
01 – Maurizio Giufrè*: Quel lato oscuro delle metropoli
02 – Giuliano Santoro*: Fratoianni: «Apriamo Si alle forze sociali
03 – INCREDIBILE. L’Italia fa il pieno di tank tedeschi. La spesa? 20 miliardi – Dopo settimane di indiscrezioni e smentite, ieri è stato alla fine confermato l’accordo tra Italia e Germania per l’acquisto, da parte del governo italiano, di 550 carri armati e mezzi blindati prodotti dalla Rheinmetall. Il costo? L’astronomica cifra di 20 miliardi di euro da saldare nel giro dei prossimi dieci anni.
04 – Andrew Stroehlein *: Le ondate di calore stanno uccidendo sempre più persone nel mondo
Mentre gli effetti del riscaldamento globale diventano sempre più evidenti, in questi giorni il caldo ha conquistato le prime pagine dei giornali di tutto il mondo come mai prima d’ora.
05 – Lorenzo Lamperti* TAIPEI: Xi Jinping spiega la Cina dei Cinque principi, contro gli Usa dei Due litiganti.
06 – Justin Pot*Come riconoscere le truffe nelle email aziendali. Sempre più spesso i cyber criminali prendono di mira le caselle di posta elettronica delle aziende, spacciandosi per dipendenti o dirigenti: ecco qualche consiglio per difendersi
07 – Alfonso Maurizio Iacono*: In prima persona, ma sempre plurale – ITINERARI CRITICI. «Cosa significa essere umani?» di Vittorio Gallese e Ugo Morelli, per Cortina.
01 – Maurizio Giufrè*: Quel lato oscuro delle metropoli
La lettura dell’ultima edizione degli «Annali» della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli dal titolo: La città invisibile / Quello che non vediamo sta cambiando le metropoli ci occupa in un momento critico per Milano, colpita per i suoi recenti progetti urbanistici messi sotto inchiesta della magistratura per le norme e le procedure adottate. La riflessione teorica si lega ai fatti della cronaca e ci si domanda se non ricadano nell’«invisibile» anche quei processi controllati dagli amministratori comunali, a beneficio di professionisti e imprese, che hanno prodotto la forma più insensata di urbanistica che si sia mai vista.
L’«invisibilità» riguarda tutti da vicino ma, come ricorda Alessandro Balducci, curatore dei saggi dell’«Annale», rinvia a una variegata quantità di temi, molto complessi, che rientrano, secondo la definizione che ne diede Henri Lefebvre, nella planetary urbanisation: il «processo di urbanizzazione planetaria, estesa o concentrata, fatta di esplosione e implosioni» che nelle forme della mega-city fissa le proprietà della realtà post-metropolitana, dagli esiti spaziali ancora incerti per le dinamiche economiche, politiche e sociali che vi si presentano.
AD ANALIZZARE con cura ciò che accade con ripetitive similitudini nelle diverse parti del mondo, ci si accorge che per comprendere la città non sono più sufficienti gli strumenti di analisi di un tempo, quando questa era considerata un unico organismo con caratteri specifici inseriti in un contesto definito. Le relazioni, in particolare di natura immateriale, che connettono la pluralità degli eventi che si presentano nella città, non hanno più dinamiche lineari e immaginabili.
Ogni tentativo di governare con metodi razionali e ottimizzatori i problemi urbani si è dimostrato inefficace nei confronti dell’«eterogeneità, l’innovazione, e la competizione – che come hanno scritto Cristoforo Sergio Bertuglia e Franco Vaio, nel loro saggio Il fenomeno urbano e la complessità (2019) – sono riconosciute essere le chiavi per la vitalità e la vivibilità della città».
Nelle difficoltà di pianificare l’entità complessa della città, inserita ormai in un sistema transnazionale di città-rete, un ruolo dominante lo assume l’economia finanziaria alla quale ubbidiscono le politiche urbanistiche.
Il contributo di Mike Raco e Tuna Tasan-Kok riguardo le «(in)visibili ambiguità» delle riforme urbanistiche pilotate dalle multinazionali del mercato immobiliare, evidenzia come queste abbiano approfittato della crisi del welfare state, per determinare la configurazione degli attuali ambienti urbani. Dai reciproci osservatori universitari di Londra e Amsterdam, i due studiosi spiegano come l’interdipendenza tra le istituzioni pubbliche e il mercato non consente di superare le ingiustizie generate da pratiche di policy-making egemonizzate dagli attori del reale estate alleati degli investitori finanziari.
CREDERE A UN MODELLO di pianificazione che sia esente da «ambiguità» è, quindi, un’«illusione ideologica». Vale la compiacenza con la quale le amministrazioni pubbliche deregolamentano l’uso dei suoli e la zonizzazione delle aree, legittimano normative a beneficio solo di alcuni gruppi sociali, allocano i rischi privilegiando l’investitore immobiliare, del quale ne incorporano le modalità lavorative e ne soddisfano i tempi di attuazione dei progetti fondati sugli alti profitti in grado di generare. In particolare, consentono il patchwork spaziale con il quale si distribuiscono disordinati nella città i diversi interventi immobiliari.
L’instabilità causata dalla «tensione strutturale» che la crescente dipendenza dal mercato esercita pone una domanda: come si proteggono gli interessi pubblici, ovvero quelli dei cittadini? Nonostante sia scontato che nella flessibilità del mercato anche i cittadini e le comunità urbane trovano spazio con i loro progetti collettivi, tra autocostruzione e cooperazione, si è così certi, come sostengono nelle conclusioni Raco e Tasan-Kok, che «questi esercizi cambieranno lo sviluppo delle città e creeranno connessioni sociali più visibili»?
Come illustra Agostino Petrillo, nelle periferie, dove in maggior misura troviamo abitanti che esprimono le loro «forze positive ed energie», perdura l’invisibilità di chi è «svantaggiato»: prodotto di «trascuratezza colpevole» e di «disattenzione quasi involontaria».
SULLA SCORTA della sociologia di Pierre Bourdieu e la tradizione fenomenologica di Merleau-Ponty, Petrillo spiega che nelle varie classi sociali si sedimenta una diversa «coscienza della condizione», la quale, in chi è in difficoltà, si manifesta nella remissiva consapevolezza della distanza che lo separa da chi è fuori lo «spazio periferico», per cui l’«invisibilizzazione», oltre che essere sinonimo di emarginazione, diventa spesso «autoesclusione».
In tempi dove l’idea della fine della periferia nutre il pensiero mainstream di architetti e urbanisti, rendere visibili proprio le periferie, con i loro intrecci sociali, antropologici e spaziali, è un compito non più differibile.
CHE LA QUESTIONE sia il superamento della dicotomia tra «Città degli inclusi» e della «Città degli esclusi» è ciò che auspica Paolo Perulli. Ricomporre per lui i conflitti tra «neoplebi», «classi creative» e «élite», affinché si attui la «convivenza pacifica», potrebbe rappresentare l’ultima utopia da realizzare.
Sotto le fattezze di eco-city o green-city si concentra una grande folla di sostenitori: tutti stakeholder votati al «bene pubblico»? Qualche dubbio sorge se non si affronta il nodo di come si possono modificare radicalmente gli odierni assetti politici dominanti, insofferenti a qualsiasi processo d’inclusione e di sostenibilità, come hanno dimostrato le recenti conferenze mondiali sul clima.
Il cambiamento del clima è un’altra invisibilità che per decenni è stata «alleata di chi – scrive Roberto Mezzalana – per difendere i propri interessi negava l’esistenza stessa del fenomeno e seminava dubbi sulle sue basi scientifiche».
LA STRUTTURA URBANISTICA delle città incide sensibilmente nelle emissioni di gas serra e dove non sono previste strategie di resilienza e più marcate sono le disuguaglianze sociali, gli eventi climatici estremi sono una tragedia che colpisce in prevalenza i ceti più poveri: si è visto con l’uragano Katrina nel 2005 e in altri numerosi casi.
In merito ai modelli di governance delle comunità urbane e ai processi decisionali che li caratterizzano, il racconto di Pierre Filion sulla linea metropolitana leggera a Waterloo (Canada) è indicativo di quanto approssimativi siano i criteri adottati dai governanti per decidere. La scelta di questo tipo di infrastruttura si fondava sulla volontà di contrastare l’uso dell’automobile e rivitalizzare le aree da essa attraversate, ma una volta in esercizio risultò un fallimento che causò solo l’aumento dei costi delle abitazioni per le fasce più deboli. È questo un caso-studio che mostra quanti errori a volte contiene la pianificazione che segmenta la realtà in aspetti visibili e invisibili invece di considerarla nella sua totalità.
Gli «Annali» dedicano una speciale attenzione ovviamente anche alla portata della digitalizzazione nelle modificazioni urbane. Il tema è trattato da Giovanni Azzone, che spiega come le infrastrutture digitali definiscono i luoghi dell’insediamento di aziende e imprese configurando «ecosistemi competitivi».
Piercesare Secchi riflette sulle potenzialità che hanno i big data e algoritmi generati dalle comunità urbane che combinati con l’Intelligenza artificiale, potranno essere «strumenti attuatori di politiche di precisione», transitando da ciò che oggi sanno solo descriverci alle possibilità di «costruire previsioni».
Infine, Mara Ferreri, illustra come le piattaforme digitali hanno «normalizzato» la vita nelle città nelle pervasive pratiche del loro impiego al punto da doverle considerare uno «strumento di opacizzazione dell’urbano» se solo, ad esempio, si analizza come Airbnb ha imposto le sue regole nel mercato degli affitti.
C’è ancora molto da comprendere sui fenomeni urbani nelle loro complesse configurazioni materiali e immateriali. Dalla lettura degli «Annali» scaturisce che non sono concesse scorciatoie per raccontare la città, considerando quanto vi è ancora di nascosto al nostro sguardo.
*(Maurizio Giufrè, «il manifesto» · Le narrazioni dell’architettura contemporanea tra “figure” e fatti”)
02 – Giuliano Santoro*: Fratoianni: «APRIAMO SI ALLE FORZE SOCIALI» SINISTRA ITALIANA CONVOCA LA PRIMA ASSEMBLEA NAZIONALE DEL PARTITO DOPO IL VOTO EUROPEO. È L’OCCASIONE PER FARE IL BILANCIO SUL BALZO ELETTORALE, SUGLI ATTACCHI CHE ARRIVANO DA DESTRA E SULLA COSTRUZIONE DELLA COALIZIONE CONTRO LA DESTRA.”
NELLA RELAZIONE introduttiva, Nicola Fratoianni chiede che la si smetta di parlare di formule e definizioni, di veti e alchimie, per passare al merito delle questioni. «Basta discutere del perimetro – dice il segretario – Mettiamo al centro la costruzione dell’alternativa nel vivo delle battaglie politica. Il fronte a difesa della Costituzione è la precondizione. E poi ci sono le prossime campagne elettorali Emilia Romagna, Umbria e, speriamo, Liguria per completare il ciclo e confermare il risultato».
Quanto agli attacchi mirati a Ilaria Salis e al partito, Fratoianni respinge ogni illazione: «In questi giorni la destra si è messa con impegno e qualche dose di creatività ad attaccarci. Non prendiamo lezioni di etica da questa destra, che non sa pronunciare la parola antifascista. O di legalità da un partito che deve restituire 49 milioni di euro, né dal governo di Santanché e di Sgarbi».
Su Salis, presente ai lavori, Fratoianni precisa: «Non accettiamo lezioni sulla casa da un governo che come primo atto ha svuotato il fondo affitti, che ha inventato nuovi reati o aumentato le pene per i ragazzi che organizzano rave, per gli operai che difendono il posto di lavoro, per gli attivisti di Ultima generazione».
DA QUI, la prospettiva di costruire una forza di governo. «Ci candidiamo a governare questo paese – scandisce Fratoianni -Vogliamo farlo per restituire centralità alla sanità pubblica universale, alla scuola e all’università, agli stipendi da alzare, per fare del diritto alla casa un diritto esigibile, perché chi nasce in Italia sia italiano e tutti abbiano pari diritti. Non vogliamo un paese che spende 20 miliardi per una commessa di carri armati».
Mi rivolgo alle reti civiche e alle strutture collettive che ci sono state in questa campagna elettorale: costruiamo una Sinistra italiana più forte
Per farlo, tuttavia, bisogna crescere. E per crescere ancora bisogna consolidare il patrimonio di voti delle europee, dargli una corrispondenza nella struttura di Si. Fratoianni però invita i suoi a scongiurare ogni «torsione organizzativa»: «Non ci chiudiamo mesi e mesi in un dibattito ombelicale sulle regole», dice. «Dobbiamo parlare al paese, ai giovani che ci hanno votato per trovare un principio di speranza – sostiene ancora – Abbiamo detto basta alle eterne discussioni sull’unità, la ricostruzione, la costituente della sinistra. Di queste cose non frega niente a nessuno. Vogliamo essere una sinistra nuova».
Da qui deriva la postura da assumere: quella della massima apertura alle effervescenze sociali: «Siamo uno spazio aperto – argomenta Fratoianni – Chiediamo alle reti civiche, ai candidati, alle strutture collettive che hanno animato la campagna elettorale, agli attivisti e le attiviste: venite a costruire con noi questo percorso, venite a costruire una sinistra più forte. E chiedo ai gruppi dirigenti di organizzare questa apertura, di mettere l’orecchio a terra, di non stare sulla difensiva: non abbiamo da difenderci da nulla».
POI È IL TURNO di Salis, la cui vicenda viene considerata emblematica anche in questa chiave di apertura all’esterno. Lei sale sul pulpito con qualche circospezione, poi saluta la platea. «Compagne e compagni, è un piacere essere qui, libera – dice tra gli applausi – Abbiamo dimostrato che la solidarietà nel segno dell’antifascismo e dei diritti non è un ideale astratto ma una forza concreta, può fare la differenza e incidere sulla realtà. Il voto nei miei confronti era espressione di una volontà di cambiamento dello stato di cose ma anche del modo di intendere la politica. E io voglio essere sempre in sintonia con questa energia collettiva».
Poi si sofferma sulla campagna d’odio nei suoi confronti, cui si è unita anche Giorgia Meloni. «Attaccando me la presidente del consiglio attacca una certa visione del mondo, attraverso semplificazioni e bugie la destra istiga all’odio. Lo ribadisco: i movimenti di lotta per la casa non rubano niente a nessuno, al contrario sono un fattore di resistenza e alternativa al racket oltre che alla politica dell’abbandono e della speculazione edilizia. Voglio impegnarmi su questi temi, spero potremo farlo insieme». E infine: «Per anni siamo stati messi all’angolo dall’egemonia del realismo capitalista, ma sento che qualcosa sta per cambiare».
*(Giuliano Santoro Comunista tendenza Joe Strummer, è arrivato al manifesto occupandosi di politica al tempo della crisi della rappresentanza. Ha scritto qualche libro. Senza barbecue non è la sua rivoluzione)
03 – INCREDIBILE. L’Italia fa il pieno di tank tedeschi. La spesa? 20 miliardi – Dopo settimane di indiscrezioni e smentite, ieri è stato alla fine confermato l’accordo tra Italia e Germania per l’acquisto, da parte del governo italiano, di 550 carri armati e mezzi blindati prodotti dalla Rheinmetall. Il costo? L’astronomica cifra di 20 miliardi di euro da saldare nel giro dei prossimi dieci anni.
LA JOINT VENTURE LEONARDO-RHEINMETALL
Roberto Cingolani, amministratore delegato di Leonardo (che per il 30% è controllata dal Ministero dell’Economia italiano), ha già firmato il memorandum d’intesa con il Ceo del colosso tedesco degli armamenti con sede a Düsseldorf, Armin Papperger, dando così il via alla più consistente commessa mai stipulata tra i due paesi.
«Questo accordo è un contributo fondamentale verso la creazione di uno spazio della difesa europeo» ha sottolineato Cingolani commentando il raggiungimento dell’intesa tra i due paesi, apparentemente ai ferri corti dopo l’esclusione della maggioranza di destra italiana dalle principali cariche europee.
Una volta acquistati, i tank tedeschi verranno definitivamente assemblati e “rifiniti” negli stabilimenti dell’impresa italiana sulla base delle necessità delle Forze Armate di Roma che da tempo insiste sulla “necessità” di ammodernare le proprie dotazioni. Leonardo, che avrà il 50% della joint venture, si occuperà dello sviluppo delle componenti elettroniche, del software e dell’integrazione di vari sistemi con l’hardware tedesco.
I 280 “Panther” tedeschi, che costano 15 milioni l’uno e sono armati con un cannone da 130 mm, sostituiranno i vecchi “Ariete” italiani, accompagnati da un migliaio tra blindati leggeri “Lynx” e altri mezzi per la fanteria.
LA GUERRA CONVENZIONALE TORNA DI MODA
Negli ultimi decenni i reparti corazzati dell’esercito – dicono dallo Stato Maggiore – sono stati trascurati, nella convinzione che non ci fosse più spazio per una guerra convenzionale. Ma l’andamento del conflitto ucraino – in cui sia l’artiglieria sia le brigate corazzate stanno avendo una funzione centrale – avrebbe costretto i comandi a rivedere la propria strategia.
In realtà già dal 2018 l’Esercito aveva approvato un piano di ammodernamento dei carri armati “Ariete” in dotazione a due brigate, molti dei quali già allora ormai inservibili. La revisione dei 123 tank nati negli anni ’80 del secolo scorso dovrebbe concludersi nel 2035 per un costo complessivo di quasi 1 miliardo di euro, da aggiungere ovviamente alla commessa per l’acquisto dei tank tedeschi di ultima generazione.
Intanto Leonardo – ex Finmeccanica – gongola per il ritrovato ruolo all’interno dell’industria militare europea. Da tempo il gruppo guidato da Cingolani mira ad entrare nel programma “Main Ground Combat System” (Mgcs) – di cui fa già parte Rheinmetall – diretto a realizzare un nuovo modello di carro armato (“Main Battle Tank, Mbt) utilizzabile da tutti gli eserciti europei nel prossimo decennio.
L’INDUSTRIA MILITARE TEDESCA VA A GONFIE VELE
Ovviamente ancora più soddisfatto è il colosso dell’industria militare tedesca, che conferma e rilancia il proprio ruolo in Europa, in linea con un’economia fortemente improntata al warfare auspicata dalla presidente uscente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, pronta ad un secondo mandato.
Rheinmetall, nello specifico, prevede di chiudere l’anno in corso con un fatturato superiore ai 10 miliardi di euro, un record storico per l’azienda tedesca con un aumento del 40% rispetto al 2023.
Dopo aver cancellato il divieto di esportazione di armi verso paesi in guerra nel 2022 – ufficialmente per poter inviare aiuti militari all’Ucraina – Berlino ha conosciuto nella prima metà di quest’anno un ennesimo boom della sua industria bellica. Dal 1° gennaio al 18 giugno del 2024, infatti, la Repubblica Federale ha esportato beni militari per un totale di 7,5 miliardi di euro, equivalenti ad un aumento del 30% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.
Il grosso delle esportazioni – il 65% – sarebbe rappresentato dalle armi e dalle munizioni inviate a Kiev, ma il resto verrebbe da un aumento complessivo delle proprie esportazioni in Arabia Saudita, India, Qatar, Singapore.
Come se non bastasse l’industria bellica tedesca può godere di un aumento esponenziale delle commesse provenienti dalla Bundeswehr, l’esercito di Berlino che nel 2022 il governo federale ha deciso di ammodernare e rinvigorire con uno stanziamento record – aggiuntivo rispetto a quelli annuali – di 100 miliardi di euro.
*(la redazione della “La Valigia Blu”. Pagine Esteri)
04 – Andrew Stroehlein *: LE ONDATE DI CALORE STANNO UCCIDENDO SEMPRE PIÙ PERSONE NEL MONDO MENTRE GLI EFFETTI DEL RISCALDAMENTO GLOBALE DIVENTANO SEMPRE PIÙ EVIDENTI, IN QUESTI GIORNI IL CALDO HA CONQUISTATO LE PRIME PAGINE DEI GIORNALI DI TUTTO IL MONDO COME MAI PRIMA D’ORA.
In Arabia Saudita, questo mese, più di 1300 persone sono morte durante l’Hajj, l’annuale pellegrinaggio alla Mecca. Lo stress da calore è stato uno dei principali fattori che hanno contribuito al bilancio delle vittime, con temperature che hanno superato i 50 gradi.
Negli gli Stati Uniti, circa 65 milioni di persone stanno affrontando l’allerta calore, dato che un’altra “bolla di calore” ha spinto le temperature in alcune località sopra i 50 gradi. Nel paese le ondate di calore sono più letali di uragani, inondazioni e tornado messi insieme e i decessi legati al caldo sono in aumento, con oltre 2300 nel 2023.
In entrambi i luoghi – Arabia Saudita e Stati Uniti – i danni umani sono stati aggravati dalle autorità che non si sono preparate adeguatamente o che hanno rifiutato di affrontare questioni sociali di lunga data, ignorando che alcune persone sono più vulnerabili di altre ai problemi di salute legati al caldo.
In altre parole, i pericoli mortali erano prevedibili ed evitabili, se solo i governi avessero agito in tempo e avessero fatto della salvaguardia delle vite umane la loro priorità.
Per molti versi, è la stessa cosa per il riscaldamento globale nel suo complesso. Il problema è noto, così come ciò che è necessario per salvare vite umane, ma i governi non riescono comunque ad agire.
Ripercorriamo cosa dice la scienza. Le temperature globali sono aumentate perché l’uomo ha immesso nell’atmosfera troppi gas a effetto serra, in particolare l’anidride carbonica prodotta da combustibili fossili.
Petrolio, gas e carbone sono rimasti lì, a trattenere il carbonio nel terreno per milioni di anni. Poi siamo arrivati noi, li abbiamo estratti e bruciati, rilasciando nell’aria quel carbonio sotto forma di anidride carbonica.
Il risultato è che negli ultimi dieci anni il pianeta è stato più caldo di circa 1,2 gradi rispetto al 1800, periodo pre-industriale. È il decennio più caldo mai registrato. Il 2023 è stato l’anno peggiore in assoluto, con una temperatura media globale vicino alla superficie che ha superato di 1,45 gradi il livello preindustriale.
Nell’Accordo di Parigi del 2015, i governi si erano posti l’obiettivo di limitare il riscaldamento a 1,5 gradi. La stragrande maggioranza degli scienziati del clima sostiene che questo obiettivo non sarà raggiunto e che è più probabile un aumento di 2,5 gradi Celsius, o peggio.
ONDATE DI CALORE E CAMBIAMENTO CLIMATICO: CONTRO I NEGAZIONISTI
In breve, l’umanità sta riscaldando il pianeta e mancano gli obiettivi internazionali per cercare di tenere la situazione sotto controllo o almeno di rendere gli impatti più gestibili, o al limite un po’ meno distopici.
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I governi devono impegnarsi a eliminare rapidamente l’estrazione e l’uso dei combustibili fossili. In particolare, ciò significa bloccare le autorizzazioni per tutti i nuovi progetti di combustibili fossili e porre fine ai sussidi governativi e ai finanziamenti internazionali per lo sviluppo di petrolio, gas e carbone.
“La lotta contro la crisi climatica è una lotta per un mondo più giusto”. L’impegno degli scienziati climatici furiosi con la politica
Sia chiaro: non si tratta di “salvare il pianeta”, ma di salvare le persone. Abbiamo bisogno di un pianeta che sia abitabile per gli esseri umani. Ciò significa che le nostre autorità devono prendere decisioni, a livello locale e globale, che diano priorità alle vite umane: in Arabia Saudita, negli Stati Uniti e in tutto il mondo.
*(di Andrew Stroehlein – da Daily Vrief, newsletter di Human Rights Watch)
05 – Lorenzo Lamperti* TAIPEI: XI JINPING SPIEGA LA CINA DEI CINQUE PRINCIPI, CONTRO GLI USA DEI DUE LITIGANTI. CINA. POCHE ORE DOPO IL TRISTE SHOW SULLA CNN, IL LEADER CINESE AGGIORNA E RILANCIA LE CELEBRI TESI DI ZHOU ENLAI. «EQUI, INCLUSIVI, NO ALL’EGEMONIA»: PECHINO SI DESCRIVE COME UNA POTENZA RESPONSABILE.
Sono passate solo poche ore dal dibattito televisivo tra i due candidati alla Casa bianca, quando nella grande sala del popolo di piazza Tiananmen si palesa Xi Jinping.
Il mondo ha ancora negli occhi la poco edificante figura di Joe Biden e una “sfida tra anziani” che, secondo il popolare commentatore nazionalista Hu Xijin, «è una pubblicità negativa per la democrazia occidentale». Con un tempismo a dir poco conveniente, il presidente cinese lancia il suo programma «globale» in un ampio discorso in apertura della conferenza per il 70esimo anniversario dei Cinque principi di coesistenza pacifica. Quei cinque principi sono il pilastro della politica estera cinese sin dal 1954, da quando sono apparsi per la prima volta in un accordo di scambio e dialogo con l’India attraverso la regione autonoma del Tibet. È quello che i media cinesi presentano come una sorta di «antidoto al «caos» e alla «decadenza» della politica americana, che da Pechino pare destinata a un nuovo momento di confusione a causa delle elezioni.
Oggi, tra guerra in Ucraina e conflitto in Medio oriente, la Cina sente che è il momento di portare quei cinque principi sul palcoscenico globale. Si tratta d’altronde della base delle posizioni espresse da Pechino su tutte le crisi internazionali negli ultimi anni. Già il loro ideatore, l’allora premier Zhou Enlai, si riferiva al «rispetto reciproco della sovranità e dell’integrità territoriale, non aggressione reciproca, non interferenza negli affari interni reciproci, uguaglianza e vantaggio reciproco e coesistenza pacifica». Una terminologia onnipresente nell’azione diplomatica cinese.
Xi, però, eleva quei cinque principi per rendere la Cina una sorta di «faro» del cosiddetto Sud globale, a cui nel suo discorso si è rivolto più volte definendolo «una forza vitale nella promozione del progresso umano». Annunciata l’istituzione di un centro di ricerca sui paesi emergenti, cui saranno dedicate mille borse di studio e centomila opportunità di formazione nei prossimi cinque anni. C’è anche un aspetto di connessione politica, visto che verrà avviato un programma per i giovani leader.
Quando parla di riforma della governance internazionale, Xi pensa al ruolo dei Brics allargati, che stanno attraendo sempre più paesi del Sud globale, compresi i vicini asiatici della Cina. Nelle scorse settimane, Thailandia e Malesia hanno annunciato la richiesta di adesione alla piattaforma, che Pechino racconta sempre più apertamente come un modello più «equo e inclusivo» dei «piccoli circoli» a guida Usa come il G7.
Xi ha garantito che la Cina «non percorrerà la strada sbagliata che porta alla ricerca dell’egemonia», colpa che viene invece solitamente attribuita a Washington, sostenendo che Pechino «gioca un ruolo costruttivo» sull’Ucraina e in Medio oriente. Non è un mistero che Xi, la cui presenza al G20 brasiliano di novembre è stata appena ufficializzata, punti con Lula a una seconda conferenza di pace riconosciuta anche da Mosca.
Ad ascoltare il discorso del presidente cinese anche diversi ex leader occidentali, compresi Massimo D’Alema e Dominique de Villepin. Xi ha promesso inoltre «importanti riforme globali» votate a «espandere l’apertura e formare un ambiente economico più orientato al mercato». Un tentativo di rassicurazione in vista del cruciale terzo Plenum del Partito comunista di metà luglio, in cui saranno approntate le politiche economiche per i prossimi anni. Ancora di più dopo il dibattito tra Biden e Trump, la Cina prova a presentarsi come potenza responsabile, in contrapposizione con un’America raccontata come sempre più anziana e confusa.
*(Fonte: Il Manifesto. Lorenzo Lamperti, è un giornalista professionista, di base a Taipei. Per Wired si occupa di Asia orientale)
06 – Justin Pot*: COME RICONOSCERE LE TRUFFE NELLE EMAIL AZIENDALI. SEMPRE PIÙ SPESSO I CYBER CRIMINALI PRENDONO DI MIRA LE CASELLE DI POSTA ELETTRONICA DELLE AZIENDE, SPACCIANDOSI PER DIPENDENTI O DIRIGENTI: ECCO QUALCHE CONSIGLIO PER DIFENDERSI
Mi rendo conto che ci sono poche combinazioni di parole meno interessanti di truffe alle email aziendali. Ma quello che state per leggere non è un affatto un articolo noioso: parla di un’attività criminale basata su raggiri via email che, come riporta l’Fbi, frutta ben 26 miliardi di dollari all’anno.
Le cosiddette truffe Bec (business email compromise) rappresentano un grosso problema. Solitamente i criminali che ricorrono a questa tecnica inviano un messaggio agli account aziendali di posta elettronica spacciandosi per una persona con cui lavorate in modo da ottenere denaro o informazioni sensibili. Per esempio potreste ricevere un’email apparentemente scritta dall’amministratore delegato della vostra azienda, che vi chiede di effettuare rapidamente un’operazione come l’acquisto di carte regalo. La truffa può assumere molte forme, ma l’obiettivo finale è soltanto uno: sottrarre denaro a voi o all’azienda per cui lavorate.
Per questo, è fondamentale che chiunque lavori in un ufficio sia in grado di riconoscere queste email. Abbiamo chiesto ad alcuni esperti di darci qualche consiglio utile, che trovate qui sotto.
DUBITATE SEMPRE DELL’URGENZA
Quando ho chiesto a due esperti di cybersicurezza di indicarmi delle dritte per non cadere nelle truffe Bec, mi aspettavo consigli tecnici. Entrambi invece hanno parlato di emozioni. È un approccio sensato: nonostante prendano di mira i computer, queste frodi si basano sulla manipolazione psicologica.
“Se un’email suscita una reazione emotiva, fate un passo indietro e rileggetela quando siete più calmi”, suggerisce Ronnie Tokazowski, un ricercatore di sicurezza che da oltre dieci anni lavora per sensibilizzare le persone sulle truffe via email. Nello specifico, Tokazowski sottolinea quanto la strategia dei criminali informatici sia finalizzata a creare un falso senso di urgenza. Lo stress che inducono i messaggi degli aggressori impedisce alle vittime di mettere in discussione quello che leggono o vedono.
Selena Larson, ricercatrice presso la società di cybersicurezza Proofpoint, va un passo oltre: “Respirate – dice –, rallentate, fate un respiro profondo. Questo aiuta a pensare in modo più chiaro e razionale. Allontanatevi dal computer o dal telefono e pensate in modo critico. È un’email plausibile? È una cosa logica quella che mi viene chiesta?”.
A maggior ragione, dovreste essere scettici se la persona che vi invia il messaggio vi chiede di mantenere il silenzio. “I truffatori fanno cose come isolare l’utente dai suoi colleghi – spiega Larson –. Si presentano come una persona di una certa autorità e dicono cose come: ‘Per favore, tieni questa cosa riservata e solo tra di noi’. Questo tipo di comunicazione fa sì che le persone sentano di dover compiere un’azione con una certa urgenza, e che non possono rivelarla a nessuno”.
Riassumendo, la prima cosa da fare è quindi tenere sotto controllo le proprie emozioni. Può risultare difficile se si lavora in un settore particolarmente impegnativo, ma è il miglior modo per difendersi. E il vostro datore di lavoro vi ringrazierà (o almeno dovrebbe).
CERCATE SEMPRE UNA SECONDA CONFERMA
Una volta che avete messo in dubbio la legittimità della richiesta e la sua urgenza, verificate che la persona che vi ha inviato l’email sia davvero chi dice di essere. Il modo migliore per farlo? Chiedere (con un po’ di cautela).
“Se avete ricevuto un’email di questo tipo, è importante prendere il telefono e chiamare il numero di quella persona”, dice Larson, aggiungendo un’avvertenza: “Non fate affidamento sul numero di telefono riportato nell’email: sarà dell’autore della minaccia”.
Questo è un punto cruciale: qualsiasi informazione di contatto contenuta nel messaggio è probabilmente compromessa, a volte in modo furbo. Utilizzate il numero di telefono che avevate già memorizzato per la persona in questione, oppure cercatelo sul sito web o nella directory ufficiale dell’azienda. Il discorso vale anche nel caso in cui il numero nell’email vi sembra corretto, perché alcuni truffatori si prendono la briga di procurarsene uno simile.
A questo punto, chiamate la persona che vi avrebbe inviato l’email e accertatevi che la richiesta sia autentica. Potreste anche utilizzare un altro canale di comunicazione sicuro, come Slack o Microsoft Teams, oppure, se la persona è in ufficio, chiedere di persona. A prescindere dal metodo, l’obiettivo è confermare qualsiasi richiesta urgente al di fuori dell’email.
Anche se il presunto mittente è il vostro capo o un dirigente importante, chiedete senza preoccuparvi di fargli perdere tempo. “La persona che viene impersonata preferirebbe di gran lunga che qualcuno si prendesse il tempo di confermare piuttosto che perdere migliaia o un milione di dollari in una transazione illecita”, commenta Larson.
CONTROLLARE L’INDIRIZZO EMAIL DEL MITTENTE
Non sempre è possibile contattare il presunto mittente. Ma anche in questi casi esistono alcuni trucchi per capire se un messaggio di posta elettronica è autentico o meno. Il primo: controllate l’indirizzo email e assicuratevi che provenga dal vostro dominio aziendale.
Due studiosi di fisica hanno scoperto (casualmente) un nuovo modo per rappresentare il Pi greco
“Controllate sempre i domini da cui ricevete le email”, si raccomanda Larson. È probabile per esempio che il vostro amministratore delegato non vi invii un messaggio da un account Gmail. Altri casi possono rivelarsi più difficili da scovare: i truffatori a volte acquistano domini simili a quelli dell’azienda che stanno cercando di frodare, nella speranza di acquisire legittimità e credibilità agli occhi delle potenziali vittime.
Vale anche la pena di verificare se la firma presente nell’email corrisponde all’indirizzo da cui questa è stata inviata: “Se guardate a piè di pagina, noterete che viene usato il dominio reale dell’azienda, che però non corrisponde all’indirizzo email che ha inviato il messaggio”, dice Larson. Tenete presente che la differenza potrebbe essere sottile: “I domini simili sono molto comuni: qualcuno apporta una piccola variazione, come una ‘l’al posto di una ‘i’, per far sembrare l’indirizzo legittimo”. Se non è presente un sito web, è molto probabile che vi troviate di fronte a un fake.
Un altro trucco utilizzato dai truffatori è lo spoofing delle email, che si può individuare facendo clic su Rispondi e controllando l’indirizzo visualizzato nel campo del destinatario. Se è diverso da quello da cui apparentemente proviene il messaggio, è probabile che si tratti di una richiesta falsa.
Anche se è noiosa, la migliore difesa contro le truffe Bec potrebbe essere la cara vecchia burocrazia. Se nell’azienda per cui lavorate è previsto un processo ben definito per tutte quelle attività che generalmente sono prese di mira dalle truffe – come acquisti di grandi dimensioni o l’aggiornamento delle informazioni finanziarie in un database – ci sono meno possibilità di farsi fregare.
“La maggior parte delle volte, una richiesta di acquisto dovrebbe passare attraverso le risorse umane”, spiega Tokazowski. Se ricevete una richiesta via email in cui vi si chiede di bypassare i processi abituali, drizzate le antenne: “Deve esserci una traccia”, aggiunge il ricercatore.
L’ultimo consiglio è rivolto ai dirigenti delle aziende: comportatevi in modo tale che le persone nella vostra azienda non possano scambiarvi con dei truffatori. Se inviate regolarmente email per chiedere favori urgenti ai vostri dipendenti, invitandoli a non parlarne con nessuno e a lavorare al di fuori dei canali ufficiali, aumentate le probabilità che la vostra società sia vittima di truffe. Una cultura aziendale basata sulla trasparenza rende qualsiasi organizzazione più forte e resistente.
“È importante è assicurarsi di promuovere una cultura votata alla comunicazione aperta”, afferma Tokazowski. Molte aziende sono strutturate in modo da ridurre al minimo la comunicazione tra i vari livelli. In questi casi secondo Tokazowski sono utili le “riunioni a livelli sfalsati”, gli incontri che avvengono per esempio tra un alto dirigente e i collaboratori diretti di un manager di medio livello senza che quest’ultimo sia presente. Saltando un livello nella gerarchia aziendale si sviluppano percorsi di comunicazione più forti tra i vari livelli.
Un’altra cosa che i leader dovrebbero tenere a mente è l’importanza ammettere candidamente quando l’azienda è vittima di una truffa Bec. “La vergogna che le persone provano […] è una delle cose che permette a queste truffe di continuare a funzionare – sottolinea Larson –. Parlarne apertamente aiuta […] a capire come proteggersi”.
* (Justin Pot, freelance giornalista. Questo articolo è comparso originariamente su Wired US.)
07 – Alfonso Maurizio Iacono*: IN PRIMA PERSONA, MA SEMPRE PLURALE – ITINERARI CRITICI. «COSA SIGNIFICA ESSERE UMANI?» DI VITTORIO GALLESE E UGO MORELLI, PER CORTINA. TRA FILOSOFIA E NEUROSCIENZE, UN SAGGIO INDAGA IL FILO CHE LEGA CORPO, CERVELLO E LA RELAZIONE CON L’ALTRO.
La convinzione che l’Io sia il cuore dell’universo è così radicata in Occidente che è sempre valido il richiamo di Nietzsche alla zanzara che si sente anch’essa «il centro di questo mondo». La teoria dell’uomo come animale sociale in chiave cooperativa, sottolineata da Marx, emerge anche dagli studi, citati nel libro, che paragonano cuccioli di scimpanzé e piccoli umani
In principio era il noi. In principio era la relazione. Vittorio Gallese e Ugo Morelli provano a ricordarci che cosa significa essere umani e l’uscita di questo libro (Cosa significa essere umani? Corpo, cervello e relazione per vivere nel presente, Cortina, pp. 291, euro 16) è più che mai importante in un momento storico come il nostro dove la domanda sull’essere umani rischia di diventare ancora una volta un dubbio sul senso della nostra umanità. Ancora una volta stragi e massacri, guerre e aggressioni, e ancora una volta come se ciò non fosse mai accaduto o, peggio, in nome dell’umanità, della libertà, della giustizia. «Non smettiamo mai di pensarci, domandarci chi siamo e cosa esprimiamo in ogni momento e situazione, con una riflessione latente, continua, inconscia e principalmente tacita», scrivono Gallese e Morelli nella Prefazione, e ammettono che «le risposte sono incerte, cangianti, spesso inquietanti e qualche volta soddisfacenti».
SENZA NASCONDERSI la problematicità della domanda su che cosa significa essere umani, gli autori ci danno, tuttavia e per fortuna, la possibilità di dare uno sguardo sul futuro o almeno sulla necessità di includere nella riflessione e nell’autoriflessione non solo mondi reali ma anche mondi possibili. Cominciano dal corpo. «Siamo e abbiamo un corpo», ciò significa che siamo sì materia, ma riusciamo anche a vederci dall’esterno. Siamo, scrivono, materia e significato. Siamo corpo-cervello-mente in relazione. Questo significa che il punto di partenza non è l’io ma l’intersoggettività, dunque la relazione.
Rifacendosi ai temi della complessità che mette in gioco la relazione come concetto fondamentale per comprendere un sistema e in particolare un sistema vivente e collegandosi alla teoria dei neuroni-specchio, gli autori attaccano la centralità del soggetto e dell’Io e affermano che: «Così come a lungo noi umani abbiamo ritenuto che al centro del sistema solare ci fosse la Terra e che il Sole le girasse intorno; allo stesso modo siamo stati a lungo convinti, e molti di noi lo sono tuttora, che il soggetto, l’Io, venga prima e sia al centro delle relazioni e dell’intersoggettività». D’altra parte la convinzione che l’Io sia al centro dell’universo è stata ed è tuttora così radicata in particolare nella cultura occidentale, che è tuttora valido il richiamo di Nietzsche alla zanzara: «Se noi riuscissimo a intenderci con la zanzara, apprenderemmo che anch’essa nuota attraverso l’aria con questo pathos e si sente il centro – che vola – di questo mondo».
Proviamo dunque a connetterci con la fastidiosa zanzara e forse scopriamo che, in fatto di concezione del mondo, non siamo poi così diversi. Per diventarlo dobbiamo immaginare e ammettere che in quanto umani siamo un noi in relazione e lo possiamo comprendere a partire da una visione biologica non riduzionista. Che cos’è, per esempio, una simulazione incarnata?
SENZA RINUNCIARE al materialismo e senza cadere nel riduzionismo biologistico, Gallese e Morelli ci spiegano come la percezione del dolore di un altro, assicurato dall’attivazione di neuroni, non si identifichi con il provare la sofferenza dell’altro, ma con il simularla. Ciò significa, per esempio, che, come già si era accorto nel XVIII secolo Adam Smith analizzando il concetto di simpatia (Teora dei sentimenti morali), la mamma che vede e sente piangere il suo bambino non può mai provare ciò che prova il suo pargolo e tuttavia percepisce turbandosi quel disagio e quella sofferenza. Il noi nella relazione non implica che gli esseri debbano fondersi o diventare identici perché l’uno senta e comprenda il dolore dell’altro, ciononostante la comunicazione e la connessione sono possibili e reali e noi siamo dotati biologicamente per renderle possibili e reali.
Non potendo dare conto di tutte le argomentazioni che Gallese e Morelli apportano alla domanda su casa significa essere umani, ci si limiterà a tre momenti: la cooperazione, il fare finta e l’intorno. Gli autori fanno riferimento agli studi di Michael Tomasello e dei ricercatori del suo gruppo, i quali studiando i cuccioli di scimpanzé e i piccoli umani, hanno rilevato che i secondi sono più precoci nell’atteggiamento relazionale e cooperativo. In sostanza hanno riconfermato sul piano del comportamento infantile la teoria dell’uomo come animale sociale in quella chiave cooperativa che Marx aveva sottolineato ne Il capitale: la cooperazione che, pianificata con altri, sviluppa la facoltà della specie umana. Se dunque la facoltà cooperativa si attiva prestissimo negli umani, cioè nel periodo infantile, essa si sviluppa nell’età adulta come un noi che sa immaginare e progettare il futuro.
E POI IL FARE FINTA. Il gioco come un’attività simbolico-sociale fondata sulla finzione come pratica di verità che produce ciò che ho chiamato mondi intermedi e a cui gli autori si rifanno. «Facciamo finta che»: il fare finta comporta il fingere che in origine significa immaginare, formare, figurare, produrre, creare. Noi occidentali abbiamo perso il futuro. Per riacquisirlo è necessario rifarsi alla cooperazione, che confligge con la competition e con quella visione individualistica che non tollera alternative, e al gioco, che propone invece di continuo mondi possibili e alternativi da costruire insieme.
E infine, l’intorno. Merleau-Ponty in L’occhio e lo spirito ha scritto che il mondo non ci sta davanti, ma intorno. «C’è empatia nella nostra relazione con lo spazio, scrivono Gallese e Morelli, e non è una scelta. Introiettiamo lo spazio e l’ambiente come condizione stessa della nostra vita, non solo respirando, bevendo, mangiando ma, in particolare, soddisfacendo la nostra ricerca di significato, in quanto… siamo la specie che dispone di comportamento simbolico e si distingue per le sue caratteristiche di produttrice di senso». Ma tutto ciò in un gioco di vincoli e di possibilità, in una dialettica di relazione e di autonomia, in una danza di contesti e di significati.
Quando Winnicott ci dice che la madre dà al bambino l’illusione dell’autonomia lasciandolo tentare di prendere un oggetto, non scompare, si ritrae e sta lì a guardare senza intervenire. Ma sta lì. Il bambino sa della sua presenza. Egli si rende autonomo ma all’interno della relazione con la madre. Avevo immaginato che il bambino percepisse la madre con la coda dell’occhio. È in questo senso che vincoli e possibilità, relazione e autonomia, contesto e significato entrano cooperativamente e simbioticamente in un conflitto che fa evolvere l’io del bambino e l’io della madre in un noi creativo. Ed è questa stessa, credo, la direzione verso cui viaggiano Gallese e Morelli.
MA ALLORA che cosa significa essere umani? Essere un noi che sa guardare il futuro, un insieme in cui corpo, cervello, mente stanno in relazione fra loro ma anche in relazione con altri corpi, cervelli, menti, un tutto dove natura e cultura si integrano a vicenda. Si tratta di rifiutare i vecchi dualismi io-mondo, cultura-natura, mente-corpo non per negarne la differenza, ma per sottolineare la relazione creatrice che lega queste entità che si intrecciano senza contrapporsi. «A furia di dualismi, concludono Gallese e Morelli, siamo stati costretti a sottostare a una specie di superordine celando con rivestimenti ornamentali e rabberciamenti le lacune sempre più evidenti che ci spaccavano in due, con la nostra connivenza pur di tenere in piedi false rassicurazioni».
Il libro rappresenta un generoso e appassionato richiamo alla complessità e una brillante alternativa di metodo a quelle semplificazioni, denunciate da Primo Levi ne I sommersi e i salvati, che stanno dominando la comunicazione dividendo il mondo in due e che, come accade in tempo di guerra, stanno distruggendo ogni dialogo riducendolo allo scontro amico-nemico.
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*(Fonte: Il Manifesto. Alfonso Maurizio Iacono (Agrigento, 16 settembre 1949) è un filosofo italiano. Ordinario di Storia della Filosofia all’Università di Pisa)
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