01 – Con le donne palestinesi, un grido contro le guerre e l’oppressione. L’APPELLO DAL MONDO FEMMINISTA. L’enorme numero di donne e di bambini uccisi a Gaza nei fatti sradica ogni possibilità di vita futura per la popolazione palestinese. (*)
02 – Andrea Fabozzi*: L’egoismo come misura di tutte le cose – LA NUOVA SECESSIONE. La legge Calderoli sull’autonomia è una legge contro la Costituzione. Perché la Carta affida alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che scavano differenze tra i suoi cittadini, mentre l’autonomia opera in senso opposto.
03 – Adriana Pollice*: Diritti, due anni di politiche del governo smentiscono la premier. G7. Durante la conferenza stampa conclusiva Meloni nega arretramenti da parte dell’esecutivo su aborto e comunità lgbtqia+. Eppure i fatti raccontano un’altra storia
04 – I progressi delle misure Pnrr per donne e giovani. Nella sua ultima relazione la corte dei conti ha analizzato gli effetti della revisione del Pnrr sulle misure dedicate a donne e giovani. Ne risulta un quadro positivo, anche se in un certo senso incompleto.(*)
05 – La Cina vuole dominare nella tecnologia green – Infinity Power, secondo alcuni la più grande società africana di energie rinnovabili, vuole costruire un immenso parco eolico in Egitto: un impianto da 10 gigawatt che occuperà un’area di oltre tremila chilometri quadrati nell’ovest del paese.
06 – Giacomo Lusardi*: Che cosa dice la prima convenzione internazionale giuridicamente vincolante sull’intelligenza artificiale.
07 – Anna Fabi *: Autonomia differenziata, passa la legge: rivoluzione nei poteri regionali – La nuova legge sull’autonomia differenziata, approvata dalla Camera, ridisegna la distribuzione delle competenze tra Stato e Regioni in Italia. QUESTO SCENARIO È STATO DEFINITO DALLE VOCI PIÙ CRITICHE COME “SECESSIONE DEI RICCHI”.
08 – Chiara Cruciati*: ONU: «a gaza è sterminio». la risposta: raid su tende e aiuti.
Palestina. il rapporto della commissione d’inchiesta delle nazioni unite accusa Israele di crimini di guerra e Hamas di omicidio e presa d’ostaggi. bombardata la tendopoli di al Mawasi. colpita la strada delle «pause» mai entrate in vigore
01 – CON LE DONNE PALESTINESI, UN GRIDO CONTRO LE GUERRE E L’OPPRESSIONE. L’APPELLO DAL MONDO FEMMINISTA. L’ENORME NUMERO DI DONNE E DI BAMBINI UCCISI A GAZA NEI FATTI SRADICA OGNI POSSIBILITÀ DI VITA FUTURA PER LA POPOLAZIONE PALESTINESE.
Ciò che ormai da 8 mesi sta avvenendo nei Territori Palestinesi Occupati e a Gaza ci coinvolge direttamente come donne, persone, umanità intera. La cosiddetta «guerra di Gaza» è in realtà parte di un ampio disegno portato avanti ormai da decenni volto a colpire, annientare e assoggettare tutta la popolazione palestinese. Nei Territori Palestinesi Occupati, gli abitanti sono impossibilitati a spostarsi, lavorare, e sono soggetti a continui attacchi da parte dell’esercito e dei coloni israeliani: dal 7 ottobre 2023 i palestinesi imprigionati sono stati più di 9.000 e gli uccisi 550, per non parlare dei feriti.
A GAZA L’«OPERAZIONE SPADE di ferro» ha ucciso (al 18 giugno 2024, secondo il ministero della Sanità di Gaza) 37.372 palestinesi e ne ha feriti 85.452 (non tutti completamente identificati). Ignoto è il numero di coloro che rimangono sotto le macerie. La crudeltà con cui vengono lasciati morire civili inermi in condizioni inumane ci rende testimoni di un crimine aberrante, sostenuto dal silenzio di molti paesi e dalla totale impunità, malgrado le numerose risoluzioni dell’Onu.
Ad oggi i morti a Gaza rappresentano una percentuale della popolazione totale che supera di parecchio quella di tutti i morti italiani civili e militari nel corso della seconda guerra mondiale (Roma, Istituto centrale di Statistica, 1957). UN Women, cioè l’organizzazione delle Nazione Unite che si occupa dell’uguaglianza di genere e dell ’empowerment delle donne, già nel gennaio 2024 stimava che fino ad allora circa 10.000 donne di Gaza fossero state uccise lasciando 19.000 bambini orfani e che circa 540.000 donne e ragazze di Gaza in età riproduttiva non avessero la possibilità di accedere all’acqua e a ciò che è necessario per soddisfare i loro bisogni di igiene, salute e dignità.
Tra Marx e Balenciaga, noi spettatori di un genocidio
Gaza ora è distrutta e devastata. Già 6 giorni dopo l’inizio dell’«Operazione», la quantità di bombe israeliane sganciate superava quella lanciata in un anno dagli Usa in Afghanistan (fonte: Idf, esercito israeliano). Tutta la zona è stata trasformata in un gigantesco cimitero e in un campo minato oggettivamente inabitabile per i prossimi decenni, a dispetto del fatto che gran parte della popolazione non intende andarsene.
L’AZIONE DI ISRAELE nella realtà dei fatti non è quella di «rispondere all’attacco di Hamas» del 7 ottobre 2023, ma quella di disfarsi una volta per tutte della popolazione palestinese, riducendo in uno stato di totale soggezione coloro che non potranno fuggire. Questa opera di distruzione e annientamento è completata dall’accanimento con cui Israele si è adoperato per distruggere tutte le infrastrutture civili a Gaza (ospedali, scuole, università) e ogni possibile testimonianza della cultura e della civiltà palestinese in Cisgiordania e a Gaza (monumenti, cimiteri, luoghi di culto, luoghi di incontro).
A noi pare evidente che – al di là delle macabre controversie, recentemente registrate a livello internazionale, sulle cifre esatte dei morti comunicati dal ministero della Sanità di Gaza (e ritenute comunque affidabili da tutti gli esperti) – l’enorme numero di donne e di bambini uccisi a Gaza nei fatti sradica ogni possibilità di vita futura per la popolazione palestinese.
In quanto donne che negli scorsi anni e durante la pandemia ci siamo battute per rimettere al centro della nostra società la “cura” (affidata alle donne per millenni) come fondamento delle relazioni e del nostro vivere, non possiamo restare indifferenti di fronte a questa “prova generale” di disumanità e di cancellazione di ogni speranza.
IL LABORATORIO GAZA NON PAGA PIÙ: «L’EXPORT DI ARMI È IN CALO»
In quanto donne femministe sentiamo il bisogno di fare nostro il grido delle donne palestinesi, che ci ricordano che «le donne palestinesi lottano da decenni contro l’intersezione delle oppressioni nazionali, sociali ed economiche, mettendo in luce l’intrinseco nucleo patriarcale del regime di oppressione di Israele» e che ci esortano a «intensificare le campagne di pressione Bds contro l’apartheid israeliana e a fare contemporaneamente pressione sui vostri governi».
COME FEMMINISTE che abitano in vari modi i luoghi delle donne vogliamo ribadire la nostra forte opposizione alle guerre che riteniamo essere la forma più estrema della violenza della società patriarcale. Vogliamo ribadire il nostro posizionamento. Sappiamo, infatti, che il femminismo può essere usato in chiave “coloniale” e razzista, giustificando invasioni e occupazioni, politiche di esclusione contro i migranti, e dipingendo le donne – e le donne palestinesi in particolare – solo come vittime bisognose di protezione.
Noi sappiamo, invece, che le donne palestinesi sono in prima fila per lottare per la loro liberazione e contemporaneamente stanno lavorando per tenere unita la loro comunità di fronte agli orrori: le mediche, le infermiere e le altre operatrici sanitarie che salvano vite o danno conforto ai moribondi nella Striscia di Gaza; le insegnanti e le attiviste che organizzano lezioni e giochi per i bambini palestinesi nei rifugi, le donne che lavorano come giornaliste, riportando e documentando la violenza contro il – e la forza del – loro popolo.
SOSTENIAMO LA LORO LOTTA, consapevoli che l’uguaglianza di genere non può prosperare in un mondo afflitto da violenza e ingiustizia, dove il militarismo e i sistemi patriarcali si intrecciano per perpetuare l’oppressione.
Come femministe, è fondamentale riconoscere l’interconnessione di tutte le lotte per la giustizia e costruire solidarietà. Mentre sosteniamo un cessate il fuoco permanente, e la fine dell’occupazione della Palestina, dobbiamo anche amplificare instancabilmente le voci di tutte le donne palestinesi, assicurando che i loro diritti siano riconosciuti e rispettati, compreso il loro diritto fondamentale all’autodeterminazione.
(*) Luoghi delle donne in Italia per la Palestina – Coordinamento delle Case delle donne di diverse città italiane.
02 – Andrea Fabozzi*: L’EGOISMO COME MISURA DI TUTTE LE COSE – LA NUOVA SECESSIONE. LA LEGGE CALDEROLI SULL’AUTONOMIA È UNA LEGGE CONTRO LA COSTITUZIONE. PERCHÉ LA CARTA AFFIDA ALLA REPUBBLICA IL COMPITO DI RIMUOVERE GLI OSTACOLI DI ORDINE ECONOMICO E SOCIALE CHE SCAVANO DIFFERENZE TRA I SUOI CITTADINI, MENTRE L’AUTONOMIA OPERA IN SENSO OPPOSTO.
Nella notte prima degli esami, la destra che è al governo approva con procedura d’urgenza e sul filo del numero legale, quindi con le maniere forti, una legge che è il vecchio sogno separatista della Lega quando era Lega Nord, imbellettato in formule meno impresentabili. Poco dopo, quando si fa mattina, studenti e studentesse nei loro banchi per l’esame di maturità ricevono un testo da commentare scritto da una giurista che si oppone alle “riforme” della destra. È lei che raccoglie le firme dei colleghi costituzionalisti contro il premierato che dell’autonomia è complemento e scambio. Si potrebbe pensare che il ministero di Valditara abbia pensato proprio a lei per generosità e apertura mentale, ma è stata solo sbadataggine e trascuratezza. Tant’è vero che, tra i tanti, è stato scelto un saggio di quattro anni fa, riferito a un articolo della Costituzione che nel frattempo è cambiato.
La Lega avvera il suo sogno, anzi quello di Miglio e di Bossi, che in quarant’anni ha chiamato prima separatismo poi federalismo poi devolution, proprio adesso che è all’apice della crisi, che ha tolto il Nord dal nome e non è più il primo partito sopra il Po. Ma non c’è contraddizione in questo. Al cuore di quel sogno non c’è mai stata infatti un’idea differente di funzionamento dello stato né un’idea di efficienza amministrativa, c’erano solo egoismi e calcoli di bottega. Che adesso, in questa maggioranza, trionfano. L’esibizione dei vessilli delle piccole patrie con la quale i leghisti hanno celebrato in parlamento la vittoria è una rivendicazione coerente. False sono le rassicurazioni.
L’AUTONOMIA È LEGGE. LE OPPOSIZIONI: «ORA IL REFERENDUM»
L’autonomia differenziata non è un progetto che avrà bisogno di tempi lunghi e che quindi potrà essere preparato e meditato. Anche senza i mitici livelli essenziali delle prestazioni (Lep) partirà subito e in materie con un diretto impatto sulle vite dei cittadini. Come ordinamento delle professioni, sistema tributario, protezione civile: tra qualche mese il livello dei servizi e persino le regole potranno essere diverse a seconda della regione dove si risiede.
Ma anche il mito del Lep va capito bene. Perché il solenne impegno non è altro che quello di concedere ai cittadini delle regioni «povere» un livello almeno «essenziale» di scuola, sanità e tutto il resto. Escluso che possano avere diritto anche loro alle eccellenze. Escluso persino che abbiano diritto a rivendicarne la possibilità. La legge Calderoli sull’autonomia è per questo una legge contro la Costituzione. Perché la Carta affida alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che scavano differenze tra i suoi cittadini, mentre l’autonomia opera in senso opposto, aggiungendo altri ostacoli, i confini regionali, e rendendo insuperabili quelli economici che si ereditano per nascita e residenza. È una legge ordinaria che bisognerebbe portare davanti alla Corte costituzionale – che entro fine anno cambierà composizione per quasi un terzo – strada che appare più praticabile del referendum abrogativo, che ha tempi più lunghi ed esito incerto perché dubbia è la sua ammissibilità. Eppure, a stare alle dichiarazioni, l’opposizione che si è unita (quasi) tutta in piazza martedì sembra riunirsi tutta dietro l’idea del referendum. Ma probabilmente, speriamo, è solo un altro caso di sbadataggine.
*(Fonte: Il Manifesto. Andrea Fabozzi, notista politico, in redazione dal 2001 ed è direttore del il Manifesto.)
03 – Adriana Pollice*: DIRITTI, DUE ANNI DI POLITICHE DEL GOVERNO SMENTISCONO LA PREMIER. G7. DURANTE LA CONFERENZA STAMPA CONCLUSIVA MELONI NEGA ARRETRAMENTI DA PARTE DELL’ESECUTIVO SU ABORTO E COMUNITÀ LGBTQIA+. EPPURE I FATTI RACCONTANO UN’ALTRA STORIA.
«In questi due anni non ci sono stati passi indietro rispetto a questioni come il diritto all’aborto o sui diritti Lgbt», parola di Giorgia Meloni in conclusione del G7. Se la legge 194 non è stata toccata (ma si è trovato il modo di pagare i pro vita nei consultori attraverso i fondi del Pnrr e non si è intervenuto per rendere accessibile l’aborto dove nei fatti è negato), sul diritto arcobaleno le parole della premier gridano vendetta. Lo scorso 17 maggio (giornata mondiale di lotta all’omolesbobitransfobia) l’Italia insieme ad altri otto stati (come Ungheria, Romania, Bulgaria) non ha firmato il testo Ue sui diritti Lgbtqia+. Rispetto alla Rainbow Map, redatta da Ilga-Europe (documento annuale atto a fotografare la vita delle persone queer in 48 Paesi), il nostro si colloca al 36esimo posto. La posizione italiana è evidenziata in rosso anche nella mappa di Tgeu, relativa ai diritti delle persone transgender.
Non a caso a partire da Maurizio Gasparri, con i ministri a ruota, è iniziata lo scorso gennaio un’ispezione al centro Careggi di Firenze per rivedere, in senso restrittivo, su scala nazionale i protocolli sui farmaci bloccanti della pubertà, terapie che consentono di fermare (in modo reversibile) i cambiamenti fisici legati all’adolescenza nei giovani trans e non binari. E ancora. Tra i primi provvedimenti del governo Meloni, l’intervento del ministero dell’Interno sulle prefetture perché si allineassero alla pronuncia della Corte di Cassazione del 2022, bloccando le trascrizioni degli atti di nascita dei bambini di coppie omogenitoriali. Materia controversa che ha visto pronunce opposte in vari tribunali della penisola.
Passi indietro anche sulle «carriere alias», cioè no a registrare le persone secondo il loro nome di elezione nelle scuole. A luglio 2023 la Camera ha poi approvato la proposta di legge che istituisce il reato universale di Gpa, la gestazione per altri. A ottobre dello stesso anno il leghista Sasso, dopo la bocciatura della legge sull’educazione sessuale nelle scuole, ha dichiarato in Aula: «La propaganda gender se la scordano. Se ci tengono a fare l’educazione sessuale ai bambini di 6 anni, non approfittino della scuola senza il consenso dei genitori, obbligando i bambini alle loro porcherie».
Infine, l’Italia è l’unico paese tra i fondatori dell’Ue a non avere una legge sul matrimonio egualitario né una legge contro i crimini d’odio basati su orientamento sessuale e identità di genere. Antonello Sannino, presidente di Antinoo Arcigay Napoli: «La decisione di non firmare il testo dell’Ue a tutela dei diritti delle persone Lgbtqia+ smentisce clamorosamente la presidente Meloni. Da oltre un anno chiediamo un incontro al ministero competente ma nessuno ha mai risposto. Sbandierano la lotta contro il gender ma se domandi non sanno dire cos’è. Strumentalizzano per un loro tornaconto politico».
*(Fonte: Il Manifesto Adriana Pollice. Giornalista)
04 – I PROGRESSI DELLE MISURE PNRR PER DONNE E GIOVANI. NELLA SUA ULTIMA RELAZIONE LA CORTE DEI CONTI HA ANALIZZATO GLI EFFETTI DELLA REVISIONE DEL PNRR SULLE MISURE DEDICATE A DONNE E GIOVANI. NE RISULTA UN QUADRO POSITIVO, ANCHE SE IN UN CERTO SENSO INCOMPLETO. (*)
• LA CORTE DEI CONTI HA ANALIZZATO I PROGRESSI DELLE MISURE PNRR PER DONNE E GIOVANI. MA CONTINUANO A MANCARE DATI SULLA TERZA PRIORITÀ TRASVERSALE DEDICATA AL SUD.
• +164 MILIONI DI EURO, L’AUMENTO COMPLESSIVO DI RISORSE PER DONNE E GIOVANI, A SEGUITO DELLA REVISIONE DEL PIANO.
• RAPPORTANDO GLI IMPORTI DI PROGETTI PER DONNE E GIOVANI ALLA POPOLAZIONE DI RIFERIMENTO, SONO I TERRITORI DEL SUD QUELLI A CUI SONO INDIRIZZATE PIÙ RISORSE.
• LO STATO DI ATTUAZIONE DEI LAVORI PER TALI PROGETTI È DISPONIBILE PER UN NUMERO IRRISORIO DI INTERVENTI (3.248).
TRA QUESTI, SOLO 27 RISULTANO CONCLUSI.
Abbiamo già parlato in precedenti articoli degli effetti della revisione del piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) italiano. Per farlo, abbiamo anche analizzato la recente relazione della corte dei conti, che condivide informazioni e dati inediti della piattaforma Regis, che non sono accessibili pubblicamente.
Tra i vari capitoli della relazione, uno si occupa delle modifiche e dei progressi delle misure dedicate alle priorità trasversali di abbattimento dei divari tra donne e uomini e tra giovani e non. Su questo fronte il parere della corte dei conti è complessivamente positivo.
IN SINTESI, L’ATTUAZIONE APPARE, PER LE MISURE AVENTI IMPATTO SU GIOVANI E DONNE, PRESSOCHÉ IN LINEA CON I PROGRAMMI.
PURTROPPO L’ANALISI DI QUESTE INFORMAZIONI È LIMITATA DALL’IMPOSSIBILITÀ DI ACCEDERE AI DATI ORIGINALI E DA ALCUNE LACUNE VERE E PROPRIE.
CONTINUIAMO A NON SAPERE NULLA SULLA PRIORITÀ TRASVERSALE DEDICATA AL SUD.
AL DI LÀ DI QUELLO CHE È CONTENUTO NELLA RELAZIONE, VA SOTTOLINEATO CHE LE PRIORITÀ TRASVERSALI DEL PIANO SONO TRE, MA DI QUELLA DEDICATA ALL’ABBATTIMENTO DEI DIVARI TERRITORIALI NON SI SA NULLA.
Non solo la corte dei conti non ne parla, ma in generale in nessuna documentazione ufficiale pubblicata sul Pnrr dal suo avvio a oggi, si trovano riferimenti chiari su questo aspetto.
Mancano informazioni accessibili su quali sono le misure a essa dedicate, gli indicatori di valutazione, i progressi, gli importi.
Ci chiediamo dunque se questa sia ancora una priorità per il Pnrr e se sì in che modo il governo intenda perseguirla.
LE MODIFICHE ALLE MISURE PER DONNE E GIOVANI
La revisione del Pnrr italiano ha riguardato anche le misure indirizzate al contrasto dei divari di genere e generazionale, che hanno visto complessivamente aumentare le loro risorse di 164 milioni di euro.
6 LE MISURE DEFINANZIATE DALLA REVISIONE DEL PNRR E ALTRETTANTE QUELLE CHE SONO STATE RIFINANZIATE. TRA GLI INTERVENTI CHE HANNO SUBITO UN TAGLIO DELLE RISORSE, IL PIÙ RILEVANTE È DI OLTRE 1 MILIARDO IN MENO PER IL PIANO ASILI NIDO.
I motivi di questa decisione non sono del tutto esplicitati. Sappiamo – dalla quarta relazione del governo al parlamento sull’attuazione del Pnrr – che la commissione europea non ha considerato ammissibili le spese correnti e di gestione inizialmente previste per la misura, pari a 900 milioni di euro. Altre ragioni dichiarate del governo sono legate all’aumento generale dei costi di realizzazione e alla scelta di finanziare solo i progetti che si era certi potessero aggiudicare i lavori entro giugno 2023.
Riguardo gli aumenti invece, il più consistente è quello per la riforma sulle politiche attive del mercato del lavoro (poco più di 1 miliardo). Sempre nella quarta relazione del governo si legge che tale incremento ha avuto lo scopo di mantenere invariato lo stesso numero di beneficiari della formazione, nonostante l’aumento dei costi di realizzazione.
Guardando al cronoprogramma infine, le modifiche alle misure su donne e giovani replicano lo stesso modello della revisione complessiva. Cioè uno slittamento in avanti di numerosi interventi, con una riduzione della spesa prevista per il 2023 e un aumento di quella per il 2024-2026.
3 miliardi € circa, le risorse tolte da quelle inizialmente previste nel 2023 e previste come spesa da effettuare tra il 2024 e il 2026.
Dunque se è vero, come conclude la corte dei conti, che l’attuazione delle misure su donne e giovani è in linea con il programma, è anche vero che si tratta di un programma che ha posticipato molti adempimenti verso gli ultimi anni di attuazione del Pnrr.
Dove sono localizzate le risorse
A proposito di attuazione, entriamo nel merito della cosiddetta “messa a terra” degli investimenti che il Pnrr prevede per donne e giovani.
68,5% LE RISORSE GIÀ ALLOCATE IN PROGETTI SELEZIONATI, SUL TOTALE DELLE RISORSE PREVISTE PER MISURE DEDICATE A DONNE E GIOVANI.
Analizzando la destinazione territoriale di questi progetti, le regioni che ricevono le risorse più ingenti sono Lombardia (3.061 milioni di euro), Campania (2.661), Lazio (2.313) e Sicilia (1.779). Una distribuzione in linea con la popolosità dei territori.
In Lombardia 3 miliardi del Pnrr per progetti su donne e giovani – Progetti finanziati dal Pnrr e localizzati a livello regionale
La somma dei progetti dedicati a giovani e donne è maggiore del totale perché alcuni di essi impattano su entrambi gli obiettivi. Sono esclusi i progetti che hanno un impatto nazionale e non locale.
Nella relazione, la corte dei conti mette inoltre a rapporto il numero di questi progetti rispetto alla popolazione di riferimento, cioè donne e giovani (0-29 anni). In questo modo si osserva che le regioni più interessate sono Molise (3 interventi ogni 1.000 donne e under 30), Basilicata (2,8) e Calabria (2,4).
Il Molise si conferma primo anche nel rapporto tra risorse e popolazione di riferimento (908 euro pro capite).
Rapportati alla popolazione, i progetti su donne e giovani si concentrano principalmente nel sud.
Come abbiamo sottolineato prima in merito alle modifiche al Pnrr, anche questa analisi ha il limite di non condividere tutti i dati utili a comprendere il quadro completo. Tuttavia, facendo fede alle conclusioni della corte dei conti, i progetti destinati a migliorare le condizioni socio-economiche di donne e giovani sembrano indirizzati in misura maggiore al sud, rispetto al resto del paese. Questo risponderebbe ai maggiori divari di genere e generazionali riscontrati nel mezzogiorno su vari aspetti: occupazione femminile, in particolare delle madri, abbandono scolastico, giovani Neet e molti altri.
LO STATO DI ATTUAZIONE DEI LAVORI
Per approfondire l’avanzamento di questi progetti, in particolare di quelli che prevedono la realizzazione di lavori, la corte dei conti ha incrociato i dati della piattaforma Regis con il database Mop (monitoraggio opere pubbliche). Questo ha dato vita a un sottoinsieme che però non corrisponde alla totalità, sia per questioni di tempi diversi di aggiornamento dei due database, sia per gravi lacune informative.
40% DEI PROGETTI PNRR SU DONNE E GIOVANI È CENSITO NEL DATABASE MOP, MA NON PRESENTA DATI SULLO STATO DI ATTUAZIONE.
I progetti su cui si concentra l’analisi sono 3.248. Pur non avendo a disposizione i dati relativi al totale di interventi su donne e giovani che prevedono la realizzazione di opere, sappiamo che tutti i progetti che intervengono sulle due priorità ammontano a 72.952. È chiaro quindi che parliamo di un numero irrisorio di progetti, assolutamente sotto rappresentativo. A ciò si aggiunge il fatto che il database Mop è aggiornato a ottobre 2023, ben 8 mesi fa, dunque si tratta di informazioni piuttosto datate per essere rappresentative dello stato di avanzamento dei lavori. Inoltre, non sono disponibili nella relazione i dati disaggregati tra i progetti dedicati alla parità di genere e quelli dedicati alla parità generazionale, ma solo i dati aggregati.
seppur l’analisi presentata in questo paragrafo si focalizzi solamente su un sotto-insieme di progetti, data la disponibilità ridotta dei dati, i risultati […] descrivono una situazione in cui buona parte dei progetti sono ormai entrati nelle fasi centrali di realizzazione.
– CORTE DEI CONTI
Pur riconoscendo alcuni limiti nell’analisi, la corte dei conti fornisce comunque un parere positivo sull’attuazione di questi interventi. Osservando i dati, escludendo i 1.339 progetti non monitorati o che si trovano in fasi non meglio identificate, gli altri sono perlopiù allo stadio di progettazione esecutiva (943), seguiti dall’esecuzione vera e propria dei lavori (397). Lo step di chiusura intervento viene invece riconosciuto solo per 27 progetti.
I progetti Pnrr su donne e giovani di cui si conosce lo stato di attuazione dei lavori
Progetti Pnrr con impatto su donne e giovani, classificati in base all’avanzamento dei lavori assegnato nel database di monitoraggio delle opere pubbliche (Mop)
IL NOSTRO OSSERVATORIO SUL PNRR
Questo articolo rientra nel progetto di monitoraggio civico OpenPNRR, realizzato per analizzare e approfondire il piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Ogni lunedì pubblichiamo un nuovo articolo sulle misure previste dal piano e sullo stato di avanzamento dei lavori (vedi tutti gli articoli). Tutti i dati sono liberamente consultabili online sulla nostra piattaforma openpnrr.it, che offre anche la possibilità di attivare un monitoraggio personalizzato e ricevere notifiche ad hoc. Mettiamo inoltre a disposizione i nostri open data che possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione.
*(FONTE: Elaborazione Openpolis su dati corte dei conti, Regis, Mop)
05 – Irene Doda*: LA CINA VUOLE DOMINARE NELLA TECNOLOGIA GREEN – INFINITY POWER, SECONDO ALCUNI LA PIÙ GRANDE SOCIETÀ AFRICANA DI ENERGIE RINNOVABILI, VUOLE COSTRUIRE UN IMMENSO PARCO EOLICO IN EGITTO: UN IMPIANTO DA 10 GIGAWATT CHE OCCUPERÀ UN’AREA DI OLTRE TREMILA CHILOMETRI QUADRATI NELL’OVEST DEL PAESE.
L’azienda ci riuscirà grazie a turbine importate, provenienti dalla Cina. Sono ormai diversi anni che la Cina punta alla supremazia globale sulle tecnologie verdi e le energie rinnovabili.
Un fattore importante nello sviluppo di questa supremazia sono i sussidi interni e la strategia di esportazioni aggressive. “Le sovvenzioni pubbliche cinesi sono pervasive”, ha dichiarato a DW Rolf Langhammer, ex vicepresidente dell’Istituto di Kiel, un think thank tedesco che ha condotto uno studio estensivo sull’argomento. “Comprendono quasi tutti i settori e sono di gran lunga superiori ai sussidi dell’Ue o degli Stati Uniti”.
Tra i settori beneficiari di tali sussidi vi sono le celle fotovoltaiche, le batterie per le auto elettriche, e le turbine eoliche. Ma non è tutto. Secondo Bloomberg, “la Cina offrirà ai progetti finanziamenti fino a 100 milioni di yuan (13,8 milioni di dollari) nel tentativo di accelerare i progressi delle tecnologie emergenti per la riduzione delle emissioni, rivolgendosi a settori che vanno dall’acciaio ai centri dati. Il programma mira a sostenere “la costruzione di progetti con livelli tecnologici all’avanguardia” èstraordinari effetti di riduzione delle emissioni”. Un piano insomma molto più ambizioso ed esteso a vari settori.
Ci sono poi le mire del gigante asiatico sull’Africa, un continente il cui potenziale economico è ancora visto in larga parte come inesplorato. I sussidi hanno, secondo alcuni report (negati dalle autorità cinesi) causato una sovrapproduzione tecnologica che non riesce a essere assorbita dal mercato interno. La transizione ecologica in Africa appare quindi un’occasione ghiotta. Il Sudafrica, ad esempio, che notoriamente soffre di frequentissimi blackout, ha quadruplicato le sue importazioni di pannelli solari di provenienza cinese, nella sola prima metà del 2023.
Lo Zimbabwe ha firmato un memorandum per l’apertura di una raffineria di litio finanziata da Pechino. Quest’ultimo caso mostra come i paesi dell’Africa centro meridionale, ricchissimi in materie prime (litio, coltan) necessarie per lo sviluppo di green tech, non vogliano solo limitarsi ad esportare, ma costruire una loro industria domestica. Le grandi potenze, in primis Cina e Stati Uniti, stanno competendo per sfruttare questa opportunità. Riporta Semafor che “un memorandum d’intesa con gli Usa, ancora da attuare, [è stato] firmato con la RDC e lo Zambia nel dicembre 2022 per sviluppare una catena di produzione (domestica, ndr) di cobalto”.
Anche l’Unione Europea dovrà misurarsi con le ambizioni globali della Cina. Le tecnologie verdi diventeranno sempre più strategiche e la competizione non farà che intensificarsi. E per l’Ue non mancherà il problema della dipendenza da Pechino. “Una certa dipendenza dalla Cina nel breve e medio termine potrebbe essere inevitabile, mentre si sviluppano e maturano nuove catene di approvvigionamento”, ha scritto la ricercatrice Belinda Schape. Mohamed Mansour, il presidente di Infinity Power ha aggiunto che non si tratta solo di competere sui prezzi, ma soprattutto sulla qualità: le turbine cinesi, ha detto, non sono solo più economiche. Sono migliori.
*(a cura di: Irene Doda, vive a Forlì e lavora come scrittrice e giornalista freelance. Si occupa di lavoro, tecnologia e questioni di genere; spesso di tutte e tre queste cose insieme. Ha scritto per Wired, Singola, Il Tascabile e altre riviste online e cartacee.)
06 – GIACOMO LUSARDI*: CHE COSA DICE LA PRIMA CONVENZIONE INTERNAZIONALE GIURIDICAMENTE VINCOLANTE SULL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE.
È STATA ADOTTATA DAL CONSIGLIO D’EUROPA PER GARANTIRE IL RISPETTO DEI DIRITTI UMANI, DELLA DEMOCRAZIA E DELLO STATO DI DIRITTO NELL’USO DEI SISTEMI DI AI, SIA NEL SETTORE PUBBLICO CHE PRIVATO
LOGO CONSIGLIO D’EUROPA.
Il principale obiettivo della Convenzione quadro è assicurare che il potenziale delle tecnologie di intelligenza artificiale (AI) sia sfruttato in modo responsabile, rispettando e promuovendo i valori condivisi dalla comunità internazionale, come i diritti umani, la democrazia e lo stato di diritto. I sistemi di AI offrono opportunità senza precedenti, ma comportano anche rischi significativi, tra cui la discriminazione, la disuguaglianza di genere, la compromissione dei processi democratici, la violazione della dignità umana o dell’autonomia individuale, e l’uso improprio da parte degli Stati a fini repressivi.
AI, TRA DEFINIZIONE E CICLO DI VITA
Per definire i “sistemi di AI” la Convenzione fa propria la definizione adottata dall’OCSE l’8 novembre 2023. Definizione sostanzialmente coincidente con quella del Regolamento Europeo sull’AI (AI Act), in quanto basata sulle proprietà tipiche dei sistemi di AI: autonomia e adattabilità variabili, capacità di inferenza e generazione di previsioni, contenuti, raccomandazioni o decisioni che possono influenzare ambienti fisici o virtuali. La scelta della definizione dell’OCSE mira a rafforzare la cooperazione internazionale e facilitare gli sforzi per armonizzare la governance dell’AI a livello globale.
La Convenzione è poi imperniata sul concetto di “ciclo di vita”, che copre tutte le fasi di esistenza dell’AI: dalla progettazione, alla raccolta dati e costruzione del modello, alla messa in servizio del sistema, al suo monitoraggio e fino alla dismissione. Anche in questo caso l’approccio è simile a quello dell’AI Act, che, tra le altre cose, prevede obblighi di trasparenza e l’adozione di un sistema di gestione dei rischi proprio con riferimento alle varie fasi dei sistemi di AI e alle loro specifiche caratteristiche.
Oggetto della Convenzione non è l’intero ciclo di vita dei sistemi di AI, bensì quelle specifiche attività che possono interferire con i diritti umani, la democrazia e lo Stato di diritto. In questo caso l’approccio del Consiglio d’Europa si distingue dall’AI Act: la Convenzione non individua il proprio ambito di applicazione in specifici modelli, sistemi o pratiche di AI, ma si focalizza sulle attività specifiche all’interno del ciclo di vita dell’AI e sull’impatto che queste possono avere, indipendentemente dal rischio complessivo presentato dal sistema stesso.
Inoltre, la Convenzione regola l’uso dei sistemi di AI sia nel settore pubblico che privato. Le parti aderenti dovranno adottare misure legislative, amministrative o di altro genere per attuarne le disposizioni. Le misure in questione dovranno essere proporzionate e differenziate in base alla gravità e alla probabilità degli impatti negativi sui diritti umani, la democrazia e lo stato di diritto durante l’intero ciclo di vita dei sistemi di AI.
I PRINCIPI GENERALI
La Convenzione stabilisce una serie di principi generali da attuare in conformità agli ordinamenti giuridici nazionali, formulati con un livello elevato di generalità in modo da poter essere applicati con flessibilità in una varietà di contesti in rapida evoluzione.
Il primo stabilisce l’adozione di misure per il rispetto della dignità umana e dell’autonomia individuale: l’uso di sistemi di AI non dovrebbe portare alla disumanizzazione degli individui, minare la loro capacità di agire autonomamente o ridurli a meri punti dati (data point). Inoltre, dovrebbe essere preservata la capacità degli individui di autodeterminarsi, ossia garantire alle persone il controllo sull’utilizzo e l’impatto delle tecnologie di AI nelle loro vite, senza che queste ne compromettano la libera scelta. Del resto, l’antropocentrismo è un principio che sta anche alla base dell’AI Act (il cui scopo è, tra l’altro, “promuovere la diffusione di un’intelligenza artificiale (AI) antropocentrica e affidabile”) e del DDL italiano in materia di AI ora al vaglio delle Camere.
Il secondo principio riguarda la trasparenza e la supervisione dei sistemi di AI, cruciali anche nell’ambito dell’AI Act sia con riferimento ai sistemi ad alto rischio che a determinati sistemi di AI in esso individuati. I processi decisionali e il funzionamento generale dei sistemi AI dovrebbero essere comprensibili e accessibili sia dagli attori della filiera che, ove necessario e appropriato, dagli altri soggetti interessati. Al riguardo la Convenzione prescrive l’adozione o il mantenimento di misure per assicurare la presenza di idonei requisiti di trasparenza e monitoraggio modulati in base ai contesti e ai rischi specifici, inclusa l’identificazione dei contenuti generati tramite AI.
Della trasparenza rilevano soprattutto gli aspetti di spiegabilità e interpretabilità: la prima si riferisce alla capacità di fornire spiegazioni sufficientemente comprensibili sul perché un sistema di AI fornisca determinate informazioni, produca specifiche previsioni, contenuti, raccomandazioni o decisioni, il che è particolarmente importante in ambiti sensibili quali l’assistenza sanitaria, i servizi finanziari, l’immigrazione, i servizi di frontiera, la giustizia penale; la seconda si riferisce, invece, alla capacità di comprendere come un sistema di AI faccia previsioni o prenda decisioni, ossia alla misura in cui il processo di generazione degli output possa essere reso accessibile e comprensibile ai non esperti del settore. Tuttavia, la divulgazione delle informazioni potrebbe contrastare con la privacy, la riservatezza e i segreti commerciali, la sicurezza nazionale, o i diritti dei terzi: per queste ragioni nell’attuazione del principio di trasparenza è opportuno trovare un giusto equilibrio tra i vari interessi in gioco. La supervisione si riferisce a vari meccanismi e processi per monitorare e guidare le attività del ciclo di vita dei sistemi di AI. Si potrebbe trattare di framework giuridici, politici e normativi, di raccomandazioni, linee guida, codici di condotta, programmi di audit e certificazione, di strumenti di individuazione degli errori, o di un coinvolgimento di autorità di vigilanza.
Il principio di responsabilità (c.d. accountability), terzo tra quelli stabiliti dalla Convenzione, riguarda la necessità di predisporre meccanismi affinché le organizzazioni, entità e individui impegnati nelle attività lungo tutto il ciclo di vita dei sistemi di AI rispondano degli impatti negativi sui diritti umani, sulla democrazia o sullo Stato di diritto. Il principio di responsabilità è inscindibile da quelli di trasparenza e supervisione, poiché i meccanismi di trasparenza e supervisione consentono l’esercizio della responsabilità e dell’accountability rendendo più chiaro il funzionamento dei sistemi di AI e come producono i loro output.
La Convenzione si articola, poi, su altri quattro principi altrettanto importanti: eguaglianza e non discriminazione, rispetto al quale il testo elenca una serie di riferimenti normativi da considerare e i vari pregiudizi (bias) che potrebbero caratterizzare i sistemi di AI, tutela dei dati personali, affidabilità sulla base di standard tecnici e misure in chiave di robustezza, accuratezza, integrità dei dati e cybersicurezza, e, infine, innovazione sicura in ambienti controllati (ad esempio, sandbox regolamentari).
GESTIONE DEL RISCHIO E RIMEDI
Rispetto alle garanzie procedurali la Convenzione prevede che i soggetti che interagiscono con l’AI siano informati proprio del fatto che l’interazione è con un sistema di AI e non con un essere umano.
Quanto ai rimedi, la Convenzione richiede alle parti di applicare i propri regimi normativi esistenti alle attività che caratterizzano il ciclo di vita dei sistemi di AI. Per renderli efficaci, essa prevede l’adozione o il mantenimento di misure specifiche volte a documentare e rendere disponibili determinate informazioni alle persone interessate, ma anche ad assicurare l’effettiva possibilità di presentare reclamo alle autorità competenti.
Vi è poi una disposizione inerente alla necessità di identificare, valutare, prevenire e mitigare ex ante e, se del caso, in modo iterativo per tutto il ciclo di vita del sistema di AI, i rischi e gli impatti potenziali rilevanti per i diritti umani, la democrazia e lo Stato di diritto, sviluppando un sistema di gestione dei rischi sulla base di criteri concreti e oggettivi. La Convenzione impone anche alle parti di valutare la necessità di moratorie, divieti o altre misure appropriate per quanto riguarda i sistemi di AI incompatibili con il rispetto dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto, lasciando libertà alle parti nella definizione del concetto di incompatibilità così come sugli scenari che richiedano le misure in questione.
ADOZIONE, EFFETTI ED ENTRATA IN VIGORE
Quanto all’implementazione della Convenzione, essa impone di tenere in debita considerazione le esigenze e le vulnerabilità specifiche riguardanti le persone affette da disabilità e i minori, ma anche di promuovere l’alfabetizzazione digitale per tutti i segmenti della popolazione.
Le parti della Convenzione sono libere di applicare precedenti accordi o trattati relativi al ciclo di vita dei sistemi di AI coperti dalla Convenzione, ma devono attenersi agli obiettivi e alle finalità della stessa, senza assumere obblighi in contrasto.
Dal 5 settembre 2024 la Convenzione sarà aperta alla firma non solo degli stati membri del Consiglio d’Europa, ma anche dei paesi terzi che hanno contribuito alla sua elaborazione, tra cui Argentina, Australia, Canada, Giappone, Israele, Stato della Città del Vaticano e USA, oltre che dell’UE. Una volta in vigore, altri Stati non membri potranno essere invitati ad aderirvi. La Convenzione entrerà in vigore il primo giorno del mese successivo allo scadere di un periodo di tre mesi dalla data in cui almeno cinque firmatari, incluso un minimo tre stati membri del Consiglio d’Europa, avranno espresso il loro consenso ad esserne vincolato.
*(Giacomo Lusardi – opera principalmente nei settori dell’Information Technology)
07 – Anna Fabi *: AUTONOMIA DIFFERENZIATA, PASSA LA LEGGE: RIVOLUZIONE NEI POTERI REGIONALI – LA NUOVA LEGGE SULL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA, APPROVATA DALLA CAMERA, RIDISEGNA LA DISTRIBUZIONE DELLE COMPETENZE TRA STATO E REGIONI IN ITALIA. QUESTO SCENARIO È STATO DEFINITO DALLE VOCI PIÙ CRITICHE COME “SECESSIONE DEI RICCHI”.
La Camera ha dato il via libera al disegno di legge sull’autonomia differenziata, segnando una svolta storica nella gestione dei poteri regionali. Con 172 voti favorevoli, 99 contrari e un astenuto, il provvedimento è ormai definitivo, nonostante le critiche dell’opposizione che teme un ampliamento del divario tra Nord e Sud.
Il sì al provvedimento segue l’approvazione al Senato del ddl costituzionale che prevede l’elezione diretta del Presidente del Consiglio, lasciando prefigurare importanti cambiamenti di scenario per la politica italiana.
Indice
1. COME CAMBIANO LE COMPETENZE CON L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA
2. COME SI REDISTRIBUISCONO GETTITO FISCALE E RISORSE
3. FINANZIAMENTO DEI LEP: COSA CAMBIA
4. MONITORAGGIO TRAMITE CABINA DI REGIA E CLEP
5. I RISCHI PER IL DIVARIO TRA NORD E SUD
6. PRO E CONTRO
COME CAMBIANO LE COMPETENZE CON L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA
L’autonomia differenziata permette alle Regioni di esercitare maggiore autonomia legislativa su una vasta gamma di materie di competenza concorrente e, in alcuni casi, su materie di competenza esclusiva dello Stato.
Tra le aree di competenza che le Regioni possono gestire autonomamente vi sono:
• RAPPORTI INTERNAZIONALI E CON L’UNIONE EUROPEA DELLE REGIONI
• COMMERCIO CON L’ESTERO
• TUTELA E SICUREZZA DEL LAVORO
• ISTRUZIONE
• RICERCA SCIENTIFICA E TECNOLOGICA
• TUTELA DELLA SALUTE
• ORDINAMENTO SPORTIVO
• PROTEZIONE CIVILE
• GOVERNO DEL TERRITORIO
• GRANDI RETI DI TRASPORTO E NAVIGAZIONE
• ORDINAMENTO DELLA COMUNICAZIONE
• PRODUZIONE, TRASPORTO E DISTRIBUZIONE NAZIONALE DELL’ENERGIA
• COORDINAMENTO DELLA FINANZA PUBBLICA E DEL SISTEMA TRIBUTARIO
• VALORIZZAZIONE DEI BENI CULTURALI E AMBIENTALI
COME SI REDISTRIBUISCONO GETTITO FISCALE E RISORSE
La cosiddetta legge Calderoli è uno degli storici cavalli di battaglia della Lega e prevede una significativa redistribuzione delle risorse pubbliche.
Le Regioni potranno infatti trattenere il gettito fiscale, che non sarà più redistribuito a livello nazionale in base alle necessità collettive. Questo aspetto ha sollevato molte preoccupazioni in seno all’opposizione di governo, perché potenzialmente rischia di ampliare in modo inesorabile il già marcato divario tra le Regioni più ricche del Nord Italia e quelle più povere del Sud.
FINANZIAMENTO DEI LEP: COSA CAMBIA
Uno dei punti più contestati riguarda poi il finanziamento dei livelli essenziali di prestazione (LEP), che rappresentano gli standard minimi di servizio necessari per garantire i diritti sociali e civili tutelati dalla Costituzione.
Ebbene, la legge quadro prevede sì che i LEP siano definiti per diverse aree, ma molti settori chiave – come i servizi sociali e il trasporto locale – non hanno ancora LEP stabiliti. IL GOVERNO HA ORA 24 MESI PER EMANARE I DECRETI LEGISLATIVI NECESSARI A DETERMINARE LIVELLI E MISURA DEI LEP.
Stato e Regioni avranno poi cinque mesi per raggiungere un accordo. Le intese potranno durare fino a 10 anni, con possibilità di rinnovo o di cessazione anticipata con un preavviso di almeno 12 mesi.
MONITORAGGIO TRAMITE CABINA DI REGIA E CLEP
Per garantire l’equità nella distribuzione delle risorse e dei poteri, è stata istituita una Cabina di regia, supportata dal Comitato per i Livelli Essenziali di Prestazione (CLEP). Questo comitato, guidato dal giurista Sabino Cassese, avrà il compito di determinare i costi e i fabbisogni dei servizi pubblici essenziali.
Il CLEP è composto da 61 esperti di alto profilo, inclusi il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco e il presidente della Scuola nazionale dell’amministrazione Paola Severino.
I rischi per il divario tra Nord e Sud
IL PROVVEDIMENTO HA SUSCITATO FORTI CRITICHE, SOPRATTUTTO PER IL RISCHIO DI RADICALIZZARE L’ATAVICA DISTANZA TRA NORD E SUD IN TERMINI DI EFFICIENZE, RICCHEZZA E SERVIZI PUBBLICI.
Le Regioni più ricche potrebbero sfruttare la propria situazione economica per offrire servizi migliori, mentre quelle più povere potrebbero rimanere indietro, aggravando ulteriormente i loro storici ritardi.
QUESTO SCENARIO È STATO DEFINITO DALLE VOCI PIÙ CRITICHE COME “SECESSIONE DEI RICCHI”.
PRO E CONTRO
L’approvazione della legge sull’autonomia differenziata rappresenta una svolta significativa nella gestione dei poteri regionali in Italia. Se da un lato offre la possibilità di una gestione più vicina ai cittadini, dall’altro solleva comprensibili preoccupazioni riguardo alla possibile accentuazione delle disuguaglianze territoriali.
Il futuro di questa riforma dipenderà molto dall’efficacia con cui saranno definiti e implementati i livelli essenziali di prestazione, e dalla capacità delle istituzioni di garantire un equilibrio tra le diverse aree del Paese (ndr, e del possibile referendum per l’abrogazione della legge)
*(Fonte PMI.it: Anna Fabi – Esperta di Economia, Fisco e Information Technology, scrive da anni di attualità legata al mondo delle piccole e medie imprese)
08 – Chiara Cruciati*: ONU: «A GAZA È STERMINIO». LA RISPOSTA: RAID SU TENDE E AIUTI.
PALESTINA. IL RAPPORTO DELLA COMMISSIONE D’INCHIESTA DELLE NAZIONI UNITE ACCUSA ISRAELE DI CRIMINI DI GUERRA E HAMAS DI OMICIDIO E PRESA D’OSTAGGI. BOMBARDATA LA TENDOPOLI DI AL MAWASI. COLPITA LA STRADA DELLE «PAUSE» MAI ENTRATE IN VIGORE
«Mai visto niente del genere, di questa estensione». Così ieri Navi Pillay, capa della commissione di inchiesta delle Nazioni unite sull’offensiva israeliana a Gaza ha sintetizzato i contenuti, durissimi, del rapporto pubblicato pochi giorni fa e presentato ieri a Ginevra.
LE ACCUSE sono dirette: Israele sta commettendo crimini di guerra e contro l’umanità. «Il bilancio di vittime è senza precedenti, i numeri sono incredibili», commenta poi in un’intervista ad al Jazeera. Una tragedia talmente enorme, dice, «da sopraffare la commissione»: doveva produrre 10.700 pagine di rapporto, non sono bastate e ha aggiunto due allegati.
Il rapporto sarà presentato all’Assemblea generale dell’Onu con l’obiettivo, si immagina, di costringere gli alleati di Israele a prendere misure concrete, che vadano al di là di condanne a parole mentre continuano a rimpolpare l’arsenale israeliano di armi.
Armi, spiega la commissione d’inchiesta, che l’esercito di Tel Aviv usa «deliberatamente» per «attacchi intenzionali e diretti contro la popolazione civile», macchiandosi dei crimini di sterminio, omicidio, trattamento crudele e disumano dei palestinesi, volontariamente portati alla fame, ètrasferendo con la forza quasi l’intera popolazione in uno spazio piccolo, insicuro e non vivibile».
A ciò si aggiungono «violenze sessuali e di genere commesse dalle forze israeliane con l’obiettivo di umiliare e subordinare ulteriormente la comunità palestinese». Violenze perpetrate sia contro le donne sia contro gli uomini. Dello stesso crimine, la violenza sessuale, sono accusati i gruppi armati palestinesi, a partire da Hamas, commessa «in particolare contro le donne» durante l’attacco del 7 ottobre. A questi, dice Pillay, si aggiungono i crimini di omicidio, attacchi contro civili, torture e presa di ostaggi.
DA CAPA della commissione per i Territori occupati, Pillay cita anche la Cisgiordania descrivendo un’ondata di violenza senza precedenti, confermata ieri dall’ennesimo rogo di alberi di ulivo palestinesi da parte di gruppi di coloni, a devastare un’economia già totalmente supina a quella israeliana e da mesi svuotata di mezzi di sostentamento.
Quanto detto ieri a Ginevra non è nuovo. Sono le stesse conclusioni a cui sono giunte, in tempi e con modalità diverse, la Corte internazionale di Giustizia e la procura della Corte penale internazionale, i massimi tribunali del pianeta, rimasti inascoltati.
Ieri, dopotutto, a Gaza è stato un giorno come i 257 precedenti. Un bombardamento israeliano ha centrato una casa nel quartiere Sabra di Gaza City, un altro il quartiere di Zeitoun: nel pomeriggio non c’era ancora un bilancio certo. Si conosce quello del raid che ha colpito al-Mawasi, trasformata da comunità beduina a tendopoli. Come accaduto a Tal al-Sultan a maggio, l’attacco su una presunta «zona sicura» ha incendiatole tende, otto gli uccisi. «Siamo stati colpiti in un’area che doveva essere sicura – racconta ai giornalisti un’anziana, Fatima al-Qiq – I bambini stavano dormendo».
È successo di notte: i carri armati israeliani si sono spinti verso Rafah ovest, coperti dall’aviazione, il fuoco è finito sulle tende di al-Mawasi. Tanti sono fuggiti in preda al panico. Ieri sera nove palestinesi una bomba israeliana ha preso di mira un gruppo di persone in attesa degli aiuti umanitari, a poca distanza da Kerem Shalom, sulla strada che domenica l’esercito aveva promesso di non colpire per 11 ore al giorno: nove uccisi. Il bilancio delle vittime palestinesi dal 7 ottobre sale a 37.396, a cui si aggiungono oltre 10mila dispersi.
NON C’È TREGUA a Gaza con quel che resta della Striscia preda da otto mesi di una presunta strategia militare riassunta – lo ha rifatto ieri il primo ministro Netanyahu – in un punto apparentemente chiaro: la distruzione di Hamas.
Stava scritto così nello scarno comunicato del premier, a smentire il portavoce dell’esercito Hagari che poche ore prima aveva detto quello che sanno tutti: Hamas non sarà distrutto, dire il contrario «è lanciare sabbia negli occhi dell’opinione pubblica». Quel che può essere distrutto, e lo è ogni giorno, è Gaza, l’unica terribile «missione compiuta» che finora Netanyahu può intestarsi.
*(Fonte: Il Manifesto – Chiara Cruciati, una giornalista, ma soprattutto una donna di grande prossimità umana e disponibilie a condividere il proprio sapere)
Views: 38
Lascia un commento