01 -Un “Italygate” geotermico per Hunter Biden – Il caso. Il figlio del presidente statunitense Joe Biden nel 2016 chiese aiuto al dipartimento di Stato e all’ambasciata Usa a Roma per sbloccare un affare legato all’energia geotermica in Toscana (*)
02 – Alberto Negri*: Nord Stream, l’America alla guerra dei gasdotti – Dopo il sabotaggio, al senato Usa Victoria Nuland aveva affermato: «Il Nord Stream 2 ora è un pezzo di metallo in fondo al mare, penso che l’amministrazione Biden sia soddisfatta di saperlo»
03 – Andrea Carugati*: Debito pubblico oltre i 3000 miliardi, ma la destra si loda per il «buon lavoro» Dati Bankitalia. A giugno 30 miliardi in più rispetto a maggio e ora il totale è 2948. Cottarelli: «Vicini a una soglia psicologica importante, serve più crescita». Nel primo semestre 2024 le entrate fiscali crescono del 7,5% rispetto allo stesso periodo del 2023. Misiani (Pd): «Il governo non fa nulla per fermare la crescita del debito. I maggiori introiti del fisco non sono merito della riforma Irpef, ma dei contribuenti fedeli»
04 – di Geraldina Colotti*: (l’AntiDiplomatico) “Prima di accusare il Venezuela, leggete la nostra Carta Magna”. Intervista al costituzionalista Hermann Escarrá
05 – Vittorio Stano*: …Verso una testa ben fatta – “L’educazione è la leva per un profondo cambiamento culturale. L’educazione è lo strumento per comprendere e affrontare le sfide del presente e del futuro”
06 – Michele Giorgio*: «i crimini israeliani protetti dagli alleati occidentali» – intervista. Francesca Albanese, relatrice dell’ONU: «il lavoro dell’AIA sui mandati d’arresto è rallentato dalle memorie presentate a difesa di tel Aviv»
07 – Guido Liguori*: Miseria capitalistica e comunismo democratico – La nuova edizione Einaudi del «Capitale» ha dato lo spunto all’inserto culturale del Corriere della Sera per alcune critiche alle idee di Marx. Che meritano una risposta
08 – Luca Martinelli*: Il commissario c’è ma la crisi peggiora in tutto il Centro-Sud – Allarme siccità. Sono già 4 miliardi i danni all’agricoltura nelle regioni più colpite secondo le stime di Legacoop: «Basta rinviare, serve un piano»
01 -Un “Italygate” GEOTERMICO PER HUNTER BIDEN – IL CASO. IL FIGLIO DEL PRESIDENTE STATUNITENSE JOE BIDEN NEL 2016 CHIESE AIUTO AL DIPARTIMENTO DI STATO E ALL’AMBASCIATA USA A ROMA PER SBLOCCARE UN AFFARE LEGATO ALL’ENERGIA GEOTERMICA IN TOSCANA (*)
C’è anche un versante italiano negli affari poco chiari di Hunter Biden. Secondo quanto rivela il «New York Times», il figlio del presidente statunitense Joe Biden nel 2016 chiese aiuto al dipartimento di Stato e all’ambasciata Usa a Roma per sbloccare un affare legato all’energia geotermica in Toscana che la società ucraina del gas Burisma aveva in progetto di finalizzare. Il figlio dell’allora vice presidente, che sedeva nel consiglio di amministrazione di Burisma, inviò una lettera all’ambasciatore americano a Roma, creando un certo imbarazzo. Lo spiega un uomo d’affari coinvolto nell’affare al «NYT», che ricostruisce la vicenda anche sulla base di documenti ottenuti, dopo lunga battaglia legale, dal dipartimento di Stato Usa, in risposta a una richiesta di pubblicazione degli atti presentata nel 2021.
*(Redazione: Il Manifesto)
02 – Alberto Negri*: NORD STREAM, L’AMERICA ALLA GUERRA DEI GASDOTTI – DOPO IL SABOTAGGIO, AL SENATO USA VICTORIA NULAND AVEVA AFFERMATO: «IL NORD STREAM 2 ORA È UN PEZZO DI METALLO IN FONDO AL MARE, PENSO CHE L’AMMINISTRAZIONE BIDEN SIA SODDISFATTA DI SAPERLO»
UN’INCHIESTA DELLA MAGISTRATURA TEDESCA INDICA UN GRUPPO DI UCRAINI COME RESPONSABILI DEL SABOTAGGIO NEL SETTEMBRE 2022 DEL GASDOTTO NORD STREAM TRA RUSSIA E GERMANIA. SECONDO UNA RICOSTRUZIONE DEL WALL STREET JOURNAL IL PRESIDENTE UCRAINO ZELENSKY ERA AL CORRENTE DEL PIANO MA AVREBBE RITIRATO IL SUO CONSENSO SU PRESSIONI DELLA CIA.
La verità forse è meno fantasiosa ma sta sotto gli occhi di tutti. All’indomani del sabotaggio, in un’audizione al senato americano il sottosegretario Victoria Nuland aveva affermato: «Penso che l’amministrazione Biden sia molto soddisfatta di sapere che il Nord Stream 2 sia ora un pezzo di metallo in fondo al mare».
Perché è esattamente questo che hanno sempre voluto gli Stati uniti. Si tratta della “guerra dei gasdotti”, un conflitto tra Usa e Russia che viene da lontano. Negli anni Duemila Eni e la russa Gazprom avevano realizzato la pipeline Blue Stream che trasportava il gas dalla Russia alla Turchia attraverso il Mar Nero. E già questo agli americani era piaciuto assai poco. Poi l’Italia nel 2007 (governo Prodi) aveva sottoscritto un altro accordo tra Eni e Gazprom per realizzare il South Stream, un nuovo gasdotto per connettere direttamente Russia e Unione europea, eliminando dal transito ogni Paese extra-comunitario. Il progetto, per il quale Berlusconi aveva raggiunto nel 2009 un‘intesa direttamente con Putin, fu sospeso nel 2014 per le sanzioni a Mosca in seguito all’annessione della Crimea.
Il South Stream venne quindi sostituito dal Turkey Stream, una pipeline realizzata con l’accordo tra Putin ed Erdogan, per altro su fronti contrapposti in Siria, Libia e nel Caucaso. Putin allora fece anche a Erdogan un bello sconto del 6% sulle forniture del gas e la cosa agli americani piacque ancora meno e continua a piacere poco, visto che Ankara è un membro storico della Nato che non applica sanzioni a Mosca.
Figuriamoci poi se Washington poteva gradire il legame tra il gas russo e l’Europa rappresentato dal Nord Stream 1 e 2.
Perché per Mosca si trattava di un’opera dal valore strategico? Prima della costruzione dei due gasdotti Nord Stream, il gas russo passava via terra, attraverso i territori di Ucraina e Bielorussia. Una volta in funzione Nord Stream 2 avrebbe consentito a Mosca di trasportare verso la Germania ulteriori 55 miliardi in metri cubi di gas naturale all’anno. La sua caratteristica principale, quella che poco piaceva agli americani, era di bypassare completamente gli Stati baltici, quelli di Visegrad (Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Ungheria), l’Ucraina e la Bielorussia, spazzando via qualsiasi eventuale pretesa da parte di questi Paesi di fare pressione al tavolo dei negoziati con Mosca.
Per far saltare il Nord Stream 2, prima ancor del sabotaggio del settembre 2022, gli Usa avevano ingaggiato l’uomo giusto, Amos Hochstein, pronto ad approfittare dell’uscita di scena della cancelliera Merkel. Sì, proprio lui, l’attuale inviato americano in Libano. Nato in Israele il 4 gennaio 1973 da genitori con doppia cittadinanza israeliana e americana. Allevato nell’ebraismo ortodosso moderno, Hochstein trascorre infanzia e gioventù in Terra Santa, servendo nelle forze armate israeliane dal 1992 al 1995, per poi trasferirsi negli Stati Uniti. Dal 2011 si occupa dell’Ufficio risorse energetiche del dipartimento di stato diventando il consulente dell’allora vicepresidente Biden sullo spinoso dossier ucraino. Hochstein così entra nel consiglio di supervisione del colosso energetico ucraino Naftogaz. E come tutti sanno il figlio di Biden, Hunter, è stato coinvolto in affari poco chiari nel settore del gas proprio in Ucraina.
Hochstein è lo stratega dell’attacco frontale ai progetti del Cremlino di trasportare il gas in Europa aggirando l’Ucraina. Nel 2021 Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale di Biden, gli affida i negoziati con la Germania per congelare il gasdotto Nord Stream 2, ritenuto un’arma geopolitica del Cremlino da eliminare. La fine è nota. Il cancelliere tedesco Scholz è convocato alla Casa Bianca l’8 febbraio 2022 e Biden proclama: «Non ci sarà più un Nord Stream 2».
Una giornalista presente in sala domanda: «Ma come lo farete esattamente, dal momento che il progetto è sotto controllo della Germania?». Biden alla domanda risponde: «Ve lo prometto, saremo in grado di farlo».
Il 24 febbraio Putin invade l’Ucraina, dà il via al massacro e il gasdotto, come dice la magistratura tedesca, verrà poi fatto saltare da un gruppo pro-Kiev che naturalmente non è uscito fuori dal nulla ma ha avuto una copertura politica internazionale.
La guerra dei gasdotti, oltre ovviamente ai costi umani del conflitto in Ucraina, ha avuto e avrà un prezzo economico, soprattutto se Kiev con l’ultima offensiva controllerà effettivamente la stazione di Sudzha, snodo del gasdotto che trasporta il gas russo in Europa attraverso l’Ucraina. La sintesi della guerra dei gasdotti l’ha appena fatta il presidente di Nomisma Davide Tabarelli: l’Italia e l’Europa pagano il gas 40 euro a megawattora, gli Usa solo 7. E via così, a tutto gas…
03 – Andrea Carugati*: DEBITO PUBBLICO OLTRE I 3000 MILIARDI, MA LA DESTRA SI LODA PER IL «BUON LAVORO» DATI BANKITALIA. A GIUGNO 30 MILIARDI IN PIÙ RISPETTO A MAGGIO E ORA IL TOTALE È 2948. COTTARELLI: «VICINI A UNA SOGLIA PSICOLOGICA IMPORTANTE, SERVE PIÙ CRESCITA». NEL PRIMO SEMESTRE 2024 LE ENTRATE FISCALI CRESCONO DEL 7,5% RISPETTO ALLO STESSO PERIODO DEL 2023. MISIANI (PD): «IL GOVERNO NON FA NULLA PER FERMARE LA CRESCITA DEL DEBITO. I MAGGIORI INTROITI DEL FISCO NON SONO MERITO DELLA RIFORMA IRPEF, MA DEI CONTRIBUENTI FEDELI»
Il debito pubblico è sempre più vicino alla soglia dei 3000 miliardi di euro. A giugno è cresciuto di altri 30,3 miliardi rispetto a maggio, e ora è a quota 2948,5 miliardi. Il dato è fornito da Bankitalia, nel bollettino «Fabbisogno e debito». A trainare la corsa del debito sono le amministrazioni centrali dello stato, responsabili per intero dell’aumento, mentre quelle locali hanno speso 100 milioni in meno rispetto a maggio.
BANKITALIA segnala un altro dato: a giugno le entrate tributarie sono state pari a 42 miliardi, in aumento del 9,9%(3,8 miliardi) rispetto al corrispondente mese del 2023. In totale, nel primo semestre del 2024 le entrate tributarie sono state pari a 248,8 miliardi, in aumento del 7,5% (17,5 miliardi) rispetto allo stesso periodo del 2023.
Di questi dati, le destre prendono in considerazione solo quelli relativi alle entrate, scatenando una campagna ferragostana di lodi all’operato del governo Meloni, che sarebbe «amico dei contribuenti» e via elogiando le misure messe in campo, a partire dalla riforma Irpef a tre scaglioni in vigore da gennaio 2024: «Evaporano le sterili polemiche della sinistra sui condoni», esulta da Fdi Tommaso Foti.
Tace invece il ministro dell’Economia Giorgetti, consapevole che i dati sull’aumento delle entrate non cambiano la prospettiva di un autunno particolarmente difficile. «Aspettiamo», è l’invito che ha rivolto pochi giorni fa durante l’ultimo consiglio dei ministri ai colleghi che ipotizzavano “tesoretti” da 15-20 miliardi da spendere nella finanziaria. I dati non ci sono ancora tutti, e le stime parziali rischiano di «portare fuori strada», il messaggio del ministro leghista che ha ricordato come si debbano ancora attendere scadenze come la quinta rata della rottamazione (a settembre) e il concordato preventivo a ottobre. «Non è che uno arriva a 100 metri dal traguardo e dice ho vinto».
E del resto la manovra non sarà semplice: lo spazio in deficit è già prenotato interamente dalla correzione per il nuovo Patto di stabilità, mentre servono almeno 20 miliardi per confermare le misure finanziate solo per quest’anno, come il taglio del cuneo e la rimodulazione Irpef. E si escludono interventi sugli extraprofitti delle banche, come quello proposto lo scorso anno e poi sterilizzato dalla stessa Meloni. Insomma, la coperta resta molto corta.
Glielo ricorda anche l’economista ed ex parlamentare Pd Carlo Cottarelli, che definisce i 3000 miliardi «una soglia psicologica importante» e sottolinea come sul debito «tra un decennio l’Italia avrà ancora un passivo intorno al 130% del pil che la rende vulnerabile al rischio di shock e dipendente dall’aiuto esterno». Senza una crescita ai ritmi di Spagna e Portogallo (intorno al 2,5%, doppia rispetto alla nostra) e una «seria spending review» c’è poco da stare allegri. Oggi il debito-pil è intorno al 138% e destinato a salire fino al 140%, spiega Cottarelli, «per l’effetto ritardato del superbonus». Anche con un calo di 1,25 punti l’anno, previsto dalle regole Ue la discesa sarà molto lenta.
MOLTO CRITICO anche il responsabile economia del Pd Antonio Misiani: «La crescita del debito pubblico è inarrestabile e il governo non sta facendo nulla per invertire questa tendenza. In un anno è aumentato di 99 miliardi, mentre tra giugno 2022 e giugno 2023 era cresciuto “solo” di 77». Quanto alle maggiori entrate, Misiani ricorda che l’aumento «è costante dal 2021» ed esclude che siano frutto del lavoro del governo: «Sono le tasse in più pagate da dipendenti e pensionati – per effetto dei rinnovi contrattuali e del fiscal drag non recuperato – che permettono al bilancio dello Stato di stare in piedi».
Non certo la riforma Irpef che «riduce il gettito di 4,3 miliardi nel 2024». Secondo il dem dunque la tenuta dei conti è «sempre più sulle spalle dei contribuenti fedeli, mentre il governo continua a condonare o addirittura a legittimare l’evasione fiscale con strumenti come il concordato preventivo biennale».
Per Angelo Bonelli dei Verdi, «Banca d’Italia sancisce il fallimento economico di questo governo». Riccardo Magi di + Europa rincara: «Quello del debito è un dato devastante: è il macigno che questo governo con la sua inazione sta gettando addosso alle nuove generazioni. Servono liberalizzazioni e tagliare la spesa inutile».
*(Alberto Negri è giornalista inviato speciale del “Sole 24 Ore”, per il quale da oltre trent’anni viaggia come corrispondente di guerra in Medio Oriente, Balcani, Africa, Asia centrale. Con Il musulmano errante torna a firmare un libro come autore dopo Il turbante e la corona. Iran, trent’anni dopo)
04 – di Geraldina Colotti*: ( da l’AntiDiplomatico)“PRIMA DI ACCUSARE IL VENEZUELA, LEGGETE LA NOSTRA CARTA MAGNA”. INTERVISTA AL COSTITUZIONALISTA HERMANN ESCARRÁ.
A PROPOSITO DELLE ELEZIONI PRESIDENZIALI IN VENEZUELA E DELLE CONTESTAZIONI CHE NE SONO SEGUITE A LIVELLO NAZIONALE E INTERNAZIONALE, PROVOCATE DALL’ESTREMA DESTRA, ABBIAMO INTERVISTATO IL COSTITUZIONALISTA HERMANN ESCARRA, UN’AUTORITÀ IN MATERIA.
Si è molto speculato a proposito dei risultati delle presidenziali in Venezuela. Considerando la profonda conoscenza che lei ha dell’Europa, può spiegare a un non-venezuelano qual è il quadro giuridico, politico e costituzionale in cui hanno preso piede queste speculazioni? Il sistema elettorale venezuelano è considerato fra i più avanzati al mondo, sia nel senso tecnologico che per il sistema di garanzie previste: dalla costituzione, dalla legge organica del potere elettorale e dalla legge organica che regola i processi elettorali. Occorre ricordare che in Venezuela esistono 5 poteri. La nozione classica che deriva dal pensiero di Montesquieu e dalla rivoluzione francese, in particolare dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, contempla il Potere Legislativo, Esecutivo e Giudiziario. La nostra Costituzione aggiunge il Potere Morale, riprendendo la decisione di Simon Bolivar di includerlo nel progetto di costituzione di Bolivia, dopo averlo previsto nel Discorso di Angostura, relativo al Potere Elettorale. Nel 1999, quando l’Assemblea Nazionale Costituente ha redatto il testo della Carta Magna, si è deciso di contemplare l’idea dei 5 poteri: aggiungendo ai tre poteri “classici” (Legislativo, Esecutivo e Giudiziario), il Potere Morale, o Cittadino, e il Potere Elettorale; attualizzando così in tutti gli aspetti i sistemi di garanzia della democrazia e dei diritti fondamentali. L’altro aspetto che bisogna mettere in rilievo per chi si rifà al pensiero europeo è che oltre all’esistenza di un Potere Elettorale, abbiamo una giurisdizione elettorale contemplata dalla stessa costituzione: al punto che, per dirimere un contenzioso di natura elettorale, si prevede la possibilità di ricorrere alla più alta istanza istituzionale, il Tribunal Supremo de Justicia (TSJ). Il ricorso dev’essere presentato presso la Sala Elettorale nelle modalità previste dall’articolo 297 della costituzione. Il Potere Elettorale, e nello specifico la Sala Elettorale, è dunque normato sia nell’ambito del TSJ che in quello costituzionale. Questo fa capire che il Potere Elettorale non è un ministero, non è una struttura di governo o un ufficio. Non si tratta di un servizio pubblico regolato dall’esecutivo, si tratta di un potere autonomo, indipendente, così come sono indipendenti gli altri poteri, il Legislativo, il Giudiziario, l’Esecutivo e il Potere Cittadino.
E quali sono le sue prerogative? La funzione del Potere Elettorale, oltre a quella di organizzare le votazioni, è quella di garantire la stabilità democratica delle istituzioni. È un sistema di garanzie pieno, ampio, che serve a proteggere, mediante distinte forme giuridiche, i diritti politici, in particolare il diritto al suffragio e alla partecipazione. E qui occorre evidenziare un altro aspetto fondamentale: la democrazia venezuelana, nata dalla Costituzione del 1999, transita dal concetto di democrazia rappresentativa a quello di democrazia partecipativa èprotagonista”, come recita il testo costituzionale. Si dice anche che la sovranità risiede irrevocabilmente nel popolo, che la esercita direttamente nella forma prevista dalla Costituzione e nella legge, e indirettamente mediante il suffragio, attraverso gli organismi del Potere pubblico. Gli organi dello Stato sono un’emanazione della sovranità popolare a cui sono subordinati. A questo si deve aggiungere che nel nostro sistema di garanzie hanno speciale rilievo le norme stabilite a livello internazionale. Così, per esempio, se si devono valutare le garanzie giuridiche, lo si fa in base ai parametri stabiliti dalle norme internazionali sui diritti civili e politici; se si deve valutare la governabilità e la democrazia, lo si fa sulla base degli standard stabiliti in diversi documenti approvati, per esempio, dalle Nazioni Unite o da altre istituzioni deputate. E così avviene per la garanzia dei cittadini e delle cittadine a esercitare il voto in modo segreto, universale e diretto, come facciamo in Venezuela dal 1947. Quello venezuelano è uno stato di diritto pieno, ispirato dalla prima carta costituzionale approvata dal popolo, nel 1811, e che contempla molti meccanismi di partecipazione popolare. Per questo, il nostro presidente Nicolas Maduro, rieletto il 28 luglio, prima delle presidenziali, ha percorso tutto il paese per ottemperare a un altro dei suoi incarichi costituzionali, quello di Presidente della Commissione di Partecipazione. In questo ambito ha raccolto le proposte di tutti i cittadini e cittadine, intesi non solo nel senso giuridico ma in quello di tutte le abitanti e gli abitanti, di ogni età e estrazione, anche bambini e minori, e le ha trasmesse all’Assemblea Nazionale Costituente, in cui si esercita il Potere Originario, quello popolare. Si deve, insomma, conoscere la nostra Costituzione – la Ley Organica del TSJ, la Ley Organica del Potere Elettorale e dei processi elettorali – per avere una visione esatta di quel che è successo.
Cosa è accaduto, allora? La verità è che un settore violento dell’estrema destra ha denunciato presunti brogli, ma senza presentare prove. Quando si solleva un polverone di questa portata sui verbali elettorali, chi fa un’accusa simile deve presentare le prove: prove certe, non manipolate, e deve presentarle nelle sedi deputate. Non solo questo non è avvenuto, ma si sono verificati atti di violenza gravissimi, alle persone e alle istituzioni pubbliche come ospedali e scuole, scoppiati nella notte del 28 e nei giorni successivi. Ma, intanto, c’è da dire che, in Venezuela, quando il CNE, com’è avvenuto il 28 luglio e tutte le altre volte in precedenza, certifica l’irreversibilità del risultato con l’80% delle schede scrutinate, viene dichiarato il vincitore. Qualunque percentuale si registri per il conteggio finale, non cambia il risultato, che ha dato la vittoria a Nicolas Maduro.
Perché sembra diventato fondamentale chiedere al CNE di presentare i verbali e perché questo non è finora avvenuto? Come dicevamo, compete a chi denuncia brogli presentare le prove delle sue accuse. A questo si deve aggiungere che il responso della Sala Elettorale, emesso dopo aver sentito i 9 candidati presenti (perché il secondo classificato, Edmundo Gonzalez, della Piattaforma Unitaria Democratica – PUD -, non si è presentato) ha evidenziato gravi irregolarità, in questo modo: “Tutti i membri dell’alleanza PUD, che hanno sostenuto Edmundo Gonzalez Urrutia non hanno consegnato alcun materiale, sostenendo di non possedere alcun tipo di documentazione riferita a questo processo elettorale. Non hanno, quindi, nessun verbale di scrutinio, né testimoni di seggio. Hanno anche sostenuto di non aver partecipato al trasferimento di materiale elettorale, segnalando anzi che l’organizzazione Sumate ha fatto parte della squadra di consulenti tecnici della PUD”. Questi partiti che hanno appoggiato Edmundo Gonzalez hanno anche detto di non sapere chi abbia inserito nella pagina web, segnalata per gravi irregolarità, presunti verbali e schede elettorali. Va inoltre segnalato quanto prescrive la Legge organica del potere elettorale: “Il CNE ordinerà la pubblicazione dei risultati dei processi elettorali nella Gazzetta elettorale entro 30 giorni dalla proclamazione dei candidati o delle candidate”. Da qui, due conclusioni: è d’obbligo pubblicare i risultati, non i verbali. Questo, probabilmente, perché i riscontri sono nelle mani di tutti i partiti, che li hanno ricevuti, in ogni seggio alla fine dello scrutinio, e che li hanno dovuti controfirmare. Ogni partito è in grado di produrli e renderli pubblici. Per questo, presentandosi alla Sala Elettorale, il presidente Maduro ha dichiarato di poter presentare tutti i verbali di tutti i partiti che lo hanno appoggiato. Ovviamente, non posso sapere quale sarà il responso giuridico della Sala Elettorale in merito al ricorso, quel che però è certo è quanto dice la norma in merito ai risultati e al lasso di tempo per presentarli previsto per il CNE. Perché, allora, questa campagna sulla presentazione dei verbali, che tutti i partiti possiedono, una campagna scatenata in spregio alle norme e rivolta all’estero? È d’altro canto, il regolamento generale della Legge organica del processo elettorale dice con chiarezza a chi e in che modo devono essere consegnati i verbali: agli scrutatori, ai rappresentanti di partiti e ai candidati, che devono averne copia. Come mai il signor Gonzalez, che denuncia presunti brogli, non presenta i verbali agli organi competenti, e mette fine così a ogni dubbio e alle violenze che ha scatenato?
Anche alcuni paesi progressisti latinoamericani, che non sono ostili al Venezuela, insistono sulla pubblicazione dei verbali e propongono addirittura una commissione di verifica internazionale. Cosa sta succedendo e perché Colombia e Brasile si comportano in questo modo? Quella della commissione internazionale di verifica mi sembra una strana iniziativa, considerando i principi che hanno retto e reggono la Repubblica bolivariana del Venezuela, ossia quelli dell’autodeterminazione e della non-ingerenza imperialista. Inoltre, una cosa è venire come accompagnanti dei processi elettorali, un’altra è intervenire negli affari interni di un paese, quando si sa che esistono organi competenti e abilitati per questo genere di verifica e che, come dicevo prima, ora sono in piena attività.
Quali scenari si aprono ora che è entrato in campo il TSJ? Occorre aspettare la decisione definitiva del più alto tribunale della Repubblica. Rivolgendosi alla più alta istanza, il Presidente ha sottratto argomenti al caos e alla criminalità per riportare tutti gli elementi nello stato di diritto, nell’ambito costituzionale, perché si possano dirimere le contingenze con la ragione e sulla base di prove e documenti forniti dai 9 ex candidati in rappresentanza di 38 partiti. La sentenza del TSJ, il suo impegno con il popolo nell’applicazione della giustizia, avrà carattere probatorio e definitivo.
Il numero di voti totalizzato dal secondo classificato, il candidato dell’estrema destra Edmundo Gonzalez indica che l’opposizione ha comunque una forza molto consistente nel paese. Come lo spiega e cosa può accadere considerando la natura golpista di questa estrema destra venezuelana? Di fronte al carattere golpista dell’estrema destra, l’importante è essere riusciti a contenerne la violenza. Volevano provocare un’insurrezione armata contro i poteri dello Stato, per questo hanno rivolto un appello alla Forza armata nazionale bolivariana, ma senza risultati: perché il Venezuela vuole la pace e la giustizia sociale, vuole sviluppare i suoi diritti economici, politici, culturali in un ambiente di coesistenza, regolato dalla costituzione in cui tutti crediamo. Per questo, siamo riusciti e riusciremo ancora a disinnescare i tentativi di chi vuole cancellare la Costituzione organizzando, com’è accaduto ora, attacchi cibernetici e criminali.
La destra internazionale sta cercando di riesumare il Gruppo di Lima. Pensa ci sia pericolo di un’aggressione imperialista? C’è sempre un pericolo incombente di aggressione imperialista, molto evidente da quando Obama ha definito il Venezuela una minaccia inusuale e straordinaria per la sicurezza degli Stati Uniti e ha dato l’avvio all’imposizione di misure coercitive unilaterali illegali, che hanno creato gravi danni al paese e prodotto molteplici aggressioni. È una possibilità che abbiamo sempre presente e che, ovviamente, non auspichiamo. Siamo per l’incontro e per il dialogo, per obiettivi comuni che garantiscano la sicurezza a livello internazionale e anche l’attività commerciale. Il Venezuela non è nemico del popolo statunitense, ha però differenze radicali con chi lo governa e che, in ultima istanza, non è un vero governo costituzionale, giacché la struttura profonda dell’esecutivo è diretta da imprese e corporazioni internazionali.
Maduro ha detto che, in caso di persistenza dei tentativi golpisti, potrebbe approfondire la rivoluzione bolivariana. Come valuta questa ipotesi? Maduro è uno statista che ha a cuore la pace e il dialogo, ma deve soprattutto adempiere agli obblighi costituzionali, il primo dei quali è quello di evitare il colpo di Stato. E il modo migliore di farlo è approfondendo gli obiettivi della rivoluzione bolivariana: rafforzamento dello stato di diritto, dello stato sociale, massima protezione delle libertà e dei diritti umani, garanzia di una convivenza pacifica e piena sulla base del pluralismo politico e sociale come stabilisce la costituzione.
Come pensa che influiranno i risultati delle elezioni statunitensi e come valuta la posizione assunta dagli USA? Sia che vincano i democratici con Kamala Harris, o i repubblicani con Donald Trump, non vi saranno molte differenze nella politica estera statunitense. Una cosa, però, è certa: dovranno fare i conti da un lato con la nostra diplomazia di pace coniugata alla giustizia sociale, e dall’altro con il fatto che possediamo le prime riserve di petrolio al mondo certificate, che intendiamo commerciare in modo plurale e non monopolistico. Su questa base, se vogliono intensificare il commercio petrolifero, possiamo trovare un’intesa.
Dal sequestro di Alex Saab, agli omicidi mirati, al genocidio dei palestinesi tutto indica che l’imperialismo sta forzando i limiti della democrazia borghese, viola le sue stesse leggi per normalizzare l’orrore. Come cosituzionalista come analizza questa tendenza? Questo tipo di violazioni gravissime, assassinii e distorsioni delle norme che regolano la vita delle nazioni, indicano che un ciclo dell’imperialismo è giunto al termine. Se si guarda alla storia degli imperi, ci si accorge dei sintomi che compaiono alla fine di un ciclo, anche se l’analisi non può essere intesa in modo meccanico. Nel caso degli Stati Uniti, possiamo elencare alcuni di questi gravi sintomi, segno di una crisi strutturale del modello: la grave disoccupazione, una moneta che non ha sostegno concreto, un enorme deficit, un’inflazione crescente, molti fronti aperti inutilmente sul piano militare, che producono instabilità a livello internazionale, ma anche interno, e molti altri aspetti che indicano una grave crisi di egemonia. Gli USA sono alla fine di un ciclo. Dovrebbero reinventarsi, cercare un confronto con il nuovo mondo multipolare e multicentrico, plurale a livello ideologico, che sta nascendo. Dovrebbero rispettare la giustizia internazionale e dedicarsi alla pace del mondo.
*( di Geraldina Colotti ( da l’AntiDiplomatico 16/8/2024)
05 – Vittorio Stano*: …VERSO UNA TESTA BEN FATTA –
“L’EDUCAZIONE È LA LEVA PER UN PROFONDO CAMBIAMENTO CULTURALE. L’EDUCAZIONE È LO STRUMENTO PER COMPRENDERE E AFFRONTARE LE SFIDE DEL PRESENTE E DEL FUTURO”
Michel de Montaigne (1533-1592)
…E’ dal potere che provengono i suoi uomini peggiori!
Platone
… Senza cellulari e ripristino del diario cartaceo più attenzione e sviluppo manualità ? Per favore ministro…
Il ministro Valditara non è nuovo a esternazioni che fanno discutere e dividere addetti ai lavori, mass media e genitori.
Il suo mandato iniziò con l’intenzione di “umiliare” gli studenti responsabili di atti di bullismo con punizioni esemplari come sospensioni e lavoro sociale obbligatorio. Seguì l’audace intento di costituire nelle scuole d’Italia “classi speciali” di soli bambini/studenti che non padroneggiano la lingua italiana. Quindi estromettere dalle classi regolari i figli dei lavoratori migranti, sostanzialmente. Cioè l’istituzione del ghetto, mentre si parla ipocritamente di inclusione. Per fortuna non c’è stato un seguito a questa intenzione razzista, almeno fino a oggi…
Il ministro è il più fervido rinvigoritore di quei principi propri della borghesia conservatrice che ebbero in Giovanni Gentile il realizzatore di quella “riforma scolastica organica” che Mussolini definì… “la più fascista delle riforme”. Inoltre, la presentazione del ddl di riforma dell’istruzione tecnico-professionale di giorni addietro, ha reso edotti parlamentari e cittadini che vuole far “addestrare” gli studenti come cavalli o soldati, per metterli poi in sinergia con le imprese locali. Con quel provvedimento la scuola viene ridotta a luogo per sfornare lavoratori.
L’addestramento approvato col ddl summenzionato è umiliante per gli studenti e lontano dalla concezione di scuola sancita dalla Costituzione. Questa riforma subordina completamente la scuola pubblica alle esigenze delle imprese, sacrificando sogni e aspirazioni dei giovani. Agli studenti viene chiesto di scegliere il proprio percorso di studi solo in funzione delle aziende locali, riducendo la loro libertà e costringendoli ad accontentarsi di lavori sfruttati e frustranti.
L’ultima esternazione comporterà, dal prossimo anno scolastico, l’eliminazione dei cellulari ed il ritorno al diario e al registro cartacei nella scuola elementare e media. Questa decisione porterà numerosi cambiamenti nel contesto educativo, con implicazioni sia positive che negative per docenti e studenti.
Quando si introdusse l’uso delle tecnologie a scuola, nacque un dibattito che evidenziò gli effetti positivi per quanto riguardava gli apprendimenti, ma c’erano anche effetti negativi legati all’attenzione, all’uso delle tecnologie durante lo studio, alla distrazione e all’allontanamento dalla socialità. Quindi l’assenza dei dispositivi digitali può incidere su quegli elementi che creavano difficoltà nell’apprendimento, come appunto l’attenzione, la concentrazione sul compito o semplicemente la socialità tra gli alunni.
Aspetti meno dirompenti sono legati allo sviluppo cognitivo e motorio dei bambini o alle competenze di scrittura e manualità per cui l’uso delle tecnologie digitali possono avere dei riscontri e degli effetti perché non è possibile staccare bambini e adolescenti dal contesto digitale e digitalizzato, e la scuola non può scollegarsi da questo tipo di ambiente che ci circonda.
Ormai l’integrazione con le tecnologie digitali è all’ordine del giorno, anche se, sembra, si voglia quasi portare all’ambito dell’intrattenimento l’uso del digitale e degli strumenti, ma questo non è più possibile. Il Ministero, per la formazione iniziale degli insegnanti, utilizza la didattica digitale e la dad come canali di formazione, quindi se ha un’efficacia in termini di apprendimento l’uso del digitale nella didattica, perché poi non utilizzare questi strumenti digitali all’interno delle lezioni? Inoltre, un’altra preoccupazione dei docenti, è quella di privare i ragazzi BES*(1) dal beneficio derivante dagli strumenti digitali. Tanti insegnanti di sostegno utilizzano App didattiche e strumenti digitali che sono un utile supporto all’insegnamento sia a casa che a distanza.
Quindi ridurre o provare a ritornare a un periodo in cui le tecnologie digitali, e in particolare i cellulari, non erano usati nella pratica didattica, diventa un’operazione anacronistica che non corrisponde alle esigenze di scolari/studenti del nostro tempo.
Il cellulare ormai è uno strumento all’ordine del giorno, ma dobbiamo tutti sforzarci di INSEGNARNE UN CORRETTO USO. Non possiamo stare 24 ore su 24 incollati a uno schermo. Dobbiamo insegnare la CONCENTRAZIONE, la SOCIALITA’ e la CONDIVISIONE DEI CONTENUTI, ma allo stesso tempo non possiamo eliminare questo strumento e NON DOBBIAMO BARRICARCI SU POSIZIONI TROPPO RIGIDE, rispetto all’una o all’altra scelta. Limitare l’uso dei dispositivi personali in classe, può ridurre le distrazioni, può migliorare la concentrazione degli studenti, tanto che l’abilità del docente può creare un ambiente più adatto all’apprendimento. Ma questo non basterà perché le scuole dovrebbero investire in tecnologie centralizzate come l’uso di computer, tablet e piattaforme educative che permettono un uso controllato e finalizzato della tecnologia digitale. Quasi tutte le scuole però, non hanno fondi da investire. Il ministro metterà a disposizione di queste le risorse necessarie? Ho forti dubbi…
I fondi del PNRR hanno dato un impulso nella digitalizzazione delle scuole, tuttavia molti insegnanti non hanno la possibilità di avere una strumentazione al passo con i tempi o dei software legati a piattaforme che necessitano di abbonamenti e aggiornamenti. La scuola in Italia non ha la disponibilità di poter avere questi software per realizzare esercitazioni al passo con i tempi, anche se agli studenti piacciono molto. Purtroppo in Italia si fa molta teoria, ma la pratica scarseggia. Le APP gratuite e i cellulari personali possono essere gli unici strumenti digitali a essere presenti nelle classi. Questo non è un limite, può essere addirittura un vantaggio e favorire una maggiore concentrazione.
L’integrazione con l’intelligenza artificiale poi, è la nuova frontiera; può rappresentare un’opportunità significativa per personalizzare l’apprendimento ancora di più di internet e del web.
Con questo ministro siamo ripiombati a 20anni fa quando ci si interrogava se gli studenti dovessero utilizzare internet e se internet fosse uno strumento da integrare con i compiti a casa. Mi sembrava che ci fossimo indirizzati a integrare la tecnologia di internet, come ad esempio Wikipedia a tutte le esercitazioni che facciamo fare a casa.
Oggi il dibattito scolastico sull’intelligenza artificiale è fermo. Si discute se utilizzarla nella prassi didattica. Sono sicuro che tra qualche anno sarà uno strumento a disposizione degli insegnanti per la pratica didattica. Quindi questa indecisione sull’uso/non uso è sintomo dell’arretratezza del sistema Italia. Dovremmo già ora focalizzarci su come utilizzarla all’interno della scuola. Mi rendo conto che l’uso indiscriminato di dispositivi digitali a scuola crea disparità tra gli studenti, perché non tutti hanno accesso a dispositivi di qualità e a una connessione internet stabile. Infatti non tutto il contesto italiano è stato raggiunto da strumentazioni digitali e rete che sono disponibili nelle scuole e aree d’Italia. Quindi la scuola mentre promette di dare a tutti gli studenti le stesse possibilità, in realtà svantaggia quelle scuole, quelle aree, dove molte di queste hanno difficoltà ad acquistare dei semplici visori che permettono di utilizzare piattaforme già realizzate per svolgere delle simulazioni di apprendimento, o acquistare strumenti per allestire delle aule di realtà virtuale o di realtà aumentata dove condurre attività d’insegnamento e apprendimento.
I temi dell’educazione e della ricerca in ambito educativo si stanno indirizzando oltre i limiti della lezione tradizionale, ma moltissime scuole non sono pronte per accogliere queste nuove realtà. La realtà aumentata arricchisce il mondo reale con elementi digitali visibili attraverso dispositivi come smartphone, tablet o visori, in ambito educativo. Inoltre la realtà aumentata permette di integrare materiali didattici con contenuti interattivi, con modelli tridimensionali, come i modelli anatomici o le mappe storiche animate oppure le simulazioni scientifiche. Questo rende l’apprendimento più coinvolgente ed efficace perché facilita la comprensione di contenuti complessi.
Il professor Schettini *(2) ha tanto successo nell’insegnamento della fisica… che piace!, perché spiega concetti complessi di fisica attraverso esempi concreti o con esperimenti durante i quali gli studenti interagiscono con i contenuti educativi e quindi li apprendono in maniera tangibile, dinamica e visibile.
La realtà virtuale invece crea degli ambienti di apprendimento completamente immersivi dove lo studente è isolato dal mondo reale, però ti permette di interagire direttamente con il contenuto stesso.
Il fine dell’educazione è quello di ricontestualizzare questi apprendimenti, rielaborarli e portarli nel contesto reale, per evitare che si crei uno scollamento con la realtà. Le preoccupazioni esistono e sono reali, ma un docente (o un corpo docente) adeguatamente preparato può indirizzare queste acquisizioni di contenuti verso il raggiungimento di obiettivi molto più alti. Questi strumenti permettono di aumentare la motivazione e la creatività negli studenti. Il docente preparato così può far sviluppare negli studenti, il pensiero critico che è, da sempre, uno degli obiettivi della didattica. Facile a dirsi, ma… un corpo docente ben aggiornato stenta ancora a formarsi. Con questi strumenti gli studenti possono viaggiare attraverso le civiltà, la storia, lo spazio e gli ecosistemi cioè attività che nella didattica raccontata o della lezione frontale non si riesce a fare.
Soprattutto nella scuola secondaria di secondo grado si possono raggiungere obiettivi attraverso i quali gli studenti possono vivere le lezioni in prima persona ed essere co-costruttori del sapere. Nei mondi virtuali e nel Metaverso gli studenti possono combinare i contenuti appresi con i propri bagagli culturali. Il sapere e i contenuti sono costruiti dallo studente e questo avviene anche leggendo un libro ma nel Metaverso i contenuti si materializzano e concretizzano. Così l’apprendimento diventa più divertente, più facilmente accessibile e inclusivo. Questa è la nuova frontiera. I soliti divieti non possono affrontare in modo completo i problemi dell’attenzione e della concentrazione. Per affrontarli alla radice è fondamentale l’approccio educativo che inizi fin dalla tenera età e che miri ad allenare i processi attentivi a sviluppare una gestione consapevole della tecnologia e anche tutti gli strumenti, anche quelli ludici della scuola dell’infanzia o della scuola elementare. Questo richiede uno sforzo pedagogico da parte dei docenti che devono trasmettere ai bambini e agli studenti delle competenze di autoregolazione, di focalizzarsi sul compito, di gestire lo stress e le distrazioni e di mantenere l’attenzione per tempi prolungati.
L’educazione alla gestione dell’attenzione è una soft skill*(3) che deve essere integrata al curriculum scolastico attraverso attività mirate che possono essere giochi, se sono bambini, pratiche con gli studenti più adulti. Si possono sottoporre agli studenti esercizi di memoria, che si facevano già ai tempi dell’antica Grecia o dei romani, oppure giochi di strategia come strumenti utili a sviluppare competenze. È facile ed efficace creare momenti in cui l’attenzione viene messa alla prova e poi svilupparla con esercitazioni sempre più complesse. Questo approccio deve coinvolgere insegnanti, genitori e studenti. L’obiettivo è aiutare i ragazzi ad allenare l’attenzione e sviluppare competenze di concentrazione e di gestione del tempo e dello studio in maniera più efficace.
ETÀ EVOLUTIVA ED EVOLUZIONE TECNOLOGICA
Realizzare tutto questo può portare i ragazzi a non accontentarsi del voto gonfiato*(4), che si ottiene senza fatica, senza stress e frustrazioni. I ragazzi e i loro genitori devono comprendere che la prodigalità valutativa di molti docenti è una finzione diseducativa e mortificante . La scuola non può essere ritagliata come un abito su misura dei propri figli, come molti genitori vorrebbero. Chi ha a che fare con l’ambiente scolastico sa come sia sempre più frequente che gli studenti approdino alle Medie e anche alle Superiori senza riuscire a mantenere l’attenzione se non per un tempo molto fugace; senza saper prendere appunti; senza essere capaci di afferrare periodi complessi, ma ancor prima, senza comprendere il significato delle parole, avendo un bagaglio lessicale sempre più scarno. Sopravvive un solo modo verbale, l’indicativo, con giusto un paio di tempi. L’italiano della nostra tradizione letteraria sta diventando sempre più una lingua straniera.
Dare più attenzione allo sviluppo della manualità significa prima di tutto espandere l’esercizio della scrittura che è un atto consapevole e volontario che richiede esercizio. Questo, man mano, libera il linguaggio dagli errori e aumenta il bagaglio lessicale e sintattico. Oggi l’arte di scrivere a mano, in particolare della scrittura corsiva, non è più coltivata. Insieme alla manualità fine, viene così inibita tutta una vasta gamma di attitudini che si sviluppano esercitandola, a partire dalla memoria.
“La mano ricorda” -dicono i russi- per sottolineare come la mente si appropri del concetto anche attraverso il corpo, attraverso la memoria muscolare che passa per la mano. La grafia è un connotato unico e distintivo del suo autore e toglierla di mezzo a scuola rappresenta una via maestra verso l’omologazione e la spersonalizzazione. Il danno che si causa negando tutto questo porta ai deficit accumulati negli anni misurati scientificamente con le prove Invalsi e i PISA Studie*(5).
L’apprendimento della lingua materna e del linguaggio matematico sono strettamente correlati ed esiste una finestra temporale di opportunità, un periodo oltre il quale la natura ha posto una particolare sensibilità a fissare i segni e i suoni, ovvero le parole e la musicalità della lingua a stamparli nella memoria. Passata questa fase diventa più difficile recuperare il tempo perduto.
Oggi tutti hanno il dovere assoluto di attrezzarsi e di attrezzare chi ci succede e custodire il LOGOS: la parola, il simbolo, il pensiero.
I nostri ragazzi, al traino della macchina e immersi nel fumo degli slogan incantatori, rischiano di perdere definitivamente l’accesso al tesoro sedimentato lungo un passato grande e maestro. Ma solo da qui può scaturire un futuro dove ancora brillino LA LUCE DELLA CONOSCENZA e la forza della RAGIONE.
NOTE
*(1) BES: Bisogni Educativi Speciali
*(2) professor Schettini: Vincenzo Schettini è professore di fisica. Ha iniziato a sviluppare le sue lezioni online su Youtube, TikTok e Instagram con il nome “La fisica che ci piace”. Schettini è anche musicista, violinista diplomato al conservatorio.
*(3) soft skill: competenze relazionali o trasversali legate all’intelligenza emotiva e alle abilità naturali che ciascuno di noi possiede.
*(4)voto gonfiato: in Italia il 99% di scolari e studenti viene promosso. Prove Invalsi e PISA Studie poi dimostrano che l’apprendimento non va così bene.
*(5) PISA Studie: Programme for International Student Assessement. È un’indagine internazionale promossa dall’OCSE (Cooperazione e Sviluppo Economico) con periodicità triennale per accertare se e in che misura i 15enni scolarizzati abbiano acquisito alcune competenze giudicate essenziali per sviluppare un ruolo consapevole e attivo nella società e per continuare ad apprendere per tutta la vita (lifelong learning). L’Italia nella rilevazione del 2022 è 31esima, peggio che nella rilevazione precedente (2018). Nella rilevazione del 2022 il gap tra la prima classificata (Singapore, 1679 punti) e l’Italia è di 249 punti (Italia , 1430 punti)
*( Fonte: Sinistrainrete . Vittorio Stano – Giornalista, ha lavorato per Paese Sera, Mondoperaio e il Manifesto. Collabora con Micromega, New Left Review, die Tageszeitung.)
06 – Michele Giorgio*: «I CRIMINI ISRAELIANI PROTETTI DAGLI ALLEATI OCCIDENTALI» – INTERVISTA. FRANCESCA ALBANESE, RELATRICE DELL’ONU: «IL LAVORO DELL’AJA SUI MANDATI D’ARRESTO È RALLENTATO DALLE MEMORIE PRESENTATE A DIFESA DI TEL AVIV»
Lavora al suo nuovo rapporto, che sarà pronto a ottobre, Francesca Albanese, esperta di diritto internazionale e relatrice dell’Onu per i diritti umani nei Territori palestinesi occupati. Nel frattempo continua a commentare con post quotidiani sui social gli sviluppi a Gaza e in Cisgiordania. Con Albanese facciamo il punto della situazione mentre si avvicina il primo anniversario dell’attacco di Hamas nel sud di Israele (1.139 morti tra soldati e civili) e dell’inizio della devastante rappresaglia israeliana a Gaza che in 10 mesi ha fatto almeno 40mila morti, tra cui migliaia di bambini, e circa 100mila feriti tra i palestinesi. «La valutazione globale su quello che sta succedendo ai palestinesi sotto il controllo israeliano è di una gravità senza precedenti. Siamo dinanzi a un assalto contro una popolazione a ogni livello», ci dice Albanese.
FRANCESCA ALBANESE
Nelle carceri israeliane si torturano i palestinesi in modo sistematico. È sconvolgente l’inazione della comunità internazionale, in altri paesi siamo intervenuti per molto meno
SI RIFERISCE ANCHE DELLA CISGIORDANIA?
Certo. A Gaza si bombarda senza sosta da 10 mesi, sono state ammazzate ormai 40mila persone, quasi 100mila sono state ferite, non si contano più gli orfani. I satelliti mostrano che Gaza non c’è più. Ci sono stati massacri dopo massacri, anche nelle scuole che sono l’ultimo punto di protezione dei civili palestinesi perché la maggior parte delle case sono state distrutte o sono stati dati ordini evacuazione. Non c’è nessun luogo dove gli esseri umani possano sentirsi al sicuro. Anche in Cisgiordania la situazione è gravissima. Dal 7 ottobre non c’è stato più alcun contenimento delle azioni (israeliane), al contrario c’è stato un accanimento contro le comunità palestinesi, soprattutto quelle pastorali, beduine. Una ventina di comunità rurali sono state sfollate.
Del suo rapporto farà parte il capitolo degli abusi e delle violenze subite dai prigionieri di Gaza nei centri di detenzione israeliani, in particolare a Sde Teiman?
Sì, si tratta di un dramma immenso. Nelle carceri israeliane si torturano i palestinesi in modo sistematico. Ci sono 10mila palestinesi imprigionati, la metà dei quali senza accusa e senza processo. È una cosa sconvolgente e altrettanto sconvolgente è l’inazione della comunità internazionale e dell’Europa dinanzi a questo sfacelo. In altri paesi siamo intervenuti per molto meno. Non è solo Sde Teiman. L’organizzazione israeliana B’Tselem parla di una rete di centri di tortura perché mancano all’appello migliaia di prigionieri palestinesi di Gaza che si sospetta siano detenuti in altri centri come Sde Teiman. Le condizioni di detenzione sono assolutamente disumane. Io stessa ho raccolto testimonianze di prigionieri che raccontano di essere stati picchiati, denudati, abusati sessualmente e derisi dal momento dell’arresto. Tenuti lunghe ore prima al freddo poi al caldo in gabbie all’aperto, coperti solo da un pannolino, con gli occhi perennemente bendati, stesi a terra e con l’ordine di non muoversi e non parlare. Hanno riferito anche della mancanza di cibo e cure mediche. Mi è rimasta impressa la testimonianza di un giornalista americano che parla dell’olezzo insopportabile di ferite non curate. Tra i prigionieri di Gaza, oltre a uomini e donne, sono presenti numerosi minori. Come dice B’Tselem non è questione solo di qualche elemento o di qualche centro detentivo. Sono stati coinvolti anche medici, tanti medici israeliani sono andati nei centri di detenzione. A diversi prigionieri sono state praticate amputazioni per la mancanza di circolazione del sangue negli arti per il tipo di strumenti usati per tenerli fermi. I palestinesi usciti vivi da questi centri sono irriconoscibili.
CI SONO ANCHE DENUNCE DI VIOLENZE SESSUALI RIVOLTE A SOLDATI ISRAELIANI.
Palestinesi denunciano di essere stati penetrati con un estintore oppure con un bastone. È stato diffuso il video di un gruppo di soldati che abusano sessualmente di un prigioniero. Eppure, di fronte a ciò, gruppi di cittadini israeliani e perfino alcuni ministri e deputati si sono ribellati contro la polizia che voleva arrestare i soldati responsabili dello stupro. Questa è solo una fotografia ridotta di quello che sta succedendo nei centri di detenzione dove la maggior parte della gente è prigioniera solo perché è palestinese e non perché è affiliata ad Hamas.
Contro Israele e il suo premier Netanyahu e il ministro della difesa Gallant, sono stati avviati procedimenti per crimini di guerra e genocidio presso le due Corti internazionali dell’Aja. Anche tre leader di Hamas sono stato messi sotto accusa dalla Procura internazionale. Cosa prevede?
La Corte di giustizia internazionale (Cig) e la Corte penale internazionale (Cpi) quest’anno si sono interessate in tre istanze della situazione in Palestina. Si è appena concluso un procedimento importantissimo della Cig che ha decretato l’illegalità dell’occupazione israeliana nel territorio palestinese. Il procedimento alla Cig per genocidio a Gaza iniziato dal Sudafrica nei confronti di Israele prenderà sicuramente parecchio tempo. L’altro ha visto il procuratore Karim Khan chiedere alla Cpi di convalidare gli ordini di arresto per tre leader di Hamas, due dei quali sono stati uccisi da Israele, oltre che per Netanyahu e Gallant. Dopo le accuse rivolte ai leader israeliani si è alzata un’onda di resistenza da parte di alcuni paesi europei e occidentali. Il fatto che il passato governo britannico abbia sollevato un’eccezione di giurisdizione (poi ritirata dal nuovo governo laburista), ha aperto un calderone. Sono state presentate tantissime memorie che la Corte ora sta esaminando, tra cui quella della Germania che chiede di non investigare perché si comprometterebbero le possibilità di pace, anche se non è chiaro di quale pace si stia parlando. C’è uno schieramento occidentale a sostegno di Israele per permettergli di continuare a perpetrare i propri crimini. Quanto questo complicherà il corso della giustizia è difficile quantificarlo. La Corte non si pronuncerà sulla richiesta di arresti se prima non prenderà visione di tutte le memorie presentate, 64 per un totale di 640 pagine. Spero che questa cosa si risolva tra ottobre e dicembre, l’allungamento dei tempi favorisce l’impunità. Sarebbe ben diverso se ci fossero degli arresti e dei mandati di cattura.
*( Michele Giorgio – giornalista, da anni vive in Medio oriente da dove è del quotidiano il manifesto. Per Alegre ha pubblicato nel 2012 Nel baratro.)
07 – Guido Liguori*: MISERIA CAPITALISTICA E COMUNISMO DEMOCRATICO – LA NUOVA EDIZIONE EINAUDI DEL «CAPITALE» HA DATO LO SPUNTO ALL’INSERTO CULTURALE DEL CORRIERE DELLA SERA PER ALCUNE CRITICHE ALLE IDEE DI MARX. CHE MERITANO UNA RISPOSTA
L’ultima Lettura del Corriere della Sera apre con tre articoli che prendono spunto dalla nuova edizione del primo volume del Capitale di Marx curata per Einaudi da Roberto Fineschi. Oltre a un efficace scritto di Marcello Musto sulle differenze tra le prime cinque edizioni del libro, e a uno di Giuseppe Sarcina sulle diversità che connotano le sinistre nel mondo, un articolo di Maurizio Ferrera ricorda i temi del capolavoro marxiano, ne riconosce l’importanza storica e, soprattutto, sottolinea gli elementi che lo renderebbero obsoleto.
Non voglio qui difendere Marx o disquisire su questo o quell’aspetto della sua teoria. È inutile in questo ambito, anche perché è lo stesso Ferrera a ricordare come resti vero che il pensatore di Treviri e il suo libro esercitino oggi una rinnovata influenza, tanto più in quanto gli ultimi decenni di trionfo del liberismo, scrive lo studioso, «hanno coinciso con una intensa crescita delle diseguaglianze economiche e della precarietà sociale». Per questo motivo, prosegue, assistiamo a un revival del pensiero di Marx e dei comunismi: perché «attingendo alle idee di Marx, è stato possibile avviare un nuovo “discorso” pubblico», riproponendo visioni alternative di organizzazioni dell’economia e della società.
Non sono riconoscimenti da poco – come non lo è il fatto che il principale quotidiano italiano dedichi a Marx le prime cinque pagine del suo supplemento letterario, sia pure con giudizi largamente sfavorevoli. Anzi, andrebbe aggiunto che se è vero che il pungolo critico marxiano continua a essere utile contro il capitalismo, il punto debole delle teorie politico-sociali che si vogliono marxiste sta proprio nel non saper proporre una convincente idea di società socialista che si ponga su un terreno di reale alternativa al capitalismo.
Per Ferrera però il punto è soprattutto un altro. Ripetendo un noto mantra della critica liberal, egli scrive che «il grande limite» delle proposte neomarxiste starebbe nel fatto che esse «tendono a perdere per strada l’eredità liberal-democratica», a sottovalutare «diritti e democrazia formale», cioè «l’inevitabile persistenza delle dinamiche di potere e i loro rischi di sopraffazione».
Non credo che le cose stiano così. Credo anch’io che sia stata vera e drammatica la sottovalutazione del tema del potere e della democrazia formale da parte delle forze impegnate a realizzare una democrazia sostanziale, ovvero il socialismo. Ma ritengo anche, da una parte, che il tentativo guidato almeno inizialmente da Lenin abbia deviato dai suoi intenti originari a causa dall’aggressione (assai poco democratica) subita dagli Stati capitalistici e poi dai fascismi. E, dall’altra, che molti materiali per una costruttiva autocritica dei socialismi rivoluzionari siano presenti nella stessa cultura marxista – da Rosa Luxemburg ai consiliaristi, da Gramsci a Mariategui, a Lukács (solo per citarne alcuni), e a tante correnti di pensiero post-1956.
L’obiezione che questi comunisti democratici non sono tuttavia mai stati al potere è ingiusta. Sia perché non si può comunque negare a essi una sincera volontà di autocorrezione teorico-politica, sia perché le forze del capitale hanno spesso impedito loro in tutti i modi (di nuovo: anche in modi molto poco democratici) di misurarsi col governo.
IL CASO DELL’ITALIA è eclatante. La nostra tradizione comunista democratica, pur non senza contraddizioni, ha gradualmente compreso l’importanza della democrazia politica, muovendo dalla riflessione gramsciana sull’egemonia, passando per la partecipazione convinta alla scrittura della Costituzione, culminando nelle posizioni berlingueriane che furono alla base dell’eurocomunismo e della «terza via» o «terza fase». Ma è stata ostacolata in tutti i modi, anche non leciti dal punto di vista della stessa teoria liberaldemocratica, almeno per come viene conclamata.
Credo che oggi sia vivissima nei socialisti e comunisti di molte tendenze la consapevolezza della importanza delle libertà liberali (tranne l’assoluta libertà d’impresa, ovviamente) e della democrazia. Vi sono in Marx stesso buoni argomenti in questa direzione. Basti pensare al discorso di Amsterdam nel 1872 sulla possibilità di vie democratiche al socialismo: si era – lo si noti – all’indomani di quella Comune di Parigi di cui egli aveva colto alcuni insegnamenti rilevanti sul terreno dell’autogoverno, ma che aveva anche tentato di scongiurare fino all’ultimo e di cui non affermava il valore paradigmatico e universale per ciò che concerneva l’aspetto insurrezionale armato.
È ugualmente viva nella cultura e nella politica liberaldemocratiche la consapevolezza di dover combattere il capitalismo per porre fine alla «intensa crescita delle diseguaglianze economiche e della precarietà sociale» di cui parla Ferrera? Non credo. E inoltre: la profonda crisi delle istituzioni parlamentari e lo svuotamento odierno della democrazia rappresentativa non dovrebbe portare a riflettere sui lati positivi della democrazia deliberativa? L’intreccio tra democrazia parlamentare e democrazia di base – auspicato da diversi autori comunisti e socialisti fra gli anni Sessanta e gli anni Settanta – non potrebbe oggi dare nuova linfa vitale alle stesse istituzioni rappresentative svuotate e in declino?
Nelle società avanzate il socialismo o comunismo del futuro sarà democratico o non sarà. Il pen
siero liberaldemocratico o imparerà davvero a separarsi dal capitalismo e a combatterlo o, ugualmente, non avrà futuro.
*( Guido Liguori – Insegna Storia del pensiero politico presso l’Università della Calabria.)
08 – Luca Martinelli*: IL COMMISSARIO C’È MA LA CRISI PEGGIORA IN TUTTO IL CENTRO-SUD – ALLARME SICCITÀ. SONO GIÀ 4 MILIARDI I DANNI ALL’AGRICOLTURA NELLE REGIONI PIÙ COLPITE SECONDO LE STIME DI LEGACOOP: «BASTA RINVIARE, SERVE UN PIANO»
L’osservato speciale per misurare il livello dell’acqua è l’invaso di Chiauci, lungo il fiume Trigno, tra Molise e Abruzzo. Se all’inizio dell’estate era la Sicilia l’epicentro della crisi idrica, oggi a soffrire è tutto il Centro e il Sud Italia, dove la siccità e le alte temperature portano gli enti a misure d’emergenza, dal razionamento idrico (accade nelle Marche e in Campania) all’apertura straordinaria di pozzi (lo han fatto nel pesarese), prelevando dai fiumi più acqua di quella che permetterebbe di conservare la vita all’interno dei corsi d’acqua. Un brutto circolo vizioso che per garantire l’acqua potabile mette a rischio l’equilibrio ecologico, mentre inevitabilmente si riduce la portata disponibile per l’irrigazione di campi sempre più assetati.
Cristian Maretti, Legacoop Agroalimentare
Le dighe e gli invasi del Meridione d’Italia rappresentano il simbolo dell’incuria e dell’abbandono
SECONDO LE STIME di Legacoop Agroalimentare, i danni per il comparto sono già pari a 4 miliardi di euro nelle regioni del Sud, dove quasi 33mila posti di lavoro sono andati persi solo nel primo trimestre del 2024.
L’ELENCO delle situazioni critiche comprende la Basilicata, dove sono stimate perdite del 90% della produzione di grano e del 40% di quella vitivinicola, la Puglia, dove la produzione delle olive è al di sotto del 50% e il comparto ortofrutticolo ha cali che superano il 40%, la Sicilia, dove «allevatori e agricoltori sono allo stremo delle forze e devono fare i conti con una crisi strutturale che rischia di far collassare un comparto che un tempo era trainante per l’intera isola», mentre si registra il 70% di perdite nella produzione cerealicola e oltre il 45% nelle coltivazioni arboree.
Ieri anche il presidente della regione Abruzzo, Marco Marsilio, ha chiesto lo stato d’emergenza per la crisi idrica.
Secondo Cristian Maretti, presidente di Legacoop Agroalimentare, «aziende agricole e di trasformazione del comparto agroalimentare pagano il prezzo più alto di una crisi che certamente risente dei cambiamenti climatici e del surriscaldamento del clima. Ma che è anche la diretta conseguenza dell’assenza di una visione e di una politica infrastrutturale in grado di garantire un sistema idrico efficiente e funzionale. Le dighe e gli invasi del Meridione d’Italia – commenta Maretti – rappresentano il simbolo dell’incuria e dell’abbandono» e niente ha potuto in un anno mezzo il Commissario straordinario incaricato dal governo Meloni, la cui operatività è ancora appesa a un palo.
E mentre nel Bacino del Po la situazione resta sotto controllo, in Centro Italia il comprensorio di Aprilia, Cisterna di Latina e Latina, il più importante per la coltivazione del kiwi, soffre in modo drammatico: Legacoop fa l’esempio delle aziende agricole servite da un impianto che attinge dal fiume Ninfa a Sermoneta, 4mila ettari di superficie agricola dove l’acqua scarseggia. L’associazione chiama a «un tavolo con Regione Lazio, autorità di bacino provincia di Latina, Acqua Latina, Consorzio di bonifica per trovare urgentemente una soluzione», anche se con tutta probabilità l’unica possibile è limitare le colture più idroesigenti, come quella del kiwi appunto.
INTANTO GLI EFFETTI della pesante ondata di calore che ha colpito l’Europa, e sta portando molta più acqua dolce ad evaporare dai bacini e dai fiumi, prima di essere immessa in rete, sono misurabili anche in tutto il bacino del Mar Mediterraneo, all’interno del quale l’acqua salata ha raggiunto la temperatura più alta mai registrata.
Secondo i ricercatori del programma di osservazione della Terra Copernicus dell’Unione europea è stato battuto il record del luglio 2023, con una media giornaliera di 28,90°C. Questi risultati preliminari, tratti dai dati satellitari, significano in poche parole che per due estati consecutive il Mediterraneo è stato più caldo che mai, battendo dopo vent’anni il record raggiungo durante l’eccezionale ondata di caldo estivo del 2003, quando il 23 agosto la media giornaliera fu misurata a 28,25°C .
IL MARE NOSTRUM sta raggiungendo temperature vicine ai 30 gradi e almeno quattro gradi sopra alla media, temperature che minacciano la vita marina: durante le precedenti ondate di caldo sono state decimate circa 50 specie, tra cui coralli e molluschi. Le alte temperature favoriscono inoltre la proliferazione della mucillagine e la migrazione di specie aliene tipiche dei climi tropicali. Il problema, quindi, non è solo quello delle vacanze rovinate ai bagnanti che hanno scelto i lidi dell’Adriatico
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