n°31- 03/08/24 – RASSEGNA DI NEWS NAZIONALI E INTERNAZIONALI. NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL’ESTERO

01 – La Marca (PD) – Anche dall’Estero, una firma contro l’Autonomia Differenziata!
02 – Roberta De Monticelli*: Il silenzio complice dell’Europa, il diritto e i filosofi – Umanità al bivio. L’idea di Europa che l’Unione europea era nata per incarnare era tutta diversa: «contenere e frenare» l’arbitrio del più forte era certo la sua vocazione
03 – Caroline Haskins – Diritti – I legami nascosti di Google e Amazon con l’esercito israeliano
I due colossi sostengono da mesi che un contratto per la fornitura di servizi cloud al paese, da mesi al centro proteste, non abbia applicazioni militari. Un’analisi di Wired US rivela però che le cose sembrano stare diversamente
04 – Claudia Fanti*: Piazze contro piazze e giochi di diplomazie, Venezuela sotto tiro – Caracas. Come nel 2019 con Guaidó, un presidente eletto e uno proclamato all’estero. Agli Usa si accodano i governi di destra latinoamericani
05 – Davide Conti*: Il precedente dell’Italicus nel gorgo dei depistaggi – Bologna, 2 agosto 1980. L’attentato neofascista del 1974 provocò 12 morti e 50 feriti. Nessuna condanna

 

 

01 – La Marca (PD) – ANCHE DALL’ESTERO, UNA FIRMA CONTRO L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA!
IL PARTITO DEMOCRATICO E LE ALTRE FORZE DI OPPOSIZIONE HANNO AVVIATO UNA RACCOLTA FIRME PER PROMUOVERE UN REFERENDUM ABROGATIVO DELLA LEGGE SULL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA.
📣 Finalmente è possibile firmare online a sostegno del referendum per abrogare l’autonomia differenziata, anche dall’estero!
1️⃣ Apri il link: https://pnri.firmereferendum.giustizia.it/referendum/open/dettaglio-open/500020 e accedi con lo SPID, la CIE o la CNS
2️⃣ Scorri l’elenco delle iniziative e clicca su “Contro l’autonomia differenziata. Una firma per l’Italia unita, libera, giusta” (il numero dell’iniziativa è 500020)
3️⃣ Premi su sostieni iniziativa, clicca su continua e nuovamente su sostieni iniziativa
✍🏻 Firma anche tu per abrogare questa misura che spacca l’Italia🇮🇹, facciamo sentire anche la voce degli italiani all’estero!
*( Sen. Francesca La Marca – 3ª Commissione – Affari Esteri e Difesa – Electoral College – North and Central America – Senato della Repubblica XIX Legislatur)

 

02 – Roberta De Monticelli*: IL SILENZIO COMPLICE DELL’EUROPA, IL DIRITTO E I FILOSOFI – UMANITÀ AL BIVIO. L’IDEA DI EUROPA CHE L’UNIONE EUROPEA ERA NATA PER INCARNARE ERA TUTTA DIVERSA: «CONTENERE E FRENARE» L’ARBITRIO DEL PIÙ FORTE ERA CERTO LA SUA VOCAZIONE

Ma come è stato possibile arrivare fin qui? Israele ammazza platealmente a Teheran il leader di Hamas che conduceva il negoziato di pace, e incendia d’ira mezzo mondo e di terrore l’altro mezzo: ma Biden tace, il segretario di Stato Usa Blinken non batte ciglio e l’Europa predica e si allinea.
Il cancelliere tedesco annuncia il possibile schieramento in Germania dei missili Usa a testata nucleare, a medio-lungo raggio. Putin gli risponde che allora la Russia darà il riavvio alla produzione e disposizione speculare di queste armi. A Washington, in occasione del 75° della Nato, quasi tutti i leader europei confermano un programma di riarmo riduce l’Europa al servizio della strategia statunitense contro la Russia, che naturalmente “non” è Europa. A dispetto della storia, della geografia, della cultura e dell’anima nostra. Del resto il Senato americano ha accolto il ricercato dalla Corte penale internazionale, Netanyahu, con tutti gli onori: deve pur difendersi, no?
Massimo Cacciari, filosofo isolato dal coro di quelli che Chomsky chiama gli «opinionisti ammaestrati», chiede: ma l’escalation militare in atto è veramente l’unica strada? (La Stampa, 13 luglio). Questa Europa gli ha già risposto sì. «Davvero – insiste Cacciari – non è stato che un intervallo la non-guerra, o la guerra per interposta persona, tra i grandi spazi imperiali dopo la Seconda guerra mondiale» – mentre la guerra resta il destino degli umani in terra? (La Stampa, 29 luglio). Proprio così, risponde questa Europa in coro. Lo sfondo di queste risposte è cupamente illuminato dallo storico Richard Sawka: «La guerra russo-georgiana del 2008 è stata di fatto la prima guerra per bloccare l’allargamento della Nato. La crisi ucraina del 2014 è la seconda. Non è sicuro che l’umanità sopravviverà alla terza».
Questi i fatti, e ora, le idee. La prima tremola in cima a una domanda: ma se l’Unione europea oggi è questa, come farà ad essere quel vero «luogo» del Politico capace, suggerisce Cacciari, di «contenere frenare gli appetiti egemonici di quei soli Stati in grado di svolgere ancora una propria politica, cioè i grandi Imperi?». L’idea di Europa che l’Unione europea era nata per incarnare era tutta diversa: «contenere e frenare» l’arbitrio del più forte era certo la sua vocazione, ma può mai bastare a questo la pur necessaria trasformazione della «guerra» in competizione per lo sviluppo, l’innovazione, l’efficienza amministrativa e tecnica?
Cacciari sembra suggerire questa sorta di «conversione realista», che ha già accettato le dimissioni dell’idealità – giuristi e filosofi sono muti, ci dice, e le assemblee parlamentari ridotte a fantasmi. E qui viene la seconda replica “idealista”: ma non sarà precisamente la completa erosione dell’ideale a furia di politica dei compromessi e del meno peggio che svuota di senso l’impegno civile e riduce a ectoplasmi le assemblee parlamentari? Anche perché non è vero che i giuristi sono muti: miliardi di persone hanno seguito col fiato sospeso l’accusa, la difesa, il giudizio alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja riguardo all’ipotesi di genocidio che grava su Israele, mentre la Corte penale internazionale ha emesso sentenze definitive non soltanto riguardo alle apocalissi mediorientali, ma anche alla guerra di Ucraina. E non è vero che i filosofi tacciono.
Alcuni, certo, hanno tradito l’impegno di verità che è la loro ragion d’essere: e fra questi Habermas e Michael Walzer quando pubblicamente hanno nascosto sotto la formula del «diritto all’autodifesa» di Israele l’indicibile orrore che da oltre mezzo secolo si abbatte, e non per destino ma per volontà umana e armi americane, sui civili palestinesi.
Ma altri ci ricordano i due obblighi che noi, i popoli delle nazioni Unite, «per salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità» (Preambolo della Carta dell’Onu), riconosciamo prevalere sulle sovranità e gli interessi degli stati nazionali: e cioè il rispetto dei diritti umani e il divieto di ricorrere alla guerra per la soluzione dei conflitti internazionali. E che il Trattato Istitutivo dell’Unione europea precisamente questi due obblighi premette al macchinario della sua ingegneria istituzionale. Fra i filosofi (e giuristi), Luigi Ferrajoli, nel suo Per una Costituzione della Terra.
L’umanità al bivio (2022), tradotto in molte lingue, indica con precisione in che modo i principi e i diritti fondamentali del costituzionalismo globale andrebbero integrati e implementati attraverso le istituzioni di governo globale e quelle di garanzia. I 100 articoli della sua bozza di costituzione dovrebbero fare l’oggetto di un convegno mondiale per la salvezza della civiltà umana sulla terra, come quello che Niccolò Cusano immaginò si tenesse a Gerusalemme, sotto la presidenza dello Spirito Santo, nell’imminenza della caduta dell’Impero Romano d’Oriente. Sarebbe una risposta al disperato appello a una riforma radicale dell’Onu che il suo Segretario aveva lanciato nel settembre 2023.
*( Roberta De Monticelli è una filosofa italiana)

 

03 – Caroline Haskins – Diritti – I LEGAMI NASCOSTI DI GOOGLE E AMAZON CON L’ESERCITO ISRAELIANO
I DUE COLOSSI SOSTENGONO DA MESI CHE UN CONTRATTO PER LA FORNITURA DI SERVIZI CLOUD AL PAESE, DA MESI AL CENTRO PROTESTE, NON ABBIA APPLICAZIONI MILITARI. UN’ANALISI DI WIRED US RIVELA PERÒ CHE LE COSE SEMBRANO STARE DIVERSAMENTE
An illustration of a tank juxtaposed in front of document folders layered on top of each other in red yellow and green.
Il 16 aprile la polizia è entrata negli uffici di Google a New York e in California per fermare alcuni dipendenti che protestavano per un contratto da 1,2 miliardi di dollari chiamato Project Nimbus, che prevede la fornitura di servizi cloud al governo israeliano. L’accordo, a cui partecipa anche Amazon, era oggetto di proteste da parte di alcuni dipendenti di entrambe le aziende fin dal 2021, ma le contestazioni sono aumentate da quando Israele ha intensificato il conflitto con Hamas dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023.
Gli attuali e gli ex lavoratori di Google e Amazon che si oppongono a Nimbus sostengono che il progetto renda le aziende complici dei conflitti armati di Israele e del trattamento illegale e disumano riservato ai civili palestinesi da parte del suo governo. Google si è difesa spiegando che il progetto non è finalizzato a scopi militari e non “pertiene ad armi o servizi di intelligence”, mentre Amazon, a quanto risulta, non ha parlato pubblicamente del contratto.
Ma un’analisi dei documenti e delle dichiarazioni pubbliche dei funzionari israeliani e dei dipendenti di Google e Amazon condotta da Wired US mostra che le Forze di difesa israeliane (Idf) sono un elemento centrale di Nimbus fin dall’inizio, che hanno dato forma al progetto e ne rappresentano gli utenti più importanti. Alti funzionari israeliani sembrano inoltre ritenere che il contratto con Google e Amazon fornisca un’infrastruttura cruciale per le forze armate del paese. I media israeliani hanno riportato che a febbraio, in occasione di una conferenza dedicata al progetto, il capo della Direzione nazionale cyber di Israele Gaby Portnoy ha attribuito all’accordo il merito di aver favorito la rappresaglia militare del paese contro Hamas. Secondo un articolo pubblicato da People & Computers, che ha co-organizzato la conferenza, Portnoy ha detto che “in battaglia stanno accadendo cose strabilianti grazie al cloud pubblico di Nimbus, cose che possono decidere le sorti della guerra”, aggiungendo di non volere condividere ulteriori dettagli.

LE CONTRADDIZIONI DI GOOGLE E AMAZON
Le parole di Portnoy contraddicono le dichiarazioni rese da Google ai media, che hanno cercato di minimizzare i risvolti militari di Nimbus. “Questo progetto non è diretto a procedure altamente sensibili, riservate o militari che hanno a che fare con armi e servizi di intelligence – ha detto la portavoce di Google Anna Kowalczyk in una dichiarazione inviata via email a Wired US –. L’appalto Nimbus riguarda procedure eseguite sul nostro cloud commerciale dai ministeri governativi israeliani”.
I termini di Google vietano ai clienti dell’azienda le “attività ad alto rischio”, definite come situazioni in cui “l’uso o il malfunzionamento dei servizi potrebbe ragionevolmente portare a morte, lesioni personali o danni all’ambiente o alle proprietà (come la creazione o la gestione di impianti nucleari, il controllo del traffico aereo, i sistemi di supporto vitale o gli armamenti)”. Non è chiaro come il supporto alle operazioni militari dell’Idf possa rientrare in queste regole.
Le parole di Portnoy e altri documenti e dichiarazioni esaminati da Wired Us si aggiungono alle recenti notizie che sembrano confermare le applicazioni militari del progetto Nimbus. Time ha citato un documento interno di Google in cui si afferma che il ministero della Difesa israeliano ha una propria “zona di atterraggio” nell’infrastruttura del progetto Nimbus. The Intercept ha riferito che due società di armamenti di proprietà dello stato israeliano sono tenute a utilizzare i servizi cloud di Google e Amazon tramite Nimbus.
In risosta a un elenco dettagliato di domande inoltrate da Wired Us, la portavoce di Google Anna Kowalczyk si è limitata a ribadire la dichiarazione standard utilizzata dall’azienda in questi casi. Allo stesso modo, il portavoce di Amazon, Duncan Neasham, ha ripetuto le parole che il colosso ha già usato in passato per parlare del progetto, spiegando che l’azienda fornisce la sua tecnologia ai clienti “ovunque essi si trovino” e che i suoi dipendenti hanno il “diritto di esprimersi”. “Ci impegniamo a garantire la sicurezza dei nostri dipendenti, a sostenere i nostri colleghi colpiti da questi terribili eventi e a collaborare con i nostri partner per gli aiuti umanitari in favore delle persone colpite dalla guerra”, ha aggiunto Neasham (Sasha Trufanov, un dipendente russo-israeliano di Amazon, è attualmente tenuto in ostaggio da Hamas a Gaza ed è stato visto vivo per l’ultima volta in un video pubblicato il 28 maggio).

LA STORIA DEL PROGETTO NIMBUS
Il progetto Nimbus è iniziato nel 2019 come aggiornamento della tecnologia governativa di Israele. L’iniziativa pluriennale, guidata dal ministero delle Finanze, non aveva una data di conclusione specifica e prevedeva che il governo selezionasse i fornitori cloud chiamati a costruire nuovi data center per archiviare i dati in modo sicuro all’interno del paese. Come altri clienti, il governo israeliano avrebbe potuto utilizzare Google per archiviare dati e sfruttare i suoi strumenti integrati per l’apprendimento automatico, l’analisi dei dati e lo sviluppo di applicazioni.
Un primo indizio sul coinvolgimento dell’esercito israeliano nel progetto Nimbus si può trovare in un post su Linkedin pubblicato nel giugno 2020 da Shahar Bracha, ex amministratore delegato dell’Agenzia nazionale israeliana per il digitale, allora chiamata Ict Authority. “Sono felice di annunciare che il ministero della Difesa (a nome dell’Idf) ha deciso di unirsi al cloud center e nel farlo renderà il centro più grande e più attraente”, ha scritto Bracha, lasciando intendere che le forze armate sarebbero state uno dei principali utenti dei servizi di Nimbus.
Nel corso dei tre anni della gara d’appalto, molti altri documenti e dichiarazioni pubbliche hanno parlato piuttosto esplicitamente del profondo coinvolgimento dell’Idf in Nimbus, e sul suo ruolo di utente del progetto. “Nimbus è un progetto per la fornitura di servizi cloud pubblici al governo, al dipartimento della difesa e all’Idf”, si leggeva in una dichiarazione resa dal ministero delle Finanze israeliano nel 2022 al giornale online Mako. La stessa aggiungeva che “gli organi di sicurezza competenti sono stati partner di questo progetto fin dal primo giorno e lo sono tuttora”.

Tra le altre cose, l’Idf aveva facoltà di decidere quali aziende si sarebbero aggiudicate l’appalto. In una relazione dell’Israel State Comptroller del 2021 si legge che l’Idf si è unita ai lavori “per consentire il trasferimento di sistemi desecretati al cloud pubblico” e nota che “il ministero della Difesa e l’Idf sono parti cruciali del team che lavora alla gara pubblica, sia nella creazione dei requisiti che nella valutazione dei risultati”.
Come noto, alla fine sono state Google e Amazon ad aggiudicarsi i contratti del progetto Nimbus, battendo Microsoft e Oracle. Un comunicato stampa del 2021 che si congratulava con le aziende sottolineava che Nimbus avrebbe servito “il governo, i servizi di sicurezza e altre entità”.
Lo stesso giorno il Times of Israel ha riportato che i due colossi non avrebbero potuto scegliere con quali agenzie lavorare, citando un avvocato del ministero delle Finanze israeliano che affermava che il contratto impedisse alle aziende “di negare servizi a particolari enti governativi”.
La clausola riguardarebbe tuttora anche l’Idf. Wired US ha identificato diverse dichiarazioni e documenti governativi israeliani pubblicati a partire dal 2022, che confermano l’attuale coinvolgimento dell’esercito israeliano nel progetto (anche se non forniscono dettagli su strumenti e competenze).
Un documento governativo pubblicato il 15 giugno 2022 per delineare la portata del progetto afferma per esempio che “il ministero della Difesa e l’Idf” avrebbero ottenuto un “Marketplace digitale” di servizi accessibili nell’ambito del progetto.
Nel luglio 2022, The Intercept ha anche citato documenti e video di formazione forniti agli utenti di Nimbus all’interno del governo israeliano, che rivelavano alcune delle tecnologie di Google a cui il contratto garantiva l’accesso. Queste includevano applicazioni di intelligenza artificiale, finalizzate tra le altri cose al rilevamento dei volti, al tracciamento degli oggetti in video, alla sentiment analysis e ad altri compiti complessi.
Diverse pagine ufficiali governative israeliane, vecchie e nuove, sia in ebraico che in inglese, offrono la stessa descrizione piatta e standard di Nimbus, che viene definito “un progetto di punta pluriennale e di ampio respiro, guidato dall’amministrazione degli appalti pubblici nella Divisione della ragionieria generale del ministero del Tesoro insieme all’Unità digitale nazionale, all’Ufficio legale del ministero delle Finanze, all’Unità informatica nazionale, alla Divisione del bilancio, al ministero della Difesa e all’Idf”. La dichiarazione compare in una delle principali pagine governative sul progetto Nimbus, in un comunicato stampa senza data, in un documento sulla strategia cloud del 2022 e in un comunicato stampa del gennaio 2023.
Una versione del comunicato appare anche nella documentazione di assistenza di Amazon riguardante Nimbus, del gennaio 2023, e sulla pagina del Nimbus Summit, un evento privato del 2024 rivolto ai lavoratori tech di Amazon, Google e altre decine di aziende che hanno contribuito alla modernizzazione dell’infrastruttura tecnologica israeliana negli ultimi anni.

LEGAMI STRETTI
I post pubblicati sui social media da funzionari israeliani e dipendenti di Amazon e di Google suggeriscono che le forze armate del paese siano ancora strettamente legate al progetto Nimbus e ai due giganti statunitensi che hanno il compito di svilupparlo.
Nel giugno del 2023, Omri Nezer, capo dell’unità per le infrastrutture tecnologiche presso l’amministrazione degli appalti pubblici israeliani, ha pubblicato su LinkedIn il riassunto di una conferenza dedicata al cloud e organizzata dal governo israeliano.
Il post di Omri Nezer cita un panel dell’evento, che ha visto la partecipazione di “un rappresentante dell’Idf” e del responsabile dell’ingegneria informatica di Rafael advanced defense systems, un’azienda nel settore della difesa originariamente creata come società di ricerca e sviluppo per l’esercito israeliano. Il mese scorso The Intercept ha riportato che Rafael e Israel aerospace industries, due produttori di armi finanziati dal governo israeliano, sono “clienti obbligati” di Google e Amazon attraverso Nimbus. Il portavoce di Amazon, Duncan Neasham, ha detto a Wired US che Rafael “non è obbligata a utilizzare Amazon web services o Google per i servizi cloud”.
Tuttavia le agenzie di sicurezza nazionale rimangono una parte importante del progetto. In un post su LinkedIn del 2023, corredato dal tag #nimbus, il responsabile del team per il settore difesa di Amazon web services (Aws) Omri Holzman ha riassunto un recente evento organizzato proprio da Aws per i suoi clienti: “Abbiamo avuto partecipanti da ogni organizzazione di sicurezza in Israele – ha scritto Holzman, senza specificare di quali agenzie parlasse –. Aws si concentra molto sulla comunità della sicurezza nazionale (NatSec), che ha esigenze e requisiti unici”.
Di recente Google ha presentato ai funzionari di polizia e di sicurezza nazionale israeliani il suo modello di intelligenza artificiale Gemini, al centro dei tentativi dell’azienda di competere con ChatGPT di OpenAI. Shay Mor, direttore e responsabile del settore pubblico e della difesa di Google cloud Israele, ha dichiarato in un post su Linkedin di aver recentemente presentato informazioni sugli “innovativi progetti Nimbus” a diverse agenzie israeliane.
“È stato un onore e un piacere presentare oggi all’evento Nimbus la nostra tecnologia Gemini e alcuni dei nostri innovativi progetti alla polizia israeliana, all’Agenzia nazionale israeliana per il digitale, al ministero dell’Istruzione e all’Israel national cyber directorate”, ha postato Mor. Si tratta dello stesso evento in cui Portnoy, il leader del Cyber directorate, ha dichiarato che Nimbus ha aiutato Israele nella battaglia contro Hamas. Mor non ha specificato in che modo l’Idf o le agenzie di sicurezza potrebbero utilizzare l’AI di Google, ma l’azienda ha dichiarato che Gemini potrebbe aiutare i suoi clienti cloud a programmare, analizzare dati o identificare problemi di sicurezza.
Nei suoi commenti all’evento, Portnoy ha suggerito che Nimbus è destinato a rinsaldare il profondo legame di Amazon e Google con l’apparato di sicurezza nazionale israeliano. Ha affermato che le aziende sono state “partner per lo sviluppo” su un nuovo progetto che crea “un framework per la difesa nazionale”, con strumenti di sicurezza basati sul cloud. Portnoy ha paragonato il progetto al sistema di difesa missilistico israeliano, definendolo “l’Iron dome cyber”.

LE PROTESTE DEI DIPENDENTI
Le recenti manifestazioni contro il progetto Nimbus non rappresentano la prima volta in cui un accordo sul cloud con applicazioni militari suscita proteste, specie all’interno di Google. Un ex dipendente del colosso, licenziato insieme a decine di altre persone dopo aver protestato contro il progetto lo scorso aprile, racconta di essere fiaccato da anni di tentativi per indirizzare l’azienda verso una direzione più etica: “Mi sono convinto che non ci si può fidare di nulla di ciò che dicono”, afferma. L’ex dipendente aveva già protestato contro Project Maven, un contratto tra Google e il Pentagono finalizzato all’analisi delle immagini di sorveglianza dei droni, contro la collaborazione tra l’azienda e l’autorità americana per la sicurezza delle frontiere nel 2019 e contro l’avvio del progetto Nimbus nel 2021, insieme al gruppo No tech for apartheid.
La prima importante azione di opposizione contro Nimbus risale all’ottobre del 2021, quando una coalizione di dipendenti di Google e Amazon ha pubblicato una lettera aperta sul Guardian per denunciare il progetto. No tech for apartheid è nata proprio in risposta al progetto Nimbus nello stesso periodo. Molte delle stesse persone che si sono unite a questi primi sforzi organizzativi hanno preso parte anche a No tech for Ice, un movimento guidato dai lavoratori del settore tecnologico creato nel 2019 per opporsi alle aziende che lavorano per l’Immigration and customs enforcement, la polizia di frontiera statunitense.
Ariel Koren, l’ex project manager di Google che ha contribuito alla stesura della lettera aperta, racconta che all’inizio del novembre 2021 il suo responsabile le ha detto che avrebbe dovuto accettare di trasferirsi a San Paolo, in Brasile, entro 17 giorni lavorativi “o avrebbe perso la sua posizione”, secondo quanto riportato dal Los Angeles Times. Koren ha annunciato le sue dimissioni nel marzo 2022 e poche settimane dopo un gruppo di lavoratori teche di attivisti ha organizzato una protesta davanti agli uffici di Google e Amazon a New York, Seattle e a Durham, in North Carolina, per esprimere solidarietà a Koren e alla sua proposta di chiudere il progetto.
Da allora le proteste si sono intensificate. Emaan Haseem, ex ingegnere di Google Cloud, è stata licenziata ad aprile insieme ad altre 48 persone dopo aver viaggiato da Seattle a San Francisco per partecipare a un sit-in di gruppo all’interno dell’ufficio dell’amministratore delegato di Google cloud Thomas Kurian. La donna afferma che No tech for apartheid fa parte di un movimento più ampio noto come Boycott divest sanction, che utilizza la pressione economica per spingere Israele a porre fine all’occupazione dei territori palestinesi.
Haseem spiega che l’opposizione agli interventi militari di Israele a Gaza e in Cisgiordania è un pilastro centrale di No tech for apartheid e definisce Nimbus “un contratto di collaborazione che salta subito agli occhi di chiunque segua il genocidio in corso a Gaza”.
*(Questo articolo è comparso originariamente su Wired US. Di Caroline Haskins – giornalista Freelance )

 

04 – Claudia Fanti*: PIAZZE CONTRO PIAZZE E GIOCHI DI DIPLOMAZIE, VENEZUELA SOTTO TIRO
CARACAS. COME NEL 2019 CON GUAIDÓ, UN PRESIDENTE ELETTO E UNO PROCLAMATO ALL’ESTERO. AGLI USA SI ACCODANO I GOVERNI DI DESTRA LATINOAMERICANI.
A cinque anni e mezzo dall’autoproclamazione di Juan Guaidó come presidente ad interim del Venezuela, il paese si ritrova più o meno allo stesso punto: con un presidente proclamato dalle autorità elettorali, ritenute però non credibili dall’opposizione, e con un candidato considerato come il legittimo vincitore delle elezioni già da un certo numero di paesi.
A schierarsi con Edmundo González Urrutia, al momento, sono Argentina, Costa Rica, Ecuador, Panama, Perù e Uruguay, oltre naturalmente agli Stati Uniti, i quali hanno così pregiudicato gli sforzi di Brasile, Colombia e Messico per trovare una soluzione concordata all’ennesima crisi venezuelana. Con l’aggravante, ha denunciato in conferenza stampa il presidente dell’Assemblea nazionale Jorge Rodríguez, di essersi basati «appena sul 31% dei verbali» pubblicati nel portale web dell’opposizione, e oltretutto, ha dichiarato, pieni di irregolarità (a cominciare dalla presenza, tra gli elettori, di persone già decedute).
UNA POSIZIONE peraltro bipartisan, quella degli Usa, come indica la risoluzione presentata al Congresso da un gruppo di parlamentari, tra cui il repubblicano Mario Díaz-Balart e la democratica Debbie Wasserman Schultz, che riconosce appunto la vittoria del candidato dell’opposizione.

C’È UNA TERZA VIA TRA ULTRA-CHAVISTI E POST-GOLPISTI
A DIFFERENZA però del gennaio 2019, quando Guaidó, allora presidente dell’Assemblea nazionale, si era dichiarato presidente pro-tempore nel corso di una manifestazione in piazza contro il governo, questa volta Maduro non ha ancora presentato – per la prima volta dall’avvento del chavismo nel 1999 – le prove della sua vittoria: se il Consiglio nazionale elettorale ha pubblicato venerdì un secondo bollettino elettorale, in base a cui, con quasi il 97% delle schede scrutinate, il presidente avrebbe ottenuto il 51,95% delle preferenze contro il 43,18% dell’avversario, non sono però ancora disponibili i verbali di seggio a cui chiedono di accedere con sempre maggiore insistenza quei governi progressisti che pure sarebbero ben lieti di schierarsi con Maduro.

COSÌ IL GOVERNO Lula, che aveva fatto dipendere il riconoscimento della sua vittoria proprio dalla pubblicazione della documentazione elettorale, comincia a trovarsi in una posizione un po’ scomoda. «La verità è che finora non abbiamo una visione chiara di quanto avvenuto, dal momento che gli atti elettorali non sono stati distribuiti come si sperava», ha dichiarato il consigliere speciale di Lula per gli affari esteri Celso Amorim, ritenendo tuttavia «difficile» che il Brasile possa riconoscere la vittoria di Edmundo González e condannando le «interferenze extraregionali».
«Ritengo che sia una questione latinoamericana e che debbano essere i latinoamericani a risolverla», ha evidenziando Amorim, definendo inoltre come un grosso «errore nordamericano» le sanzioni imposte al Venezuela: «il loro ritiro avrebbe facilitato lo svolgimento delle elezioni, così come avrebbe fatto la presenza dell’Unione europea, respinta da Maduro proprio a causa del mantenimento delle sanzioni».
Intanto, il Tribunale supremo di giustizia (Tsj) del Venezuela, attraverso la presidente Caryslia Rodríguez, ha chiesto al Cne di consegnare, entro i prossimi tre giorni, l’intera documentazione elettorale, compresi «tutti gli elementi di prova associati all’attacco hacker segnalato contro il sistema informatico del Cne». Ma è un’azione che difficilmente si rivelerà risolutiva, dal momento che il Tsj non è considerato imparziale dall’opposizione: non a caso, dei dieci candidati presidenziali, Edmundo González è stato l’unico a non rispondere alla convocazione del tribunale.
LA PAROLA, IERI, è passata però alle piazze, dove si sono fronteggiati i manifestanti pro e contro Maduro (nel momento in cui scriviamo le mobilitazioni sono ancora in corso). Alle proteste convocate dall’opposizione «in tutte le città», il Psuv, il Partito socialista unito del Venezuela, ha infatti risposto con una «grande marcia nazionale per la pace» a Caracas, iniziata da Avenida Libertador quattro ore più tardi. «Facciamo una grande mobilitazione e un grande concerto per la pace», era stato l’invito rivolto da Maduro a un gruppo di sostenitori dal cosiddetto «Balcone del Popolo» nel Palazzo di Miraflores a Caracas.
*( Fonte: Il Manifesto. Claudia Fanti – Giornalista, scrive da più di 20 anni sul settimanale Adista, collabora con “il manifesto” e con altre testate)

 

05 – Davide Conti*: IL PRECEDENTE DELL’ITALICUS NEL GORGO DEI DEPISTAGGI – BOLOGNA, 2 AGOSTO 1980. L’ATTENTATO NEOFASCISTA DEL 1974 PROVOCÒ 12 MORTI E 50 FERITI. NESSUNA CONDANNA

IL 31 LUGLIO 1980 IL GIUDICE ANGELO VELLA CHIUDEVA LA SENTENZA-ORDINANZA SULLA STRAGE NEOFASCISTA DEL TRENO ITALICUS DEL 4 AGOSTO 1974 (12 MORTI E 50 FERITI).
Nella conferenza stampa del giorno dopo lo stesso Vella dava notizia del rinvio a giudizio di tre imputati. Si trattava di Mario Tuti, Piero Melentacchi e Luciano Franci membri del gruppo toscano del Fronte Nazionale Rivoluzionario, una delle sigle dell’eversione nera nate all’indomani dello scioglimento del Movimento Politico Ordine Nuovo del novembre 1973.
Nel 1992 tutti saranno definitivamente assolti dalla Cassazione. Ancora oggi, per lo Stato italiano, non esiste colpevole.
Fino al 1 agosto 1980 quella era, nell’immaginario collettivo, la strage di Bologna poiché aveva colpito un treno nella provincia della città. Così la chiamò Pasolini nella sua celebre invettiva civile «Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974».
Meno di 48 ore dopo l’incriminazione dei neofascisti per l’Italicus, la strage di Bologna avrebbe cambiato luogo di riferimento spostandosi nel cuore della città; facendo 85 morti e 200 feriti; scrivendo un nuovo tragico capitolo del romanzo nero della Repubblica. Per il massacro del 2 agosto 1980 la Corte d’Assise d’Appello ha confermato, nel luglio scorso, la condanna di Paolo Bellini (neofascista, ’ndranghetista e collaboratore del Ros dei carabinieri), Piergiorgio Segatel (all’epoca capitano dei carabinieri) e Domenico Catracchia ovvero l’amministratore del condominio di via Gradoli a Roma (di proprietà di tre società riconducibili al Sisde) dove nel 1981 i Nar installarono una loro base.
I tre si aggiungono ai neofascisti Francesca Mambro, Giusva Fioravanti e Luigi Ciavardini (condannati definitivamente), a Gilberto Cavallini (condannato in appello) e ai mandanti/depistatori individuati in Licio Gelli e Umberto Ortolani (capi della P2); Federico Umberto D’Amato (capo dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno), Mario Tedeschi (senatore del Msi e direttore de Il Borghese).
A cinquant’anni di distanza la strage dell’Italicus racconta molto di ciò che avvenne prima e dopo quel 4 agosto 1974. Anticipa lo stretto legame tra manovalanza neofascista e P2 (con quest’ultima che «svolse opera – scrive la Commissione presieduta da Tina Anselmi – di istigazione agli attentati e di finanziamento dei gruppi della destra extraparlamentare toscana»); narra dei depistaggi eseguiti da alti esponenti degli apparati di forza e dei servizi segreti; rievoca l’apposizione del segreto di Stato da parte di due Presidenti del Consiglio (Spadolini nel 1982 e Craxi nel 1986) di fronte alle richieste di documenti da parte della magistratura; ricorda che la strage fu preceduta (come quella di piazza Fontana) da una serie di attentati sulle linee ferroviarie (29 gennaio Silvi Marina, nei pressi di Pescara; 9 febbraio treno Taranto-Siracusa; 21 aprile Vaiano, provincia di Pisa); che seguì la strage di piazza della Loggia a Brescia (28 maggio) e che venne seguita dall’attentato a Terontola (9 gennaio 1975).
Rammenta, infine, di un falso propalato dal padre della destra di ieri e di oggi: Giorgio Almirante. Il segretario del Msi (all’epoca alle prese con la richiesta di autorizzazione a procedere approvata dal Parlamento contro di lui per ricostituzione del partito fascista) annunciò al capo dell’Ispettorato Antiterrorismo Emilio Santillo l’attentato dell’Italicus 19 giorni prima della strage, accusandone i gruppi della sinistra extraparlamentare: «Siamo stati in grado – disse Almirante alla Camera il 5 agosto 1974 – di comunicare il mattino del 17 luglio al dottor Santillo che un attentato era in via di preparazione alla stazione Tiburtina.
L’informazione era inesatta solo per un particolare di notevole importanza, perché si parlava del Palatino, il treno Roma-Parigi, e non dell’Italicus. Io fui in condizioni di mandare un biglietto al dottor Santillo e di farlo seguire da una telefonata. Gli mandai un biglietto nel quale erano indicati i nomi dei presunti organizzatori dell’attentato. So per certo che quei tre indiziati o presunti indiziati o presunti colpevoli o presunti organizzatori appartengono a gruppi extraparlamentari di sinistra operanti in Roma e più esattamente all’Università di Roma».
A pulire gli occhi da queste falsità ci penserà la «Piazza bella piazza» cantata da Claudio Lolli a Bologna il giorno dei funerali delle vittime, quando le alte cariche democristiane dello Stato saranno sonoramente contestate da una massa di popolo consapevole della vera matrice dell’eccidio.
Dopo mezzo secolo di impunità resta anche un’ultima evocativa immagine: quella del ferroviere Silver Sirotti che, in servizio sull’Italicus, tentò di spegnere le fiamme dell’incendio per salvare le vite dei passeggeri e morì travolto dal fuoco. Vittima aggiunta della strage come era stato nel dicembre 1969 un altro ferroviere, Giuseppe Pinelli, morto innocente nella Questura di Milano all’alba del primo capitolo del romanzo nero della Repubblica.
*( Davide Conti, storico)

 

 

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