzamento delle diverse opere.
Attualmente, infatti, il governo ha condiviso dei dati aggregati solo a livello di misura. Questo rende impossibile valutare a che punto sono i singoli interventi sui diversi territori del paese, quali stanno rispettando i tempi e quali invece sono in ritardo. Purtroppo la risposta del governo alla nostra richiesta di maggiore trasparenza è stata ancora una volta insoddisfacente.
Con riferimento alla richiesta di accesso civico in oggetto […] si comunica che i dati relativi all’avanzamento finanziario degli interventi del Pnrr saranno resi disponibili sul portale “ItaliaDomani”, nella sezione Catalogo Open data […] in esito al completamento del processo di verifica ai sensi dell’art. 2, comma 2, del decreto-legge 2 marzo 2024, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 aprile 2024, n. 56.
– La risposta delle istituzioni al nostro quinto Foia.
Si tratta di una risposta interlocutoria che, a meno di due anni dalla conclusione del piano, riteniamo inaccettabile. Anche perché i termini stabiliti dalla norma citata risultano essere già ampiamente scaduti. L’impressione è che le istituzioni preposte al rilascio di queste informazioni – dietro una chiara indicazione politica – stiano cercando di guadagnare tempo.
Ci troviamo infatti in un momento particolarmente delicato caratterizzato, tra l’altro, dall’incertezza riguardante il ministro Raffaele Fitto, ancora non certo della nomina a commissario europeo. D’altronde già dai dati aggregati a livello di misura emergono chiaramente i ritardi del piano, come abbiamo già spiegato nelle scorse settimane.
26% I FONDI DEL PNRR SPESI RISPETTO AL TOTALE DI QUELLI ASSEGNATI AL 30 GIUGNO 2024.
Per questo motivo, supportati ancora una volta dall’Osservatorio civico Pnrr, delle centinaia di organizzazioni aderenti alla campagna Dati Bene Comune e con l’assistenza dello studio legale E-Lex presenteremo una richiesta di riesame. E in caso di ulteriore diniego valuteremo ulteriori azioni.
LA SCELTA POLITICA DEL GOVERNO MELONI
Il monitoraggio citato nella risposta alla nostra richiesta, stabilito dalla legge di conversione del decreto Pnrr quater, prevede che i vari soggetti attuatori coinvolti aggiornino entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge i dati presenti su Regis (la piattaforma creata appositamente per la rendicontazione del Pnrr) circa lo stato di avanzamento – inclusa la spesa – dei progetti di loro competenza. La stessa norma attribuisce poi alle diverse amministrazioni titolari ulteriori 30 giorni per la verifica delle informazioni fornite.
La norma prevede poi la possibilità di concedere ulteriori 20 giorni ai soggetti attuatori per integrare le informazioni fornite in caso di richiesta da parte delle amministrazioni titolari. Quest’ultimo termine può eventualmente essere prorogato, una sola volta, per 10 giorni. Nella peggiore delle ipotesi dunque tutto il procedimento avrebbe dovuto concludersi entro 90 giorni. Termine che è già ampiamente scaduto.
187 I GIORNI INTERCORSI DALL’ENTRATA IN VIGORE DELLA LEGGE DI CONVERSIONE DEL DECRETO PNRR QUATER.
Il fatto quindi che i dati sulla spesa per singolo progetto non vengano resi pubblici porta a due conclusioni possibili. O il governo non sa esattamente come ha gestito i fondi del Pnrr oppure si cerca di nascondere le situazioni più difficili. In questo caso la domanda sorgerebbe spontanea: cosa nasconde l’esecutivo sul Pnrr?
NON PUBBLICARE I DATI SULLA SPESA DEI PROGETTI È UNA SCELTA POLITICA TESA A MINIMIZZARE LE SITUAZIONI DI CRITICITÀ.
Quale che sia la risposta a questa domanda, riteniamo inaccettabile questa mancanza di trasparenza a meno di due anni dalla conclusione del piano. A maggior ragione considerando che si è appena conclusa una profonda opera di revisione del Pnrr che avrebbe dovuto rendere più agevole la sua attuazione. Tale riforma però evidentemente tarda a produrre effetti.
Il fatto che il governo (con le sue varie articolazioni) sia in possesso dei dati circa la spesa dei singoli progetti ma sia restio a pubblicarle potrebbe essere confermato anche da una recente innovazione normativa contenuta nella legge di conversione del Dl omnibus.
In sintesi, le amministrazioni titolari potranno erogare i fondi fino al 90% del costo dell’intervento finanziato entro 30 giorni dall’invio della richiesta da parte del soggetto attuatore. Gli stessi ministeri avranno poi la possibilità di effettuare i controlli sulla documentazione inviata in un secondo momento: “al più tardi, in sede di erogazione del saldo finale dell’intervento”. Sembra abbastanza evidente la volontà, attraverso questa innovazione, di aumentare in maniera significativa e in breve tempo i dati sulla spesa sostenuta.
Al 2 ottobre 2024 la spesa sostenuta e lo stato di avanzamento dei progetti evidenziano alcuni ritardi nonostante il conseguimento dei milestone e dei target (M&T) entro i termini previsti, favorito anche da alcuni posticipi di scadenze, non sembri mostrare particolari criticità.
– AUDIZIONE DELLA PRESIDENTE DELL’UFFICIO PARLAMENTARE DI BILANCIO IN ORDINE ALL’ESAME DEL PIANO STRUTTURALE DI BILANCIO DI MEDIO TERMINE 2025-2029 (7 OTTOBRE 2024) – DA QUI, PROBABILMENTE, ANCHE LA SCELTA DI CERCARE DI GUADAGNARE TEMPO ATTRAVERSO UNA RISPOSTA INTERLOCUTORIA AL NOSTRO FOIA.
PERCHÉ I DATI SULLA SPESA SONO IMPORTANTI
Ma perché sono così importanti i dati sulla spesa? In maniera estremamente semplificata, possiamo dire che ogni progetto (che sia la realizzazione di un’opera o la fornitura di un bene o un servizio) si suddivide in due fasi principali. Innanzitutto c’è la parte che possiamo definire procedurale e che precede l’avvio concreto dei lavori. In questa fase, ad esempio, si definiscono le tipologie di interventi da realizzare. Inoltre si decidono i criteri per la selezione dei soggetti beneficiari, si pubblicano i bandi.
Monitorare questi aspetti è relativamente più facile perché le pubbliche amministrazioni sono obbligate per legge a documentare i vari passaggi attraverso degli atti ufficiali. Ed è proprio su questi aspetti che si è concentrato anche l’esecutivo quando recentemente ha parlato delle misure del Pnrr già “attivate”. Ovvero quegli investimenti e quelle riforme per cui la parte procedurale si è già conclusa o è in via di completamento.
Tuttavia, pur essendo importanti le informazioni sugli aspetti procedurali non dicono molto sulla realizzazione concreta dei diversi interventi. Da questo punto di vista il parametro di riferimento sono le erogazioni fatte alle ditte vincitrici degli appalti.
IL SAL È FONDAMENTALE PER MONITORARE L’AVANZAMENTO DELL’OPERA, GESTIRE I FLUSSI FINANZIARI E ASSICURARE LA CONFORMITÀ DEI LAVORI RISPETTO AI TERMINI CONTRATTUALI.
Generalmente infatti tali fondi non sono consegnati tutti insieme a fine lavori. Ma a intervalli regolari in seguito al raggiungimento di determinati livelli di realizzazione delle opere. Per questo le varie ditte devono redigere un documento chiamato Sal (stato di avanzamento lavori) in cui vengono certificati i progressi fatti. Sapere quanti fondi sono già stati spesi per una singola opera è quindi un elemento fondamentale per comprendere se l’intervento sta procedendo e in che misura.
IL NOSTRO OSSERVATORIO SUL PNRR
Questo articolo rientra nel progetto di monitoraggio civico OpenPNRR, realizzato per analizzare e approfondire il piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Ogni lunedì pubblichiamo un nuovo articolo sulle misure previste dal piano e sullo stato di avanzamento dei lavori (vedi tutti gli articoli). Tutti i dati sono liberamente consultabili online sulla nostra piattaforma openpnrr.it, che offre anche la possibilità di attivare un monitoraggio personalizzato e ricevere notifiche ad hoc. Mettiamo inoltre a disposizione i nostri open data che possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione.
*(Fonte: OpenPNRR)
10 – Luca Zorloni*: COMMISSIONE EUROPEA, COSA VOGLIONO FARE I FUTURI COMMISSARI SU AI, SPAZIO, STARTUP, CYBER SECURITY ED ENERGIA – CI SIAMO LETTI IL “LIBRO DEI SOGNI” DEI FUTURI COMPONENTI DELLA COMMISSIONE. CHE ORA DEVONO PASSARE LE AUDIZIONI IN PARLAMENTO EUROPEO. ECCO LE LORO IDEE IN MATERIA TECH.
Si comincia il 4 novembre. Mentre gli Stati Uniti si approssimano all’ultimo miglio delle elezioni, i componenti della Commissione europea nominati dai 27 Stati dell’Unione dopo il voto giugno iniziano le loro audizioni davanti alle commissioni dell’Europarlamento. Come Alessandro Borghese in Quattro ristoranti, i deputati europei potranno “confermare o ribaltare” il voto, bocciando un commissario in audizione e costringendo il governo che lo ha indicato a tirare fuori un nuovo nome dal cilindro.
Per prepararsi alle audizioni, i futuri componenti della Commissione europea guidata da Ursula Von der Leyen hanno pubblicato le risposte scritte ad alcune domande del parlamento, attraverso cui disegnano le priorità della loro agenda. Wired ha analizzato le promesse dei commissari europei su tecnologia, intelligenza artificiale, internet e telecomunicazioni, energia e nucleare, sostegno alle startup e all’innovazione. Ed ecco cosa dobbiamo aspettarci. Almeno a parole.
Gli argomenti: INTELLIGENZA ARTIFICIALE, STARTUP, CHIP E QUANTUM COMPUTING , CYBER SECURITY, TELECOMUNICAZIONI E CLOUD, SPAZIO E DIFESA, BIG TECH ED ECOMMERCE, NUCLEARE, ENERGIA e TECNOLOGIE PULITE
INTELLIGENZA ARTIFICIALE
La scorsa legislatura si è chiusa con la tormentata approvazione dell’AI Act, il regolamento europeo sull’intelligenza artificiale. Da febbraio scattano i limiti agli usi proibiti, come sorveglianza biometrica e polizia predittiva, e quindi la nuova Commissione dovrà subito prendere il toro per le corna. Henna Virkkunen, la politica finlandese che è stata designata vicepresidente esecutiva per la sovranità tecnologia, la sicurezza e la democrazia, dice che vuole fare dell’Europa il “continente dell’AI”. Affermazione forte. Come? La politica, nota per aver condotto un’inchiesta sullo spyware Pegasus nella scorsa legislatura europea, ha scritto che “non c’è tempo da perdere nell’implementazione degli standard. Le aziende europee e non europee che opereranno nel mercato unico in base alle nuove disposizioni legali dell’AI Act avranno bisogno di standard tecnici. Valuterei attentamente come la Commissione possa erogarli”.
Per Virkkunen l’Unione “è ben posizionata per guidare la governance digitale globale”. Tuttavia, cita dati secondo cui solo l’8% delle imprese locali fa ricorso all’AI e il 33% servizi cloud. Per questo il primo provvedimento a cui intende lavorare è un AI and Cloud Development Act. Ossia il gemello in salsa intelligenza artificiale del Chips Act, varato dalla precedente Commissione per rafforzare la produzione di microchip. Obiettivo di questo provvedimento di Virkkunen è “sostenere un ecosistema di modelli di AI e attrarre investimenti in infrastrutture computazionali e di archiviazione dei dati in tutta Europa, rendendole disponibili a tutte le startup, pmi e altri operatori industriali”.
Un allargamento dell’attuale progetto delle fabbriche dell’AI, che mira a destinare parte della potenza di calcolo dei super computer comunitari allo sviluppo di modelli di intelligenza artificiale e su cui Virkkunen ha dichiarato di concentrarsi nei primi cento giorni di mandato. Il regolamento immaginato dalla vicepresidente in pectore comprende investimenti in “architetture di calcolo efficienti dal punto di vista energetico e soluzioni innovative per minimizzare l’uso di risorse naturali”, “modelli di addestramento collaborativi per l’AI”, sostegno a data center all’avanguardia e rafforzamento delle politiche di cyber security. In tandem con questo regolamento viaggerebbero anche una Strategia per l’AI applicata e il Digital networks act.
Stéphane Séjourné, politico francese designato vicepresidente esecutivo a Prosperità e strategia industriale, subentrato al predecessore Thierry Breton dopo la scomposta rottura con Von der Leyen, mette l’AI tra le tecnologie chiave del futuro Fondo europeo per la competitività. Tra le sue promesse c’è un intervento sulle regole su AI e proprietà intellettuale: “Sebbene l’AI possa rappresentare una sfida per i concetti fondamentali della legge sulla proprietà intellettuale, come l’inventività, la brevettabilità, la paternità e la distribuzione del reddito economico, ritengo che sia necessario trovare un equilibrio tra promuovere e facilitare l’innovazione e garantire la tutela dei titolari dei diritti”.
Altre due risposte toccano applicazioni dell’AI sensibili. Haja Lahbib, ex ministra belga indicata come commissaria a Prontezza, gestione delle crisi e uguaglianza, assicura di sorvegliare “l’impatto della nuova legislazione sull’intelligenza artificiale su non discriminazioni e uguaglianza”. Mentre l’austriaco Magnus Brunner, con delega ad Affari interni e migrazioni, mette il dito nella piega dell’AI prestata alla sorveglianza dei confini. Proprio uno dei settori in cui insistono molte delle tecnologie proibite dalle regole europee.
“L’area Schengen e la gestione delle frontiere continueranno a essere influenzate dallo sviluppo di nuove tecnologie e intelligenza artificiale. La sorveglianza delle frontiere è cambiata notevolmente con l’uso di droni, aerei, satelliti e sensori avanzati, così come i controlli di frontiera grazie alla nuova architettura informatica interoperabile – scrive Brunner -. Mi impegno a garantire che la tecnologia e l’innovazione per la gestione delle frontiere siano impiegate in modo proporzionato ed efficace, in pieno rispetto della legislazione”. Sarà una promessa difficile da mantenere, perché si sa che gli Stati sono affamati di dati e sulle pelle dei migranti si giocano scontri politici locali che spingono ad annacquare le tutele comunitarie. Per Brunner il banco di prova sarà la scrittura delle linee guida sull’uso dell’AI nella gestione delle frontiere e la costruzione dell’Innovation Hub europeo per la sicurezza interna.
STARTUP
Dopo la reprimenda dell’ex presidente della Banca centrale, Mario Draghi, sulla competitività, tutti i commissari europei si impegnano a promettere soldi all’innovazione. Vedremo. Nel frattempo, la rassegna degli impegni. A partire da Ekaterina Zaharieva, dalla Bulgaria, indicata come commissaria a Startup, ricerca e innovazione. La sua ricetta prevede “una Strategia per le startup e le scaleup dell’Ue e un European Innovation Act per creare un ambiente favorevole alla crescita”, eliminando lacci e laccioli burocratici. Inoltre intende “ampliare il Consiglio europeo per l’innovazione [un organo consultivo, ndr] per rafforzare il supporto a startup e scaleup in settori strategici come il quantum computing, l’intelligenza artificiale, le biotecnologie, i materiali avanzati e lo spazio”. Nei primi mesi del mando Zaharieva conta di creare una “task force per le startup” e un forum dedicato.
Per Séjourné, uno dei punti cardine è la semplificazione degli appalti pubblici per allargare l’accesso alle startup, mentre Zaharieva pensa a sistemi di incentivi per l’accesso al credito. Al centro del piano del politico francese c’è un Fondo per la competitività. Séjourné spiega che “investirà in beni pubblici europei, puntando su tecnologie strategiche come l’intelligenza artificiale, lo spazio, le tecnologie pulite e le biotecnologie, per garantire che siano sviluppate e prodotte in Europa” e dovrà avere meccanismi di allocazione delle risorse flessibili e semplici, attraverso uno strumento di coordinamento delle politiche comunitarie e locali.
Il politico irlandese e commissario designato a Democrazia, giustizia e stato di diritto, Micheal McGrath, menziona il discusso “28esimo regime”. Ossia una cornice legale comunitaria, da affiancare a quella nazionale dei 27, per esempio per le regole di impresa. “Preparerò una proposta specifica per uno status giuridico aziendale a livello dell’Ue, noto come “28esimo regime”, con l’obiettivo di aiutare le aziende innovative a crescere – scrive McGrath -. Questo 28esimo regime offrirebbe alle aziende la possibilità di operare in tutto il mercato unico attraverso uno status giuridico a livello Ue, anziché dover adottare forme giuridiche nazionali negli Stati Membri in cui intendono fare affari. Il 28esimo regime va inteso come un elemento all’interno di un insieme più ampio di misure per potenziare l’innovazione, la competitività e la produttività dell’economia dell’Ue. Le misure correlate al 28° regime, che vanno oltre la forma giuridica aziendale, potrebbero includere l’accesso ai mercati, al finanziamento, alle competenze, alla copertura assicurativa, norme sui contratti, tassazione e insolvenza, affrontando tutti gli aspetti essenziali delle attività aziendali. I vantaggi sarebbero proporzionalmente maggiori per le aziende più piccole, con meno risorse finanziarie e umane per navigare in un contesto giuridico frammentato”.
Non è la prima volta che se ne parla. E ogni iniziativa per uniformare il diritto societario in senso comunitario, come le procedure online per aprire una società o l’istituzione del principio “una sola volta” per le aziende che aprono filiali in altri Stati, ha richiesto tempi di adeguamento e ostacoli normativi da superare. Ma per il potenziale commissario, si è preparato il terreno per il 28esimo regime. McGrath vuole lavorare anche a “un’identità unica per le aziende attraverso un identificatore unico europeo” e a un nuovo “certificato aziendale digitale U” armonizzato e multilingue”, interoperabile con il futuro wallet.
CHIP E QUANTUM COMPUTING
Tutti i nodi della precedente Commissione vengono al pettine nelle audizioni dei candidati. Prendiamo i chip, industria a lungo disattesa che i colli di bottiglia nella logistica post-Covid, le tensioni intorno a Taiwan, epicentro mondiale della produzione, e lo sviluppo di dispositivi sempre più potenti per allenare l’AI hanno rimesso al centro dell’attenzione. La Commissione uscente si è dotata del Chips Act, che ha attratto finora 80 miliardi di potenziali investimenti. Ce ne vorrà, però, perché diventino realtà.
E nel frattempo, cosa si propone? Verkkunen vuole investire in “linee pilota di produzione avanzata” e in “una piattaforma di progettazione basata sul cloud per garantire che le nostre startup abbiano tutti gli strumenti necessari per progettare chip innovativi”. Infine, orientare i soldi del Chips Act in base ai bisogni strategici dell’Unione. Come spazio e armamenti. E i chip per i computer quantistici, su cui la commissaria anticipa un piano a lungo termine. Séjourné invece promette che una delle priorità sarà stabilire quali sono le tecnologie su cui orientare i Grandi progetti di ricerca di interesse comune.
CYBERSECURITY, TELECOMUNICAZIONI E CLOUD
In maniera piuttosto sorprendente, l’ex presidente estone Kaja Kallas, nominata Alta rappresentante per la politica estera e la sicurezza, ossia “ministra degli Esteri” dell’Unione, nelle sue risposte non fa mai ricorso alla parola cybersecurity. Benché i rischi derivanti dagli attacchi informatici siano ormai sotto gli occhi di tutti come una delle più gravi minacce alla tenuta degli Stati. Kallas si limita a parlare di guerra ibrida e di disinformazione, anticipando che darà priorità a “una forte strategia di comunicazione per il mandato 2024-29”, sotto il motto di “Un messaggio, molte voci”. Ossia l’adattamento al contesto locale delle linee di Bruxelles: “Controbilanciare le false narrazioni e la disinformazione nei paesi terzi deve essere una priorità e rappresenta una funzione centrale dei diplomatici”. Si fa riferimento anche al ricorso a “strumenti digitali” per contrastare la disinformazione.
Anche il commissario a Spazio e difesa in pectore, il politico lituano Andrus Kubilius, mette la parola cyber là dove serve, ossia quando risponde in merito ai destinatari degli investimenti dei fondi per la ricerca in difesa, ma niente di più. Nemmeno un accenno ai cavi sottomarini, infrastruttura critica a cui guarda invece Virkkunen. La quale invece nel solco della riduzione dei rapporti con la Cina e altri paesi “a rischio” nell’acquisto di tecnologie sensibili (come il 5G) e punta a insediare un “sistema di allerta per la cybersecurity civile”, per “migliorare la capacità dell’Europa di rilevare segnali deboli di attacchi, aumentando la prontezza delle nostre infrastrutture critiche civili o di difesa”. In particolare, la commissaria dà priorità ai test di resistenza delle reti elettriche, “così come la valutazione del rischio informatico per l’energia eolica”. Un’agenda speculare ha il futuro commissario per l’Energia e la casa, il danese Dan Jørgersen, che propone “regole obbligatorie per la cybersicurezza delle infrastrutture elettriche”. Virkkunen pensa anche alle reti sottomarine. Vanno protette quelle energetiche (dopo l’attacco ai gasdotti Nordstream 1 e 2 che li ha messi fuori uso) e i cavi internet, dorsale del traffico dati, che la commissaria vuole espandere.
L’UNGHERESE OLIVÉR VÁRHELY, proposto come commissario a Salute e benessere animale, assicura che nei primi 100 giorni di mandato preparerà un piano di difesa di ospedali e sistemi sanitari dagli attacchi ransomware. Brunnen spinge per regole che consentano di “accedere alle prove online”, una formula vaga che non lascia intendere fin dove si possa spingere, mentre in Europa ancora si dibatte del contestato regolamento Chat control. Mentre Lahbib promette una stretta sulla violenza online contro le donne, in tutte le sue forme (compresi i chatbot che “spogliano” le foto) e un nuovo codice di condotta per i social media.
Alla voce cloud Virkkunen si trova con in mano il progetto fallito delle alleanze comunitarie per contrastare i grandi colossi a stelle e strisce della nuvola. La sua linea è di “rimanere aperti a fornitori di paesi terzi” e di proporre “una politica cloud unica a livello europeo per le amministrazioni pubbliche e gli appalti pubblici”, che nelle intenzioni della commissaria dovrebbe aiutare gli operatori più piccoli. Ossia quelli europei. “Proporrei un approccio comune europeo per le specifiche dei bandi, un quadro comune di sicurezza dei dati e un Marketplace curato dall’Ue per servizi cloud sicuri e innovativi, che potrebbero risultare attrattivi anche per usi commerciali più sensibile”, scrive.
Altra grana per la commissaria è la questione reti di telecomunicazioni. Al fumantino Breton non è riuscito di far scucire alle big tech un compenso per lo sviluppo dell’infrastruttura, il cosiddetto fair share. Virkkunen per il momento mette in chiaro la sua linea con le grandi piattaforma: “Il dibattito non può essere ridotto a una discussione sulle tariffe di rete”. E rilancia su progetti come il 6G, annuncia un Digital Networks Act per potenziare la banda larga sicura ad alta velocità e promette “condizioni di parità per i fornitori di infrastrutture e servizi simili”, di “completare il mercato unico per la connettività” e di pensare a una “riforma delle politiche sullo spettro”.
SPAZIO E DIFESA
Non ci sono telecomunicazioni senza incursioni spaziali. La Commissione aveva anche lanciato la sua infrastruttura satellitare per fare concorrenza a Starlink, Iris2, che però zoppica. Nel frattempo, in che direzione immaginano di andare i commissari? Virkkunen, tra le più prolifiche nelle risposte scritte, osserva che “più della metà dei nostri acquisti di difesa proviene da fornitori di difesa non Ue e il commercio intra-Ue è aumentato solo marginalmente”. Anche Séjourné, sulla falsariga di quanto fatto con le materie prime critiche, promette una ricognizione delle dipendenze europee in materia di tecnologia, difesa, salute e rinnovabili da paesi esteri. E in particolare da uno, che non cita, ma di cui si intende il nome: la Cina. Niente su cosa fare dopo, però.
Rispetto alle applicazioni dell’AI in campo bellico, Virkkunen afferma che “l’AI Act già fornisce meccanismi per lo sviluppo di tecnologie affidabili” e assicura che “il finanziamento dell’industria della difesa europea non supporterà lo sviluppo di sistemi letali autonomi privi di supervisione umana sostanziale nella selezione e nell’ingaggio di obiettivi umani. Tuttavia, l’AI può fornire un prezioso supporto decisionale nell’analisi e nella reazione a situazioni di combattimento complesse, nonché supportare tecnologie difensive come i sistemi di allerta precoce e le contromisure. In questo processo, lavorerò a stretto contatto con il Parlamento europeo e coinvolgerò tutti gli attori rilevanti”. Tra questi, menziona anche Kallas, per “raggiungere accordi vincolanti su un controllo umano significativo sulle funzioni critiche dei sistemi impiegati nella difesa”.
Kubilius promette che nei primi cento giorni di mandato, in tandem con Kallas e Virkkunen, sfornerà un libro bianco con la visione europea sulla difesa. E sullo spazio anticipa: una legge comunitaria sul tema; una strategia per l’economia dei dati satellitari, supporto a startup e pmi innovative; accelerazione sulla costellazione Iris2, sui servizi regolati di Galileo prevedendo un’offerta dedicata a forze armate e governi per l’osservazione terrestre. “Il mio obiettivo – dice Kubilius – sarà assicurare che l’Europa rafforzi la propria sovranità nell’accesso e utilizzo dello spazio, intensificando gli sforzi per garantire un accesso autonomo allo spazio e promuovendo anche una maggiore diversificazione e una competizione più ampia tra i fornitori di servizi di lancio europei”.
BIG TECH ED ECOMMERCE
Nel controllo delle big tech la Commissione entrante dovrà occuparsi di far funzionare le leggi che ha in eredità (come Digital services act – Dsa e Digital markets act – Dma), più che di svilupparne di nuove. Teresa Ribera, l’ex ministra spagnola dell’Ambiente destinata a diventare la figura più potente dopo Von der Leyen, con il suo portafoglio di vicepresidente a una Transizione pulita, giusta e competitiva, promette di dare filo da torcere alle piattaforme. Lo strumento è il Dma, il potente regolamento antitrust nel digitale.
Le direttrici del suo mandato saranno “aprire ecosistemi chiusi”, per “offrirà alle piccole imprese innovative l’opportunità di proporre nuovi servizi” e sfidare i grandi colossi; “garantire la scelta ai consumatori; ”assicurare che i dati appartengano a chi li genera”. “Esigerò che i gatekeeper rispettino i loro obblighi secondo il Digital Markets Act – dice Ribera -. Se non lo faranno, non esiterò a utilizzare tutti gli strumenti che il Digital Markets Act mette a disposizione, incluse le sanzioni dove necessario”.
Virkkunen si concentra sulle ricadute in ambito ecommerce: costo ambientale delle spedizioni, sicurezza e lotta alla contraffazione dei prodotti, stop a chi sfrutta il lavoro, sostegno alle piccole piattaforme comunitarie per espandersi all’estero.
Uno dei punti è la riforma doganale. “Il volume di pacchi di valore fino a 150 euro, attualmente esenti dal pagamento dei dazi doganali e spediti direttamente da paesi terzi, è quadruplicato negli ultimi quattro anni. Nel 2024 si prevede un volume di 4 miliardi di pacchi, con le autorità di soli sette Stati membri (Paesi Bassi, Belgio, Francia, Ungheria, Italia, Spagna e Germania) responsabili della supervisione di oltre il 90% di queste importazioni – osserva la futura commissaria -. I processi doganali attuali non sono più adeguati. L’ambiziosa riforma doganale dell’Ue proposta nel 2023 abolirebbe la soglia di esenzione da dazio di 150 euro”. Inoltre Virkkunen punta a creare un’autorità dedicata e un hub per centralizzare i dati. Infine Lahbib anticipa che vuole aumentare l’impegno delle grandi piattaforme nella lotta alla violenza online, ai discorsi di odio e gli abusi perpetrati dall’AI contro donne e minoranze.
NUCLEARE, ENERGIA E TECNOLOGIE PULITE
Ambiente, clima ed energia sono i temi su cui la Commissione si presenta più conservativa. Von der Leyen sconta il fatto che il suo Partito popolare europeo si sia fatto schiacciare dalla retorica anti-ambientale della destra più estrema e sta quindi cercando di ammorbidire l’ambizioso Green new deal, il patto verde che sarebbe dovuto essere l’architrave della transizione ecologica dei 27.
Il nucleare è tornato al centro delle attenzioni per il futuro del mix energetico comunitario. Jørgersen insiste sulla ricerca per i piccoli reattori modulari e sul taglio delle importazioni di combustibile dalla Russia, per ridurre la dipendenza da Mosca. Il commissario propone anche un piano di azione per l’elettrificazione dei trasporti e, nei primi cento giorni, un provvedimento per forniture accessibili. Ribera si propone di chiudere a stretto giro i piani nazionali su energia e clima e di lavorare per consolidare le misure protezionistiche verso i veicoli elettrici (dopo l’imposizione di dazi contro la Cina), per riportare la produzione nel continente. Ribera mette le mani avanti: gli obiettivi di riduzione delle emissioni non si toccano. “Per quanto riguarda il regolamento che stabilisce gli standard di prestazione delle emissioni di CO2 per auto e furgoni, questo rappresenta un elemento chiave per il raggiungimento dell’obiettivo dell’Ue di ridurre le emissioni di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 e di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 – scrive -. Sono necessarie politiche ambiziose per garantire una riduzione rapida e adeguata delle emissioni in tutti i settori, incluso il trasporto. In questo contesto, gli standard di prestazione delle emissioni di CO2 per le nuove auto e i furgoni stabiliscono obiettivi chiari a partire dal 2030, e un obiettivo di riduzione del 100% a partire dal 2035”.
MENTRE WOPKE HOEKSTRA, PAESI BASSI, futuro commissario a Clima, crescita a emissioni zero e pulita, ha già un piede sull’aereo per Baku, in Azerbaijan, dove si svolgerà la 29esima Conferenze della parti dell’Onu sul clima (Cop29). In continuità con il collegio uscente, dove è subentrato a Frans Timmermans dimissionario per correre alle elezioni olandesi, si occuperà di finanziamenti per il clima, mercati del carbonio e adattamento. In gran parte delle sue risposte insiste anche sui meccanismi di sostegno finanziario all
Séjourné prende parola sui Pfas, sigla dietro cui si nascondono circa 4.700 sostanze chimiche altamente tossiche usate in vari tipi di industrie, e si impegna a vietarli in ambiti di consumo come “cosmetici, materiali a contatto con alimenti e abbigliamento da esterno”. Tuttavia, nel caso in cui non ci siano alternative, visto che i Pfas sono strategici anche in ambito difesa, semiconduttori o salute, restano in gioco, “a condizione che siano adottate condizioni di utilizzo rigorosamente controllate fino al reperimento di sostituti accettabili, accompagnate da rigide regole sulle emissioni e lo smaltimento per limitarne il rilascio nell’ambiente, e incentivi chiari per innovare e sviluppare sostituti sostenibili”. Stessa linea espressa da Jessica Roswall, svedese, indicata come commissaria a Ambiente, resilienza idrica ed economia circolare competitiva, che annuncia un piano per l’economia circolare e una strategia di difesa delle risorse idriche. Ora la parola passa al Parlamento: quanto è convincente il libro dei sogni.
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